Val
Torniamo alla LIRA
Serve un miracolo.
Al momento la possibilità che i cinque referendum sulla Giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali
(manca il più importante, quello sulla responsabilità civile dei magistrati, bocciato dalla Corte Costituzionale guidata da Giuliano Amato)
raggiungano il quorum del 50% più uno è bassissima.
Un sondaggio Demopolis di qualche giorno fa evidenzia come solo il 30% degli elettori, al momento, dichiara che si recherà alle urne.
Eppure il Carroccio e Salvini hanno fatto dei referendum sulla Giustizia una vera e propria battaglia, politica e di immagine.
A poco serve l'abbinamento, il 12 giugno, con le elezioni amministrative
(in questa tornata non ci sono grandi città che vanno al voto, tranne Genova e Palermo).
Il retroscena che raccontano è davvero clamoroso.
Nonostante negli ultimi anni, a causa del Covid che è ancora presente in Italia,
i governi (prima Conte poi Draghi) abbiano sempre deciso per le votazioni in due giorni,
anche il lunedì fino alle ore 15, questa volta no.
Niente da fare, si voterà soltanto domenica 12 giugno dalle 7 alle 23.
E ovvio che se si fosse prolungato anche a lunedì 13 giugno
le chances per arrivare al quorum sarebbero state maggiori.
Come spiegano fonti Dem, a bocciare la richiesta di voto in due giorni della Lega, appoggiata anche da Forza Italia e Fratelli d'Italia,
è stata in particolare la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese
con il sostegno dei ministri del Pd e del Movimento 5 Stelle.
Ed, ovviamente, l'avallo del presidente del Consiglio e della ministra della Giustizia Marta Cartabia.
Politicamente spiegano questa scelta come una sorta di "vendetta" del Viminale
per i numerosi attacchi leghisti sul fronte della sicurezza e dell'immigrazione,
ma non manca certo l'obiettivo nemmeno celato della maggior parte del Pd
(non tutto, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori andrà a votare sì) e di tutto il M5S di affossare i referendum.
La maggioranza ha appena trovato un difficile compromesso sulla riforma Cartabia,
che ha portato allo sciopero delle toghe di oggi,
figuriamoci che cosa accadrebbe con la vittoria del sì ai referendum,
una sorta di terremoto per il Palazzo.
Meglio quindi parlare pochissimo dei quesiti,
far votare solo domenica (nonostante il Covid non sia sparito)
e arrivare al probabile fallimento dell'iniziativa di Lega e Radicali.
Al momento la possibilità che i cinque referendum sulla Giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali
(manca il più importante, quello sulla responsabilità civile dei magistrati, bocciato dalla Corte Costituzionale guidata da Giuliano Amato)
raggiungano il quorum del 50% più uno è bassissima.
Un sondaggio Demopolis di qualche giorno fa evidenzia come solo il 30% degli elettori, al momento, dichiara che si recherà alle urne.
Eppure il Carroccio e Salvini hanno fatto dei referendum sulla Giustizia una vera e propria battaglia, politica e di immagine.
A poco serve l'abbinamento, il 12 giugno, con le elezioni amministrative
(in questa tornata non ci sono grandi città che vanno al voto, tranne Genova e Palermo).
Il retroscena che raccontano è davvero clamoroso.
Nonostante negli ultimi anni, a causa del Covid che è ancora presente in Italia,
i governi (prima Conte poi Draghi) abbiano sempre deciso per le votazioni in due giorni,
anche il lunedì fino alle ore 15, questa volta no.
Niente da fare, si voterà soltanto domenica 12 giugno dalle 7 alle 23.
E ovvio che se si fosse prolungato anche a lunedì 13 giugno
le chances per arrivare al quorum sarebbero state maggiori.
Come spiegano fonti Dem, a bocciare la richiesta di voto in due giorni della Lega, appoggiata anche da Forza Italia e Fratelli d'Italia,
è stata in particolare la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese
con il sostegno dei ministri del Pd e del Movimento 5 Stelle.
Ed, ovviamente, l'avallo del presidente del Consiglio e della ministra della Giustizia Marta Cartabia.
Politicamente spiegano questa scelta come una sorta di "vendetta" del Viminale
per i numerosi attacchi leghisti sul fronte della sicurezza e dell'immigrazione,
ma non manca certo l'obiettivo nemmeno celato della maggior parte del Pd
(non tutto, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori andrà a votare sì) e di tutto il M5S di affossare i referendum.
La maggioranza ha appena trovato un difficile compromesso sulla riforma Cartabia,
che ha portato allo sciopero delle toghe di oggi,
figuriamoci che cosa accadrebbe con la vittoria del sì ai referendum,
una sorta di terremoto per il Palazzo.
Meglio quindi parlare pochissimo dei quesiti,
far votare solo domenica (nonostante il Covid non sia sparito)
e arrivare al probabile fallimento dell'iniziativa di Lega e Radicali.