Sharnin 2
Forumer storico
Crisi finanziaria
Mutui subprime, prossimi altri grandi «botti»
Alfonso Tuor
Il dollaro poco sopra la parità rispetto al franco svizzero, le azioni UBS scese sotto la soglia psicologica dei 30 franchi, il prezzo delle materie prime e delle derrate agricole ai massimi storici e la decisione della banca centrale americana di iniettare 200 miliardi di dollari per dare la possibilità alle banche di raccogliere liquidità contro titoli oggi illiquidi sono i sintomi «tangibili» dell’aggravarsi della situazione sui mercati finanziari.
Le ragioni sono molto semplici. Innanzitutto, il peggioramento della crisi del mercato immobiliare statunitense con un’impennata dei pignoramenti e altri dati americani, come la perdita di 63.000 posti di lavoro in febbraio, che indicano che l’economia è già molto probabilmente caduta in recessione. In secondo luogo, il marcato peggioramento della situazione sul mercato dei crediti, testimoniata dall’aumento dei tassi sul mercato interbancario e dei costi di assicurazione dei titoli con cui vengono finanziati sia i mutui ipotecari subprime sia gli altri crediti che il sistema bancario ha trasformato in obbligazioni vendute poi sul mercato. È quindi probabile che il periodo di bonaccia delle ultime settimane sia già finito e che stiamo avvicinandoci ad una nuova fase di alta tensione.
I motivi sono presto detti. Il ribasso dei tassi americani e le misure adottate dall’amministrazione Bush non hanno frenato la tendenza al ribasso degli oggetti immobiliari negli Stati Uniti. Anzi, sempre più si sta diffondendo il fenomeno delle famiglie americane che consegnano le chiavi di casa alle banche, quando si accorgono che la loro ipoteca è superiore all’attuale prezzo di mercato della loro abitazione, con una conseguente impennata dei pignoramenti.
D’altra parte, ad eccezione delle esportazioni in forte aumento anche grazie al deprezzamento del dollaro, il peggioramento della situazione del mercato del lavoro sta intaccando sia gli investimenti sia i consumi delle famiglie. Tutto ciò aumenta il rischio insito nei titoli in circolazione nei mercati finanziari, con cui si sono finanziati i mutui ipotecari, le carte di credito, i leasing, le operazioni dei fondi Private Equity, ecc. Dunque il peggioramento delle condizioni economiche provoca un ulteriore peggioramento della crisi finanziaria. E come è sempre accaduto, più questa situazione si prolunga e più la crisi finanziaria si acuisce. Non è quindi casuale che la crisi stia toccando anche alcuni Hedge Funds e la «periferia» di alcuni grandi fondi Private Equity. Le banche, costrette a registrare perdite miliardarie, stanno infatti chiedendo di rientrare ad alcuni di questi soggetti finanziari in cui sono parcheggiati miliardi di questi titoli, correndo il rischio che questi fondi siano costretti a vendere questi titoli deprimendone ulteriormente il valore. Per comprendere la posta in gioco e anche la «follia» insita nei meccanismi di funzionamento della cosiddetta nuova ingegneria finanziaria, basta ricordare i termini di due ultimi casi. Il primo riguarda un Hedge Fund di nome Peloton, che è di fatto fallito. Le 14 banche creditrici, tra cui figura anche UBS, rischiano di trovarsi sul groppone circa 17 miliardi di titoli legati al mercato immobiliare americano, poiché grazie alle linee di credito aperte dalle banche a tanto è giunta l’esposizione sul mercato di Peloton, che invece ha in gestione solo circa 3,5 miliardi di dollari dei suoi clienti. L’altro esempio è quello di Carlyle Capital, collegato con uno dei maggiori fondi Private equity americani. Carlyle non è riuscito a onorare la richiesta di rientro delle banche (margin calls) ed il titolo, quotato alla borsa di Amsterdam, è stato sospeso. Ebbene questo fondo, pur avendo un capitale di soli 670 milioni di dollari, ha un’esposizione in titoli legati al mercato ipotecario americano di 21,7 miliardi di dollari. Questi due esempi, cui se ne potrebbero aggiungere molti altri, mettono in evidenza, da un canto, l’entità delle linee di credito aperte dalle banche e, dall’altro, l’ampiezza dell’uso della leva (ossia del credito) di questi fondi.
Ora il processo avviatosi rischia di riportare all’interno dei bilanci delle banche altri miliardi di titoli «tossici», che si aggiungerebbero a quelli già accumulati e che stanno già provocando perdite miliardarie. La conseguenza è che le posizioni a rischio annunciate dalle banche sono destinate a dilatarsi ulteriormente. In queste condizioni non soprende che le azioni UBS, che l’anno scorso avevano toccato gli 80 franchi, siano scese ieri al di sotto della soglia psicologica dei 30 franchi.
Ma che cosa può succedere ora?
La Federal Reserve sta chiaramente procedendo a vista in un territiorio inesplorato, con la crescente consapevolezza, espressa dallo stesso Ben Bernanke, che il ribasso del costo del denaro non è sufficiente per superare la crisi. Quindi di fronte all’aggravarsi della situazione ha annunciato l’iniezione di altri 200 miliardi di dollari di liquidità, sperando che si allentino le tensioni sul mercato dei crediti, e ha fatto chiaramente capire che continuerà ad abbassare i tassi (oramai si dà per scontato che potrebbero scendere fino all’1,5%).
Ma tutto ciò non basta ancora e l’acuirsi della crisi fa ritenere (già se ne discute apertamente) che lo Stato federale americano sarà costretto a varare un grande piano di salvataggio che dovrebbe prioritariamente mirare a frenare la caduta dei prezzi delle case e l’impennata dei pignoramenti. Insomma un grande intervento statale di aiuto, seppure indiretto, al sistema bancario e finanziario. Ma per arrivare a tanto ci vorrà tempo, poiché bisognerà superare le difficoltà tecniche di un simile piano e soprattutto trovare il consenso politico. Nel frattempo, in attesa dei prossimi «grandi botti», si procede a vista con un dollaro che scende sempre di più sull’aspettativa dei nuovi tagli dei tassi di interesse americani, con continue iniezioni di liquidità per dare fiato al sistema finanziario, con borse in calo per il timore che la recessione decurti gli utili societari e con la formazione di una nuova grande bolla speculativa nei mercati delle materie prime e delle derrate alimentari.
10/03/2008 23:15
Mutui subprime, prossimi altri grandi «botti»
Alfonso Tuor
Il dollaro poco sopra la parità rispetto al franco svizzero, le azioni UBS scese sotto la soglia psicologica dei 30 franchi, il prezzo delle materie prime e delle derrate agricole ai massimi storici e la decisione della banca centrale americana di iniettare 200 miliardi di dollari per dare la possibilità alle banche di raccogliere liquidità contro titoli oggi illiquidi sono i sintomi «tangibili» dell’aggravarsi della situazione sui mercati finanziari.
Le ragioni sono molto semplici. Innanzitutto, il peggioramento della crisi del mercato immobiliare statunitense con un’impennata dei pignoramenti e altri dati americani, come la perdita di 63.000 posti di lavoro in febbraio, che indicano che l’economia è già molto probabilmente caduta in recessione. In secondo luogo, il marcato peggioramento della situazione sul mercato dei crediti, testimoniata dall’aumento dei tassi sul mercato interbancario e dei costi di assicurazione dei titoli con cui vengono finanziati sia i mutui ipotecari subprime sia gli altri crediti che il sistema bancario ha trasformato in obbligazioni vendute poi sul mercato. È quindi probabile che il periodo di bonaccia delle ultime settimane sia già finito e che stiamo avvicinandoci ad una nuova fase di alta tensione.
I motivi sono presto detti. Il ribasso dei tassi americani e le misure adottate dall’amministrazione Bush non hanno frenato la tendenza al ribasso degli oggetti immobiliari negli Stati Uniti. Anzi, sempre più si sta diffondendo il fenomeno delle famiglie americane che consegnano le chiavi di casa alle banche, quando si accorgono che la loro ipoteca è superiore all’attuale prezzo di mercato della loro abitazione, con una conseguente impennata dei pignoramenti.
D’altra parte, ad eccezione delle esportazioni in forte aumento anche grazie al deprezzamento del dollaro, il peggioramento della situazione del mercato del lavoro sta intaccando sia gli investimenti sia i consumi delle famiglie. Tutto ciò aumenta il rischio insito nei titoli in circolazione nei mercati finanziari, con cui si sono finanziati i mutui ipotecari, le carte di credito, i leasing, le operazioni dei fondi Private Equity, ecc. Dunque il peggioramento delle condizioni economiche provoca un ulteriore peggioramento della crisi finanziaria. E come è sempre accaduto, più questa situazione si prolunga e più la crisi finanziaria si acuisce. Non è quindi casuale che la crisi stia toccando anche alcuni Hedge Funds e la «periferia» di alcuni grandi fondi Private Equity. Le banche, costrette a registrare perdite miliardarie, stanno infatti chiedendo di rientrare ad alcuni di questi soggetti finanziari in cui sono parcheggiati miliardi di questi titoli, correndo il rischio che questi fondi siano costretti a vendere questi titoli deprimendone ulteriormente il valore. Per comprendere la posta in gioco e anche la «follia» insita nei meccanismi di funzionamento della cosiddetta nuova ingegneria finanziaria, basta ricordare i termini di due ultimi casi. Il primo riguarda un Hedge Fund di nome Peloton, che è di fatto fallito. Le 14 banche creditrici, tra cui figura anche UBS, rischiano di trovarsi sul groppone circa 17 miliardi di titoli legati al mercato immobiliare americano, poiché grazie alle linee di credito aperte dalle banche a tanto è giunta l’esposizione sul mercato di Peloton, che invece ha in gestione solo circa 3,5 miliardi di dollari dei suoi clienti. L’altro esempio è quello di Carlyle Capital, collegato con uno dei maggiori fondi Private equity americani. Carlyle non è riuscito a onorare la richiesta di rientro delle banche (margin calls) ed il titolo, quotato alla borsa di Amsterdam, è stato sospeso. Ebbene questo fondo, pur avendo un capitale di soli 670 milioni di dollari, ha un’esposizione in titoli legati al mercato ipotecario americano di 21,7 miliardi di dollari. Questi due esempi, cui se ne potrebbero aggiungere molti altri, mettono in evidenza, da un canto, l’entità delle linee di credito aperte dalle banche e, dall’altro, l’ampiezza dell’uso della leva (ossia del credito) di questi fondi.
Ora il processo avviatosi rischia di riportare all’interno dei bilanci delle banche altri miliardi di titoli «tossici», che si aggiungerebbero a quelli già accumulati e che stanno già provocando perdite miliardarie. La conseguenza è che le posizioni a rischio annunciate dalle banche sono destinate a dilatarsi ulteriormente. In queste condizioni non soprende che le azioni UBS, che l’anno scorso avevano toccato gli 80 franchi, siano scese ieri al di sotto della soglia psicologica dei 30 franchi.
Ma che cosa può succedere ora?
La Federal Reserve sta chiaramente procedendo a vista in un territiorio inesplorato, con la crescente consapevolezza, espressa dallo stesso Ben Bernanke, che il ribasso del costo del denaro non è sufficiente per superare la crisi. Quindi di fronte all’aggravarsi della situazione ha annunciato l’iniezione di altri 200 miliardi di dollari di liquidità, sperando che si allentino le tensioni sul mercato dei crediti, e ha fatto chiaramente capire che continuerà ad abbassare i tassi (oramai si dà per scontato che potrebbero scendere fino all’1,5%).
Ma tutto ciò non basta ancora e l’acuirsi della crisi fa ritenere (già se ne discute apertamente) che lo Stato federale americano sarà costretto a varare un grande piano di salvataggio che dovrebbe prioritariamente mirare a frenare la caduta dei prezzi delle case e l’impennata dei pignoramenti. Insomma un grande intervento statale di aiuto, seppure indiretto, al sistema bancario e finanziario. Ma per arrivare a tanto ci vorrà tempo, poiché bisognerà superare le difficoltà tecniche di un simile piano e soprattutto trovare il consenso politico. Nel frattempo, in attesa dei prossimi «grandi botti», si procede a vista con un dollaro che scende sempre di più sull’aspettativa dei nuovi tagli dei tassi di interesse americani, con continue iniezioni di liquidità per dare fiato al sistema finanziario, con borse in calo per il timore che la recessione decurti gli utili societari e con la formazione di una nuova grande bolla speculativa nei mercati delle materie prime e delle derrate alimentari.
10/03/2008 23:15