“Un piccolo gruppo di geni che abbiamo ereditato dall’uomo di Neanderthal
– e dalle sue relazioni amorose con i nostri antenati sapiens –
ci espone oggi al rischio di sviluppare il Covid in forma grave.
È questa la singolare conclusione dello studio Origin dell’Istituto Mario Negri,
presentato a Milano e pubblicato sulla rivista
iScience.
Condotto con una sofisticata tecnica di analisi del Dna,
lo studio ha infatti individuato un aplotipo contenente tre geni neandertaliani, vicini fra loro,
«certamente collegati alla gravità della malattia, e la cui presenza nel genoma
spiega perché il virus può colpire in modo gravissimo anche soggetti giovani e senza altri fattori di rischio»
spiega
Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri.”
Questa l’introduzione di un lungo articolo, pubblicato da
scienzainrete.it,
su un argomento di cui si è ampiamente occupata la stampa nazionale.
In breve, secondo gli autori dello studio
il 15% dei decessi ufficialmente attribuiti al Covid nella provincia di Bergamo
sarebbero ascrivibile a tali varianti genetiche.
Varianti che spiegherebbero il perché la comunità bergamasca è stata più duramente colpita durante la prima fase della pandemia.
Molto scettico, a tale proposito,
Andrea Crisanti, senatore in forza al Partito democratico.
In un’intervista rilasciata al
Domani, il virologo del terrore sanitario, così si è espresso:
“Lo studio originale è stato pubblicato su
Nature un anno fa.
La cosa importante da dire è che questo gene ce l’abbiamo tutti,
una variante si associa a una suscettibilità al Covid.
Se è vero che la variante è collegata, in realtà ha una frequenza costante in tutta Italia.
Ci sono banche dati che lo dimostrano, non è una specificità di Bergamo”.
Inoltre, Crisanti ha sottolineato che
“nello studio non si azzardano a dire che è una peculiarità che riguarda Bergamo,
perché c’è una frequenza inusuale del gene lì, sia ben chiaro.
Dice solo che i casi gravi sono associati a questa variante.
Ad Alzano molto semplicemente c’era un numero di casi elevati
dove sapevano esattamente chi si era infettato e chi no.
Così lo studio conferma la correlazione con la variante.”