VIAGGIO AL CENTRO DEL SALOTTO

Si può espellere la morte dalla vita?
No, non si può, almeno fino a quando non sapremo viaggiare nel tempo, non si può.

Ma, se non possiamo espellere la morte dalla vita e ciononostante ci poniamo in maniera non razionale, ma radicale,
questo obbiettivo impossibile in tutti i campi (dalla guida al lavoro, dal sesso all’alimentazione, dal fumo al vino, dal salutismo alle malattie e, oggi, al coronavirus),
possiamo invece, rendendola schiava e triste, riuscire ad espellere la vita dalla vita.

Sto parlando della Libertà, che una devastante ondata psicologica di massa ci sta abituando a considerare
come un bene secondario cui si può facilmente rinunciare, nell’ipotesi che un regime autoritario possa salvaguardare meglio la salute.

Siamo, senza colpe, costretti agli arresti domiciliari preventivi nelle nostre case, non possiamo lavorare, prenderci un caffè al bar,
fare una passeggiata in un parco o sulla spiaggia o vedere la morosa e siamo considerati in massa
dei potenziali e criminali furbetti da tenere d’occhio, dai virtuosi, intelligenti e colti, che ci governano.

La stessa democrazia, con il Parlamento ormai usualmente chiuso e sprangato
ed il governo che sospende le garanzie costituzionali con semplici decreti amministrativi, è ormai messa in quarantena.

Una quarantena che non viene applicata solo ai malati o ai portatori sani, di cui abbiamo rinunciato a conoscere la reale entità
avendo evitato gli screening di massa o almeno a campionatura, ma a tutti indistintamente per provare ad evitare che si infettino.

Insomma, alcune grandi nazioni e in primis l’Italia, hanno chiuso tutto, con noi dentro, per evitare il contagio.

Il presupposto adottato è sempre lo stesso, la portata della pandemia è tale che è questione di vita e di morte per tutti
e su vastissima scala e dunque chiudete tutto e al diavolo libertà, democrazia ed economia.

Ma è proprio così?

Come facciamo ad ignorare che l’età media dei decessi si aggira sugli ottant’anni,
che solo lo 0,8 per cento delle vittime non presentava altre gravi patologie (dati resi pubblici dall’istituto superiore di sanità)
e che per questo in altri paesi simili al nostro i decessi non vengono tutti attribuiti solo e semplicemente al coronavirus ?

Se, giustamente, ci spaventiamo della novità e della rapida progressione della malattia,
perché i governanti si aspettano allora di raggiungere presto il picco e la decrescita dei casi,
che in effetti sono in rapida diminuzione in quattro Paesi (Cina, Singapore, Corea del sud, Formosa)
che però hanno applicato rimedi su vasta scala tra loro molto diversi?

Perché non considerare seriamente le misure di prevenzione per tutti e soli gli anziani ed i malati (che davvero rischiano) decise dal governo israeliano?

E ancora, se pure è certamente vero che, rallentando la diffusione del contagio, guadagniamo tempo per trovare un vaccino,
tuttavia se, grazie anche all’estate, riusciamo ad arrestare temporaneamente la pandemia, prima dell’immunizzazione di comunità,
chi ci garantisce allora sul non ritorno di una seconda ondata di contagio?

Intendiamoci, se l’operazione “arresti domiciliari” fosse senza costi, potremmo certo dire che forse staremmo esagerando in precauzioni,
ma che nel dubbio è meglio prenderle tutte, ma non è così e non parlo solo (e scusate se è poco) di democrazia e libertà, no parlo proprio di vite umane.

Di moltissime vittime prevedibili di una crisi economica catastrofica che stiamo preparando,
chiudendo ogni attività, dagli alberghi, ai trasporti, dai negozi ai ristoranti, fino ad un numero sempre crescente di aziende,
prive ormai di pezzi di ricambio importati (la globalizzazione non ha solo effetti positivi) e di clienti.

Coloro che potrebbero perdere la vita per gli effetti indotti di una profonda e duratura crisi economica, potrebbero essere un numero incalcolabile.

Ma allora occorre chiedersi il perché di una risposta così estrema che a me sembra
(dico sembra, non credo affatto di possedere una verità rivelata) presa sull’onda di una tempesta emotiva che ha reso difficile un razionale confronto.

Forse la risposta più giusta è quella più classica, il panico, ma un panico particolare, un panico politico
che ha portato delle classi dirigenti molto improvvisate, a temere la sanzione di cittadini che chiedono decisioni sbrigative, facili e soprattutto immediate

L’ondata è tale che anche politici colti e di carattere, sono dovuti tornare sulle proprie decisioni,
accusati della nuova e infamante colpa valida per tutto: il negazionismo.

Vorrei essere chiaro, non sono affatto certo che i “chiudiamo tutto” abbiano completamente torto,
non lo so e non lo saprò con sufficiente certezza fino a quando la scienza (che però ha i suoi tempi, non comprimibili)
non avrà finito di studiare il nuovo virus, non posso però non notare gli errori metodologici che si stanno facendo,
inquinando il dibattito con l’emotività, come se la partita fosse davvero tra sani decisionisti che hanno a cuore “il bene del popolo”
e corrotti sofisti che se ne fregano, tra gli uomini del fare e quelli delle chiacchiere.

È diventato infatti molto difficile, a uomini politici o intellettuali (e perfino agli esperti), esprimere delle perplessità
che non marcino nella direzione della corrente, che coltivino il dubbio, che si ostinino ad aspettare delle risposte scientifiche conclusive
(perché provate) senza venire linciati mediaticamente e, in qualche caso, perfino denunciati.

Abbiamo applicato il Principio di Precauzione in maniera completamente sbilanciata,
prendendo in esame le più catastrofiche ipotesi pandemiche e le più rosee e morfinizzanti rassicurazioni economiche.

Abbiamo sentito troppe volte dire che si devono seguire le regole, senza sentire quasi mai aggiungere il perché queste regole fossero giuste,
come a voler abituare la gente a un’obbedienza incondizionata, a un riflesso automatico da assoggettati,
privi di libero arbitrio e di diritti inalienabili almeno su se stessi.

Non si è creduto mai alla possibilità che la gente, se bene informata, si autoregolamentasse da sé,
limitando spontaneamente i propri movimenti a quelli essenziali, senza perdere il lavoro e senza costringere
due o trecentomila agenti delle forze dell’ordine a permanere per strada a controllare i pochi passanti.

Non so cosa succederà, adesso che i decreti sono stati reiterati e la gente realizzerà che la parentesi di sospensione si allunga,
e poi quando arriveranno i primi licenziamenti e i primi fallimenti, ma, per il momento, un consenso c’è,
perché alla gente non sempre dispiace sentire ordini, sentirsi governata, abbandonarsi con conformismo all’autorità,
indipendentemente dalla sua capacità e legittimità e questo soprattutto quando ha paura e l’obbedienza viene presentata come la prima delle virtù.

Mi viene in mente un manifesto della mia prima giovinezza, all’epoca del partito liberale di Giovanni Malagodi,
affisso per tutte le vie di Milano che, giocando sulle parole, diceva così:

“La servitù è facile, ma la soffri, la libertà è difficile, Ma-la-godi”.

Ma è solo ormai un vecchio ricordo, di un’epoca di libertà che sta forse tramontando.

Non possiamo ancora conoscere le definitive conclusioni scientifiche (oggi posso solo esprimere una preferenza per il metodo israeliano,
che credo sia il miglior bilanciamento tra libertà e salvaguardia) e allora potrebbe perfino darsi che il governo abbia ragione,
che i miei dubbi non abbiano motivo di esistere, che il rimedio, oltre che temporaneo, sia necessario e decisivo,
anzi davvero me lo auguro, perché altrimenti la perdita della libertà sarebbe, oltre che totalmente ingiustificata, insopportabile.
 
C'è chi segue facebook e chi si ingegna.....

Gli ospedali di tutta Italia continuano a denunciare la mancanza di strumenti fondamentali
per curare i pazienti affetti dalla covid-19, la malattia provocata dal virus SARS-CoV-2.

L’allarme potrebbe presto riguardare anche le maschere C-PAP (acronimo di Continuous Positive Airway Pressure)
ospedaliere per la terapia sub-intensiva.

L’idea per far fronte alla possibile penuria di questo tipo di dispositivi,
che permettono di fornire ventilazione artificiale a un paziente con difficoltà respiratorie,
è venuta a un ex primario dell’Ospedale di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia
(uno dei Comuni italiani più colpito dall’emergenza coronavirus).

Il progetto del dottor Renato Favero è tanto semplice quanto geniale:
si tratta di costruire una maschera respiratoria d’emergenza riadattando una maschera da snorkeling full face già in commercio.


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Le maschere EasyBreath di Decathlon
«Settimana scorsa il dottor Favero si è presentato da noi per proporci l’idea.
Era venuto a conoscenza della nostra azienda attraverso un medico dell’Ospedale di Chiari,
struttura per la quale stavamo realizzando con stampa 3D delle valvole d’emergenza per respiratori»,
racconta al Corriere della Sera Alessandro Romaioli, 28 anni, ingegnere dei materiali di Isinnova,
azienda bresciana specializzata in progetti innovativi che qualche giorno fa è stata citata dai media di tutto il mondo
proprio per le sue valvole per respiratori stampate in 3D.
«Abbiamo analizzato la proposta con il dottore e abbiamo concluso che la maschera Easybreath di Decathlon
fosse quella che si prestava meglio alle nostre esigenze, dal momento che è molto diffusa:
da Decathlon ci hanno detto che ne hanno decine di migliaia a magazzino, e ci hanno fornito il disegno CAD del prodotto».

I raccordi di collegamento
Ci sono volute tre ore di lezione affinché l’ex primario riuscisse a spiegare nei dettagli ai cinque ingegneri di Isinnova
che lavorano ancora in ufficio (in totale sono 14) come avviene la respirazione all’interno di una maschera C-PAP.
«A quel punto abbiamo smontato e studiato una delle maschere di Decathlon per valutare le modifiche da fare.
Infine abbiamo progettato e stampato in 3D i raccordi di collegamento tra la maschera e tubi ospedalieri standard.
Abbiamo realizzato dei prodotti il più commerciali possibile, in grado di adattarsi alla maggior parte dei tubi usati negli ospedali».

La corsa contro il tempo
Alcuni prototipi della maschera Decathlon con i raccordi di Isinnova sono quindi stati testati all’Ospedale di Chiari.
«Il progetto funziona. La Protezione Civile di Brescia ha già acquistato 500 maschere da Decathlon.
Noi ci occupiamo di fornire i raccordi, gratuitamente. Abbiamo chiesto aiuto a vari stampatori 3D della zona,
perché da soli non riusciamo a stare dietro a una domanda simile», prosegue il 28enne.
«Attorno a questa iniziativa si è creata una rete di solidarietà impressionante, che all’estero ci invidiano»,
aggiunge Cristian Fracassi, 36 anni, ceo e fondatore dell’azienda.
«Non siamo abituati a lavorare a questi ritmi e con questa pressione addosso: un minimo errore può costare vite umane.
Sto dormendo quattro ore a notte e ho perso cinque chili in otto giorni… Ma nello stesso tempo siamo davvero felici di poter essere d’aiuto».


Un prodotto per le emergenze
Isinnova ha condiviso sul proprio sito le istruzioni per costruire il raccordo tra maschera e tubi ospedalieri,
ribattezzato “valvola Charlotte” in onore della moglie di Fracassi (che si chiama Carlotta).
«Per impedire eventuali speculazioni sul prezzo del componente abbiamo deciso di brevettare in urgenza la valvola,
che stanno già testando in varie strutture. Ma il brevetto rimarrà ad uso libero, in modo che tutti gli ospedali possano usufruirne»,
sottolinea Romaioli.

Un altro tema che l’azienda sottolinea è il fatto che il dispositivo costituisce una soluzione estrema:
«Tutte le maschere C-PAP ospedaliere hanno svariate certificazioni, la nostra no:
è un prodotto modificato artigianalmente, per sopperire alle emergenze.
Bisogna sempre preferire quello certificato».

Prima di usare la maschera inventata dal dottor Favero insieme agli ingegneri di Isinnova
i pazienti devono infatti firmare una dichiarazione scritta attraverso cui accettano l’utilizzo di un dispositivo biomedicale non certificato.
 
Anche l’ultimo decreto firmato dal premier Giuseppe Conte l’ha confermato: nessuno stop alla produzione alimentare.

La filiera dunque prosegue il proprio lavoro.

È il caso anche del pastificio Rana e per questo motivo l’amministratore delegato Gian Luca Rana
ha deciso di varare un piano straordinario a favore dei propri dipendenti di aumenti salariali del valore complessivo di 2 milioni di euro.

Un riconoscimento dell’impegno dei 700 lavoratori che, nei cinque stabilimenti italiani del gruppo,
continuano a garantire la continuità nell’approvvigionamento alimentare.

Tra le misure previste, una maggiorazione dello stipendio del 25% per ogni giorno lavorato
e un ticket mensile straordinario di 400 euro per le spese di babysitting. Il piano,
che decorre in maniera retroattiva dal 9 marzo, coprirà anche il mese di aprile.

Gian Luca Rana ha inoltre deciso di stipulare una polizza assicurativa a favore di tutti i dipendenti del Pastificio Rana,
compresi quelli in smart working, in caso di contagio da Covid-19, a integrazione del rafforzamento
delle procedure di sicurezza e prevenzione già messe in atto dall’azienda per fronteggiare l’emergenza in corso.

Nei giorni scorsi poi l’amministratore delegato ha donato 400.000 euro per l’acquisto di apparecchiature per la ventilazione assistita.
Le attrezzature sono state destinate all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e all’Ospedale Pederzoli di Peschiera del Garda, in provincia di Verona.
 
La Fed annuncia una serie di nuove misure a sostegno dell’economia e per facilitare il funzionamento dei mercati finanziari.

Fra queste acquisti illimitati di Treasury e altri titoli, ovvero la possibilità di un quantitative easing illimitato
, ma anche nuove misure per fornire alle imprese un accesso massiccio alla liquidità,
fornendo fino a 300 miliardi di nuove finanziamenti a datori di lavoro, consumatori e imprese.

È la mossa a sorpresa della Federal Reserve statunitense, a cui i mercati reagiscono subito con entusiasmo:
Milano torna a girare in positivo , con il Fste Mib a + 0,1%. Parigi +0,7%, Francoforte +1,45.
Positivi anche i Futures su Wall Street.

Intanto, il segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, annuncia che il piano per gli stimoli all’economia Usa vale circa 2.000 miliardi di dollari,
aggiungendo che « I ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali del G20 sono pronti ad agire per combattere il coronavirus».

In un comunicato la Fed ha spiegato che comprerà asset «negli ammontari necessari»
per facilitare una trasmissione efficiente della sua politica monetaria.

In precedenza la Fed aveva indicato un limite di 700 miliardi per gli acquisti di asset.

Nel comunicato i governatori sottolineano che per evitare le perdite di posti di lavoro e di reddito servono «misure aggressive.

Anche se resta una forte incertezza, è chiaro che l’economia si troverà a fronteggiare forti interruzioni.
Sforzi aggressivi devono essere presi nel settore pubblico e privato per limitare le perdite di occupazione e reddito e promuovere una rapida ripresa.

La Fed solo questa settimana acquisterà 375 miliardi di dollari di Treasury e 250 miliardi in titoli legati ai mutui.

Fra le misure della Fed anche la riapertura della Term Asset-Backed Lending Facility,
il TALF, usata nel 2008 e che ha consentito di espandere il credito a famiglie e imprese.
 
BERLINO – Lo scorso 29 febbraio un Boeing della Iceland Air proveniente da Monaco di Baviera atterrò a Reykjavik.

A bordo erano in maggioranza turisti islandesi, giovani soprattutto, di ritorno da una settimana bianca in Tirolo,
più precisamente a Ischgl, un borgo di 1500 abitanti della regione dell’Austria noto come il paradiso del dopo-sci.

Sottoposti al test del coronavirus, l’Islanda era già in modalità emergenza, molti di loro risultarono positivi.

Immediatamente il governo islandese dichiarò il Tirolo area a rischio.

Bastarono pochi giorni come per capire che quello islandese non fosse un caso isolato.

Uno dopo l’altro, notizie di persone contagiate dal Covid-19 dopo essere state in vacanza a Ischgl
cominciarono a rimbalzare in tutto il Nord-Europa, da Amburgo alla Danimarca.

Il 7 marzo le autorità norvegesi sottoposero al test un gruppo di turisti che erano stati in Austria nella seconda metà di febbraio.
Il giorno dopo Oslo fece un annuncio inquietante: 491 dei 1198 infettati della Norvegia erano stati a sciare in Tirolo, la maggioranza di loro a Ischgl.

Eppure, le autorità tirolesi per oltre una settimana negarono tutto con cinismo e arroganza:
«Dal punto di vista medico – dichiarava il direttore sanitario del Land, Franz Katzgraber – non è verosimile che il Tirolo sia stato focolaio di infezione».

La stagione sciistica doveva continuare. Nonostante l’allarme dei virologi, che da giorni mettevano in guardia da una catastrofe in fieri.
E nonostante l’Austria, primo fra i Paesi europei, annunciava la chiusura unilaterale delle sue frontiere a Sud.

Soltanto il 7 marzo, di fronte all’evidenza norvegese e al primo caso ufficiale di coronavirus nel villaggio, ammisero la possibilità.
Il contagiato era un tedesco di 36 anni che lavorava come barman al Kitzloch, la più celebre baita della movida locale.
Passarono però ancora tre giorni, prima che il locale venisse chiuso.

Quanto al resto del villaggio, business as usual: piste aperte, ski-lift operativi, alberghi in funzione.
Non bastò neppure che anche la Germania il 13 marzo dichiarasse il Tirolo zona a rischio, dopo che le autorità di Ostalb,
nel Baden-Wuerttenberg avevano lanciato un disperato allarme: 200 persone che erano state in autobus a Ischgl erano risultate positive al test.

Fu necessario aspettare il 14 marzo perché da Vienna arrivasse l’appello congiunto dei ministri della Salute e dell’Interno
a chiunque dal 28 febbraio si fosse trovato in Tirolo a mettersi in quarantena.

Incredibile ma vero, per tutto il fine settimana conclusosi domenica 15 febbraio,
alcuni impianti di Ischgl hanno continuato a funzionare.

Scene di caos sono state registrate una settimana fa, con centinaia di turisti stranieri che dopo l’annuncio
si accalcavano sui pochi bus a disposizione in partenza da Ischgl.

Nessuno di loro è stato sottoposto a test.

Molti hanno dormito domenica notte a Innsbruck, senza nessuna misura precauzionale di isolamento.

Ora finalmente il paesino è sigillato, non si entra e non si esce. Ma è tardi, troppo tardi.

A Ischgl si registrano quasi 400 contagi, il doppio di quelli di Vienna che ha 2 milioni di abitanti.
 
Perchè tutte queste cagate con il nord ?
Prima finisce qui meglio è, perchè quando arriverà al sud, saranno azzi amari
e gli infettati li manderanno negli ospedali del nord. E allora ?

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L’assessore piemontese alla sanità Icardi è furioso e minaccia di denunciare
il Commissario alla protezione civile nazionale per l’emergenza Domenico Arcuri ,
quello che ha parlato a Rai Tre di “Nove Aerei provenienti dall’Unione Sovietica”.

Il motivo è semplice: la Protezione Civile invece di dare priorità al Piemonte ed alle regioni del nord più colpite
per l’invio del materiale medico necessario, ha deciso di distribuire lo stesso ad altre regioni.

Quindi al Piemonte, invece che 5000 maschere per la respirazione assistita,
utili per mantenere i pazienti in una situazione, più gestibile, di pre-intensiva, ne ha ricevute solo 200.


Gli altri 4800 si arrangeranno, evidentemente, ma in compenso il Piemonte ha ricevuto materiale inutile e non richiesto.

Questa vicenda viene dopo il boicottaggio per l’ospedale emergenziale di Pero Rho ai danni della regione Lombardia,
e del boicottaggio della politica dei test di massa che inizialmente era stato intrapreso dalla regione Veneto,
oltre alle polemiche per le mascherine autoprodotte.

La sensazione netta che si riceve è che il governo Conte stia facendo una guerra non tanto nascosta
alle regioni del Nord che sono in mano al Centrodestra
.

Una guerra giocata e combattuta sulla pelle dei cittadini, negando aiuti, ritardandoli, mettendo i bastoni fra le ruote,
il tutto per cercare di creare delle inefficienze che poi l’opposizione politica locale dovrebbe cavalcare.

Perchè, diciamolo chiaro, i casi sono due:

  • la Protezione Civile boicotta le regioni per motivi politici, e dovrebbe cambiare commissario;

  • la Protezione Civile boicotta le regioni del nord per inefficienza, e dovrebbe essere commissariata diversamente.
Comunque vada il governo Conte sta facendo la guerra all’opposizione sulla pelle dei cittadini italiani.

Anche le uscite su FB improvvisate finalizzate a creare confusione, fanno parte di questa sporca guerra politica.

Quello che stupisce non è tanto che Conte, avvocato da battaglia,si comporti così, quanto che Mattarella gli regga il gioco.
 
Aggiornamento.

La mail che ho scritto ieri al giornalaio, non è stata pubbicata nella rubrica "ci hanno scritto"
ma non lo mettevo in dubbio. Il giornale al quale ho scritto è al servizio dei pidioti.
Loro danno dei fascioleghisti agli altri, ma sono i primi a non applicare i principi costituzionali

Libertà di pensiero e di parola.

Nel frattempo avevo scritto a Regione Lombardia per chiedere chiarimenti sull'ordinanza regionale..

Risposta :

"in relazione alla sua richiesta La informiamo che il DPCM, vieta di uscire di casa.
Si può uscire per andare al lavoro o per ragioni di salute o per altre necessità, quali, per esempio, l’acquisto di beni necessari.
Si deve comunque essere in grado di provarlo, anche mediante autodichiarazione che potrà essere resa su moduli prestampati
già in dotazione alle forze di polizia statali e locali. La veridicità delle autodichiarazioni sarà oggetto di controlli successivi e la non veridicità costituisce reato."

Anche questi conoscono poco il principio costituzionale. E l'Italiano scritto.

A prescindere dal fatto che io avevo questo il chiarimento sulla base di quanto scritto nell'ordinanza regionale
e non su un Decreto Presidente Consiglio Ministri, ma - anche in questo caso - nessun decreto "vieta di uscire di casa".

E adesso vado a riscrivere loro. E' una questione di principio.
 

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