Una Donna al giorno. Un omaggio all'intelligenza e alla forza femminile

ALDA MERINI

Moriva, 4 anni fa (il primo novembre 2009). Ero in Austria quel giorno, ma non l'ho dimenticata.

Alda Merini : una piccola ape furibonda | Bambole Spettinate&Diavole Del Focolare


Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
[...]


Alda Merini nasce il 21 marzo del 1931, seconda di tre figli, in una famiglia di modeste condizioni economiche.

Il periodo della sua infanzia e adolescenza è segnato dal secondo conflitto mondiale

[..] la mia casa è stata distrutta dalle bombe. Noi eravamo sotto, nel rifugio, durante un coprifuoco; siamo tornati su e non c’era più niente, solo macerie. Ho aiutato mia madre a partorire mio fratello: avevo 12 anni. Un bel tradimento da parte dell’Inghilterra, perché noi eravamo tutti a tavola, chi faceva i compiti, chi mangiava, arrivano questi bombardieri, con il fiato pesante, e tutt’a un tratto, boom, la gente è impazzita. Abbiamo perso tutto. Siamo scappati sul primo carro bestiame che abbiamo trovato. Tutti ammassati. Siamo approdati a Vercelli. Ci siamo buttati nelle risaie perché le bombe non scoppiano nell’acqua, ce ne siamo stati a mollo finché non sono finiti i bombardamenti. Siamo rimasti lì soli, io, la mia mamma e il piccolino appena nato. Mio padre e mia sorella erano rimasti in giro a Milano a cercare gli altri: eravamo tutti impazziti. Ho fatto l’ostetrica per forza portando alla luce mio fratello, ce l’ho fatta: oggi ha sessant’anni e sta benissimo. La mamma invece ha avuto un’emorragia, hanno dovuto infagottarla insieme al piccolo e portarseli dietro così, con lei che urlava come una matta.

Alda aveva un carattere sensibile, malinconico ed era poco compresa un po’ da tutti.

Quel poco che si conosce della sua infanzia e della sua adolescenza, è attraverso le note che scriveva, note che le permisero di collaborare con Giacinto Spagnoletti suo primo scopritore con cui collaborò alla giovanissima età di 15 anni, e grazie al quale conobbe anche Giorgio Manganelli maestro di stile e suo primo amore.

Il 1947 è segnato da i suoi i primi tormenti e disturbi mentali, viene così internata per circa un mese a Villa Turro a Milano

Quando ne esce alcuni amici le sono vicini : Giorgio Manganelli, che aveva conosciuto a casa di Spagnoletti la indirizza in esame presso gli psicoanalisti Fornari e Musatti.

Nel 1950 grazie a G. Spagnoletti pubblica con le liriche “Il gobbo”.

Terminata la tormentata relazione con Manganelli nel ’54 sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie a Milano, nello stesso anno esce anche la sua opera “La presenza di Orfeo”.

Nel ’55 esce la seconda raccolta di versi intitolata “Paura di Dio” e nello stesso anno “La pazza della porta accanto“.

Il 62’ è segnato dal dolce arrivo della sua primogenita Emanuela, nello stesso anno scrive una raccolta di versi “Tu sei Pietro” a Pietro De Paschale medico della piccola.

I disturbi causati dal bipolarismo le portano nello stesso anno un periodo duro e angosciante che la vedono nuovamente internata, questa volta però al “Paolo Pini” , struttura dentro il quale rimarrà fino al ’72, alternando periodi in famiglia dove nascone altre due figlie.



Nel ’79 torna a scrivere, questa volta con opere più drammatiche che raccontano la sua sconvolgente esperienza in manicomio e il dolore provato.

Manicomio è parola assai più grande
delle oscure voragini del sogno,
eppur veniva qualche volta al tempo
filamento di azzurro o una canzone
lontana di usignolo o si schiudeva
la tua bocca mordendo nell’azzurro
la menzogna feroce della vita.
O una mano impietosa di malato
saliva piano sulla tua finestra
sillabando il tuo nome e finalmente
sciolto il numero immondo ritrovavi
tutta la serietà della tua vita.

(da “La terra santa”)

L’83 per lei è un altro durissimo anno che vede la scomparsa del suo amato marito. Sola e dimenticata dal mondo letterario, ricomincia a scrivere e a bussare a tutte le porte dei maggiori editori italiani senza alcun successo.

Solo Paolo Muri, colpito dal suo stato e dalle sue amarezze, le offre uno spazio per le sue poesie per la sua rivista “Il cavallo di troia”.

Nello stesso anno inizia un rapporto telefonico con il poeta Michele Pierri che aveva mostrato tanto interesse per le sue opere . Si sposano nell’autunno dello stesso anno e da Milano si trasferisce a Taranto, città del marito, medico (primario dell’ospedale della città ) in pensione e inizia a prendersi cura di lei.

Nell’86 dopo aver provato gli orrori dell’ospedale psichiatrico di Taranto torna a Milano e si mette in cura con la dottoressa Marcella Rizzo (a cui dedica una poesia) e ricomincia a scrivere completando l’opera : “L’altra verità. Diario di una diversa”, testimonianza dei suoi lunghi dieci anni nelle orribili mura del manicomio.

Seguiranno le opere :

1987 : “Fogli bianchi” . Nello stesso anno è finalista nel premio letterario Premio Bergamo.

1988 : “Testamento”

1989: inizia a frequentare il cafè libreria “Chimera” sui Navigli e pubblica “Delirio amoroso”

1990: “Il tormento delle figure”

1991: vede la morte del suo primo amore Giorgio Manganelli a cui dedica una poesia

A Manganelli

A te, Giorgio,
noto istrione della parola,
mio oscuro disegno,
mio invincibile amore,
sono sfuggita, tuo malgrado,
eppure mi hai ingabbiato
nella salsedine
della tua lingua.
Tu, primissimo amore mio,
hai avuto pudore
del mio atroce destino,
tu mi hai preso un giorno
sull’erba, al calore del sole,
la perla della mia giovinezza.
Com’era bello, amore,
sentirti spergiuro.
E tu che non volevi.
Tu, per cui ero
la sofferta Beatrice delle ombre.
Ma non eri tu ad avermi,
era la psicanalisi.
E in fondo, Giorgio,
ho sempre patito
quel che ti ho fatto patire.

[Da La palude di Manganelli, 1992]

1992 : “Ipotenusa d’amore”

1993: pubblica “La palude di Manganelli o il monarca del re”, e “Aforismi” . In questo l’anno in cui le viene assegnato il Eugenio Montale per la poesia.

1994: “ Sogno e Poesia”, da “L’incisione di Corbetta”

1996: con il volume “La vita facile”, le viene attribuito il “Premio Viareggio”

1997 : vince il “Premio Procida Elsa Morante”

1999: “Aforismi e magie”

Sono anni ricchi di successi per lei, in pochi anni conta più di 500 testi pubblicati.

Nel 2001 posa seminuda per la copertina dell’album “Canto di Spine ”



Allora spiegò così la sua decisione: «Per buttare il mio corpo al macero, a significare che per la psichiatria il corpo non vale, viene annientato, soltanto la mente è terreno di studio».

Sono stata io a volerlo. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé, ormai ovunque, ma per quello non perfetto. E’ l’imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa. Il mio è stato un gesto di provocazione, e anche di profondo dolore: in manicomio ci spogliavano come fossimo cose. Mi sento nuda ancora adesso.


Nel febbraio del 2004 viene ricoverata all’Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Da tutto il paese vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice che richiede aiuto economico.

Nel 2005 pubblica con Giovanni Nuti l’album “Poema della croce”.

Nel 2007 esce l’album “Rasoi di seta”, che contiene 21 poesie-canzoni

Nel 2009 esce il documentario : Alda Merini, una donna sul palcoscenico

Il 1° novembre del 2009 si spegne a causa di un’ affezione tumorale all’ospedale San Paolo di Milano

Il tormento e la dolcezza della sua anima e delle sue poesia rimarranno però eterne.
 
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MARIA MONTESSORI

Nata in provincia di Ancona (precisamente a Chiaravalle) il 31 agosto del 1870, Maria Montessori è conosciuta da tutti come colei che modificò profondamente il metodo scolastico italiano. La sua infanzia, trascorsa all’interno di una famiglia di tipo medio-borghese, ebbe come scenario la città di Roma, dove Maria studiò per ottenere il titolo di ingegnere, difficilmente concesso alle donne. I suoi studi furono causa di contrasti con i genitori, che vedevano da sempre la figlia come una perfetta insegnante: per nulla convinta di ciò, decise di iscriversi alla facoltà di Medicina all’Università La Sapienza di Roma.

Tra le materie studiate, Maria incontra anche la pediatria ed inizia a fare pratica nei vari reparti ospedalieri di Roma; il suo percorso universitario sarà eccelso, tanto da meritarsi i complimenti del Rettore, con conseguenti premi per l’alta produttività. Una volta laureata, la sua strada sarà quella dell’aiuto psichiatrico ai bambini ricoverati in ospedale, esperienza che le permise di porre attenzione al metodo usato proprio con bambini aventi problemi di questo tipo: la sua idea di trattamento era diversa da quella utilizzata in quasi tutti gli ospedali e fu proprio per questo che incentrò la sua vita nel trovare e migliorare sempre più i metodi usati con i bambini.

Il suo punto di partenza furono i bambini disabili: Maria notò che ogni bimbo aveva delle fasi di crescita in cui dedicava più o meno attenzione ad un argomento, piuttosto che un altro. Questo tipo di osservazione fu una grande innovazione, per l’epoca; ci si rende conto del fatto che i bambini pongono molta più attenzione alle cose materiali piuttosto che ai concetti astratti, per questo Maria inizia ad educarli attraverso un percorso fatto di cose tangibili ed usufruibili. Ora, il procedimento di memorizzazione non avviene più solo attraverso la mente, ma anche attraverso altri sensi, tra cui il tatto.

I risultati di questo metodo, per i bambini disabili, ottiene successi sorprendenti e Maria pensa bene di poter utilizzare la stessa tecnica anche per tutti gli altri bambini. Il suo pensiero pedagogico si può riassumere in una semplice frase, riportata dalla stessa Montessori:

“Ecco dunque un principio essenziale: insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire la relazione tra le cose, significa portare la conoscenza.”

Per poter rendere fruibile tale metodo, la Montessori scrisse molte opere, destinate agli specialisti e non del settore. Molto successo ebbe ”Il metodo della pedagogia scientifica”, del 1909, che la rese famosa in tutto il mondo. Un paio di anni prima, nel 1907, fondò a Roma la Casa dei bambini, destinata ai figli delle famiglie romane; tutta la scuola è strutturata a misura di bambino e tutto ha le dimensioni e le fattezze giuste per poter stimolare ogni bimbo presente.

Durante gli anni del fascismo, Maria mantenne viva la sua passione per l’insegnamento e non smise mai di occuparsi dei bambini, nonostante personaggi come Hitler e Mussolini ordinarono di chiudere le sue scuole e di mettere da parte il suo metodo, a favore di un’educazione esclusiva di regime, ormai presente in tutte le scuole. A causa di questi scontri, Maria lasciò l’Italia nel 1934, viaggiando in tutto il mondo e diffondendo il suo metodo; l’esilio non la scoraggiò e il suo metodo prese piano piano vita in Nazioni e scuole diverse. Il 6 maggio del 1952, mentre si trova in Olanda (dove si era trasferita), Maria muore, lasciando ai posteri il compito di diffondere ed utilizzare le sue idee.
 
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LAILA HAIDARI

“Ho 34 anni e anche chi è più grande di me ha iniziato a chiamarmi ‘mamma’. Per loro rappresento un rifugio sicuro e l’alternativa a un destino segnato. Certo, è una grossa responsabilità. Ma che cosa c’è di più bello al mondo?” Laila Haidari, una donna molto, molto coraggiosa. 34enne, di origine iraniana, sposa a 12 anni, madre a 13, circa un anno fa si reca in Afghanistan per partecipare un festival cinematografico. Laila sogna di diventare una regista di documentari, ma una sera, passeggiando vicino al ponte Pul-i-Sokhta, che passa sopra il fiume di Kabul, vede un gruppo di tossicodipendenti, ragazzi e ragazze abbandonati a se stessi, denutriti e alcuni gravemente malati, cosi' decide di creare una casa di accoglienza che ospita questi derelitti, persone, per lo più poverissime, distrutte dagli oppiacei. Fonda l’associazione “Life is beautiful”, la vita è meravigliosa, e apre un centro dove offre assistenza a 300-400 ragazzi. Ma decine di altri ogni giorno bussano alla sua porta. Infatti in Afghanistan si produce il 90% dell’oppio di tutto il mondo e secondo stime dell’Onu i consumatori abituali afghani sono oltre un milione e mezzo. Una vera piaga per un'umanita' gia' tanto martoriata da guerre e lotte di religione e di potere. “E’ stato molto difficile stare da sola con 27 uomini (i primi che accettarono di farsi assistere) in una casa e aiutarli. Ho affrontato molti problemi all’inizio perché la gente della zona e il mullah hanno cominciato a insultarmi. Mi hanno accusato di prostituzione, ma non mi sono tirata indietro e ho continuato a perseguire il mio obiettivo.” dice in un'intervista dopo che e' stata vittima di un tentato omicidio. Quel di cui e' certa e' che non poteva continuare a passare sul ponte Pul-i-Sokhta sul fiume Kabul, sotto cui decine di tossicodipendenti, malnutriti, picchiati e malati si riuniscono e dove molti sono morti nelle nevi gelo dell' inverno, senza far nulla. Cosi' cominciò a pensare che, come lei aveva sfidato il marito divorziando e andandosene pur di ricevere un'istruzione e come aveva sempre lottato per aiutare chi stava peggio, cosi' avrebbe potuto fare qualcosa per loro. "Madre Teresa ... era sempre buona con tutti. Ho sempre voluto essere così. Poi ho studiato la nonviolenza di Gandhi e gli scritti di Che Guevara, loro anno fatto qualcosa per l'umanità e mi sono chiesta 'cosa avrei potuto fare io per gli altri'" E sono proprio i tossicodipendenti sotto il ponte che hanno beneficiato del suo aiuto. "Anche il primo giorno, quando sono andata sotto il ponte a cercarli per rendermi conto della situazione, un uomo, che era più grande di me ha iniziato a chiamarmi mamma. Gli altri lo hanno imitato," racconta. Laila Haidari che era inizialmente andata a Kabul dopo aver divorziato da suo marito e per intraprendere una carriera come documentarista, ha cambiato i suoi progetti e la sua vita ha preso una piega completamente diversa. Aiutata da una persona, che nel frattempo si e' tirata indietro, ha costruito un rifugio a Kabul occidentale, conosciuto come "casa madre", in grado di ospitare fino a 20 persone a notte. Il rifugio si ispira al metodo dell'organizzazione statunitense Narcotici Anonomi (NA) che utilizza solo la terapia di gruppo e nessun farmaco per superare la dipendenza. Jane Nickels, un portavoce per l'organizzazione statunitense che ha creato questo metodo di disintossicazione, dice che ci sono 60.000 incontri di terapia ogni settimana in tutto il mondo e che, a parte il personale dell'organizzazione in California che riceve uno stipendio dallo Stato, le attività di NA sono tutte volontarie come quelle di Laila. I volontari aiutano altri volontari, e così Nickels ha aiutato Laila in Afghanistan. Il tipo di trattamento ha anche i suoi detrattori. "E 'inutile", dice un esperto occidentale di Kabul."La dipendenza è una malattia mentale. C'e' bisogno di farmaci per recuperare questa gente." Ma imperterrita e determinata, Laila ha raccontato di aver aiutato 300 persone dedite a droghe in meno di un anno, anche se le autorita' afghane non la appoggiano e non confermano ne' smentiscono questo dato. Nonostante le difficolta' ha dato seguito ad un altro progetto per creare posti di lavoro per coloro che riescono ad uscire dalla dipendenza: un ristorante, il “Taj Begum”, locale che occupa 17 ragazzi, tutti ex tossicodipendenti. Niente sembra scoraggiarla: perennemente a corto di denaro, malvista dalla popolazione per la sua frequentazione con i piu' derelitti, senza nessun aiuto se non qualche bella parola, Laila Haidari continua la sua missione. "Quando penso alla vita che avevo prima, ho l'impressione che non stessi vivendo. Ma quello che ho fatto per nove mesi con questi ragazzi ... è bello!" Dopotutto, la vita e' davvero meravigliosa.
 

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DANIELA DUCATO, numero uno della Green Economy


Nuovo riconoscimento internazionale nel campo della green economy per l’imprenditrice di Guspini Daniela Ducato, ideatrice e conduttrice delle imprese Edilana, Edilatte ed Edilterra e del distretto “La casa verde CO2.0”, che hanno fatto degli scarti della lana di pecora sarda e dei reflui della lavorazione del latte innovativi e apprezzati materiali isolanti per la bioedilizia e per la salute delle case e delle persone.

Selezionata per rappresentare l’Italia assieme all’ingegnere romana Anna Moreno, Daniela Ducato, che nel 2011 era stata riconosciuta e premiata come imprenditrice sarda dell’anno, ha trionfato nei giorni scorsi a Stoccolma al premio “Euwiin International Awards 2013”, concorso tra i più prestigiosi al mondo nel settore scientifico e tecnologico della innovazione verde.

Erano 72 le finaliste presenti a Stoccolma in rappresentanza di tutte le nazioni europee.

La giuria internazionale ha ritenuto l’imprenditrice di Guspini come la migliore innovatrice nella categoria ‘ecofriendly’, con questa motivazione: “Daniela Ducato, ideatrice di Casa Verde CO2.0, è un esempio per il mondo. Ha creato i materiali per l’efficienza energetica carbon free e per l’edilizia verde più innovativi d’Europa, mettendo insieme tenacia, rigore scientifico, eccellenza tecnica, economia collaborativa, rispetto e valorizzazione dei paesaggi del mondo. Ha inoltre ideato opportunità collaborative e di economia in genere, riscrivendo regole nuove per la gestione sostenibile delle risosrse naturali e per rispettare meglio e sempre più il nostro pianeta e i suoi abitanti».

Daniela Ducato, felicissima per l’ennesimo riconoscimento alla sua innovativa attività nella bioedilizia, ha spiegato da dove sono arrivate le sue idee imprenditoriali: «Faccio prodotti ispirandomi ai materiali usati dagli uccelli per costruire i loro nidi. Architetture perfette, fatte di fibre animali, di terra, di paglia, tutto in armonia con madre terra. Per me innovare è come guardare con gli occhi di formica, andare a lezione dai colombi, copiare dalle resistenti tane dei ricci. Perché la natura sa ascoltare, non spreca, non produce rifiuti, utilizza quanto le basta e niente di più. Dedico il premio alla mia terra, alla mia Sardegna devastata dalla recente alluvione con l’augurio che si possa risollevare presto»
 

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GABRIELA BRIMMER


Gabriela Brimmer, detta "Gaby" e' stata una poetessa, una scrittrice, un'attivista per i diritti umani e, soprattutto delle persone disabili.
Figlia di immigrati ebrei austriaci che scapparono dalla furia nazista in Messico, nacque in Messico il 12 settembre 1947. Colpita da paralisi cerebrale fin alla nascita, grazie alla sua tata, madre-sostituta e amica Florencia Morales (che aveva solo una quindicina d'anni piu' di lei) apprese a scrivere e quindi a comunicare con l'alluce del piede, unica parte del suo corpo di cui aveva il controllo, imparando ad agire in un mondo che non tollera la diversità.
A 8 anni, venne iscritta nella scuola elementare di un centro di riabilitazione e, a quell'età, un maestro riconobbe la sua intelligenza ed il suo talento con le parole raccomandandole di diventare una scrittrice. Nel 1967 entrò in una scuola normale e il suo insegnante di Linguaggio artistico era un poeta che ancora la spronò a scrivere. Quello stesso anno cominciò a scrivere poesie.

Nel 1971 venne accettata nel dipartimento di Scienze Politiche e Sociali presso l'Università Nazionale Autonoma del Messico in sociologia, ma non si è laureata. Anni dopo tornò a completare i suoi studi in giornalismo, ma le limitazioni di accesso all'Università e gli atteggiamenti dei colleghi la costrinse ad abbandonare di nuovo.

Gaby ha sempre avuto a cuore i problemi delle persone con disabilita' e, per questo ha fondato nel 1989 un'associazione, nota come Asociación para los Derechos de Personas con Alteraciones Motoras, o ADEPAM di cui era una partecipante attiva, facendo di Florencia Morales la Presidente.
Adottò una neonata quando aveva 30 anni. Nel suo libro "Gaby, Una historia verdadera" (Gaby, una storia vera), di cui e' co-autrice con un'altra famosa scrittrice messicana Elena Poniatoska - scritto due anni piu' tardi, nel 1979 - descrive pienamente la felicità che provava quando osservava lo svegliarsi della bambina, e il suo crescere. Gabriela era molto coinvolta nel suo ruolo di madre e non si lamentava mai di condividere l'affetto e le attenzioni della sua assistente/madre/amica Florencia che l'assistette per tutta la sua vita, con la bambina a cui Gaby volle dare il nome della tata : Alma Florencia.

Negli anni 90 divenne vice-presidente della Confederazione messicana dei Disabili fisici e psichici, in seguito fu rappresentante delle Donne della Regione Latino Americana.

Mori' per un arresto cardiaco all'eta' di 52 anni, nel gennaio del 2000.

In seguito della sua morte l'ADEPAM porta il suo nome e il Presidente del Messico Ernesto Zedillo ha istituito il premio Gaby Brimmer come riconoscimento alle persone che migliorino la vita dei disabili. Quello stesso anno il premio fu assegnato alla eterna compagna di Gaby, Florencia Morales.
 

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Louise Labé


Louise Labé nasce Louise Charly, presumibilmente nel 1524 a Lione (Francia), da Pierre Charly ed Etienne Royber.
Il nome Labé proviene da una situazione imprenditoriuale, in quanto il padre, in prime nozze aveva sposato una vedova di un artigiano cordaio di nome Labé, e quindi per una questione di marchio questo nome resterà non solo per definire l’azienda ma anche come riferimento della famiglia, tanto che Louise lo prenderà come nomignolo.
Sia per l’attività redditizia di cordaio sia per aver ereditato diversi patrimoni nei suoi numerosi matrimoni, il padre Pierre diviene benestante e permette a Louise e alla numerosa famiglia di vivere una vita agiata.
Louise ha una buona educazione letteraria, una formazione ampia nei classici e nell’umanesimo italiano: impara il latino, lo spagnolo, l’italiano, l’arte del ricamo, la musica, e frequenta inoltre la scuola di scherma e la scuola di equitazione dei fratelli.
È tanto coinvolta nelle arti marziali e nell’equitazione che è solita partecipare ai tornei vestita da uomo, tale che anche il suo cavalcare è nello stile maschile.
Sembra che partecipi, sempre vestita in abiti maschili, alla battaglia di Perpignan, accanto a Enrico II, con il nome di “Capitano Loys”.
Ancora giovane conosce poeti e scrittori della sua città, diventando un riferimento mondano nei salotti di Lione, per il suo fascino, per la sua cultura e per il suo amore per la poesia.
Seduttrice, ama, è riamata, è ricercata, è corteggiata, si concede, vive la sua vita con serena trasgressione.
Nel 1545 sposa un cordaio benestante, Ennemond Perrin, con almeno venticinque anni più di lei.
Realizza nella sua ricca casa di Lione un vero e proprio laboratorio letterario “bureau d’esprit”, che diviene il punto d’incontro della società più distinta e più letterata, viene soprannominata « La Belle Cordière » (la bella cordiera) per essere figlia e moglie di un cordiere.
Artisti, avvocati, letterati e uomini di cultura, e ricchi italiani figurano come ospiti abituali, tra i quali alcuni come amanti, di questo cenacolo, come Maurice Scève, Claude de Taillemont, Antoine du Moulin, Guillaume Aubert, Jean-Antoine de Baïf, Pontus de Tyard, Jacques Pelletier du Mans, Olivier de Magny, Luigi Francesco Alamani, Antoine Fumée, e infine il suo avvocato e amico fiorentino Fortini.
L’ulteriore agiatezza, specialmente dopo la morte del marito nel 1556, le permette di vivere una vita di lusso e piacere, di spregiudicatezza e di libertinaggio tanto che spesso è additata (specialmente da ex-amanti o da uomini respinti, o gente invidiosa) come donna licenziosa, per la sua vita piena di amori, veri o presunti.
Scrive fin dal 1547, prima una opera in prosa e poi numerose poesie nello stile rinascimentale di allora.
Si conosce poco della sua vita, se non le sue opere, tanto che alcuni critici hanno rappresentato Louise in diversi modi: oltre che scrittrice, ora cortigiana, ora cavaliere, lesbica, prostituta, alimentando uno strano mistero su questa figura.
Le poche notizie sulla sua esistenza ha indotto letterati a molte congetture, tanto che dopo la morte alcuni critici del XVI secolo, hanno pensato a lei come ad un personaggio inventato per goliardia dal gruppo letterario di Lione, tesi questa ripresa anche qualche anno fa (2006) da Mireille Huchon, docente ginevrina, che ipotizza tutta la storia come una finzione elaborata da alcuni poeti dell’epoca del gruppo di Maurice Scève, ovvero che Louise Labé non sia altro che una creazione immaginaria, una sorta di “creature del papier”.
Ovviamente il mondo della cultura, tra le quali la più violenta quella di Marc Fumaroli dall’ “Accadémie Francaise”, ha reagito immediatamente, contestando in modo deciso questa tesi.
Già nel 2005, in occasione del compimento dei quattro secoli e mezzo dall’uscita dell’opera, Louise ha ricevuto la consacrazione universitaria ufficiale accanto ai grandissimi nomi maschili, con l’inserimento del suo nome nel programma di “Agrégation de Lettres Modernes”, confermando la traccia indelebile, nella cultura francese, delle sue opere.
Gravemente malata si ritira nella casa di campagna di Parcieux, e dopo aver fatto testamento delle sue rilevanti ricchezze, favorendo i poveri e le giovani madri, muore il 15 febbraio 1565.
 
Joyce Lussu
Madre della patria, e molto molto altro

Joyce Lussu nasce come Gioconda Salvadori a Firenze, l’8 maggio 1912, da genitori marchigiani, entrambi con ascendenze inglesi.

Il padre,Guglielmo Salvadori, docente universitario e primo traduttore del filosofo Herbert Spencer, malmenato e più volte minacciato dalle camicie nere, fu costretto all’esilio in Svizzera nel 1924, e con lui la moglie Giacinta, i due figli maggiori Max e Gladys, e la piccola Joyce.

Joyce vivrà così all’estero gli anni dell’adolescenza, in collegi ed ambienti cosmopoliti, maturando un’educazione non formale, ispirata agli interessi della famiglia per la cultura, l’impegno politico e la propensione alla curiosità, al dialogo, ai rapporti sociali. Con i fratelli, comunque, ufficializzerà questo originale percorso conoscitivo, ottenendo la licenza di Liceo Classico con esami da privatista nelle Marche, tra Macerata e Fermo. Ad Heidelberg, mentre segue le lezioni del filosofo Karl Jaspers, vede nascere, con allarmata e critica vigilanza, i primi sintomi del nazismo. Si sposta, quindi, in Francia e in Portogallo, e si licenzia in Lettere alla Sorbona di Parigi e in Filologia a Lisbona. Tra il 1933 e il 1938 è in più zone dell’Africa; l’interesse partecipe per la natura e per lo sfruttamento colonialistico di genti e paesi, resteranno, da adesso in avanti, motivazioni fortemente legate alla sua scrittura ed alla sua vita in genere.

Intanto il tempo della Storia incalza.

Insieme al fratello Max, Joyce entra a far parte del movimento "Giustizia e Libertà" e nel 1938 incontra Emilio Lussu - mister Mill, per gli organizzatori della resistenza in esilio, compagno e marito da ora in poi fino alla sua morte - e con lui vive la drammatica e spericolata vicenda della clandestinità, nella lotta antifascista. La Francia occupata dai nazisti, la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, l’Inghilterra, saranno il teatro di rischiose missioni, passaggi oltre confine, falsificazioni di documenti, corsi di guerriglia.. Raggiunto, in questa militanza nelle formazioni di G.L., il grado di Capitano, nel dopoguerra verrà decorata di medaglia d’argento al valor militare.

In "Fronti e Frontiere" - 1946 - lei stessa racconterà, in forma autobiografica, le dure e al tempo stesso avventurose esperienze di questo periodo: sarà un libro di grande successo. A liberazione avvenuta, vive da protagonista i primi passi della Repubblica Italiana ed il percorso del Partito D’Azione, fino al suo scioglimento. Promotrice dell’Unione Donne Italiane, milita per qualche tempo nel PSI e nel 1948 fa parte della direzione nazionale del partito; preferirà, tuttavia, tornare ad occuparsi di attività culturali e politiche autonome, insofferente di vincoli e condizionamenti d’apparato. Dal 1958 al 1960, continuando a battersi nel segno del rinnovamento dei valori libertari dell’antifascismo, sposterà il suo orizzonte di riferimento nella direzione delle lotte contro l’imperialismo. Sono gli anni dei viaggi con organizzazioni internazionali della pace, con movimenti di liberazione anticolonialistici; e per conoscere le situazioni storico-culturali del "diverso", si occuperà della poesia lontana ed, in un certo senso, estranea all’antica cultura dell’Occidente, quella degli "altri", dalla quale era fortemente attratta perché la sentiva strumento unico, rapido ed efficace di conoscenza. Traduce, quindi, da poeti viventi, alternativi, non letterati, spesso provenienti dalla cultura orale: albanesi, curdi, vietnamiti, dell’Angola, del Mozambico, afroamericani, eschimesi, aborigeni australiani.. Fu una splendida avventura, umana e letteraria, in cui la comunicazione derivò non dalla conoscenza filologica di grammatiche e sintassi, quasi sempre inesistenti, ma dal rapporto diretto poeta con poeta, dalle lingue di mediazione, dai gesti, dai suoni, dal dolore cupo di sofferenze antiche ed ingiuste.. La sua traduzione delle poesie del turco Nazim Hikmet - a tutt’oggi tra le più lette in Italia - è un esempio eccellente per tutte. Fu così naturale partecipare attivamente alle mobilitazioni in favore di perseguitati politici, quali l’angolano Agostinho Neto ed Hikmet, appunto, tanto per fare alcuni nomi. Proprio attraverso quest’ultimo verrà a conoscenza del problema curdo, "un popolo costretto a vivere da straniero nel suo territorio ", come scriverà in "Portrait" (1988, Transeuropa). E in un viaggio epico, dopo essere passata spavaldamente indenne attraverso le pastoie della burocrazia irakena, ed aver ottenuto dal Presidente, generale Aref in persona, un lasciapassare, raggiunse il Kurdistan e conobbe il valoroso popolo che lo abitava e i suoi eroi di allora: Jalal Talabani con i mitici guerrieri peshmargà, ed il Mollah Rosso Mustafà Barzani. Era la metà degli anni Sessanta e da allora la causa del popolo curdo divenne la causa di Joyce, che la portò nel mondo e, soprattutto, nelle scuole.

Dall’esperienza terzo-mondista derivò, così, dagli anni Settanta in poi, l’impegno alla riscoperta e valorizzazione dell’"altra storia": quella delle sibille e delle streghe, dei movimenti pacifisti, delle tradizioni locali devastate dalla globalizzazione , dando vita a molti progetti frutto della sua visione critica del divenire e delle sue intuizioni profetiche, che il tempo e gli studi avrebbero verificato esatte ed eccezionalmente attuali. Dedicherà una parte fondamentale della sua straordinaria carica vitale al rapporto con i giovani, nell’ipotesi di un futuro di pace, da costruire con impegno sistematico e conoscenze adeguate del passato, degli errori, delle violenze e delle ingiustizie che non dovevano ripetersi. Se conserverà, allora, una certa diffidenza nei confronti delle istituzioni e delle persone che le rappresentano, riporrà però massima fiducia ed apertura verso le nuove generazioni; per questo fino alla primavera del 1998 ha occupato una parte notevole del suo tempo in scuole di ogni ordine e grado, animando incontri che incrociavano percorsi di storia, poesia, autobiografia, progettualità sociale.

E’ morta a Roma il 4 novembre 1998, all’età di 86 anni.
 
ELISABETTA DI BOEMIA e ANNA MARIA VAN SCHURMAN

Sono due donne filosofe, ingiustamente dimenticate dalla storia e dai programmi scolastici.

Vi racconto la loro storia.

C’era una volta una principessa molto sfortunata. Suo padre era il re di Boemia, ma perse una guerra e fu costretto ad abbandonare il suo regno, vivendo altrove e facendo crescere i suoi figli lontano dalla famiglia e dalla patria natale.

Quando Elisabetta – si chiamava così – crebbe, la sua famiglia ancora esule le propose un matrimonio vantaggioso, ma ella rifiutò. Sempre più sconsolata, ma molto talentuosa negli studi classici e filosofici, rivolse i suoi interrogativi angosciosi a quello che allora era un noto studioso ed erudito: Cartesio.

Cartesio, cosa che si sapeva poco in giro, tanto era affilato nella speculazione teoretica, quanto gentile, educato e pratico nelle questioni che riguardavano l’animo umano. Cominciarono così a scriversi spesso, e l’intelligenza di Elisabetta stimolò parecchio il pure esperto Cartesio, tanto che lui le dedicò una sua opera molto ingiustamente sottovalutata rispetto ad altre sue, cioè "Le passioni dell’anima". Opera che, alla luce delle corrispondenza tra i due, rivela che il contributo di Elisabetta non fu di poco conto.

La principessa infatti, che conosceva bene le opere del suo prestigioso interlocutore, esprimeva dei grossi dubbi riguardo le sue teorie, e li esponeva anche bene. Di fronte a un Cartesio che le dava consigli pratici sulla felicità – se non per raggiungerla, per lo meno per alleviare molte pene e molte ansie – Elisabetta puntava dritto alla questione centrale del problema che era sottinteso dai loro discorsi:

"Io confesso che mi sarebbe molto più facile concedere all’anima la materia e l'estensione, piuttosto che dare a un essere immateriale la capacità di muovere un corpo o di esserne mosso."

Mentre cioè Renato sosteneva che anima e corpo sono irrimediabilmente scissi, assolutamente separati perché sostanzialmente diversi, e che s'incontrano in quel luogo unico, non doppio o simmetrico, del nostro corpo che è la ghiandola pineale, Elisabetta gli obiettava – da ciò che lei stessa stava passando in quello sfortunato periodo – che l'interazione tra anima e corpo è ben più grande, e che troppe cose di quelle che succedono al corpo hanno pesanti conseguenze sull'anima e sulla mente per pensarle così lontane e isolate dal resto. E poi, l'anima non può fare tutto da sola: la felicità e la beatitudine devono passare pure per il corpo, così come per il corpo passano purtroppo ben altre cose, diceva Elisabetta.

"Vi sono infatti delle malattie che tolgono il potere di ragionare, e quindi anche quello di godere di una soddisfazione ragionevole; altre ancora diminuiscono le forze e impediscono di seguire le massime formate dal buonsenso, esponendo l’uomo più moderato a lasciarsi trascinare dalle passioni."


Insomma, Elisabetta lo stimava molto e aveva letto tutto il possibile di Cartesio, e questa cosa le suonava strana. Per quello che era la sua esperienza, l'anima (la mente, e anche la psiche aggiungeremmo forse oggi) hanno una forte interazione con il corpo, e non va molto avanti da sola. Bisogna che si stia bene interamente, anima e corpo, per essere felici.

Anche una loro amica comune, Anna Maria, la pensava così. Anna Maria aveva lottato molto, come donna, per poter studiare, e ottenne risultati strabilianti per quei tempi. Divenne una famosa erudita, e anche a lei non andò giù molto di quello che pensava Cartesio. Provò infatti, contro quello che le sembrava un eccesso di egoismo (il cogito ergo sum) del suo più noto conoscente, a proporre un più condivisibile sum ergo cogito: è proprio perché sono fatta in un certo modo che penso così; la mia determinatezza precede e condiziona il mio pensiero – questo sosteneva, tra altre cose, Anna Maria.


Né lei né Elisabetta, però, ebbero grande possibilità di influenzare Cartesio, la cui storia finisce quando ci rimette la salute per accontentare la regina Cristina di Svezia. Anna Maria tenterà, con poca fortuna, di costruire una comunità diversa dal mondo che aveva intorno, che conosceva bene e che non le piaceva affatto. Elisabetta troverà, dopo tante vicissitudini, se non la felicità sicuramente un po’ di pace e tanti amici, ai quali dispensò generosamente la sua ospitalità e la sua lucidità di pensiero. Sarà ricordata da tutti come una delle migliori persone dei suoi tempi.

Non è una favola, è vera; è una piccola parte della vita e delle opere di Cartesio, Elisabetta di Boemia principessa Palatina, e di Anna Maria van Schurman, più o meno nella seconda metà del ’600.

Questa storia non la troverete in nessun manuale scolastico di filosofia, eppure è molto interessante e coinvolgente, perché mette insieme tanti argomenti desiderati dagli adolescenti: la ragione e la passione, la sofferenza e la felicità, il corpo e la mente – e quanto pesano i condizionamenti sociali.
 
Deceduta oggi:(

GRANDISSIMA Italiana:up:


BIANCA GUIDETTI SERRA

(Detta Bianca la Rossa)

Addio a "Bianca la Rossa", avvocato e partigiano - Repubblica.it
AvvocatA e partigianA

Lutto nel mondo politico e in quello giudiziario: è morta questa mattina, nella sua casa del centro di Torino, Bianca Guidetti Serra, avvocato, partigiano, deputato, sempre in prima fila per la difesa dei diritti della minoranze e nella lotta contro la mafia e per questo soprannominata "Bianca la Rossa". Avrebbe compiuto 95 anni ad agosto. Tra i tanti processi in cui è stata in primo piano come difensore, storico fu quello alla banda Cavallero e alle Brigate Rosse. Di spirito ribelle fin da giovane, fu amica, tra gli altri, di Primo Levi. Oltre all'impegno professionale, è stata in prima fila anche in quello politico: è stata partigiana, parlamentare (fu componente della commissione antimafia) e anche consigliera comunale prima per Democrazia Proletaria e, in tempi recenti, come indipendente Ds. Tra le sue tante battaglie quella per una migliore condizione dei carcerati.

La notizia ha suscitato il cordoglio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "Apprendo con dolore della scomparsa di Bianca Guidetti Serra, in gioventù militante partigiana e a lungo impegnato avvocato penalista, la cui attività professionale si è sempre collegata all'impegno politico nel campo del diritto di famiglia e a tutela dei minori, dei carcerati e dei lavoratori. Ai famigliari tutti e a chi ha avuto modo di conoscerla e stimarla invio le più sentite condoglianze".

"Ho avuto l'onore di conoscere Bianca Guidetti Serra e di instaurare con lei un rapporto di amicizia durante gli anni in Consiglio Comunale: é stata una figura di altissimo rigore morale e intellettuale, uno dei pilastri della Torino della Resistenza e della Costituzione, di quella Torino che non si è voluta piegare di fronte ai poteri forti e alle ingiustizie sul piano politico e sociale". Così il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino ne ha commentato la scomparsa.

"Forte dei valori dell'antifascismo, Bianca Guidetti Serra è stata protagonista con passione e generosità di ogni battaglia per l'affermazione della democrazia, della libertà e dei diritti, a cui ha accompagnato un costante impegno personale per la tutela delle donne e il riconoscimento dei loro diritti nel lavoro e nella società". E' il ricordo del sindaco di Torino, Piero Fassino, che conclude così il suo messaggio di cordoglio: "La salutiamo con commozione e gratitudine ricordando il suo impegno in Sala Rossa e in Parlamento".

Anche il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, ha espresso "profondo cordoglio" per la scomparsa a Torino di Bianca Guidetti Serra. "Aveva quasi 95 anni e la sua vita è stata interamente spesa nella lotta per la libertà e la giustizia - ha commentato Ferrero -. Partigiana e poi avvocato, mai piegata ai poteri forti, a partire da quel processo contro la Fiat per le schedature che l'azienda faceva sui suoi dipendenti, processo spostato a Napoli per favorire la Fiat".
 
MARIA LUISA SPAZIANI

Maria Luisa Spaziani nasce in un'agiata famiglia borghese di Torino.

Ancora studentessa, a soli diciannove anni, dirige una piccola rivista, prima chiamata «Il Girasole» e poi «Il Dado», il cui redattore capo era Guido Hess Seborga, che la fa conoscere negli ambienti letterari; ottiene e pubblica inediti di grandi nomi nazionali come Umberto Saba, Sandro Penna, Sinisgalli, Pratolini, e internazionali, come Virginia Woolf.

Intanto frequenta l'Università di Torino, facoltà di Lingue, laureandosi con una tesi su Marcel Proust, relatore il francesista Ferdinando Neri. La cultura francese e la Francia con i suoi autori, in seguito sarebbero rimasti una sorta di stella polare nel suo immaginario e nel suo vissuto, con una serie di soggiorni a Parigi a partire 1953, anno del conseguimento di una borsa di studio.

Nel gennaio del 1949 conosce Eugenio Montale durante una conferenza del poeta al teatro Carignano di Torino, e fra i due nasce, dopo un periodo d’assidua frequentazione a Milano, un sodalizio intellettuale caratterizzato anche da un'affettuosa amicizia.

Inizia anche la prima stagione poetica di Maria Luisa Spaziani, che mette insieme un gruppo di liriche e le invia alla Mondadori. Durante il soggiorno francese del 1953 scrive nuovi testi, che vengono aggiunti all'originario disegno della raccolta. La casa editrice Mondadori risponde favorevolmente e pubblica nel 1954 Le acque del Sabato, nella prestigiosa collana Lo Specchio.

Nel 1956 la fabbrica del padre subisce un tracollo economico, che costringe la giovane, di ritorno da un viaggio premio negli Stati Uniti promosso per giovani di talento da Henry Kissinger, a cercare un impiego stabile, come insegnante di francese in un collegio di Torino. Il contatto con studenti adolescenti le fa vivere una stagione di luminosa felicità che traspare nelle poesie più originali della sua prima produzione poetica, Luna lombarda (1959), poi confluite nel volume complessivo Utilità della memoria (1966).

Negli anni 1955 e 1957 Maria Luisa Spaziani ha insegnato lingua e letteratura francese presso il liceo scientifico del collegio Facchetti di Treviglio. A tale periodo e a tali luoghi dedicò la poesia Suite per A. con la quale nel 1958 vinse il Premio Lerici (presidente di giuria Enrico Pea).

Nel 1958 dopo dieci lunghi anni di fidanzamento, testimone di nozze il poeta Alfonso Gatto,sposa Elémire Zolla, studioso della tradizione mistica ed esoterica. Senza più gli slanci amorosi che caratterizzavano i primi anni, il lungo legame con Zolla s'incrina quasi subito finendo nel 1960, anno in cui il matrimonio viene sciolto.

Spaziani viene chiamata ad insegnare all'Università di Messina lingua e letteratura tedesca fino a quando non si libera, nello stesso Ateneo, l’incarico di lingua e letteratura francese e proprio in quegli anni in ambito accademico cura volumi come Pierre de Ronsard fra gli astri della Plèiade (1972) e II teatro francese del Settecento (1974). Fervida e proficua la sua attività di traduttrice dal francese, Pierre de Ronsard, Jean Racine, Gustave Flaubert, P.J. Toulet, André Gide, Marguerite Yourcenar, Marceline Desbordes Valmore, l'ultima, nel 2009, relativa a una raccolta di poesie di Francis Jammes, Clairières dans le ciel, pubblicata da rueBallu edizioni, ma pure dall'inglese e dal tedesco. La statura intellettuale di Maria Luisa Spaziani supera i confini nazionali: nei viaggi in Francia e negli Stati Uniti ha tra l'altro modo di conoscere personalità di rilievo assoluto del Novecento letterario come Ezra Pound, Thomas Eliot, Jean-Paul Sartre.

Buona parte del libro di poesie L'occhio del ciclone (1970) è ispirato dalla sua esperienza vissuta in Sicilia, con i suoi paesaggi e il suo mare, cui fanno seguito raccolte sempre più "diaristiche" e "impure" come Transito con catene (1977) e Geometria del disordine (1981), che si aggiudica il Premio Viareggio per la poesia.

Nel 1979, di Maria Luisa Spaziani, autrice ormai affermata, con introduzione di Luigi Baldacci, viene pubblicata, del suo lavoro poetico, un'antologia (una seconda, ampliata sarebbe poi uscita nel 2000, e una terza seguì nel 2011) negli "Oscar" Mondadori. Presiede infine nel 1982 dopo essere stata nel 1978 fondatrice, per onorare la memoria del poeta, del Centro Internazionale Eugenio Montale, ora Universitas Montaliana, e del Premio Montale.

Coronamento della storia e del percorso poetico dell'autrice è infine rappresentato da Giovanna d'Arco (1990), poema in ottave di endecasillabi senza rima, che corona un lungo interesse dell'autrice per questo personaggio. In quest'opera Spaziani si proponeva di reinventare in una narrazione popolaresca e fabulosa in versi, attraverso il personaggio di Giovanna d'Arco, i suoi oltre cinquant'anni d'ininterrotta e costante attività letteraria, giornalistica e di ricerca. Il poemetto, in un adattamento per frammenti, ha trovato una trasposizione teatrale poetica e visionaria nella regia di Fabrizio Crisafulli (Jeannette, 2002).

Spaziani ha scritto inoltre numerosi articoli apparsi su riviste e quotidiani, saggi critici ed una raccolta di racconti, La freccia (2000). È stata tre volte candidata al Premio Nobel per la letteratura, nel 1990, 1992 e 1997. È stata Presidente onorario del Concorso L'anima del bosco, nato nel 2006 e promosso da Magema Edizioni, è stata inoltre Presidente onorario del Premio Internazionale Torino in Sintesi riguardante il genere aforistico.

Ha vissuto a Roma fino alla morte, avvenuta nel 2014, ieri, 30 giugno, all'età di 91 anni.
 

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