2016

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  1. e' domenica sera....
    chi guarda la tv....
    chi legge un lbro.....
    chi sfoglia i forum.....
    ....x gli amanti del brivido fantascientifico.....
    ho una proposta......
    che ho trovato....sul web..scritta il 9 sett..ripresa il 12..
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    ve la propongo ..con copia incolla...
    buona lettura.........

    Il VIX è l’indice di borsa al contrario, più aumenta percentualmente più si avvicina la data dell’organizzato crollo definitivo della Borsa di Milano voluto e pensato degli hedge fund venditori allo scoperto e già fissato per il 19 -20 settembre 2016 avendo tutti gli indici di borsa fissata la scadenza mondiale delle opzioni il giorno 17 settembre 2016 (rilevabile dal sito – it.investing.com/indices/indici-futures – con cui gli hedge fund si coordinano) e che sarà attuato nel weekend nella notte tra venerdì 17 e sabato 18 e nella notte tra domenica 18 e lunedì 19 mediante vendite allo scoperto sui titoli bancari italiani e sulle aziende italiane da conquistare a prezzi stracciati (in primis ENI e Finmeccanica) per mano di una decina di hedge fund,
    speculatori anglo-americani e caucasici che appunto potrebbero vendere allo scoperto nelle due notti circa 100 miliardi di euro di titoli delle banche italiane e di ENI e Finmeccanica, determinando un ovvio crollo dei titoli bancari italiani (Unicredit, Intesa, Carsibo, Carige, MPS, Banco Popolare,… ) e di ENI e Finemeccanica esattamente per 100 miliardi di euro nelle mattine del 19 Settembre e 20 Settembre 2016.

    La stampa finanziaria controllata dagli stessi hedge fund dipingerà il crollo della borsa Milano del 19-20 settembre 2016 e di altre borse dei paesi “maiale” (PIIGS, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) in quanto dovuto a notizie (pretesto), per esempio che la FED non ha ancora alzato il tasso ufficiale di sconto, la stampa finanziaria così occultando che in realtà il crollo della borsa di Milano delle mattine del prossimo 19-20 settembre 2016 sarà dovuto unicamente invece a vendite allo scoperto avvenute nelle due notti precedenti probabilmente sulla borsa di Londra e su qualche altra borsa sfruttando il fuso orario, sui titoli bancari italiani e su altre aziende italiane, che saranno poi appunto acquistate a prezzi stracciati da società agli hedge fund riconducibili .

    Una parte delle vendite allo scoperto potrebbe avvenire anche sulla borsa di Milano a borsa di Milano chiusa nelle mattine del 19-20 settembre, dalle ore 8 alle 9, ora antecedente all’apertura della borsa di Milano in cui infatti le vendite allo scoperto sono permesse.

    La Consob sospenderà le vendite allo scoperto soltanto nella mattina del 19-20 Settembre 2016, quando ossia sono già avvenute .
    La stampa finanziaria definisce il VIX come “l’indice della paura” senza però mai spiegare cosa in realtà significhi : in realtà è l’indice che indica lo spasmodico bisogno di banconote cartacee in euro o in dollari delle banche del sistema bancario area euro-dollaro, sopratutto italiane in quanto de-capitalizzate il 16 Gennaio 2016 quando gli hedge fund stessi sono usciti dal capitale delle banche italiane facendosi rimborsare dalle banche stesse le azioni ( i giornali titolarono infatti il 16 Gennaio “bruciati 800 miliardi di euro” ) . Da quella data gli hedge fund con continue vendite allo scoperto e successivi immediati riacquisti (dipinti con notizie pretesto dalla stampa finanziaria come mini rally di borsa , in realtà trattasi soltanto di aumenti tecnici ) hanno deprezzato sempre più i titoli bancari italiani e di Eni e Finmeccanica Leonardo

    ....salto un pezzo....xche' troppo irreale.....

    ..continuo,...

    Domani 13 settembre i titoli bancari italiani, sotto l’effetto delle vendite allo scoperto che stanno ora avvenendo su altre borse, potrebbero perdere tra il il 2% ed il 3% , ma il 19-20 settembre 2016, sotto l’effetto di coordinate vendite allo scoperto che avverranno nel weekend tra il 17 ed il 18 settembre 2016, potrebbero perdere tra il 30% ed il 40% in soli due giorni, giungendo quasi a zero euro

    Unicredit, Intesa e Banco Popolare hanno già oggi un azione appena sopra i 2 euro, mentre l’azione MPS è già oggi a 0,2 euro, Carige 0,3 euro per azione, ormai quindi già oggi prossime a zero per azione, con un crollo del 30%/40% del prossimo lunedì e martedì è pertanto altamente probabile

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l'incontro dei ministri del petrolio non dovrebbe fermare l'eccesso di offerta

Prima dell'incontro dei ministri del petrolio dell'OPEC con i Paesi non membri del cartello previsto per la settimana prossima ad Algeri, i prezzi del greggio si sono mostrati nervosi. Anche se i dati nel complesso volatili sulle scorte in magazzino USA indicano ultimamente una leggera distensione e nonostante l'Iran abbia segnalato la sua disponibilità a collaborare alla stabilità dei prezzi petroliferi, ciò finora non è bastato per uscire dal canale ormai laterale da un mese malgrado il sostegno derivante dall'indebolimento dell'USD. Gli operatori del mercato restano scettici sul possibile esito del prossimo incontro, non da ultimo ricordandosi il fallimento del vertice petrolifero straordinario avuto luogo in primavera. Scetticismo che riteniamo opportuno, visto che i segnali da Teheran sono incoerenti e la disponibilità alla collaborazione può trasformarsi di nuovo nel contrario letteralmente nel giro di una notte. Infatti è un dato di fatto che l'Iran mira a un ampliamento della quantità prodotta dagli attuali pressoché 3.6 milioni di barili/giorno a oltre 4 milioni; obiettivo che però intende impedire l'Arabia saudita, sua nemica giurata e sovrana dell'OPEC. Al contempo, sarebbe proprio il petrolio saudita più pregiato a beneficiare dei prezzi più elevati del greggio, dato che Riad guadagnerebbe un margine di manovra maggiore per la concessione di ribassi. A sua volta, questa opzione non è affatto nell'interesse di Teheran. Nonostante tutte le dichiarazioni di intenti, la situazione resta intricata. Il nostro scetticismo è altresì da ricondurre alla poca disponibilità a dolorosi compromessi che potrebbero mostrare gli altri membri dell'OPEC. A fronte del prezzo del greggio costantemente basso gli Stati membri producono a pieno regime per compensare i margini più ridotti: a un livello di 33.7 milioni di barili/giorno, il cartello è stato promotore in agosto di un nuovo record massimo – solo da inizio anno la produzione è cresciuta di 745'000 barili al giorno. Affinché a fronte dei bilanci domestici più rigidi gli Stati dell'OPEC chiudano un po' i rubinetti, i prezzi petroliferi dovrebbero salire in misura tale che i proventi restino nel complesso almeno uguali, ma ciò è poco probabile. E anche in una tale eventualità, considerati i prezzi petroliferi più elevati e dunque l'incremento delle possibilità di profitto, è solo una questione di tempo prima che i singoli membri producano più delle quote di estrazione concordate (l'OPEC non dispone di alcun meccanismo di sanzione). Di conseguenza, il risultato sarebbe una produzione a pieno regime delle pompe di petrolio. Pertanto, ci attendiamo il fallimento dell'incontro o un compromesso sulla quantità di estrazioni, ma solo a un livello tale che il corrente surplus di offerta sul mercato petrolifero non sia ridotto in misura considerevole. Ma anche nel caso improbabile di un accordo sostanziale ed efficace, le quotazioni del greggio non beneficerebbero dello slancio in maniera duratura, poiché come di consueto i fracker USA restano l'ago della bilancia. Ciò è segnalato altresì dal numero di pozzi di estrazione perforati, ma non completati (ossia i cosiddetti DUC: drilled but uncompleted wells), in cui sono già stati scavati gli strati rocciosi, ma il fracking effettivo e dunque l'estrazione di petrolio non sono ancora stati avviati. Un processo che necessita solo di pochi giorni e proprio per questo motivo rende i fracker degli offerenti di greggio troppo flessibili. Sebbene il numero di tali DUC sia diminuito dal culmine raggiunto a marzo, permane a livello elevato: ad inizio 2014 sussistevano pressoché 2'560 DUC, mentre ora 4'120 pozzi di estrazione perforati sono in attesa del fracking. Inoltre, di recente il rapporto tra i DUC e i pozzi di petrolio completati è di nuovo decisamente aumentato. Ciò significa che le imprese di fracking, che sono sopravvissute al crollo dei prezzi petroliferi, resteranno sempre più in stand-by, al fine di poter reagire immediatamente con l'ampliamento della produzione in caso di prezzi del greggio in rialzo. Al contempo, garantiscono una produzione di base nelle regioni estrattrici più produttive, il che si rivela redditizio grazie al marcato incremento dell'efficienza anche all'attuale livello di prezzi. L'eccesso dell'offerta dovrebbe dunque persistere in ogni caso.
 
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Più valori, meno bonus In un passato non così remoto i posti di lavoro in banca erano ambitissimi. I neolaureati delle migliori università facevano la fila a Wall Street e il mondo finanziario drenava quasi tutte le menti più brillanti uscite dalle facoltà di economia. Scene analoghe si ripetevano ovviamente nelle altre piazze finanziarie quali Londra, Francoforte, Zurigo o Ginevra. Negli anni ’80 dello scorso secolo nessun settore era in grado di tenere testa a quello finanziario in termini di gradimento e consenso. Le banche erano «in», o «fancy» come si direbbe oggi con un anglicismo di moda. Le banche godevano di un’elevata fiducia. Le banche erano funzionali al benessere di un’intera economia nazionale – questa almeno la credenza ampiamente diffusa a suo tempo. L’appeal del settore finanziario come datore di lavoro si rispecchiava poi in stipendi elevati, bonus stratosferici e formidabili prospettive di carriera. Oggi la situazione è notoriamente cambiata. È vero che in Svizzera UBS, seguita da Google, è ancora il datore di lavoro più ambito e apprezzato tra i neolaureati delle facoltà a indirizzo economico, ma probabilmente a incidere in modo decisivo sono soprattutto i livelli salariali e non più l’immagine in sé. Nel raffronto con gli altri settori le banche offrono ancora – e si sottolinea «ancora» – stipendi molto interessanti, anche per i neoassunti. Ma la buona reputazione è un asset che ormai ha fatto il suo tempo. Nel 2016, in Svizzera, tra 12 settori selezionati quello bancario presentava la terza peggiore reputazione. Anche il commercio al dettaglio o il comparto dei trasporti/logistica, entrambi non esattamente noti per le migliori condizioni di lavoro, si sono collocati in posizioni migliori in graduatoria. E in Germania già nel 2014 nessuna banca rientrava più nella Top 10 dei datori di lavoro più apprezzati e ambiti dai giovani al primo impiego. Al vertice assoluto si collocava BMW, e nella percezione dei candidati il settore automotive appariva in generale estremamente attraente. Nel frattempo, anche questo comparto sembra ben avviato ad annichilire la propria reputazione in maniera irreversibile. Il dieselgate presenta infatti molti punti in comune con lo scandalo subprime. Ma torniamo al settore bancario. La crisi finanziaria del 2008 ne ha ulteriormente accelerato l’erosione di immagine. Il classico trader, per anni segretamente ammirato e invidiato per i suoi redditi astronomici conseguiti sui parterre borsistici, è divenuto l’«uomo nero» della situazione, che con le sue speculazioni ha portato l’intero sistema economico sull’orlo del baratro e ha dovuto essere salvato dai contribuenti. Da allora i grandi istituti finanziari devono lottare con la morsa sempre più stretta delle istanze normative e con le limitazioni sempre più stringenti a cui sono sottoposte le loro attività. Peraltro, da un lato il gettito fiscale generato dalle grandi banche è da tempo irrisorio o addirittura nullo (se mai fosse stato cospicuo), ma dall’altro lato le retribuzioni sono rimaste su livelli principeschi – soprattutto per i ranghi di alta dirigenza. E ciò in aperto contrasto con la redditività degli istituti o con il loro andamento borsistico. Attenzione puntata sui costi Il fatto che il pachidermico apparato normativo faccia lievitare i costi è incontrovertibile. Ma nel banking gli stipendi restano la maggiore voce di spesa. I tagli salariali sono di norma un tabù, se non qualcosa di inconcepibile man mano che si sale lungo la scala gerarchica – per via della concorrenza, si sottolinea di continuo. E con una motivazione di assoluto candore: altrimenti ben presto i collaboratori migliori andrebbero persi. Ma i grandi istituti sono comunque destinati a perdere questo gioco contro il tempo, in quanto mancano idee in grado di accrescere la creazione di valore in una prospettiva di lungo periodo. Non è un caso che in occasione di un convegno bancario tenutosi la scorsa settimana si sia parlato quasi esclusivamente di costi e non di salari. Il settore punta tutto su digitalizzazione, blockchain e social media, prestando così il fianco alla falange tecnologica nella speranza di un miracolo di produttività. Ma così facendo rinuncia senza combattere a parti cospicue della suatradizionale creazione di valore. Viene ripetuto come un mantra che non è possibile perdere il treno della digitalizzazione, in quanto le esigenze dei clienti vanno proprio in tale direzione. E probabilmente è vero, ma c’è un problema: i nativi digitali hanno una disponibilità al pagamento prossima allo zero. Con sforzi e risorse notevoli e presentazioni in pompa magna vengono messi a punto tool che consentono di chiudere una relazione bancaria con un semplice clic e trasferire tutti gli asset presso un’altra banca – il tutto nel giro di pochi secondi. Qualcosa di molto simile al suicidio. Le banche sulla falsariga del settore edilizio Se i player di maggiore rilievo si impegnassero seriamente sul mercato a superare le aspettative dei clienti invece di puntare tutto sulla semplice soddisfazione delle stesse a fronte dei minori costi possibili, la partita della concorrenza si giocherebbe sul campo della creazione di valore e non su quello dei costi. Anche in quel caso – e questo è un dato di fatto – numerosi istituti sarebbero destinati a uscire dal mercato, ma i superstiti potrebbero almeno operare in modo più redditizio rispetto ad oggi. Invece sembra proprio che le banche siano avviate a imboccare il percorso intrapreso dal settore edilizio svizzero dopo il crash immobiliare degli anni ’90. Durante la razionalizzazione strutturale protrattasi per oltre un decennio, l’edilizia ha perso e/o rinunciato a circa tre quarti della propria redditività in un contesto di accanita concorren-za. Prima sono arrivate le disposizioni normative che hanno fatto lievitare i costi, poi la catena di creazione di valore è stata spezzata dalle imprese generali. E, nonostante fortissimi incrementi della produttività, il settore non è stato più in grado di compensare questa perdita di creazione di valore. Nel frattempo resta soltanto una magra consolazione: il settore edilizio paga ancora oggi salari superiori alla media. I guadagni degli imprenditori sono invece irreversibilmente lontani dai picchi massimi di un tempo. È giunto il momento di occuparsi della soddisfazione dei clienti e non dei punti base da guadagnare sul loro portafoglio. Così, non sarebbero necessari nemmeno tool per estinguere le relazioni bancarie in modo istantaneo. Del resto, una relazione che viene chiusa per SMS probabilmente non è mai stata così profonda.
 
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Anche negli Stati Uniti la politica della Banca centrale continua a stabilire le regole del gioco. Con un forte indice dei responsabili degli acquisti per il settore dei servizi, le aspettative di aumenti dei tassi sui mercati sono ancora leggermente aumentate. La probabilità di un aumento dei tassi della Fed a dicembre è superiore al 60% secondo i mercati a termine su tassi. La prossima settimana anche il verbale dell'ultima riunione della Fed mostrerà che la tendenza per un aumento dei tassi ancora nel corso di quest'anno si è rafforzata. Considerando la volatilità dei mercati finanziari noi prevediamo però solo un aumento dei tassi nel 2017. Il lieve aumento delle previsioni sui tassi ha fatto precipitare il prezzo dell'oro. La soglia di USD 1'300 per oncia è stata superata al ribasso per la prima volta da giugno. Agli attuali livelli prevediamo una stabilizzazione, poiché la preferenza degli investitori per i valori reali dovrebbe continuare e il temporaneo rialzo dell'USD dovrebbe fermarsi. Per contro, il petrolio ha mostrato un notevole rialzo, dopo che i paesi OPEC e la Russia sisono dichiarati disposti a marginali riduzioni della produzione. Ora però a questa intenzione devono seguire i fatti alla riunione OPEC alla fine di novembre. Prevediamo tuttavia che non ci sarà alcuna diminuzione o solo una riduzione insufficiente dei quantitativi d'estrazione e ci aspettiamo che le quotazioni del petrolio entro la fine dell'anno si trovino di nuovo sotto USD 50 al barile di Brent
 
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Di recente, l'oro è stato nettamente sotto pressione e all'inizio del mese ha dovuto subire una forte correzione. I dati congiunturali di nuovo più robusti degli USA hanno ulteriormente fatto salire le aspettative implicite sui mercati a termine di un prossimo aumento dei tassi della Fed ancora nel corso di quest'anno. Ciò ha fatto crollare il prezzo dell'oro, poiché nel caso di un effettivo aumento dei tassi il metallo giallo nel favore degli investitori subirebbe una relativa perdita di attrattiva. Infatti, un investimento in oro oltre all'andamento del prezzo non offre alcun altro potenziale di rendimento, cosicché rispetto agli investimenti a reddito fisso non è in grado di trarre profitto da un aumento del livello dei tassi. Inoltre, in genere un aumento dei tassi USA va di pari passo con un rafforzamento dell'USD, il che ha anch'esso un effetto negativo per l'oro, poiché il suo prezzo, negoziato al di fuori dell'area dell'USD, aumenta.
vero che in linea di massima l'oro in periodi di tassi in aumento mostra un andamento dei prezzi meno positivo rispetto alle fasi di un calo dei tassi. Tuttavia si può constatare che la maggiore performance dell'oro (da aprile 2004 a luglio 2006) è stata registrata durante un aumento dei tassi, mentre il maggiore calo dei prezzi del metallo giallo (da aprile 1989 a settembre 1992) ha coinciso con un calo dei tassi. Diventa quindi chiaro che il prezzo dell'oro non si può spiegare in modo sufficiente solo con il livello dei tassi e il corso dell'USD. Per i mercati finanziari hanno un'influenza anche l'offerta e la domanda, gli effetti patrimoniali, l'inflazione o i fattori di rischio. E al momento proprio alcuni di questi ultimi sono attualmente presenti, il che è favorevole all'oro come tradizionale valuta rifugio. In questo contesto continuiamo a raccomandare un'elevata quota di oro, che – a seconda della preferenza dell'investitore – può essere attuata mediante diverse classi di valute
 
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Circa tre mesi dopo la storica decisione dei britannici di uscire dall'Unione Europea, nel Regno Unito la congiuntura si presenta in uno stato sorprendentemente robusto. In modo sorprendente per molti osservatori del mercato gli indicatori per l'economia britannica hanno registrato solo un temporaneo barcollamento dopo il plebiscito a sfavore dell'UE. Il sondaggio dei responsabili degli acquisti (PMI) per l'industria manifatturiera (settembre) si attesta sul buon livello di 55.4 punti dopo che l'indice, a seguito della reazione iniziale alla decisione sull'uscita, a luglio era crollato a 48.2 e quindi nettamente al di sotto della soglia di espansione. Anche il PMI dei servizi che comprende l'importante settore finanziario, dopo la caduta nella zona di contrazione in luglio, si è ripreso e per il momento riesce a mantenersi comodamente al di sopra della soglia dei 50 punti. Nonostante tutte le previsioni pessimistiche le imprese nel Regno Unito sembrano quindi guardare al futuro con una certa fiducia. Malgrado questo umore complessivamente ottimista, restano ancora numerose incertezza riguardo all'ulteriore evoluzione della congiuntura britannica. Infatti anche se non ci attendiamo un crollo, la Brexit, che si delinea dura – ovvero la perdita dell'accesso al mercato interno dell'Unione Europea – e le connesse incertezze, dovrebbero comunque portare, seppure con un certo ritardo temporale, a uno o più segni di frenata nell'economia britannica, il che dovrebbe mantenere sotto pressione la sterlina. Tuttavia quanto più a lungo dura la debolezza della GBP, tanto più si riduce il potere di acquisto dei consumatori britannici a seguito dei maggiori prezzi per i beni di importazione. Non sorprende pertanto che in Gran Bretagna negli ultimi tempi anche il tasso dell'inflazione di fondo, che non tiene conto dei prezzi dell'energia e degli alimentari, sia salito con una dinamica crescente e nel frattempo si attesti su un tasso annuo dell'1.5%. Un minore potere di acquisto alla lunga tuttavia penalizza il PIL, motivo per cui restiamo prudenti riguardo alla futura produzione economica britannica. Così come la sensibile spinta, dovuta alla valuta, per l'industria (di esportazione) britannica non deve necessariamente essere duratura. Infatti proprio il periodo prima e durante la crisi finanziaria di circa dieci anni fa mostra che un valore esterno debole di una valuta non rappresenta ancora un criterio sufficiente per una dinamica industriale positiva di un'economia nazionale. Così, allora, anche se la sterlina britannica, ponderata su base commerciale, perdeva circa il 20% del valore, la produzione industriale britannica subiva un calo di quasi 14 volte maggiore rispetto per esempio a quello dell'industria svizzera, benché il CHF nello stesso periodo si fosse addirittura apprezzato dell'8%. A penalizzare ulteriormente l'industria britannica si aggiunge inoltre il fatto che essa è dominata in gran parte da gruppi stranieri. Le case automobilistiche giapponesi e USA producono infatti i loro veicoli per il mercato europeo nel Regno Unito. Qualora l'uscita dall'UE dovesse comportare degli ostacoli commerciali all'introduzione dei prodotti britannici nel mercato interno dell'UE, non si può escludere un'emigrazione di questi settori. Infatti l'importante mercato continentale europeo potrebbe venir servito anche dai convenienti paesi dell'Europa orientale. Tuttavia prima che si giunga eventualmente davvero a questo punto, i prodotti della Gran Bretagna beneficiano ancora di una maggiore competitività sui mercati mondiali, il che si rispecchia anche nella performance dell'indice di riferimento britannico.
 
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Di recente, l'USD si è nettamente rivalutato. Ponderato su base commerciale, il biglietto verde è aumentato nettamente con l'ulteriore incremento delle aspettative di un aumento dei tassi della Fed a dicembre. Tuttavia, proprio questo rafforzamento dell'USD ha allo stesso tempo un elemento probabilmente frenante per l'ulteriore dinamica della normalizzazione dei tassi. Infatti non si può escludere che la Fed rimanderà il prossimo aumento dei tassi indicando come motivazione i rischi congiunturali causati da un USD più forte. Tuttavia, fino a quando la
Fed esiterà, per il momento rispetto al CHF l'USD non dovrebbe forzare la parità e i tentativi di sforamento, come già molte volte quest'anno, dovrebbero fallire poco al di sotto del livello psicologicamente importante.
Il forte USD ha invece molti più effetti sul CNY. Infatti, per il suo fixing giornaliero la PBoC si basa su un paniere di diverse valute. Se l'USD, come avvenuto ultimamente, si rivaluta rispetto a tutte le valute all'interno di questo paniere, la logica conseguenza è un indebolimento del CNY rispetto all'USD: L'USD/CNY quota nel frattempo al livello più elevato da oltre sei anni. È difficile valutare se e in che misura questa debolezza del CNY è nell'interesse di Pechino. Attualmente la PBoC sembra concentrarsi su oscillazioni più piccole possibili del CNY rispetto al paniere valutario per impedire deflussi di capitale.
L'aumento dei tassi della Fed, le discussioni di un tapering della BCE, il nervoso GBP – sui mercati delle divise non sono pochi i focolai di disordine. Quanto alle valute principali, nei confronti del CHF prevediamo poco potenziale e attualmente l'EUR sembra ben protetto verso il basso, mentre per quanto riguarda l'USD non prevediamo uno sforamento al rialzo
 
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La scorsa settimana, lo scandalo di Hillary Clinton, ritenuto superato, riguardante l'utilizzo di un account privato di e-mail per il traffico ufficiale di e-mail durante il suo mandato di Ministro degli esteri USA ha preso una piega sorprendente. L'annuncio del Direttore dell'FBI, James Comey, di occuparsi ancora della questione, ha riacceso la battaglia elettorale che si trova nella fase finale, dando un aiuto al candidato repubblicano, Donald Trump, ritenuto sconfitto. Pertanto, dal punto di vista politico, la corsa per la Casa Bianca dovrebbe diventare ancora avvincente, ma dal punto di vista del mercato la modificata situazione di partenza determina tuttavia un aumento dell'incertezza. Infatti, alla diffusione delle notizie la tendenza rialzista dell'USD ha subito un sensibile freno e ha registrato un calo rispetto a diverse valute principali – come per esempio rispetto all'euro. Anche per le azioni si è registrato un piccolo calo dei corsi. La svolta nello scandalo delle e-mail ha lasciato il segno USD/EUR e S&P 500 nel giorno della comunicazione della nuova indagine delle mail di Clinton (ora legale orientale)
A nostro parere, concludere da questi movimenti che i mercati puniscano il nuovo leggero miglioramento delle possibilità elettorali di Donald Trump e che reagiscano per così dire contro Trump, non è tuttavia lecito. Si vede piuttosto una volta di più che il generale aumento dell'incertezza sui mercati finanziari non è apprezzato. Quando la media dei sondaggi elettorali sull'intero territorio federale dopo la scoperta di un video con osservazioni indecenti di Trump indicava un crescente vantaggio di Hillary Clinton, i mercati sembravano sempre più convinti di una vittoria della candidata democratica e l'incertezza sull'esito dell'elezione sembrava quindi ampiamente rimossa. Il fatto che secondo i sondaggi Trump sia in grado di recuperare qualcosa, mentre Clinton si trova di fronte a una riduzione del suo vantaggio rende l'esito elettorale di nuovo un po' più aperto. Tuttavia, come spesso si è riscontrato in passato, risultati incerti dei sondaggi determinano insicurezza tra gli investitori. Sulla base della volatilità dell'indice di riferimento USA un aumento del nervosismo sul mercato azionario ha coinciso per lo più con risultati incerti dei sondaggi – e viceversa. Anche se attualmente i vantaggi sono sempre a favore di Hillary Clinton, l'esito elettorale non è ancora chiaro, soprattutto non nei decisivi Swing States. E non da ultimo anche il risultato del referendum sulla Brexit invita a una certa prudenza per quanto riguarda i dati dei sondaggi. Prevediamo quindi, che l'agitazione per quanto riguarda le azioni durerà a breve termine o aumenterà addirittura ulteriormente. Proprio in questo contesto caratterizzato dall'incerto esito elettorale si raccomanda un impegno in prodotti con barriera, che fino a certo livello di correzione offrono una copertura del capitale (protezione del capitale condizionata) e in caso di mercati volatili offrono interessanti possibilità di rendimento.
 

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