Tuor - Metamorfosi d'una ancor lunga crisi

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Forumer storico
Metamorfosi d'una ancor lunga crisi
Il peso si sposta ora sui debiti pubblici occidentali
di ALFONSO TUOR
27 mag 2009

La crisi finanziaria sta subendo un’ulteriore metamorfosi. L’epicentro della crisi sta spostandosi dal rischio di collasso del sistema bancario alla questione della solvibilità dei debiti pubblici dei Paesi occidentali. Questa metamorfosi era già scritta nelle carte. I governi hanno evitato la catastrofe del sistema finanziario garantendo che non verrà fatto fallire alcun grande gruppo bancario o assicurativo e contemporaneamente assicurando attraverso il Fondo Monetario Internazionale che si farà tutto il possibile e anche l’impossibile per evitare una crisi di un Paese emergente. Tutto ciò vuol dire che la garanzia dell’enorme indebitamento, che ha portato l’economia mondiale sull’orlo del baratro, è oggi stata trasferita sulle spalle degli Stati. Ma dato che il debito non è scomparso (anzi i «buchi» sono ancora nascosti tra le pieghe dei bilanci degli istituti finanziari) il rischio è ora degli Stati, il cui indebitamento sta letteralmente esplodendo a causa dei costi dei salvataggi bancari e dei programmi di rilancio economico e soprattutto a causa del crollo delle entrate fiscali determinato dalla pesante recessione.
La questione centrale diventa dunque un’altra: fino a quando e a quale livello dei tassi di interesse i mercati dei capitali saranno disposti ad assorbire l’enorme quantità di obbligazioni che gli Stati sono costretti ad emettere per finanziare i loro crescenti debiti pubblici? In secondo luogo, alcuni Paesi, come Stati Uniti e Gran Bretagna, sceglieranno di aumentare ulteriormente la quantità di moneta che stampano per comprare i titoli di Stato e soprattutto per evitare che l’aumento dei rendimenti spinga al rialzo l’intera struttura dei tassi rendendo impossibile qualsiasi tentativo di ripresa? E infine la crescente monetizzazione del debito pubblico, attuata da Washington e da Londra, non rischia di deprimere il tasso di cambio del dollaro americano e della lira sterlina inglese creando un rischio di forte inflazione?
Questo sbocco finale della crisi, di cui abbiamo parlato più volte, è tornato di drammatica attualità la settimana scorsa dopo che Standard & Poor’s ha abbassato a negative le prospettive del debito pubblico inglese, poiché è destinato a superare ben presto il 100% del PIL del Paese. L’agenzia di rating ha espresso un giudizio sulle finanze pubbliche britanniche, ma tutti hanno pensato a quelle americane. Negli Stati Uniti l’amministrazione prevede che quest’anno il disavanzo pubblico supererà il 12% del PIL e istituzioni come l’OCSE e l’FMI stimano che il debito pubblico oltrepassi la soglia del 100% del PIL prima di quello britannico. La reazione dei mercati è stata immediata: il tasso di cambio del dollaro è rapidamente sceso e i rendimenti dei titoli decennali del Tesoro americano sono saliti al 3,45%. Un ulteriore rialzo dei tassi sarebbe inaccettabile per la Federal Reserve, poiché spingerebbe al rialzo anche i tassi ipotecari aggravando la crisi immobiliare americana e vanificando gli sforzi finora intrapresi dalla Banca centrale statunitense.
Questi primi segnali lanciati dal mercato dei capitali devono essere tenuti nella massima considerazione. La ripresa dell’economia statunitense non è imminente, poiché il risanamento dei bilanci di famiglie, imprese ed istituti finanziari è un processo che richiederà molto tempo. Quindi né i consumi delle famiglie americane, né gli investimenti delle imprese e neppure l’allentamento della stretta creditizia operata dalle banche potranno dare impulsi all’economia a stelle e strisce. A disposizione resta unicamente la spesa pubblica. Questa leva può però essere utilizzata solo fino a quando i risparmiatori sono disposti a finanziare i governi a tassi ragionevoli. Questa possibilità è destinata a diventare sempre più ardua soprattutto per i Paesi, come Stati Uniti e Gran Bretagna, che non hanno sufficiente risparmio interno e devono ricorrere ai finanziamenti esteri. E non solo dal mercato dei capitali, ma anche dall’estero, e soprattutto dall’Asia, giungono segnali di preoccupazione. La Cina, il principale finanziatore degli Stati Uniti, è sempre più preoccupata e continua a chiedere rassicurazioni a Washington, temendo che la monetizzazione del debito americano comporti un’enorme perdita di valore delle sue riserve valutarie investite in dollari. La preoccupazione si è già tradotta nella scelta di acquistare solo i titoli di stato americano a breve termine, nella speranza di poter in questo modo limitare i danni. Dunque, l’incrinarsi della fiducia dei grandi investitori esteri si aggiunge ai crescenti timori degli investitori privati, che ritengono sempre più probabile che gli Stati Uniti scelgano (o siano costretti ad imboccare) la via dell’inflazione per uscire dalla crisi.
Questa opzione viene sempre più frequentemente evocata negli Stati Uniti come l’unica via percorribile. Ma dato che oggi l’economia americana è in deflazione e vi è un’enorme quantità di capacità produttive inutilizzate, le aspettative inflazionistiche e l’inflazione possono essere create solo attraverso una forte svalutazione del dollaro. Ciò equivarrebbe ad un ulteriore trasferimento dei costi della crisi agli altri Paesi e comporterebbe non solo forti rischi di protezionismo, ma anche un aumento delle tensioni internazionali. In conclusione, l’ultima metamorfosi di questa crisi induce a ritenere che le spie più affidabili da seguire con attenzione nei prossimi mesi siano il tasso di cambio del dollaro e i rendimenti dei titoli di stato americani.
 
Metamorfosi d'una ancor lunga crisi
Il peso si sposta ora sui debiti pubblici occidentali
di ALFONSO TUOR
27 mag 2009
Dunque, l’incrinarsi della fiducia dei grandi investitori esteri si aggiunge ai crescenti timori degli investitori privati, che ritengono sempre più probabile che gli Stati Uniti scelgano (o siano costretti ad imboccare) la via dell’inflazione per uscire dalla crisi.

Questa opzione viene sempre più frequentemente evocata negli Stati Uniti come l’unica via percorribile. Ma dato che oggi l’economia americana è in deflazione e vi è un’enorme quantità di capacità produttive inutilizzate, le aspettative inflazionistiche e l’inflazione possono essere create solo attraverso una forte svalutazione del dollaro. Ciò equivarrebbe ad un ulteriore trasferimento dei costi della crisi agli altri Paesi e comporterebbe non solo forti rischi di protezionismo, ma anche un aumento delle tensioni internazionali. In conclusione, l’ultima metamorfosi di questa crisi induce a ritenere che le spie più affidabili da seguire con attenzione nei prossimi mesi siano il tasso di cambio del dollaro e i rendimenti dei titoli di stato americani.

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