Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Ma al di là dello spettacolo celeste,
il SWPC avverte di possibili “impatti dannosi su alcune delle nostre infrastrutture tecnologiche critiche”.

Una tempesta G4 può causare:

  • Problemi diffusi di controllo della tensione e impatti sui sistemi di protezione della rete elettrica.
  • Irregolarità nella navigazione satellitare (GPS) e problemi di orientamento per i veicoli spaziali.
  • Interruzioni nelle comunicazioni radio ad alta frequenza (HF) e aurore visibili a latitudini molto basse.
In un’epoca in cui si installano a ritmo serrato infrastrutture AI e data center ad altissimo consumo energetico,
la stabilità della rete elettrica è un tema non secondario.

Una tempesta di classe Carrington (l’evento estremo del 1859) oggi sarebbe catastrofica;
una G4 è un serio campanello d’allarme sulla nostra vulnerabilità.
Succede un casso
 
Questa è proprio di ieri.

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Il tennis maschile vive così una fase paradossale:

tecnicamente eccellente ai vertici,
ma povero di profondità competitiva.

Il confronto con il tennis di 10 anni fa è quasi inevitabile e, per certi versi, illuminante.

Nel 2015 il circuito era ancora scosso dalle onde lunghe del Big four:
Novak Djoković, Roger Federer, Rafael Nadal e Andy Murray.

Un’era in cui ogni torneo era una battaglia tra giganti,
ma in cui la concorrenza alle loro spalle era molto più agguerrita rispetto a oggi.

Il livello medio era altissimo: c’erano giocatori capaci di battere un top player in qualsiasi momento,
di strappare un set a Djoković o di trascinare Nadal in maratone imprevedibili.

Certo, anche allora esistevano dominatori, ma l’impressione generale era che dovessero conquistarsi ogni centimetro,
che il loro successo nascesse da duelli epici e non dalla semplice superiorità atletica e tecnica.
 
Era anche un tennis più “spettacolare”.

Non solo perché Federer portava in campo un’estetica irripetibile e Nadal incarnava la lotta,
ma perché c’era una varietà di stili che oggi si sta lentamente perdendo.

Il top spin esasperato, i tocchi di classe, il serve-and-volley sporadico ma letale:
il tennis era un mosaico ricco, più imprevedibile, più contaminato.

Oggi si assiste a una standardizzazione fisica e tattica
che, pur elevando il livello massimo, appiattisce il resto del tabellone.


Questo non significa che l’attuale rivalità tra Alcaraz e Sinner non sia affascinante.
Anzi, è probabilmente la più intensa e tecnicamente pura degli ultimi anni.

Ma è una rivalità che sembra vivere sopra un deserto, anziché dentro una foresta.

Il pubblico resta incantato quando i due duellano, ma spesso attende proprio quel momento,
come se tutto il resto fosse solo un contorno prevedibile.


E se l’imprevedibilità è la linfa dello sport,
allora forse al tennis odierno manca proprio quel sapore di sorpresa che un tempo rendeva ogni torneo un racconto aperto.
 

Addio a Lorenzo Buffon,​

morto a 96 anni per infarto l’ex portiere di Milan,​

con i rossoneri vinse 4 scudetti e 1 Coppa Latina​


La notizia della morte di Buffon ha scosso l’intero ambiente calcistico,
riportando alla memoria un portiere entrato di diritto nella storia del Milan e della Nazionale.
Iniziò la sua carriera nel lontano 1949, chiudendola nel 1965
dopo aver vissuto alcune delle stagioni più significative del calcio italiano
.
Per 10 anni difese con le sue mani a “Tenaglia” la porta del Milan,
conquistando con i rossoneri quattro scudetti (1950-51, 1954-55, 1956-57, 1958-59) e una Coppa Latina,
trofei che lo hanno consegnato alla leggenda del club.
 
Con l’arrivo di dicembre, l’inverno è oramai alle porte, e con esso il suo bagaglio di incognite:
nevicate improvvise, gelate repentine, o anche giornate tiepide che spiazzano persino i meteorologi.

Ogni anno, in effetti, ci chiediamo come sarà davvero la stagione fredda
e se grafici e previsioni metereologiche di medio e lungo periodo iniziano ad apparire sullo schermo telefonico e televisivo,
c’è ancora chi continua a rivolgersi ad un silenzioso e insospettabile indovino: il cachi.

Sì, perché secondo un’antica tradizione contadina che sfida ogni logica contemporanea,
all’interno dei semi di questo polposo frutto arancione si nasconderebbero minuscole posate profetiche
– forchette, coltelli e cucchiai, per l’esattezza – che, scolpiti dalla natura stessa,
sembrerebbero in grado di annunciare l’andamento della stagione invernale.

Basta prendere un coltello e, una volta tagliato il seme color cioccolato,
emergerà la curiosa sagoma bianca che ha dato vita alla leggenda.

Di qui, se uscirà la forchetta, allora vorrà dire che l’incipiente inverno sarà perlopiù mite e privo di ondate di gelo significative;

se, invece, uscirà il coltello, allora vorrà dire che l’inverno nascente sarà caratterizzato da freddo acuto, “tagliente” per l’appunto;

se, infine, uscirà il cucchiaio, allora vorrà dire che l’inverno imminente sarà carico di neve da spalare
(d’altronde, la forma del cucchiaio ricorda proprio una pala).

Un tempo, del resto, erano proprio questi segni della natura a suggerire come prepararsi ai mesi più duri:
se aspettarsi scorte di legna aggiuntive, se fornire una migliore protezione al bestiame, se proteggere i medesimi orti.

Naturalmente, ad oggi, nessuno pretende che le “posate dei cachi” siano in voga
o che, addirittura, sostituiscano il parere degli stessi meteorologi.

Eppure, in un’epoca in cui i mezzi tecnologici sembrano anticipare ogni minima variazione del cielo,
questa piccola superstizione pare conservare un sapore speciale:

ci ricorda, di fatto, un modo di scrutare la natura oramai inesistente – lento, paziente, quasi poetico.
 

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