VOLEVO DIRE ALLE COSE BELLE, CHE ARRIVANO QUANDO MENO TE LO ASPETTI, CHE IO NON LE STO ASPETTANDO.

Lo scoppio della Grande Recessione ha accelerato una tendenza consolidata all’accrescimento
della volatilità borsistica, finanziaria e produttiva che l’interconnessione tra le economie ha finito per esacerbare.

La famosa domanda dalla Regina Elisabetta II ai vertici del governo inglese dopo i primi fallimenti bancari negli Stati Uniti
e gli effetti a cascata che investirono il Regno Unito (“come avete fatto a farvi sfuggire tutto questo?”)
nella sua semplicità è l’uovo di Colombo dell’economia contemporanea, di cui il Fmi è l’organismo rappresentativo per antonomasia.

L’ipocrisia che vuole incidere nella pietra presupposti economici dettati da logiche prettamente politiche
(dalla necessità del contenimento della spesa all’utilità delle misure di austerità per ridurre i debiti dei Paesi)
porta a costruire modelli compiacenti che si scontrano con la realtà, tutt’altro che immanente e variegata
nei diversi contesti in cui un Paese si trova nel momento di un boom o di una crisi economica.


La stessa idea che sia il gioco delle aspettative razionali a determinare gli andamenti di lungo periodo
e la concezione degli agenti economici come enti perfettamente capaci di capire cosa massimizzi la propria utilità
è un’assunzione arbitraria elevata a dogma a partire dagli Anni Settanta.

Frederich von Hayek, nel discorso di accettazione del Nobel per l’Economia del 1974, sintetizzò il problema in maniera emblematico:

“Questa visione ha conseguenze paradossali…, infatti riguardo al mercato ed alle strutture sociali abbiamo una grande quantità di fatti non misurabili
che come tali vengono semplicemente trascurati considerando come rilevante solo ciò che è misurabile che rappresenta la minima parte delle informazioni che servono…
Come professione abbiamo combinato un grande pasticcio”.

Fu profeta inascoltato.

E il Fmi odierno testimonia come le problematiche da lui sollevate siano tutt’altro che superate dalla realtà odierna.
Con grave pregiudizio delle nazioni a cui la principale organizzazione economica internazionale propina le sue “ricette” anticrisi.
 
Leggi un articolo dei giornalai, ascolti uno psedo indipendente programma tv ,
sempre 'sta parola "sovranismo". Ma che .azzo vuol dire ? Cosa ha di così spregievole ?

Ma cosa significa 'sovranista' e perché genera timori tra le forze moderate?

Secondo la Treccani l'aggettivo sovranista indica "chi, in politica, sostiene il sovranismo".
Ovvero, si tratta di un "neologismo utilizzato per indicare chi aderisce al sovranismo,
dottrina politica che riconosce il potere sovrano di una nazione o di un popolo, non assoggettabile a nessun'altra autorità esterna".

Sempre per la Treccani, il sovranismo è
"la posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato,
in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione".

Un esempio recente, secondo Bernard Henry Levy (Vi ricordate l'articolo su questo coglionazzo della scorsa settimana?)
"Brexit è la vittoria non del popolo, ma del populismo, è la vittoria, in altri termini, del sovranismo più stantio e del nazionalismo più stupido".

Il sovranismo, dal francese souverainisme, secondo la definizione che ne dà l'enciclopedia Larousse, è una dottrina politica che

"sostiene la preservazione o la ri-acquisizione della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato,
in contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali".

Il sovranismo, in particolare,
"si oppone al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato nazionale a un organo internazionale,
processo visto come una minaccia all'identità nazionale o come attentato ai principi della democrazia e della sovranità popolare".

In Italia sono due le formazioni politiche che si rifanno espressamente al sovranismo.
"Siamo cittadini che avvertono l'esigenza di una riscoperta collettiva dei valori costituzionali.
Ci poniamo come obiettivo la riconquista della sovranità nazionale in ogni sua forma,
attraverso il ricollocamento della Costituzione al vertice dell'ordinamento. Siamo persone che cercano convergenze più che scontri".

Ed io dico. Cosa c'è di male a sostenere la propria Nazione ?
Contro gli interessi dei neo-capitalisti globalisti, che mirano a ridurre il popolo alla posizione prona ?
 
Ultima modifica:
Cosa dire ? Dai, suvvia, piantatela di dire stronzate. Piantatela con questo buonismo da 4 soldi.
Volete fare qualcosa di buono ? Andate ad aiutare i barboni che trovate ad ogni angolo di strada.
Andate ad aiutare i padri separati, disperati, senza lavoro che dormono in auto.
La gente normale è stufa di queste castronerie. Ha già tanti problemi da risolvere.

«Non lo vedrai in tivù», scrive Matteo Salvini in calce al video che posta sul suo profilo Facebook:
e sicuramente le immagini che riprende e pubblica della Sea Watch sono immagini in aperta controtendenza
con quanto acclarato e denunciato ieri dai tre deputati in missione bipartisan sulla nave della Ong tedesca battente bandiera olandese.

Sicuramente non vedremo pletore di buonisti radical chic o corazzate di Brancaleoni dem
stracciarsi le vesti e accapigliarsi in tv sulle immagini di quei migranti africani al sole, in attesa,
sull’imbarcazione ancorata in un mare placido al largo di Siracusa, protagonisti del video postato dal ministro dell’Interno
che smentisce quantomeno il rischio di condizioni meteo avverse in cui fluttuerebbe la corazzata della Ong tedesca.

Del resto, come scrive lo stesso leader del Carroccio nella didascalia a corredo del breve filmato pubblicato su Facebook,
i tigì e la sinistra ci raccontano di mare in tempesta, di un freddo cane e di bambini a bordo…
Come no, guardate voi!!! Io vedo uomini a torso nudo, mare calmo, cuffie e telefonini…
Non cambio idea: in Italia si arriva rispettando le regole, altrimenti STOP».

Certo, in questo momento l’obiettivo è sbloccare la situazione Sea Watch.
E il piano su cui l’esecutivo sta lavorando riguarda allora due fronti aperti principali.
«Siamo impegnati su due cose – ha confermato ancora ieri sera il vicepremier Luigi Di Maio, ospite di Massimo Giletti su La7 – :
sul produrre i documenti per sequestrare questa imbarcazione e sul far arrivare in Olanda queste 47 persone».

E sottolinea: «Il governo olandese è ambiguo. Se Sea Watch non batte la loro bandiera lo dica, vorrà dire che è una nave pirata e come tale sarà sequestrata».

Una dichiarazione, quella del leader pentastellato, che arriva alla fine di una giornata, quella di domenica,
in cui tre parlamentari – (il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, il radicale Riccardo Magi di +Europa e Stefania Prestigiacomo di Forza Italia) –
sono riusciti a salire sull’imbarcazione con i migranti a bordo: una delegazione “in missione” auto-gestita e auto-promossa che,
per il ministro, «non hanno rispettato le regole sanitarie, non quelle di Salvini», come ha ricordato lo stesso vicepremier dai microfoni di Rtl 102,5.

Una domenica impegnativa e due fronti aperti sul caso “Sea Watch”
Una domenica decisamente più impegnativa di altre, per l’esecutivo giallo-verde, e per Salvini in particolare che,
parlando da Sulmona, ha ribadito che «i porti sono e rimangono chiusi», aggiungendo che
«le tv dicono che c’è questa nave al largo di Siracusa con onde alte 7 metri e bambini al freddo
e io devo ringraziare quei parlamentari geniali dell’opposizione che sono andati a far vedere che non ci sono donne e bambini ,
ma mare calmo, cuffiette, telefonini e ragazzotti a torso nudo. Tornino da dove sono venuti».
 
Ma dai ......

«Un giorno da pecora» ironizza su un intervento in aula della deputata del M5S | Corriere Tv

Nata a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, 32 anni, diploma di istituto tecnico commerciale e impiego presso un patronato,
la deputata del M5S Teresa Manzo è la protagonista di uno dei momenti più esilaranti dell’ultima puntata di «Un giorno da pecora»,
trasmissione satirica di Rai Radio 1, con Giorgio Lauro e Geppi Cucciari
 
Siamo nel pomeriggio del 23 gennaio e il piccino sta giocando con degli amichetti nel cortile di casa della nonna.
Casey però a un tratto scompare. Nessuno lo vede più. L’allarme è immediato e le ricerche cominciano subito.
Interviene anche il Fbi perché l’ipotesi investigativa che viene fatta è la più terribile: quella del rapimento. Reato federale.

La giornata era molto fredda e il piccolo Casey non portava vestiti pesanti.
Immediatamente sono scattate le ricerche, con elicotteri, droni, unità cinofile e sommozzatori, ma del bambino nemmeno l’ombra.
Più passavano le ore più aumentava la preoccupazione, anche perché la temperatura era scesa a -20 gradi centigradi
e, con quel freddo e le forti piogge, le ricerche a un certo punto sono state costrette a fermarsi. Si è cominciato a temere il peggio.
Ma il giorno dopo, a sorpresa, alcuni volontari hanno sentito un pianto e individuato il punto:
i soccorritori hanno dovuto infilarsi nell’acqua gelida, immergersi fino alla vita, ma hanno avvistato il piccolo
e lo hanno ritrovato aggrovigliato in un cespuglio spinoso, bagnato fradicio ma in un buono stato:
aveva qualche graffio ma stava sostanzialmente bene e, oltre a un bicchier d’acqua, voleva solo riabbracciare la madre.

Inevitabile chiedersi come avesse fatto un bambino di tre anni, con quel freddo, a resistere due giorni in mezzo al bosco.
Glielo ha chiesto anche Chip Hughes, sceriffo della contea di Craven, e la risposta, come riferito dalla stampa americana, lo ha lasciato stupefatto:

«Ha detto di avere un amico nei boschi, che era un orso e che è rimasto con lui».
 
I suoi interventi «contundenti», molto espliciti e diretti nei contenuti e nel linguaggio,
hanno trasformato in breve tempo Alberto Forchielli in un «personaggio da talk show».

L’ultima invettiva in ordine di tempo, che ha scatenato un acceso dibattito social,
è avvenuto domenica alla trasmissione di La7 «Non è l’Arena»:
nella circostanza le critiche di Forchielli hanno avuto come bersaglio i giovani che studiano scienze politiche,
definita «una laurea che non serve a niente».

Ma chi è il personaggio e perché la sua popolarità è così in crescita?

Nato a Bologna 63 anni fa, figlio di un docente universitario sopravvissuto alla ritirata di Russia,
Alberto Forchielli affianca da anni l’attività di imprenditore e consulente a quella di divulgatore e commentatore.
Uscito dalla Business School di Harvard, ha collaborato con il ministero degli Affari Esteri, con l’Iri,
con Finmeccanica, con decine di multinazionali e gruppi bancari.
Ha colto al volo le due principali opportunità offerte dalla globalizzazione: l’apertura dei mercati internazionali, in particolare quello cinese e la rivoluzione dei new media.
E’ fondatore della Mandarin Capital Partners, un fondo d’investimenti che - si legge nella home page del sito -
«crea collegamenti tra medie aziende europee e partner commerciali ed industriali cinesi» con sedi a Milano, Lugano, Hong Kong e Francoforte.
Scrive di economia e politica sul suo blog personale (albertoforchielli.com) e sul sito «Piano Inclinato».

Come detto, oltre alla competenza in campo professionale, Forchielli deve il suo successo alla capacità
di usare un linguaggio molto diretto e congeniale tanto al mezzo televisivo quanto ai social.

«Muovete il culo!» è il titolo del suo ultimo libro pubblicato nel 2017 e dedicato - si legge nella scheda su Amazon -
«alla generazione dei trentenni, rassegnati e letargici, aiutandoli a scegliere fra andare all’estero o restare,
e in tal caso combattere per cambiare un Paese che non fa nulla per regalare un futuro ai suoi figli».

Suoi bersagli non solo sono la classe politica (tutta, senza distinzione partitica) ma anche gli italiani:

«Più della metà degli italiani è costituito da analfabeti funzionali. Siamo il Paese più ignorante d’Europa.
E’ chiaro che le istituzioni e i partiti riflettano lo stato demenziale di questo Paese»

ha dichiarato nell’aprile scorso alla trasmissione Omnibus.
Un malato senza rimedio? No, secondo il consulente
«il futuro dei giovani si crea attraverso lo studio, l’istruzione, l’arricchimento non mandando quattro fagiani in pensione».
 
Andrew J. Bacevich è uno dei maggiori esperti di relazioni internazionali viventi.
Il suo curriculum parla chiaro: professore emerito di relazioni internazionali e storia presso l’Università di Boston,
si è laureato presso l’Accademia militare degli Stati Uniti a West Point.
Successivamente, ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia diplomatica americana presso la Princeton University.


Firma prestigiosa di The American Conservative e autore di diversi saggi sulla politica internazionale,
Bacevich è uno che la guerra l’ha conosciuta anche sul campo di battaglia e non soltanto sui libri:
tra il 1970 e il 1971, infatti, ha combattuto come ufficiale dell’esercito nella guerra del Vietnam,
per poi servire il suo Paese in Germania nell’11esimo Reggimento di Cavalleria Motorizzata e nel Golfo Persico.
Si è ritirato con il grado di colonnello.


Da sempre contrario all’interventismo sponsorizzato dai neoconservatori e dai liberali,
il professore antimilitarista originario dell’Illinois è stato uno dei più celebri critici dell’intervento americano in Iraq nel 2003:
una guerra nel quale il colonnello perse un figlio, militare anche lui.

Con Andrew J. Bacevich abbiamo discusso della politica estera dell’amministrazione Trump e del futuro dell’America.


Il 18 dicembre scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annunciava la sconfitta dell’Isis
e l’imminente ritiro dei circa 2mila soldati delle truppe speciali Usa ora stanziate in Siria.
Dichiarazioni che hanno scatenato un coro di critiche e polemiche:
“L’establishment criticherà Trump su qualsiasi cosa” commenta Bacevich.

“La reazione al ritiro annunciato dalla Siria ne è un esempio.
Sarebbe fuorviante dire che oggi c’è un ‘partito della guerra’ negli Stati Uniti.
È più corretto affermare che abbiamo un’élite di politica estera che rimane devota a un concetto di ‘leadership globale’ che è obsoleto”.
I membri di questa élite , prosegue, “non hanno imparato nulla dai fallimenti della politica statunitense dall’11 settembre”.

I maggiori critici del paventato ritiro dalla Siria sono proprio i democratici.
Come ha documentato Gleen Greenwald in un articolo pubblicato su The Intercept,
la maggioranza dei repubblicani è a favore del disimpegno americano dai teatri di guerra,
al contrario degli elettori liberal-democratici, i quali, invece, vorrebbero che gli Stati Uniti continuassero a essere “il gendarme del mondo”.

“I liberali – spiega il professore – non possono comprendere il fatto che l’ordine mondiale
che è esistito tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio della guerra globale al terrore non esiste più.
Rifiutano di accettare il fatto che viviamo in un periodo in cui gli Stati Uniti non sono più la sola superpotenza”.
 
L’annunciato ritiro, però, ha mostrato anche una certa confusione nell’amministrazione Trump.

Il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha subito precisato che avverrà solo
se saranno soddisfatte determinate condizioni mentre il Segretario di stato Mike Pompeo, poco prima di recarsi in Medio Oriente
, ha spiegato che il ritiro rappresenta un “cambio tattico” ma non mutua l’impegno americano contro “il Califfato dell’Isis a livello globale”
e soprattutto non cambia a strategia statunitense nei confronti dell’Iran.


“Nell’amministrazione Trump – osserva Bacevich – non esiste una posizione politica coerente.
Il presidente cambia spesso idea o si contraddice. I suoi subordinati obbediscono solo in modo selettivo e in disaccordo tra loro.

La Siria offre un buon esempio di questo”. Quanto alla guerra statunitense in Afghanistan, il colonnello di Normal, Illinois, osserva:
“Gli Stati Uniti hanno fallito in Afghanistan, ma la sicurezza nazionale è alla ricerca di modi per mascherare quel fallimento.
In definitiva, sarà lasciato al popolo afghano decidere il proprio destino. I risultati immediati saranno probabilmente brutti”.

La posizione di Bacevich sulla Federazione russa è simile a quella di altri illustri accademici americani come John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt.

Anche per il professore, che si definisce un “cattolico conservatore”, l’Occidente è sprofondato in un antagonismo ingiustificato verso il Cremlino.
A cominciare dalla militarizzazione dei confini orientali dell’Alleanza Atlantica:

“Espandere la Nato fino ai confini della Russia è stato un enorme errore” spiega.
“Ora ne stiamo pagando le conseguenze. L’Ucraina deve essere neutralizzata.
Non sarà facile. Ma l’obiettivo politico più ampio deve essere evitare l’inutile antagonismo con la Russia”.
 
Scusate, ma sempre peggio.

"Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana in gestazione".

"Dopo aver fatto questo fallimento, che è l'aborto, c'è la misericordia".

"Per questo ho voluto allargare a tutti i sacerdoti e non solo ad alcuni la possibilità di assolvere dall'aborto"
 
Una premessa.
Mai sono stato a Davos (così come al Festival di Sanremo, l’equivalente nostrano del Forum, con Claudio Baglioni in versione George Soros )
e temo di non avere più l’opportunità di andarci, ma li ho vissuti tutti come un imperdibile divertissement in purezza.

Quello di quest’anno è stato il massimo del divertissement (versione triste), vedremo dopo il perché.
Intendiamoci, non è difficile partecipare.
Se andate sul sito del World Economic Forum capirete che è facile, basta scucire un maxi obolo iniziale,
cioè una quota associativa da 60.000 a 600.000 franchi, con una serie di supplementi di importi variabili,
alcuni non specificati (idea scicchissima quella di pagare al buio un prodotto sconosciuto).

Se non si hanno limiti di spesa, Davos è pure divertente, è bello vivere questa caccia al tesoro all’incontrario:
ti prendono via via i soldi dandoti in cambio fuffa incipriata.

Quando finalmente entri in una delle sale (spesso la più cheap perché sei stato tirchio sui supplementi)
sarai ottusamente felice, come solo può esserlo un populista ricco (mia definizione digitale di élite).
Vuoi mettere sentire dai top del capitalismo occidentale le stesse banalità che leggi sui giornali o vedi in tv, ma dal vivo?

E spesso in un inglese stentato o benigni-style o decapitato da accenti bolognesi o bangladesh?
Comunque l’idea di partire da un fisso molto alto che ti dà diritto di pagare una serie di supplementi altrettanto alti è veramente geniale.
In cambio hai però, appunto, la possibilità di ascoltare dal vivo i personaggi più noti della politica e dell’economia,
i “competenti”, il meglio del peggio dell’umanità, cioè gli inventori e i gestori del Ceo capitalism birbante.

Anni fa ho scelto di esserci ogni anno senza pagare neppure un franco.
Due giovani, uno svizzero, uno italiano (sono lì come addetti ai bar e ai ristoranti)
mi relazionano (non sui gossip erotico-politici: non mi interessano), ma sull’atmosfera rarefatta,
su episodi marginali che io cerco di verificare se sono segnali deboli o meno.
Sono i miei avatar in un luogo finto dove l’unica cosa vera è la neve.

Quest’anno, quando mi hanno detto che era prevista una serata di “fitness politico psicologico”
(mia definizione del progetto di un consulente motivazionale di Hong Kong), cioè la simulazione del dramma dei rifugiati, non c’ho creduto.
Possibile che i “competenti”, travestiti e piangenti, giocassero al “Piccolo Profugo”?

Per giorni ho pensato che fosse una fake news, ci ho creduto solo quando ho visto la foto
di un cartello a sfondo blu con in alto lo stemma del WEF, al centro una freccia bianca di indicazione della location,
sotto la dicitura “A Day in the Life of a Refugee/ Private Car/ Pick-up/ The Loft/Exit”.
Prima di scriverci il Cameo ho però atteso che la foto dei miei due avatar fosse confermata
da un’agenzia: stesso cartello ma con un kapò della Securitas preso di spalle.
Allora mi sono detto: il politicamente corretto ha colpito ancora, il suicidio morale e politico dei miei amici (e mio) è prossimo.

Poi sono arrivate foto incredibili di detentori di spicchi rilevanti del Pil occidentale,
finanzieri, imprenditori, immagino economisti di prima fascia, travestiti da profughi africani,
con le loro Madamin travestite da Federica Mogherini, a sua volta travestita da sorella di un ayatollah iraniano.
Li vedi in varie pose, con le mani alzate dietro al filo spinato, inginocchiati ai piedi di kapò neri o barbuti armati fino ai denti,
mentre si mettono in fila per prendere cibo da una sofferta ciotola di alluminio.
Manca la sboba, perché la cena (stellata) si fa in hotel, non nell’hotspot fra le nevi.

Lo confesso, sono un vecchio signore, un apòta, che del mondo delle élite ha visto tutto e il suo contrario,
ma mai mi ero vergognato come stavolta di far parte di questa oscena classe sociale.

Tornando umano mi chiedo: il 2019 sarà questo?
Dopo una buffonata colta giocando al profugo
, proprio nei giorni della Shoah,
cosa ti puoi attendere da una classe dominante debosciata che ricorda più il III secolo dopo Cristo
che non il Rinascimento digitale e globalista 2.0 che ci spacciano come prossimo da un quarto di secolo?

Capisco allora la Rete che si chieda: le Ong faranno anche loro parte di un gioco motivazionale
praticandolo però nel Mediterraneo anziché a Davos, in acqua anziché sulla neve?

Che fare? Sono troppo triste per reagire. Questa oscena volgarità dei “competenti” mi ha sconvolto, nel profondo.
 

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