Tuor - Paura per debiti pubblici e dollaro

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Paura per debiti pubblici e dollaro
Attesi però interventi a sostegno del biglietto verde
di ALFONSO TUOR -
23 mag 2009

Mentre autorità politiche e monetarie sostengono di cominciare ad intravvedere i primi segnali di una prossima ripresa, questa prospettiva, invero ancora poco credibile, sembra venire compromessa dai crescenti timori sulla sostenibilità del’esplosione dei debiti dei grandi Paesi industrializzati.
A rammentare la questione è stata l’agenzia di rating Standard & Poor’s, la quale ha annunciato di considerare «negative» le prospettive del debito pubblico della Gran Bretagna, poiché prevede che il suo debito pubblico si avvicinerà presto al 100% del PIL, ossia ad un livello che l’agenzia ritiene incompatibile con una valutazione che dia completa fiducia agli acquirenti dei titoli con cui il Governo di Londra si finanzia sul mercato dei capitali. Sebbene i titoli britannici possano contare ancora su una tripla A, la notizia ha causato immediate turbolenze sui mercati: non ha solo depresso la sterlina e il corso dei titoli statali britannici, ma ha provocato una reazione analoga anche negli Stati Uniti. Infatti la svendita dei titoli di stato americani ha fatto salire i rendimenti dei titoli di stato e scendere il tasso di cambio del dollaro.
Standard & Poor’s ha parlato di Gran Bretagna, ma tutti hanno pensato agli Stati Uniti. Quest’anno, stando all’amministrazione Obama, il disavanzo pubblico americano raggiungerà i 1.840 miliardi di dollari, circa il 12% del PIL statunitense. Il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE prevedono che il debito pubblico americano supererà il 100% del PIL prima di quello britannico. Dunque comincia a preoccupare la questione della sostenibilità dei conti pubblici dei grandi Paesi industrializzati.
Il lascito maggiore di questa fase iniziale della crisi è infatti un forte aumento dei disavanzi pubblici dovuto, da un canto, ai salvataggi delle banche e ai piani di rilancio dell’economia e, dall’altro, al crollo del gettito fiscale. È stato giustamente scritto che per le finanze pubbliche questa crisi comporterà costi paragonabili a quelli di una grande guerra. Finora i vincoli di bilancio sono stati trascurati di fronte all’urgenza degli interventi volti ad evitare una ripetizione degli eventi degli anni Trenta. Ma ora questi vincoli di bilancio tornano alla ribalta soprattutto per Gran Bretagna e Stati Uniti, ossia per i due Paesi che non sono in grado di finanziare l’aumento del debito pubblico con il risparmio interno e quindi hanno bisogno dei finanziamenti esteri.
Rischia dunque di materializzarsi lo spettro di una perdita di fiducia degli investitori nei titoli del debito pubblico, che provocherebbe un ulteriore rialzo dei rendimenti e quindi un aumento del costo del denaro che renderebbe ancor più difficile una ripresa. È dunque facilmente prevedibile che sia la Banca Centrale americana sia quella inglese saranno costrette ad incrementare i loro acquisti di titoli di stato per frenare l’aumento dei tassi. Ma l’ulteriore ricorso alla stampa di moneta potrebbe allarmare ancor più gli investitori, soprattutto quelli esteri, e provocare una caduta sia della sterlina (che si è già svalutata notevolmente) sia del dollaro.
La questione dollaro rischia dunque di diventare particolarmente spinosa. Finora il tasso di cambio del dollaro ha tenuto per il rimpatrio di molti capitali detenuti all’estero dagli americani e soprattutto per la fame di dollari delle banche europee e asiatiche impegnate a coprire i loro «fallimentari» investimenti in dollari. Questo fenomeno ha oscurato il fatto che i tradizionali finanziatori degli Stati Uniti o non hanno più le disponibilità finanziarie per acquistare i titoli americani (come i Paesi esportatori di petrolio) oppure sono sempre più dubbiosi sulla bontà della scelta di investire gran parte delle loro riserve valutarie in dollari (come la Cina e gli altri Paesi asiatici). Quindi il biglietto verde è oggi in una posizione molto critica. L’importanza del dollaro per l’economia mondiale induce però a ritenere che la sua debolezza non si tradurrà in una caduta verticale, poiché vi saranno interventi congiunti a sostegno del biglietto verde per evitare ulteriori traumi ad un’economia mondiale ancora in piena crisi.
 

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