Val
Torniamo alla LIRA
Tempi straordinari obbligano gli Stati e le loro emanazioni sovra-istituzionali ad interventi economici straordinari.
Sono tutti d’accordo con questo assunto nel palcoscenico geopolitico terrestre.
Tutti tranne quattro nazioni appartenenti all’Unione europea.
Le stesse nazioni che di avallare i coronabond, che servirebbero soprattutto a far sì che il debito pubblico
delle singole realtà nazionali possa essere ammortizzato su base comune e condivisa,
non ne vogliono sentir parlare. Il Consiglio europeo di ieri è stato rivelativo.
Un’epoca pandemica presuppone la necessità di un’incidenza della solidarietà senza eguali nella storia:
i leader europei, quasi tutti, lo stanno ripetendo a mo’ di mantra.
Persino Emmanuel Macron, dopo anni di europeismo sconfinato, sembra essersi svegliato dal sonno ideologico.
Ma non è sufficiente: Germania, Olanda, Austria e Finlandia continuano ad essere contrari alla immissione sul mercato degli eurobond.
Quelli pensati ad hoc per tamponare il collasso economico che potrebbe derivare,
anzi probabilmente deriverà con certezza, dalla diffusione del virus.
L’Italia può subire per anni le conseguenze di un atteggiamento ostruzionista senza eguali.
La recessione è qualcosa di più di uno spettro previsionale.
Per questo, le quattro nazioni indicate vengono definite da più fonti – una su tutte Il Mattino – alla stregua di “nemici” del nostro Paese.
L’Unione europea diviene così protagonista di una spaccatura interna che per i meno ottimisti può comportare un frazionamento definitivo.
Con tanti saluti all’Unione europea ed a tutti i suoi organi rappresentativi ed esecutivi.
Da una parte, semplificando un po’, possiamo collocare Italia, Francia e Spagna;
dall’altra, invece, sono elencabili le quattro nazioni sopracitate.
Gli Stati che hanno a disposizione una banca centrale si trovano nella possibilità di utilizzare un vero e proprio “bazooka”.
Si pensi al caso degli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche a quello della Cina di Xi Jinping o a quello della Russia di Vladimir Putin.
Questi “bazooka” statali sono regolati sulla base del rapporto tra il deficit ed il il Pil.
Le realtà che fanno parte dell’Unione europea dovrebbero poter contare sulla Banca centrale europea,
che per ora ha predisposto una serie di misure che Francia, Italia e Spagna reputano essere davvero troppo parziali.
Mario Draghi, dalle colonne del Financial Times, ha spiegato il perché l’incremento della spesa pubblica a debito,
ora come ora, possa essere escluso dalla lista nera dei provvedimenti nefasti.
Ma il parere dell’ex vertice della Banca centrale europea non è bastato: Germania, Olanda, Austria e Finlandia
non vogliono mollare un centimetro. E i coronabond, a mano a mano, stanno assumendo le fattezze di una chimera.
La Germania è compatta: non solo Angela Merkel ha smesso di pronunciare la parola “Europa” all’interno dei suoi discorsi,
ma tutto l’arco partitico, comprese le formazioni sovraniste e populiste, sembrano esseri appiattite sulle posizioni della Cdu-Csu.
La sensazione è che Berlino preferisca operare mediante le nazionalizzazioni interne delle imprese che risulteranno essere insolventi.
E il resto delle nazioni che appartengono alla Unione europea?
Ognuno per sé e Dio per tutti: questo sembra essere l’atteggiamento di fondo della “locomotiva d’Europa”
e delle altre realtà che boicottano i coronabond.
Non saremo nel campo della “immunità di gregge” alla Boris Johnson.
Però, dal punto di vista economico, sembra che le due strategie possano essere accomunate:
anche l’isolazionismo tedesco comporta che a farcela, in fin dei conti, siano per lo più i più forti.
La domanda che sorge spontanea è la seguente:
una pandemia può essere debellata dal punto di vista economico senza l’impiego di un “bazooka” europeo?
Germania, Austria, Finlandia ed Olanda, che si candidano così alla declinazione di una forma esasperata di egoismo nazionalista, pensano di sì.
Tanti europeisti della prima ora, compresi coloro che sono soliti operare nel campo progressista,
ritengono che una solidarietà europea non sia più procrastinabile.
Sono tutti d’accordo con questo assunto nel palcoscenico geopolitico terrestre.
Tutti tranne quattro nazioni appartenenti all’Unione europea.
Le stesse nazioni che di avallare i coronabond, che servirebbero soprattutto a far sì che il debito pubblico
delle singole realtà nazionali possa essere ammortizzato su base comune e condivisa,
non ne vogliono sentir parlare. Il Consiglio europeo di ieri è stato rivelativo.
Un’epoca pandemica presuppone la necessità di un’incidenza della solidarietà senza eguali nella storia:
i leader europei, quasi tutti, lo stanno ripetendo a mo’ di mantra.
Persino Emmanuel Macron, dopo anni di europeismo sconfinato, sembra essersi svegliato dal sonno ideologico.
Ma non è sufficiente: Germania, Olanda, Austria e Finlandia continuano ad essere contrari alla immissione sul mercato degli eurobond.
Quelli pensati ad hoc per tamponare il collasso economico che potrebbe derivare,
anzi probabilmente deriverà con certezza, dalla diffusione del virus.
L’Italia può subire per anni le conseguenze di un atteggiamento ostruzionista senza eguali.
La recessione è qualcosa di più di uno spettro previsionale.
Per questo, le quattro nazioni indicate vengono definite da più fonti – una su tutte Il Mattino – alla stregua di “nemici” del nostro Paese.
L’Unione europea diviene così protagonista di una spaccatura interna che per i meno ottimisti può comportare un frazionamento definitivo.
Con tanti saluti all’Unione europea ed a tutti i suoi organi rappresentativi ed esecutivi.
Da una parte, semplificando un po’, possiamo collocare Italia, Francia e Spagna;
dall’altra, invece, sono elencabili le quattro nazioni sopracitate.
Gli Stati che hanno a disposizione una banca centrale si trovano nella possibilità di utilizzare un vero e proprio “bazooka”.
Si pensi al caso degli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche a quello della Cina di Xi Jinping o a quello della Russia di Vladimir Putin.
Questi “bazooka” statali sono regolati sulla base del rapporto tra il deficit ed il il Pil.
Le realtà che fanno parte dell’Unione europea dovrebbero poter contare sulla Banca centrale europea,
che per ora ha predisposto una serie di misure che Francia, Italia e Spagna reputano essere davvero troppo parziali.
Mario Draghi, dalle colonne del Financial Times, ha spiegato il perché l’incremento della spesa pubblica a debito,
ora come ora, possa essere escluso dalla lista nera dei provvedimenti nefasti.
Ma il parere dell’ex vertice della Banca centrale europea non è bastato: Germania, Olanda, Austria e Finlandia
non vogliono mollare un centimetro. E i coronabond, a mano a mano, stanno assumendo le fattezze di una chimera.
La Germania è compatta: non solo Angela Merkel ha smesso di pronunciare la parola “Europa” all’interno dei suoi discorsi,
ma tutto l’arco partitico, comprese le formazioni sovraniste e populiste, sembrano esseri appiattite sulle posizioni della Cdu-Csu.
La sensazione è che Berlino preferisca operare mediante le nazionalizzazioni interne delle imprese che risulteranno essere insolventi.
E il resto delle nazioni che appartengono alla Unione europea?
Ognuno per sé e Dio per tutti: questo sembra essere l’atteggiamento di fondo della “locomotiva d’Europa”
e delle altre realtà che boicottano i coronabond.
Non saremo nel campo della “immunità di gregge” alla Boris Johnson.
Però, dal punto di vista economico, sembra che le due strategie possano essere accomunate:
anche l’isolazionismo tedesco comporta che a farcela, in fin dei conti, siano per lo più i più forti.
La domanda che sorge spontanea è la seguente:
una pandemia può essere debellata dal punto di vista economico senza l’impiego di un “bazooka” europeo?
Germania, Austria, Finlandia ed Olanda, che si candidano così alla declinazione di una forma esasperata di egoismo nazionalista, pensano di sì.
Tanti europeisti della prima ora, compresi coloro che sono soliti operare nel campo progressista,
ritengono che una solidarietà europea non sia più procrastinabile.