Una Donna al giorno. Un omaggio all'intelligenza e alla forza femminile

FRANCESCA DAMADEI

Jesi, Francesca scienziata a 19 anni: spiegherà biotecnologie al vertice di Londra

Jesi - Una scienziata di 19 anni di Jesi al vertice dei cervelloni di Londra. E’ Francesca Damadei la studentessa delle Biotecnologie del Galilei di Jesi scelta dal mondo scientifico per rappresentare l’Italia al 56° forum internazionale dei giovani scienziati di Londra.

Freschissima di diploma col massimo dei voti, Francesca volerà nella capitale britannica presso la sede del LIYSF dal 23 luglio e per due settimane, avrà l’onore di rappresentare la nazione ed esporre il suo lavoro di ricerca, premiato sia in Italia sia all’estero, condotto presso i laboratori scientifici dell’istituto jesino di Viale del Lavoro.

Nella sede londinese, ospite dell’Imperial College, si confronterà con altri 400 giovani tra i 17 e 21 anni, provenienti da tutto il mondo e tutti vincitori di premi nazionali ed internazionali, parteciperà a seminari e avrà accesso ai più prestigiosi centri di ricerca, istituzioni all’avanguardia nel campo dell’istruzione e della scienza.

L’evento londinese è uno dei più importanti momenti di confronto nel campo della scienza e delle sue applicazioni: gli studenti che frequenteranno il LIYSF rappresentano la forza conduttrice della scienza che si muove verso il futuro, le loro menti sorreggono la scienza a beneficio dell’umanità. Il forum sarà condotto dal prof. Peter Jenni, eccellente ricercatore nel campo della fisica e fondatore dell’ATLAS associazione di circa 3200 scienziati provenienti da 38 paesi, che offrirà ai giovani scienziati un’occasione unica per confrontarsi su vari temi, condividere idee e lavori, apprendendo così gli approcci scientifici internazionali e condividendo le reciproche culture.

«Francesca con i suoi 19 anni, la sua intelligenza e il suo bagaglio culturale maturato nel corso dei cinque anni all’indirizzo Biotecnologie, è una promessa in questo senso - commenta con piena soddisfazione il dirigente scolastico dell’IIS Galilei di Jesi - ha già svolto lavori di ricerca nei nostri laboratori ottenendo riconoscimenti a vari livelli; siamo orgogliosi che rappresenti l’Italia nel mondo perché lo merita veramente».

Il mondo moderno presenta continuamente nuove sfide, il progresso scientifico per fortuna avanza grazie a nuovi pensatori, a giovani eccellenze come Francesca.
 
Porca l'oca...perchè sono riservata (e soprattutto modesta :-o) sennò ci metterei il mio di nome in neretto e a caratteri cubitali :D
 
Maryam Mirzakhani

Si chiama Maryam Mirzakhani, è nata nel 1977 ed è la prima donna a cui viene consegnato il prestigioso riconoscimento per le ricerche nel campo della matematica. La medaglia Fields è considerata la più alta onorificenza in matematica e viene spesso paragonata a un Nobel, anche se per ragioni storiche questa disciplina non rientra tra le categorie del prestigioso premio di Stoccolma.

L’Unione Matematica Internazionale (IMU) ha rivelato ieri, forse per errore con un po’ di anticipo, i vincitori dell’edizione 2014 del premio. I quattro giovani medagliati sono stati selezionati per il loro contributo alle ricerche di matematica pura sulla geometria iperbolica e per i progressi verso le soluzioni di equazioni utilizzate per descrivere molti fenomeni fisici.

Oltre alla Mirzakhani dell’università di Stanford in California, che interrompe la serie storica tutta al maschile durata 54 edizioni e iniziata con l’istituzione del premio nel 1936, hanno ricevuto il riconoscimento Artur Avila dell’Istituto di matematica di Jussieu a Parigi, Manjul Bhargava dell’università di Princeton nel New Jersey e Martin Hairer dell’università di Warwick nel Regno Unito.

I nomi dei vincitori dovevano essere annunciati oggi, 13 agosto, a Seoul durante il Congresso Internazionale dei Matematici, ma – probabilmente a causa di un inconveniente tecnico – la pagina con l’esito del concorso di quest’anno era già online ieri pomeriggio. Tanto che, già prima delle 18, la pagina di Wikipedia era stata aggiornata.

Secondo quanto riportato nelle motivazioni che accompagnano il premio, l’iraniana Maryam Mirzakhani ha avuto il merito di aver dato un importante contributo alla matematica con il suo lavoro “sulla dinamica e sulla geometria delle superfici di Riemann”, che porta un nuovo tassello alla soluzione del famoso problema dei tre corpi della meccanica celeste. La Mirzakhani ha anche avuto la capacità di saper combinare “una superba abilità di problem-solving con un’ambiziosa visione matematica e la scioltezza in molte discipline, nonostante in epoca moderna sia spesso necessaria una notevole specializzazione per raggiungere la frontiera della ricerca”.
:up:
 

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Ancora MALALA Yousafzai

Nobel a Malala: il futuro è in mano alle bambine | blog il manifesto

È il Nobel per la pace più gio­vane della sto­ria. È la 17enne pachi­stana Malala You­sa­f­zai, che ha già rice­vuto il pre­mio Saka­rov per la libertà di pen­siero un anno fa, e che adesso riceve il pre­mio dalla giu­ria di Oslo insieme al ses­san­tenne atti­vi­sta indiano Kaki­lash Satyar­thi che da 25 anni si batte per togliere i bam­bini e le bam­bine del suo Paese dalla schia­vitù e dallo sfruttamento.

Ma per Malala, che non ha ancora nean­che 18 anni ed è già una star nella difesa dei diritti umani, è neces­sa­rio un discorso a parte, per­ché la sua gio­vane età e la sua sto­ria, rap­pre­sen­tano qual­cosa di nuovo nell’orizzonte umano. Il 9 otto­bre del 2012 Malala è stata vit­tima di un ten­tato omi­ci­dio per cui fu gra­ve­mente ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti a bordo del pull­man sco­la­stico su cui lei tor­nava a casa da scuola, e que­sto per­ché all’età di tre­dici anni era già cele­bre per il blog che curava per il sito della BBC in lin­gua urdu, e dove docu­men­tava cosa suc­ce­deva nel distretto dello Swat dove viveva in piena offen­siva tale­bana. Poco dopo l’attentato Ihsa­nul­lah Ihsan, por­ta­voce dei tale­bani paki­stani, riven­dicò l’atto soste­nendo che la ragazza era “il sim­bolo degli infe­deli e dell’oscenità” minac­ciando, se fosse soprav­vis­suta, un altro atten­tato alla sua vita. Rico­ve­rata d’urgenza all’ospedale di Min­gora, e poi por­tata all’ospedale mili­tare di Pesha­war, in seguito Malala fu tra­sfe­rita in un ospe­dale di Bir­min­gham che si offrì di curarla, sal­van­dole la vita. Ma cosa può venire fuori da una ragaz­zina che a soli 13 anni ha rischiato la morte per aver difeso aper­ta­mente il diritto all’istruzione delle bam­bine nel suo Paese?

Nella moti­va­zione della giu­ria nor­ve­gese si legge che “nono­stante la sua gio­vane età Malala You­sa­f­zai ha già com­bat­tuto diversi anni per il diritto delle bam­bine all’istruzione e ha mostrato con l’esempio che anche bam­bini e gio­vani pos­sono con­tri­buire a cam­biare la loro situa­zione. E lo ha fatto nelle cir­co­stanze più peri­co­lose: attra­verso la sua bat­ta­glia eroica, è diven­tata una voce guida per i diritti dei bam­bini all’educazione”, una frase che mette in luce due punti: la gio­vane età e la deter­mi­na­zione a difen­dere un diritto anche a rischio della morte. Che donna può diven­tare una per­sona che parte così? E chi la potrà fer­mare? Per que­sto Malala non è solo una por­ta­voce del diritto all’istruzione ma un esem­pio per tutte le ragaz­zine e le bam­bine che di fronte all’ingiustizia si può rea­gire, ed è anche con­ferma che l’istruzione e la sen­si­bi­liz­za­zione ai diritti umani da gio­va­nis­simi, è forse è una delle poche spe­ranze per un cam­bia­mento non solo di donne e bam­bine ma per tutta l’umanità.

Soprav­vis­suta ai tale­bani e curata in Gran Bre­ta­gna dove ora vive e stu­dia, Malala aveva ini­ziato a tenere il blog sul sito della Bbc a 11 anni con lo pseu­do­nimo di Gul Makai difen­dendo il diritto all’istruzione in un Paese in cui 20 milioni di bam­bini e bam­bine sono esclusi dal sistema sco­la­stico: dopo l’attentato però la paura di morire non l’ha fer­mata ed è andata avanti. La foto di Malala in ospe­dale con la testa fasciata e con aria assente fatta da un foto­grafo di Reu­ters ha fatto il giro del mondo, e Malala non solo è soprav­vis­suta ma ha potuto scri­vere un libro, par­lare alle Nazioni Unite, appro­fon­dire il suo impe­gno e rice­vere rico­no­sci­menti, mal­grado non sia l’unica della sua età a cui è stata messa a rischio la vita, a cui è stata negata l’infanzia e ogni diritto fino addi­rit­tura alla morte per le ingiu­sti­zie subite. Di que­ste ragaz­zine è pieno il mondo, ed è per que­sto che chi ce la fa e ha l’occasione di esser al posto giu­sto nel momento giu­sto, deve essere soste­nuta nelle bat­ta­glie che fa per com­bat­tere anche per le altre, e que­sto fin da subito per­ché non c’è tempo per cre­scere. Un soste­gno che non sia solo parole o a suon di premi ma nei fatti.

In occa­sione della Gior­nata inter­na­zio­nale delle bam­bine, che è stata cele­brata l’11 otto­bre, l’Unicef ha reso noto che nel mondo ci sono 70 milioni di ragazze che tra i 15 e i 19 anni (un quarto sul totale mon­diale Cina esclusa) hanno subito una forma di vio­lenza fisica, 120 milioni di ragazze sotto i 20 anni sono state costrette a subire rap­porti ses­suali for­zati (1 su 10), 84 milioni di ado­le­scenti vit­time di vio­lenza psi­co­lo­gica, fisica o ses­suale da parte del marito o del part­ner, men­tre 700 milioni di donne si sono spo­sate mino­renni (di cui 23 milioni sotto i 15 anni): una ten­denza che entro il 2020 vedrà 142 milioni di ragaz­zine spo­sarsi prima di aver com­piuto 18 anni con 14,2 milioni di matri­moni pre­coci ogni anno, ovvero 37.000 ogni giorno. E mal­grado le gior­nate, i pro­clami e i premi, i decessi legati alla gra­vi­danza e al parto pre­coce rap­pre­sen­tano ancora una quota impor­tante della mor­ta­lità com­ples­siva: ogni anno muo­iono 70 mila ado­le­scenti per com­pli­canze legate alla gra­vi­danza, men­tre sono 3,2 milioni gli aborti a rischio.

Non solo per­ché a que­ste si aggiun­gono 515 milioni di bam­bine che vivono in con­di­zioni di povertà, 100 milioni di bam­bine mai nate per gli aborti selet­tivi in Cina, India e altri Paesi del Sud-Est asia­tico e Cau­caso, 68 milioni di lavo­ra­trici e 125 milioni che hanno subito una muti­la­zione geni­tale. Per non par­lare di tutte le bam­bine e le ragazze espo­ste in que­sto momento allo stu­pro di guerra in tutte le zone di con­flitto, e in spe­cial modo nel con­flitto in Medio Oriente in cui l’Isis pia­ni­fica lo stu­pro e la ridu­zione a schia­vitù delle popo­la­zione fem­mi­nile curda e yazida.
E non c’è biso­gno di andare lon­tano per capire come le cose non miglio­rino col tempo ma peg­gio­rino: Terre des Hom­mes, nel suo Dos­sier “Indi­fesa” pre­sen­tato a Roma, ci dice che solo in Ita­lia più di 5.100 bam­bini sono vit­time di reati nell’ultimo anno e che di que­sti il 61% sono bam­bine: un numero che è cre­sciuto del 56% in 10 anni. Non solo per­ché gli aumenti riguar­dano anche i mal­trat­ta­menti in fami­glia (+87%), l’abbandono di minori (+94%) e le vio­lenze ses­suali aggra­vate cre­sciute del 42%. In con­ti­nuo incre­mento, solo nel nostro Paese, sono anche lo sfrut­ta­mento ses­suale dei minori da parte della cri­mi­na­lità orga­niz­zata nelle reti pedo­file con un +411% di vit­time dei reati di por­no­gra­fia mino­rile, un +285% nel mate­riale por­no­gra­fico, reati che vedono in entrambi i casi l’80% di vit­time in bam­bine e ragazze. “L’osservatorio delle Forze dell’Ordine parla di un’Italia che negli ultimi dieci anni ha visto un’impennata di casi delit­tuosi in cui i bam­bini e, in misura ancora mag­giore, le bam­bine sono vit­time”, ha dichia­rato Dona­tella Ver­gari, Segre­ta­ria Gene­rale Terre des Hom­mes. Sem­pre in Ita­lia 1 donna su 3 ha subito una forma di vio­lenza da bam­bina e l’11% ha vis­suto abusi ses­suali, men­tre in Europa ci sono 21 milioni di donne che hanno vis­suto una forma di abuso o atto ses­suale da parte di un adulto prima dei 15 anni (12%), e il 30% delle donne che ha subito abusi ses­suali da adulte ave­vano vis­suto epi­sodi di vio­lenza durante l’infanzia.

Un’infinità di ingiu­sti­zie che ren­dono indi­scu­ti­bil­mente le bam­bine come la parte umana più espo­sta in que­sto momento sul Pia­neta a causa di una dop­pia discri­mi­na­zione: sia quella di genere che quella di minore. Una parte impor­tante dell’umanità, che un giorno sarà adulta, e che poten­zial­mente potrebbe ribal­tare com­ple­ta­mente le carte in tavola per il futuro con gene­ra­zioni di bam­bine e ragazze che se potes­sero svi­lup­pare con­sa­pe­vo­lezza potreb­bero essere pron­teda subito a bat­tersi con corag­gio e deter­mi­na­zione per una con­di­zione di vita migliore per tutte. Come si fa? Si parte dall’istruzione e dall’educazione ai diritti umani ma senza aspet­tare che qual­cuno gli spari in testa.
 

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Nobel a Malala: il futuro è in mano alle bambine | blog il manifesto

È il Nobel per la pace più gio­vane della sto­ria. È la 17enne pachi­stana Malala You­sa­f­zai, che ha già rice­vuto il pre­mio Saka­rov per la libertà di pen­siero un anno fa, e che adesso riceve il pre­mio dalla giu­ria di Oslo insieme al ses­san­tenne atti­vi­sta indiano Kaki­lash Satyar­thi che da 25 anni si batte per togliere i bam­bini e le bam­bine del suo Paese dalla schia­vitù e dallo sfruttamento.

Ma per Malala, che non ha ancora nean­che 18 anni ed è già una star nella difesa dei diritti umani, è neces­sa­rio un discorso a parte, per­ché la sua gio­vane età e la sua sto­ria, rap­pre­sen­tano qual­cosa di nuovo nell’orizzonte umano. Il 9 otto­bre del 2012 Malala è stata vit­tima di un ten­tato omi­ci­dio per cui fu gra­ve­mente ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti a bordo del pull­man sco­la­stico su cui lei tor­nava a casa da scuola, e que­sto per­ché all’età di tre­dici anni era già cele­bre per il blog che curava per il sito della BBC in lin­gua urdu, e dove docu­men­tava cosa suc­ce­deva nel distretto dello Swat dove viveva in piena offen­siva tale­bana. Poco dopo l’attentato Ihsa­nul­lah Ihsan, por­ta­voce dei tale­bani paki­stani, riven­dicò l’atto soste­nendo che la ragazza era “il sim­bolo degli infe­deli e dell’oscenità” minac­ciando, se fosse soprav­vis­suta, un altro atten­tato alla sua vita. Rico­ve­rata d’urgenza all’ospedale di Min­gora, e poi por­tata all’ospedale mili­tare di Pesha­war, in seguito Malala fu tra­sfe­rita in un ospe­dale di Bir­min­gham che si offrì di curarla, sal­van­dole la vita. Ma cosa può venire fuori da una ragaz­zina che a soli 13 anni ha rischiato la morte per aver difeso aper­ta­mente il diritto all’istruzione delle bam­bine nel suo Paese?

Nella moti­va­zione della giu­ria nor­ve­gese si legge che “nono­stante la sua gio­vane età Malala You­sa­f­zai ha già com­bat­tuto diversi anni per il diritto delle bam­bine all’istruzione e ha mostrato con l’esempio che anche bam­bini e gio­vani pos­sono con­tri­buire a cam­biare la loro situa­zione. E lo ha fatto nelle cir­co­stanze più peri­co­lose: attra­verso la sua bat­ta­glia eroica, è diven­tata una voce guida per i diritti dei bam­bini all’educazione”, una frase che mette in luce due punti: la gio­vane età e la deter­mi­na­zione a difen­dere un diritto anche a rischio della morte. Che donna può diven­tare una per­sona che parte così? E chi la potrà fer­mare? Per que­sto Malala non è solo una por­ta­voce del diritto all’istruzione ma un esem­pio per tutte le ragaz­zine e le bam­bine che di fronte all’ingiustizia si può rea­gire, ed è anche con­ferma che l’istruzione e la sen­si­bi­liz­za­zione ai diritti umani da gio­va­nis­simi, è forse è una delle poche spe­ranze per un cam­bia­mento non solo di donne e bam­bine ma per tutta l’umanità.

Soprav­vis­suta ai tale­bani e curata in Gran Bre­ta­gna dove ora vive e stu­dia, Malala aveva ini­ziato a tenere il blog sul sito della Bbc a 11 anni con lo pseu­do­nimo di Gul Makai difen­dendo il diritto all’istruzione in un Paese in cui 20 milioni di bam­bini e bam­bine sono esclusi dal sistema sco­la­stico: dopo l’attentato però la paura di morire non l’ha fer­mata ed è andata avanti. La foto di Malala in ospe­dale con la testa fasciata e con aria assente fatta da un foto­grafo di Reu­ters ha fatto il giro del mondo, e Malala non solo è soprav­vis­suta ma ha potuto scri­vere un libro, par­lare alle Nazioni Unite, appro­fon­dire il suo impe­gno e rice­vere rico­no­sci­menti, mal­grado non sia l’unica della sua età a cui è stata messa a rischio la vita, a cui è stata negata l’infanzia e ogni diritto fino addi­rit­tura alla morte per le ingiu­sti­zie subite. Di que­ste ragaz­zine è pieno il mondo, ed è per que­sto che chi ce la fa e ha l’occasione di esser al posto giu­sto nel momento giu­sto, deve essere soste­nuta nelle bat­ta­glie che fa per com­bat­tere anche per le altre, e que­sto fin da subito per­ché non c’è tempo per cre­scere. Un soste­gno che non sia solo parole o a suon di premi ma nei fatti.

In occa­sione della Gior­nata inter­na­zio­nale delle bam­bine, che è stata cele­brata l’11 otto­bre, l’Unicef ha reso noto che nel mondo ci sono 70 milioni di ragazze che tra i 15 e i 19 anni (un quarto sul totale mon­diale Cina esclusa) hanno subito una forma di vio­lenza fisica, 120 milioni di ragazze sotto i 20 anni sono state costrette a subire rap­porti ses­suali for­zati (1 su 10), 84 milioni di ado­le­scenti vit­time di vio­lenza psi­co­lo­gica, fisica o ses­suale da parte del marito o del part­ner, men­tre 700 milioni di donne si sono spo­sate mino­renni (di cui 23 milioni sotto i 15 anni): una ten­denza che entro il 2020 vedrà 142 milioni di ragaz­zine spo­sarsi prima di aver com­piuto 18 anni con 14,2 milioni di matri­moni pre­coci ogni anno, ovvero 37.000 ogni giorno. E mal­grado le gior­nate, i pro­clami e i premi, i decessi legati alla gra­vi­danza e al parto pre­coce rap­pre­sen­tano ancora una quota impor­tante della mor­ta­lità com­ples­siva: ogni anno muo­iono 70 mila ado­le­scenti per com­pli­canze legate alla gra­vi­danza, men­tre sono 3,2 milioni gli aborti a rischio.

Non solo per­ché a que­ste si aggiun­gono 515 milioni di bam­bine che vivono in con­di­zioni di povertà, 100 milioni di bam­bine mai nate per gli aborti selet­tivi in Cina, India e altri Paesi del Sud-Est asia­tico e Cau­caso, 68 milioni di lavo­ra­trici e 125 milioni che hanno subito una muti­la­zione geni­tale. Per non par­lare di tutte le bam­bine e le ragazze espo­ste in que­sto momento allo stu­pro di guerra in tutte le zone di con­flitto, e in spe­cial modo nel con­flitto in Medio Oriente in cui l’Isis pia­ni­fica lo stu­pro e la ridu­zione a schia­vitù delle popo­la­zione fem­mi­nile curda e yazida.
E non c’è biso­gno di andare lon­tano per capire come le cose non miglio­rino col tempo ma peg­gio­rino: Terre des Hom­mes, nel suo Dos­sier “Indi­fesa” pre­sen­tato a Roma, ci dice che solo in Ita­lia più di 5.100 bam­bini sono vit­time di reati nell’ultimo anno e che di que­sti il 61% sono bam­bine: un numero che è cre­sciuto del 56% in 10 anni. Non solo per­ché gli aumenti riguar­dano anche i mal­trat­ta­menti in fami­glia (+87%), l’abbandono di minori (+94%) e le vio­lenze ses­suali aggra­vate cre­sciute del 42%. In con­ti­nuo incre­mento, solo nel nostro Paese, sono anche lo sfrut­ta­mento ses­suale dei minori da parte della cri­mi­na­lità orga­niz­zata nelle reti pedo­file con un +411% di vit­time dei reati di por­no­gra­fia mino­rile, un +285% nel mate­riale por­no­gra­fico, reati che vedono in entrambi i casi l’80% di vit­time in bam­bine e ragazze. “L’osservatorio delle Forze dell’Ordine parla di un’Italia che negli ultimi dieci anni ha visto un’impennata di casi delit­tuosi in cui i bam­bini e, in misura ancora mag­giore, le bam­bine sono vit­time”, ha dichia­rato Dona­tella Ver­gari, Segre­ta­ria Gene­rale Terre des Hom­mes. Sem­pre in Ita­lia 1 donna su 3 ha subito una forma di vio­lenza da bam­bina e l’11% ha vis­suto abusi ses­suali, men­tre in Europa ci sono 21 milioni di donne che hanno vis­suto una forma di abuso o atto ses­suale da parte di un adulto prima dei 15 anni (12%), e il 30% delle donne che ha subito abusi ses­suali da adulte ave­vano vis­suto epi­sodi di vio­lenza durante l’infanzia.

Un’infinità di ingiu­sti­zie che ren­dono indi­scu­ti­bil­mente le bam­bine come la parte umana più espo­sta in que­sto momento sul Pia­neta a causa di una dop­pia discri­mi­na­zione: sia quella di genere che quella di minore. Una parte impor­tante dell’umanità, che un giorno sarà adulta, e che poten­zial­mente potrebbe ribal­tare com­ple­ta­mente le carte in tavola per il futuro con gene­ra­zioni di bam­bine e ragazze che se potes­sero svi­lup­pare con­sa­pe­vo­lezza potreb­bero essere pron­teda subito a bat­tersi con corag­gio e deter­mi­na­zione per una con­di­zione di vita migliore per tutte. Come si fa? Si parte dall’istruzione e dall’educazione ai diritti umani ma senza aspet­tare che qual­cuno gli spari in testa.

http://www.investireoggi.it/forum/4071697-post17.html

Malala: i soldi del Nobel alle scuole di Gaza
:bow::bow::bow::bow::bow::bow::bow:
 
ANNA FRANK: italianizzazione di Annelies Marie Frank, è divenuta il simbolo dell’Olocausto grazie al suo diario, scritto nel periodo in cui lei e la sua famiglia si nascondevano in una sorta di soffitta ad Amsterdam. I nazisti avevano da poco invaso l’Olanda, estendendo al Paese le leggi razziali. Nel 1942 lei che voleva diventare scrittrice riceve un quadernino come regalo. Su questo scriverà i suoi Diari, oggi uno dei libri più letti al mondo e fondamentale testimonianza dell’orrore della Shoah. Una tragica fine la sua: passata dal campo di Auschwitz-Birkenau a quello di Bergen-Belsen morì di tifo esantematico nel marzo 1945, solo tre settimane prima della liberazione del campo.
 
Non poteva mancare, visto che è argomento di questi giorni (per qualche cretino e indescrivibile povko anche oggetto di pesante scherno:( )

SAMANTHA CRISTOFORETTI

Samantha Cristoforetti (Milano, 26 aprile 1977) è un'aviatrice, ingegnera e astronauta italiana, prima donna italiana negli equipaggi dell'Agenzia Spaziale Europea e prima donna italiana nello spazio.

Nata a Milano nel 1977 ma originaria di Malè (TN), dove è cresciuta, ha compiuto gli studi superiori dapprima a Bolzano e poi a Trento, laureandosi in ingegneria meccanica all'Università tecnica di Monaco, in Germania.

Nel 2001 è ammessa all'Accademia Aeronautica di Pozzuoli, uscendone nel 2005 come ufficiale del ruolo naviganti normale e con la laurea in Scienze aeronautiche. Successivamente si specializza negli Stati Uniti presso la Euro-Nato Joint Jet Pilot Training di Wichita Falls in Texas.

Nel suo curriculum operativo figura il servizio presso il 61º Stormo Galatina (LE), il 32º Stormo (Aeroporto di Amendola) e il 51º Stormo di Istrana, prima nell'ambito della Squadriglia Collegamenti (2007-2008) e poi del 132º Gruppo Cacciabombardieri (2009), e l'abilitazione al pilotaggio degli aeromobili Aermacchi SF-260, Cessna T-37 Tweet, Northrop T-38 Talon, Aermacchi MB-339A, Aermacchi MB-339CD e AMX.

A maggio 2009 è selezionata come astronauta dall'Agenzia Spaziale Europea - — prima donna italiana e terza europea in assoluto dopo la britannica Helen Sharman (1991) e la francese Claudie Haigneré (2001) — risultando tra le sei migliori di una selezione alla quale avevano preso parte 8 500 candidati.


La prima missione cui Cristoforetti prende parte, della durata di circa 6-7 mesi, è denominata ISS Expedition 42/43 Futura e prevede, il 24 novembre 2014, il raggiungimento della Stazione Spaziale Internazionale a bordo di un veicolo Sojuz; si tratta della prima missione di una donna italiana nello spazio, e del settimo astronauta italiano, preceduta sulla ISS da Umberto Guidoni, Paolo Nespoli, Roberto Vittori e Luca Parmitano. Nel programma della missione vi sono esperimenti sulla fisiologia umana, analisi biologiche e la stampa di oggetti 3D in assenza di peso in modo da sperimentare anche la possibilità di stampare pezzi di ricambio per la stazione stessa senza dover dipendere dagli invii da terra.

Cristoforetti parla italiano (madrelingua), tedesco, inglese, francese, nonché il russo, utilizzato nelle comunicazioni tra la stazione spaziale e il centro di controllo a terra presso il cosmodromo di Bajkonur.

Onorificenze: Commendatora Ordine al Merito della Repubblica Italiana
 

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FRANCA SOZZANI
• Mantova 20 gennaio 1950. Giornalista. Direttore dell’edizione italiana di Vogue (dal 1988).
• Figlia di Gilberto, ingegnere prima alla Fiat e poi alla OM, e di Adelmina Rebuzzi, casalinga. Liceo classico alle marcelline, poi Lettere alla Cattolica di Milano con tesi in Filologia germanica. Suo progetto: vivere senza far niente. Invece si sposò e dopo tre mesi, incinta del figlio Francesco, si separò. Pensando che le sarebbe stato più facile spiegare la cosa al padre con un lavoro, rispose a un’inserzione e si ritrovò nella casa editrice Condé Nast. Non sapeva nulla di moda né di stilisti. Fu impiegata come segretaria. Di lì una carriera straordinaria.

• «È una delle donne più potenti che esistano nel mondo della moda. Dicono, forse esagerando, che può fare e disfare le fortune di uno stilista. Dicono anche che si accorge con anni di anticipo di tutte le tendenze. Forse anche perché le determina. Occhi celesti, lunghi capelli biondi, struttura minuta e apparentemente fragile, è la donna alla quale si inchinano tutti i più famosi fotografi di moda del mondo. A lei chiedono consigli e consulenze i più celebri stilisti» (Claudio Sabelli Fioretti).

Premi e Riconoscimenti
2002 - la Lupa Capitolina
2003 - il Premiolino
2004 – l’Ambrogino d'oro
2007 - Montblanc de la Culture (per il progetto “Who Is On Next”)
2012 - Légion d'Honneur
 
Ultima modifica di un moderatore:
Ho trovato questa storia, che non conoscevo :)

Se, nel 1906, fosse improvvisamente caduto il Governo di Giolitti, alle elezioni politiche avrebbero potuto votare milioni di elettori maschi e dieci donne. Esatto, solo dieci donne: dieci maestre di Senigallia. La storia di queste insegnanti che combatterono una battaglia politica e legale durata solo alcuni mesi, e cancellata rapidamente da una sentenza della Corte di Cassazione, non sfigurerebbe nella trama di un legal thriller. Ma non solo: prima del triste (ma prevedibile) epilogo, la questione approdò, in Corte d’Appello, sulla scrivania di uno dei più illuminati giuristi dell’epoca, Lodovico Mortara. Il grande studioso non lesinò riflessioni sul diritto delle donne a essere incluse anche nel tessuto politico, nonostante i pregiudizi dell’epoca, con considerazioni che sono ancora di estrema attualità.

Lo studio di Pietro Curzio sulle maestre di Senigallia

Lo scorso settembre si è tenuto un incontro, in Corte di Cassazione, per celebrare i cinquant’anni delle donne in magistratura. A margine di questo evento un Consigliere di Cassazione, Pietro Curzio, ha distribuito un interessante e curato scritto che narra delle vicende poco note delle Maestre di Senigallia. Una storia che non solo ha dell’incredibile ma che, a distanza di tanti anni, manifesta un indubbio fascino e solleva non poche riflessioni.

In estrema sintesi:
dieci donne marchigiane, tutte maestre elementari, agli inizi del Novecento, a cinquant’anni dall’Unità d’Italia e in un periodo storico nel quale le donne non avevano il diritto al voto, ottengono, anche se solo per qualche mese, tale diritto. E lo ottengono ben prima del fatidico 1946, l’anno che vide anche in Italia le donne votare ai primi tre appuntamenti elettorali importanti del secondo dopoguerra: le amministrative, il referendum istituzionale e le consultazioni per l’Assemblea Costituente.
Uno scrittore di legal thriller inizierebbe dalla pura descrizione dei fatti: dieci maestre, un bel giorno, presentano un atto di iscrizione alle liste elettorali per le future (eventuali) elezioni politiche. E lo fanno nel 1906!
Poi la storia proseguirebbe con il primo colpo di scena: la Commissione Elettorale della Provincia di Ancona non rimanda la richiesta alle mittenti, come tutti si sarebbero aspettati, ma accoglie l’istanza. Ed è questo il momento nel quale il gioco si fa duro e intervengono i poteri forti a inasprire la battaglia legale: in particolare, è il Procuratore del Re a fare immediatamente ricorso.

Il secondo colpo di scena è clamoroso: la Corte d’Appello di Ancona rigetta il reclamo del Procuratore del Re e conferma l’iscrizione delle dieci donne nelle liste elettorali.

Purtroppo il lato positivo della storia finisce qui: la Corte di Cassazione di Roma annullò, pochi mesi dopo, la sentenza della Corte d’Appello. Il sogno durò, così, solo dal luglio 1906 al maggio 1907, mesi nei quali dieci donne, e solo dieci, rimasero iscritte nelle liste degli aventi diritto al voto in Italia.

Pietro Curzio, nel suo scritto, delinea bene gli aspetti interessanti e attuali di un simile fatto, al di là, dicevo, del finale che ha riportato la situazione alla normalità di allora.
In primis, ne emerge il profilo di queste combattive donne. Di età ed estrazione sociale diversa, con situazioni familiari molto eterogenee, chi sposata e con figli e chi nubile, ma tutte unite da una vita fatta di supplenze e di precariato, di viaggi in località sperdute per insegnare e di situazioni non sempre agevoli, nonché di contrasto con l’amministrazione/datrice di lavoro. Non erano attiviste politiche in senso stretto, anche perché allora, soprattutto in provincia, l’attenzione delle donne nei confronti della politica, e della politica nei confronti delle donne, era blanda, ma erano di sicuro assai combattive.
Sembra che l’azione delle dieci maestre di Senigallia fosse stata ispirata da uno scritto di Maria Montessori, pubblicato nel febbraio del 1906, nel quale esortava le donne a iscriversi alle liste. E dieci, da Senigallia, a quanto pare risposero.

Sovente i fatti eccezionali non avvengono da soli e, dopo l’impulso nato nel cuore delle maestre di Senigallia, il fato volle che la questione prettamente giuridica capitasse sulla scrivania di un grande giurista dell’epoca, Lodovico Mortara, che era allora Presidente della Corte d’Appello di Ancona e che si vide recapitare il controverso fascicolo.
Mortara era stato professore universitario per poi finire in magistratura. Alcuni anni dopo, quando divenne Ministro della Giustizia nel 1917, propose una legge volta ad eliminare l’autorizzazione maritale per le donne che volessero stipulare negozi giuridici. Toccò a lui riflettere sul caso e scrivere la sentenza, cercando di rimanere il più possibile neutro ed estraneo da pregiudizi personali e dell’epoca. Non solo: era stato lui il primo ad ammettere, ai giornali, di essere molto dubbioso sul diritto di tali donne, ma disse anche che, da giudice, si sarebbe spogliato delle convinzioni personali e avrebbe valutato solo il dato normativo.
Tralascio, in questa sede, le questioni giuridiche. Si sappia solo che era in contestazione una norma dello Statuto Albertino, l’Articolo 24, che dava l’eguaglianza e tutti i diritti civili e politici ai cosiddetti “regnicoli”, salve le eccezioni disposte dalla legge.
Per Mortara, il termine “regnicoli” avrebbe compreso senza problemi anche le donne, dal momento che anche loro pagavano le tasse e contribuivano alla vita economica e sociale del Paese. Diritti e doveri, insomma, con eccezioni a questo diritto che dovevano essere espressamente stabilite.
La Corte di Cassazione annullò la sentenza ribaltando il ragionamento: non è così, dissero i giudici di Roma, i diritti delle donne devono essere espressamente garantiti. Silenzio (o implicito) significa che non possono votare. Ciò che è “naturale” ai nostri tempi, per le donne, è l’esclusione, non l’inclusione. E non possono essere riconosciuti alle donne, dice la Cassazione, diritti che non siano espressamente stabiliti dalla legge.
In fin dei conti, il processo si giocò sul silenzio. Sull’implicito o esplicito. Su ciò che è o non è “naturale”. E la regola silente per le donne di quel tempo, secondo i giudici di Roma, era l’esclusione e non l’inclusione.

E qui, in questo diverso approccio dei giudici di due diversi gradi di giudizio, derivano considerazioni interessanti e attuali ancora oggi.
Per Mortara e il suo collegio il diritto al voto delle donne c’era, e non vi erano norme specifiche che lo escludessero, quindi andava assegnato. Una sorta di diritto ineludibile, quasi naturale.
[/B]Per la Cassazione quel diritto non c’era in natura e, soprattutto, non c’era in quel tempo storico, dove era radicata l’idea di esclusione delle donne dalle cose politiche e in generale dalle professioni più nobili perché non ritenute all’altezza di “ragionare” su quei temi. Occorrevano norme che assegnassero quei diritti, ma norme così non ce n’erano.

Le convenzioni sociali, le credenze popolari, le abitudini erano in molti casi più forti della realtà, e la libertà nell’interpretazione delle leggi faceva il resto. Proprio quella legge che poteva essere vista da una prospettiva o da un’altra (due facce di una stessa medaglia) e avere un effetto completamente differente sui diritti delle donne.
E quello delle maestre di Senigallia fu forse il caso più clamoroso.
 

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