2016 (1 Viewer)

mariougo

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ll 23 giugno, in Gran Bretagna si terrà il referendum sulla permanenza nell'Unione europea. Nelle ultime settimane, i sondaggi non mostravano alcuna chiara tendenza. I sostenitori e gli oppositori di una «Brexit» sono quasi alla pari, con un'elevata percentuale di votanti indecisi. Due anni fa, in occasione del referendum sull'indipendenza della Scozia la situazione di partenza era simile. A quel tempo, la maggioranza degli indecisi optò alla fine per la permanenza nel Regno Unito. Nel complesso il 55.3% aveva votato contro l'indipendenza. In linea di massima prevediamo un risultato del genere anche per il referendum UE. Un buon mese prima del referendum, l'esito rimane però molto incerto. Altrettanto incerti rimangono i possibili effetti sui mercati finanziari e soprattutto sull'economia della Gran Bretagna. Fino al 2009, un'uscita, nel regolamento dell'UE, non era nemmeno prevista. Solo nell'ambito dell'allargamento a est dell'UE è stata concessa ufficialmente questa possibilità nell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, secondo cui un membro può formalmente presentare richiesta del desiderio di uscita. Da quel momento, entro 2 anni si deve trattare sulle condizioni con gli altri 27 paesi membri. Di conseguenza, in caso di una decisione «Brexit» non ci sarebbe alcun processo automatico. Questo processo dovrà essere avviato probabilmente da un nuovo governo britannico. E anche allora l'orizzonte di 2 anni non è vincolante. I partner della trattativa possono concordare una proroga. Dopo una decisione degli elettori a favore di un'uscita passerebbe quindi un po' di tempo prima che vi sia più chiarezza sul percorso delle trattative. Qui sono possibili a grandi linee le seguenti direzioni: 1. Modello del Liechtenstein: appartenenza allo spazio economico europeo (SEE), senza integrazione politica ma con acquisizione automatica dei regolamenti UE. 2. Modello svizzero: regolamentazione delle relazioni commerciali tramite specifici trattati bilaterali, con ampia accettazione dei regolamenti UE. 3. Modello turco: unione doganale, in gran parte limitata al commercio di merci. 4. Modello OMC: disposizioni riguardanti il diritto commerciale secondo le regole internazionali dell'Organizzazione mondiale del commercio OMC, con più ampi ostacoli tecnici al commercio e accesso molto limitato ai servizi. Per i modelli elencati il grado dell'integrazione economica diminuisce dall'alto verso il basso, mentre aumenta la sovranità politica. Poiché i sostenitori di un'uscita criticano soprattutto la regolamentazione imposta da Bruxelles, nel caso di una «Brexit» la direzione delle trattative della Gran Bretagna dovrebbe andare verso il modello svizzero o turco, poiché altrimenti in futuro i regolamenti UE dovrebbero comunque essere accettati senza partecipare alle decisioni. Quanto però meno impegnativi dovessero essere gli accordi commerciali, tanto maggiori sarebbero le possibili perdite per le aziende britanniche, che risentirebbero delle limitazioni dell'accesso al mercato con il principale partner commerciale UE – soprattutto nell'importante settore dei servizi. Ciò dovrebbe frenare anzitutto anche gli investimenti delle aziende extraeuropee, che producono in Gran Bretagna per il mercato europeo. Non si sa neppure se la Gran Bretagna effettivamente potrà raggiungere una maggiore sovranità nella determinazione delle condizioni commerciali e se una regolamentazione autonoma migliorerà le condizioni per le aziende nazionali. È inoltre probabile che le controparti UE nelle trattative seguano una linea dura per non offrire a nessuno degli altri 27 paesi membri un incentivo a seguire questo esempio. A seconda delle ipotesi, quindi, le stime dei costi risp. del vantaggio di un'uscita variano enormemente. Esistono estreme differenze nei modelli di calcolo dell'effetto a lungo termine sul PIL britannico e la maggioranza prevede perdite nette nella parte bassa di una percentuale a una cifra. Le previsioni di conseguenze negative soprattutto per la Gran Bretagna si riflettono nella sterlina. Dalla fine dell'anno scorso, la valuta britannica ha perso circa il 10% rispetto all'euro. L'effetto frenante dell'incertezza si è riflesso inoltre in un netto peggioramento della fiducia delle imprese in Gran Bretagna, mentre finora nell'Eurozona non si riscontra alcuneffetto negativo . Un sì alla «Brexit» dovrebbe rafforzare ancora questo andamento, mentre un voto contro l'uscita dovrebbe determinare una ripresa
 
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mariougo

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tutti in Europa sanno ormai che non basta la volontà per creare un'unità. Esattamente come tutti sanno che i politici preferiscono parlare di visioni invece di occuparsi solamente di problemi quotidiani, per quanto possano essere urgenti. Ciò che conta è la grande immagine. Nel frattempo però anche gli economisti corrono il rischio di guardare troppo avanti nel futuro. Ma non per percepire qualcosa del glamour che circonda i visionari, i cosiddetti ricercatori di tendenze. Se gli economisti dell'FMI ritengono di dover dilazionare i debiti della Grecia fino ad una data tanto remota da sembrare un'eternità e limitare i pagamenti degli interessi fino un massimo dell'1.5%, allora si tratta davvero di una misura disperata, esattamente come la speranza che la Grecia possa realizzare in media un avanzo primario del 3% nei prossimi anni. Malgrado le massicce critiche all'atteggiamento dei finanziatori europei, l'FMI, secondo gli ultimi risultati delle trattative, sembra essersi lasciato convincere nuovamente a partecipare finanziariamente al terzo programma di aiuto. Questo però solo dietro promessa non vincolante, che nel 2018 i crediti dell'FMI dei primi due programmi di aiuto vengano rimborsati tempestivamente. Questa mossa strategica non cambia nulla all'entità dei debiti della Grecia. L'ottimismo è l'ultimo a morire. Sui mercati finanziari regna in genere anche ottimismo, in realtà, forse, si dovrebbe dire: quasi solo. Infatti gli investitori azionari sanno che un portafoglio azionario ben diversificato alla lunga batte qualsiasi altra categoria d'investimento in fatto di performance. Contrariamente alla politica, in borsa, l'ottimismo è conseguentemente un po' più vicino alla realtà. Chi ha investito in azioni a inizio anno, ad esempio nel mercato svizzero, e oggi registra valori negativi del dieci per cento, deve quindi «solo» aspettare che il mercato riprenda il cammino verso nuovi picchi. Ciò può del resto prender tempo. È noto che la borsa è anche un indicatore di ciò che avverrà nel prossimo futuro. L'andamento dei corsi dall'estate scorsa diffonde quindi solo poco ottimismo. Anche se il mercato si è leggermente allontanato dal minimo annuale, esso continua ancora inutilmente a cercare terreno fertile. Esso resta ancora imprigionato nella gabbia delle discussioni sull'aumento dei tassi, della trappola del debito e della globale debolezza della crescita. Quest'ultima potrebbe peraltro frenare il mercato anche a lungo termine. È infatti prevedibile che l'economia mondiale non riesca più proseguire la crescita degli anni scorsi. Ma questo finora non ha praticamente penalizzato l'ottimismo degli analisti azionari. Anche nell'anno in corso le revisioni degli utili sono state per lo più al ribasso. Pur trattandosi di una tradizione, fatta eccezione per gli anni di crollo, le previsioni sugli utili pronosticate sono sempre eccessivamente ottimistiche e vengono adeguate nel corso dell'anno. E attualmente alcune società stanno battendo per lo meno queste prognosi riviste al ribasso, cosa di cui gli operatori di borsa ancora si accontentano. Ma per il momento, non ci si può aspettare di più. La febbre acuta di fusione, il sempre minore effetto delle iniezioni di liquidità delle banche centrali e il fatto che le società vogliono mantenere elevato l'umore degli azionisti con dividendi in parte eccessivi, segnala più la fine di un ciclo che non l'inizio di una nuova era. Niente contro troppo ottimismo, ma gli elevati tassi di crescita dell'economia mondiale dopo la crisi delle dotcom praticamente non sono più realistici, in troppi paesi i potenziali di crescita sono minori rispetto a quelli di allora. La Cina ne è l'esempio più famoso. Prima che la borsa lo abbia elaborato, ci vorrà ancora un po' di tempo, ma poi ci sarà senz'altro di nuovo più spazio per l'ottimismo, realistico, non visionario.
 

mariougo

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le preoccupazioni per l'economia mondiale potrebbero senz'altro mandare a monte i piani della Fed, anche se attualmente non sono al centro dell'attenzione del mercato e ultimamente si è diffusa la fiducia sui mercati azionari . La Cina rimane un importante fattore d'incertezza. Il forte aumento degli investimenti delle aziende statali cinesi ha stabilizzato a breve termine la congiuntura a scapito di nuovi debiti e di un esubero di capacità. Tuttavia, il rallentamento strutturale della crescita continua ancora. Le aspettative del mercato per i prossimo sondaggio sulla fiducia di Caixin sono pertanto di nuovo poco ottimistiche. Secondo il consenso, il PMI per l'industria manifatturiera dovrebbe diminuire leggermente e rimanere per la quindicesima volta sotto il livello di 50. Inoltre, la prossima settimana sono previsti anche i dati sulla fiducia per gli altri grandi paesi emergenti. Gli indici dei responsabili degli acquisti per Giappone e Eurozona per maggio sono già noti. Dall'inizio dell'anno, il PMI del Nikkei si è costantemente indebolito e con 47.6 si trova ora a un minimo pluriennale. Anche dopo il risultato del PIL più forte del previsto nel T1 le previsioni per l'economia giapponese rimangono quindi poco esaltanti. Ulteriori misure da parte della BoJ rimangono in programma, non da ultimo perché il tasso d’inflazione è negativo. Nell'Eurozona, a sua volta, il Composite PMI è rimasto quasi invariato, proprio come gli indici sulla fiducia delle imprese per Francia e Italia. L'indice tedesco Ifo ha sorpreso positivamente. Nel complesso, i dati europei continuano però a indicare solo una moderata ripresa congiunturale. Giovedì prossimo ciò dovrebbe essere confermato anche dalla BCE durante la riunione del Consiglio, che dovrebbe svolgersi relativamente senza avvenimenti di rilievo. Gli acquisti di obbligazioni societarie cominciano a giugno e ulteriori misure politico-monetarie non sono attualmente previste. Sui mercati azionari europei, l'accordo di principio tra l'Eurogruppo e l'FMI sui crediti alla Grecia ha creato un umore positivo. L'FMI parteciperà probabilmente al terzo pacchetto di aiuti. L'Eurogruppo ha a sua volta confermato di verificare fra due anni riduzioni indirette del debito per la Grecia, tra cui una proroga dei termini di rimborso. Il rischio che la Grecia in estate non riceva alcun credito per gli aiuti e quindi si trovi in grave difficoltà di pagamento è pertanto diminuito.
 

mariougo

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dall'08.06 BCE acquista obbligazioni societarie

Come previsto, durante la riunione di giugno la BCE non ha deciso alcun'altra misura, poiché prima vuole osservare l'effetto delle decisioni già comunicate. A marzo era stato annunciato che da giugno al programma di acquisto di obbligazioni (QE) si sarebbero aggiunte anche quelle societarie. Saranno acquistate obbligazioni denominate in EUR con solvibilità da buona a molto buona (da AAA a BBB-) di almeno una delle agenzie di rating riconosciute. Le durate residue vanno da 6 mesi a 30 anni. La società madre può anche essere un'azienda al di fuori dell'Eurozona. Le obbligazioni degli istituti di credito e dei gestori patrimoniali sono escluse dal programma. Non esiste alcun volume minimo di emissione e sono accettate anche le obbligazioni con tassi negativi (ma più elevati del tasso sui depositi dell'attuale -0.4%). La BCE non comunicherà in anticipo quanto verrà acquistato, ma lo pubblicherà in seguito. Il solo QE non basta per investimenti reali in aumento Secondo l'ultimo verbale della riunione, la BCE si è occupata in modo approfondito di come le aziende beneficeranno del denaro a buon mercato. L'obiettivo del programma è di riuscire a «rafforzare maggiormente l'effetto degli acquisti di titoli del sistema euro sulle condizioni di finanziamento nell'economia reale». Ossia si spera negli investimenti, che nell'EZ mostrano già una tendenza leggermente rialzista. . Entrambe le aree economiche hanno beneficiato del calo dei tassi, l'EZ addirittura in misura maggiore. Ciononostante, gli investimenti in impianti negli USA sono aumentati più rapidamente. Debole aumento nonostante il calo dei costi di finanziamento Investimenti lordi in impianti, società non finanziarie; rendimenti alla scadenza di obbligazioni societarie (BBB), in % Fonte: St. Louis Fed, Eurostat, Datastream, Raiffeisen Research Fitch Ratings indica acquisizioni e rifinanziamenti come due scopi principali delle nuove emissioni nel 2016. Evidentemente, i bassi costi di finanziamento da soli non sono sufficienti a stimolare adeguatamente gli investimenti in impianti. A seguito delle prudenti previsioni congiunturali e di imminenti rischi politici, le società dell'Eurozona rimangono sempre caute. Beneficiano anche obbligazioni non interessate dal QE Il programma di acquisti fa sì che la domanda di obbligazioni aumenti con conseguente diminuzione dei rendimenti alla scadenza, talvolta addirittura in territorio negativo. Per un terzo dei titoli di stato dei paesi industrializzati le perdite sono garantite, se i titoli vengono mantenuti fino al rimborso. Perfino alcune obbligazioni societarie con durate residue fino a 3 anni hanno rendimenti inferiori allo zero. Nella ricerca di rendimenti maggiori, gli investitori vengono spinti anche verso i segmenti obbligazionari che non vengono acquistati dalla BCE. La differenza di rendimento tra le obbligazioni in euro di elevata e di bassa qualità si è nettamente ridotta regalando notevoli guadagni soprattutto anche alle obbligazioni di bassa qualità del credito
 

mariougo

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Dopo le turbolenze borsistiche nel T1, la congiuntura globale non ha vacillato, ma rimane senza slancio e vi sono ancora rischi, soprattutto provenienti dalla Cina. Come una delle poche grandi economie, nel 2016 l'Eurozona dovrebbe crescere leggermente di più. La Svizzera continua tuttavia a trarne profitto solo limitatamente – a seguito delle conseguenze dello shock del franco. Le grandi preoccupazioni per la crescita dell'economia mondiale all'inizio dell'anno si sono di nuovo ridimensionate nel T2. Soprattutto la stabilizzazione della congiuntura in Cina, dovuta alle ampie misure di stimolo del governo, ha calmato i mercati finanziari. I deflussi di capitale dal Regno di Mezzo sono nettamente diminuiti. Anche i timori di un atterraggio brusco dell'economia USA sono passati in secondo piano. Nel T1 si è registrata solo una debole crescita del PIL USA. L'indice dei responsabili degli acquisti (ISM) ha però superato di nuovo il livello di 50 punti e ultimamente anche i migliori dati sui consumi hanno creato un maggiore ottimismo. Anche la ripresa del prezzo del petrolio ha migliorato l'umore. Con circa USD 50 al barile, molte imprese USA di fracking possono lavorare di nuovo in modo redditizio. Continuano però a mancare impulsi per una sensibile ripresa dell'economia mondiale e i rischi rimangono elevati. In Cina per esempio, le spese statali non hanno accelerato la crescita economica, ma hanno solo impedito un maggiore rallentamento. Il forte aumento degli investimenti delle aziende statali ha stabilizzato a breve termine la congiuntura a scapito di nuovi debiti e di un esubero di capacità. Tuttavia, a parte questo il rallentamento strutturale della crescita continua ancora. L'incertezza sulla futura velocità del rallentamento può provocare in qualsiasi momento di nuovo turbolenze sui mercati. Anche la congiuntura USA è sempre esposta a ostacoli. La debole domanda globale e altri fattori, quali il forte USD e il prezzo del petrolio complessivamente sempre basso, continuano a penalizzare la produzione industriale. Quest'anno, il contributo alla crescita dell'economia mondiale dovrebbe diminuire per la prima volta dal 2013. Comunque, la resistenza del consumo non segnala alcuna flessione più forte. Per le grandi economie sviluppate, nel 2016 solo nell'Eurozona si delinea una leggera accelerazione della crescita, supportata da un consolidamento della domanda interna. Tuttavia, l'espansione continua a rimanere solo moderata. Un importante motivo è la debole domanda dai paesi emergenti. Il calo del PIL in Brasile e soprattutto in Russia non è più così marcato come nell'anno precedente. A seguito delle entrate sempre basse per le materie prime e dell'aumento della disoccupazione, la situazione rimane però tesa. In Brasile si aggiunge la forte incertezza politica, che con il presidente ad interim, Michel Temer, non è sensibilmente diminuita. Anche in Svizzera la ripresa congiunturale ha un andamento solo lento, come mostra la debole crescita del PIL nel T1. Ultimamente, la fiducia delle imprese è migliorata nettamente, lo shock del franco di gennaio 2015, provocato dalla BNS, continua tuttavia a svolgere i suoi effetti e non è ancora stato assorbito. Questo si sente soprattutto nell'industria, ma anche nel turismo e nel settore alberghiero. Per questo motivo, l'economia dovrebbe crescere anche nel 2016 solo di quasi l'1% In considerazione della moderata congiuntura globale, molte banche centrali continuano a essere propense ad allentare ulteriormente, se necessario, la politica monetaria, non da ultimo a seguito dell'inflazione sempre bassa. Attualmente, la BCE vuole tuttavia attendere l'effetto delle recenti misure prima di prendere in considerazione eventualmente altre. La Bank of Japan è invece sottoposta a forti pressioni all'azione a seguito della tendenza rialzista dello yen. Dopo che i timori di recessione negli USA si sono dissolti, ci si chiede ora soprattutto quando la Fed aumenterà ulteriormente i tassi. A nostro avviso, i rischi globali alternanti possono sempre fare una pausa più lunga anche alla Fed.
 

mariougo

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Può anche essere umano e forse proprio per questo è tutt'altro che ragionevole: per nostra natura siamo restii a confrontarci con domande spiacevoli. Rimandiamo i compiti difficili, fedeli al motto «Basta non farlo oggi». Si pensi solo alla dichiarazione fiscale. Conosco moltissimi seri professionisti che con essa sono sempre in ritardo, esattamente come i professionisti sui mercati. Spensierati studenti sui mercati finanziari Sui mercati finanziari tutt'al più supposti come altamente professionali le cose non vanno per niente meglio. Gli attori che vi operano si comportano con la stessa ingenuità di studenti moderatamente diligenti, che si godono quasi spensierati i loro divertimenti quotidiani, pur sapendo che gli esami sono alle porte e il tempo a poco a poco sta per finire. Appunto come i mercati finanziari, che nella seconda settimana di maggio hanno iniziato un rialzo inspiegabile, superiore al 7 per cento. Questo ha indotto molti a vedere di nuovo il mondo in rosa. Ma è noto che il tempo scorre in modo inarrestabile e già ci troviamo di fronte a un déja-vu, come nell'estate dello scorso anno. Anche allora la maggior parte dei professionisti della finanza sapeva che i greci avrebbero fatto fallimento a inizio luglio. Avevano ignorato anche il crollo borsistico in Cina e si cullavano in una sicurezza ovattata di liquidità, per cadere poi improvvisamente nel panico a ciel sereno. Ora siamo di fronte allo stesso modello. Giornali scandalistici e pettegolezzi per mancanza di conoscenze più approfondite Nessuno sa se i britannici voteranno a favore o contro la brexit e comunque, in nessun caso, quali potrebbero essere le conseguenze di un'uscita della Gran Bretagna – e per chi. Ma ciononostante, del tutto improvvisamente, regna il panico. Ciò che, oltre al recente cambio di umore, ha fatto traboccare il vaso, è stato probabilmente l'appello di ieri sul tabloid britannico «The Sun» che invitava seriamente i suoi lettori a votare per l'uscita dall'UE. Con il titolo: «SUN SAYS We urge our readers to beLEAVE in Britain and vote to quit the EU on June 23» il tabloid ora partecipa anche a determinare gli avvenimenti sui mercati. Ancora una volta questo dimostra come pensa la massa degli attori sui mercati finanziari: nervosamente e inquietamente, contro ogni ragione. Nell'immediato un'uscita della Gran Bretagna dall'UE non avrà infatti praticamente alcuna conseguenza, né per il paese stesso, né per l'UE. Il topo e l'elefante Un giornale scandalistico, che, tra l'altro, in passato ha incoraggiato i propri lettori a molestare un arbitro svizzero denigrandolo perché agli Europei 2004, a ragione, aveva annullato agli inglesi il goal della vittoria contro il Portogallo, facendoli così tornare a casa, non è sicuramente la misura delle cose. Il SUN è però efficace anche sui mercati e anche solo per la mancanza di idee, su cosa la brexit potrebbe effettivamente scatenare. Questa è di nuovo la tipica reazione dei mercati ovvero la paura dell'elefante davanti al topo. Il fatto che Bruxelles sia stata per così dire imbavagliata e su ingiunzione del primo ministro David Cameron si sia completamente tenuta fuori dal dibattito sulla brexit né tanto meno abbia fatto alcuna pubblicità a Londra a favore dell'UE, nasconde invece un più elevato contenuto di informazioni. Evidentemente il premier britannico ritiene che l'UE si possa vendere molto difficilmente agli esterni o a quelli che forse lo diventeranno (o lo vorrebbero). Attestato di povertà La paura del premier britannico di un roadshow di Bruxelles per la permanenza della Gran Bretagna nell'UE equivale a un attestato di povertà. E indifferentemente se ora la brexit avverrà o meno, il rapporto tra Londra e Bruxellese resterà difficile anche in futuro. Ma questa è una domanda con cui i mercati intendono confrontarsi solo dopo il 23 giugno. Tuttavia farebbero bene ad affrontarla prima del solito. Ma com'è tipico, il mercato si occupa di domande alle quali non è comunque in grado di dare risposta: I britannici usciranno e quali sarebbero le conseguenze? È pertanto più utile riflettere su ciò che si sa. Se Bruxelles crede quindi che un no alla brexit possa togliere la questione dal tavolo, questo si rivelerà essere un errore. Il solo fatto che un paese importante possa pensare di voltare le spalle all'UE, dovrebbe per quest'ultima essere motivo di riflessione. Invece di preoccuparsi del perché si sia giunti a questo punto, i funzionari di Bruxelles sperano solo che lo spettro si allontani presto, senza alcuna traccia di autocritica. Vaghe e comunque solo ipotetiche riflessioni riformistiche contraddistinguono l'attuale umore in un'UE alquanto divisa, che negli ultimi anni è decaduta a campo sperimentale di improvvisazione, ha perduto ogni credibilità ed è inoltre dipendente dall'aiuto di terzi nonostante violazioni di accordi e imbrogli. Ormai da tempo l'UE ha perso il potere e vive secondo il principio della speranza. Sperare in un no dei britannici, nella Turchia o in Mario Draghi: un bel attestato di povertà. I mercati lo sanno già, ma lo hanno anche già scontato?
 

mariougo

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65 anni fa, esattamente il 18 aprile 1951 i paesi del Benelux assieme a Germania, Francia e Italia firmarono il trattato che istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Ben sei anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e il crollo del Terzo Reich era questa la prima istituzione comune che valicava i confini in Europa. Questa unione, oltre ad avere una componente nettamente economica ne aveva di certo anche una politica. Tra gli obiettivi più significativi del potere esecutivo dell’epoca non vi era solo la ricostruzione dell’Europa ma soprattutto la pace. L’idea di unificare la produzione di acciaio tedesca e quella francese nacque per necessità. All’epoca l’industria del carbone e quella dell’acciaio erano per l’economia europea un settore fondamentale. Il tasso di occupazione in tale settore rappresentava un barometro per il clima vigente nel mercato del lavoro e per questo un punto chiave in politica. Fin da allora questi settori si mostrarono soggetti a crisi. Anche se i Tedeschi elogiavano a dismisura il loro acciaio “Krupp” e questa tendenza si trasferì se per poco all’acciaio svedese fu presto chiaro che questi settori erano ormai oltrepassati. Com`è noto ci furono tre grandi crisi che sancirono la fine della produzione dell’acciaio ordinario. Con il senno di poi, la CECA, non rappresenta altro che un paracadute aperto dai suoi membri per salvare un settore ormai in declino. Tuttora ne carbone ne acciaio figurano tra i beni di esportazione europei principali. Sono stati tenuti in vita artificialmente. La differenza per qualità la riescono a fare solo pochi offerenti di nicchia; redditizi ma piccoli. Altrimenti è unicamente il prezzo a guidare il mercato dell’acciaio e l’Europa ha pochissime sennonché nessuna possibilità. L’estrazione del carbone, nero quello dell’Ovest e marrone quello dell’Est, non ha mai rappresentato un ramo dell’economia competitivo bensì uno status politico. In qualche modo però, l’industria del Carbone riuscì a tenere insieme l’Europa. Così come oggi, solo che il carbone non viene più estratto ma somministrato sotto forma di denaro dalla BCE in dosi massicce al sistema bancario già cagionevole dove svanisce quasi completamente o va in fumo nei mercati finanziari. Morale della storia? La situazione dell’Europa nel settore dell’estrazione del carbone è generalmente conosciuta. L’Europa non è più da tempo tra i maggiori produttori. La Polonia, il maggiore produttore di carbone europeo (esclusa la Russia con 4.3% di partecipazione al mercato) si trova al 9° posto della classifica mondiale di produttori di carbone con una partecipazione al mercato minima di 1.5%). La Germania è all’11° con l’1.1%. La Cina estrae quasi la metà del carbone su scala globale, gli USA scarso il 13%, Indonesia e Australia rispettivamente ben 7% della produzione mondiale. Fermare il declino dell’industria del carbone non era possibile nemmeno con la CECA. Si è potuto solamente assistere alla sua dispendiosa sconfitta. Allo stesso modo non si è potuta salvare l’industria dell’acciaio ma unicamente prolungare la sua agonia rimettendoci somme di denaro ingenti. Anche se cercando su google «crisi europea dell’acciaio» si ottengono svariati risultati sarebbe più corretto cercare al plurale. Infatti, dopo la sottoscrizione della CECA non ci è stato un decennio in cui il settore - precisamente quello della produzione dell’acciaio ordinario - non sia stato sopraggiunto dalla crisi. La CECA fallì decisamente i suoi obiettivi (economici). Sulla base di un mercato comune si volevano dare degli impulsi positivi di crescita all’economia e così aumentare l’occupazione. In realtà la partecipazione al mercato della produzione di acciaio europeo diminuì drasticamente. Oggi l’EU28 ha una partecipazione di circa il 10% mentre la Cina di quasi il 50%. Si registra invece una partecipazione esorbitante per quanto riguarda la mancanza di produzione dovuta a scioperi legati alle tariffe e altro. Questa sembra essere la morale della storia. Quando l’Europa si unisce per salvare i deboli va(quasi) tutto storto e non solo col carbone. Stucco invece che carbone Oggi l’unione dell’Europa non è dovuta più al carbone bensì alla moneta unica. La scelta errata di una moneta comune viene difesa ad ogni costo anche se solo marginalmente e non nelle fondamenta e questo causa costi esorbitanti. Oggi, nella zona monetaria il denaro viene distribuito a destra e a manca per suscitare all’apparenza una comunità solidale con un grande futuro dinanzi a se che deve solo risolvere un problema temporaneo. Lo stucco sotto forma di libertà di scelta non viene però sostituito dalla moneta. La decisione dei Britannici a favore del Brexit mostra chiaramente i limiti di tale autonominata Comunità Solidale. Si vuole rendere l’uscita il più doloroso possibile. Chi esce paga, così tuonano a Bruxelles e soprattutto a Parigi. Le ragioni per la decisione della Gran Bretagna vengono messe in secondo piano poiché lo spazio monetario europeo e l’unione economica devono prevalere su ogni dubbio. Uscire dall’Europa eguaglia aver offeso la Regina in persona. Ma attenzione. L’UE farebbe meglio a mettere da parte il rancore, pensare approfonditamente e non mettersi ad urlare come è abituata a fare, poiché non è nell’interesse di nessuno isolare completamente le Isole Britanniche. Di ciò si è resa conto anche la signora Merkel che non ha preso parte all’attacco nei confronti dei Britannici. La Germania infatti genera quasi 50 miliardi di Euro in eccedenza solo con la circolazione delle merci verso e dal Regno Unito.
 

mariougo

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Dopo lo choc iniziale dovuto alla Brexit inglese, la speranza di altre misure da parte delle banche nazionali ha messo il vento in poppa ai mercati azionari. Come previsto, l’effetto di rimbalzo è stato di breve durata. L’incertezza e le preoccupazioni sulle conseguenze del voto sulla Brexit hanno di nuovo caratterizzato la settimana dei mercati finanziari. I crescenti timori di recessione e in particolare l’annuncio che, a causa della forte ondata di vendite, alcuni fondi immobiliari hanno deciso di interrompere fino a nuovo avviso la ripresa di parti di fondi, hanno ulteriormente e fortemente indebolito la sterlina inglese. La forte evoluzione negativa della sterlina ha agitato anche i mercati azionari globali e riattivato un movimento di fuga verso investimenti sicuri (p. es. in oro o in yen). Di conseguenza, il rendimento dei prestiti statali è ulteriormente calato. In Svizzera, ad esempio è sceso per la prima volta al di sotto dello zero anche il rendimento di un’obbligazione a 50 anni. Tutti i prestiti della Confederazione presentano quindi ora un rendimento negativo. In Germania e in Giappone gli interessi sono di nuovo scesi ancora più in basso. Questa tendenza negativa associata a una maggiore avversione al rischio hanno fatto inabissare gli interessi americani. Il rendimento del prestito Treasury a 10 anni è sceso al di sotto del record storico del 2013 e ammonta attualmente appena all’1,4%.
Prevediamo mercati ancora deboli in quanto le conseguenze del sì al Brexit non sono ancora prevedibili con precisione. Inoltre, da tempo sussiste una serie di focolai di rischio latenti che potrebbe accentuare in qualsiasi momento la volatilità dei mercati finanziari. Un esempio è il rallentamento della crescita in Cina,
messa negli ultimi tempi in secondo piano dai mercati. La prossima settimana sarà pubblicata la crescita del PIL cinese del secondo trimestre e si attende di nuovo un valore solo leggermente inferiore. Ciò non è tuttavia motivo di ottimismo in quanto si è dovuto procedere a un sensibile aumento delle spese pubbliche al fine di tenere il passo con la veloce crescita. Nel settore privato il sentiment è per contro attenuato e la propensione agli investimenti delle aziende non statali continua a scemare a causa delle prospettive incerte di crescita. L’indice manifatturiero di Caixin si mantiene quindi al di sotto della soglia di 50 punti e anche l’evoluzione della valuta cinese rappresenta un potenziale focolaio di rischio. Rispetto al dollaro americano e a livello commerciale, negli ultimi tempi lo yuan è stato chiaramente svalutato. Al momento non vi sono indicazioni su un afflusso rafforzato di capitali.
In linea generale non ci attendiamo o prevediamo pochi impulsi positivi dalla congiuntura globale per i mercati azionari. A nostro avviso non si giustificano scenari congiunturali d’orrore per l’Europa. I rischi di evoluzione negativa sono tuttavia aumentati dopo la Brexit. I dati più recenti del settore industriale tedesco hanno agitato il sentiment di mercato. Dopo il primo trimestre forte, nel mese di maggio le commesse in entrata e la produzione si sono indebolite più del previsto. Solo i dati congiunturali americani hanno superato le aspettative di mercato. Gli indici manifatturieri di ISM per l’industria di trasformazione e il settore dei servizi sono entrambi cresciuti. Associati alla ripresa nei consumi privati, consentono di prevedere un aumento più accentuato del PIL nel T2 dopo un inizio d’anno modesto. Considerato il contesto tuttora difficile per gli esportatori e l’industria ci attendiamo come finora una crescita leggermente inferiore sull’arco dell’anno.
 

mariougo

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Chi non conosce Charlie Chaplin e il suo film “Tempi moderni”, proiettato per la prima volta il 5 febbraio 1936? Sono ormai passati ottant'anni dal momento in cui il comico per eccellenza ha presentato la sua versione del progresso tecnico sotto forma di catena di montaggio, caratterizzata altresì dalla disoccupazione di massa quale conseguenza della Grande Depressione. Anche oggi viviamo in tempi moderni e il credo nelle possibilità infinite della tecnologia non è mai stato così grande. Nella storia dell’umanità più recente non vi è stata pressoché mai una generazione che non abbia creduto che oggi tutto sia diverso da prima. Difficile dire se sia anche meglio, dato che attualmente non sono molti a parlare ancora dei bei vecchi tempi, anche se non considerano che tutti i bei vecchi tempi sono stati un tempo altresì dei cattivi nuovi tempi. Charlot il vagabondo è un personaggio spiritoso con sceneggiature divertentissime. Tuttavia, per quanto esagerata possa essere stata, tale figura nasconde anche una buona dose di realtà. Alla massa di formiche operaie si contrappongono pochi capi che nei loro uffici si occupano delle loro attività più o meno “produttive”. Ad esempio il capo di Charlot tenta invano di comporre puzzle, si ritiene indispensabile, si considera un visionario ed è un convinto sostenitore del progresso. In realtà, però, è tremendamente annoiato nonché decisamente decadente. E ovviamente non ha alcuna idea della tecnica, ma ne è un fervido sostenitore. Questo ci ricorda quasi un po' il calcio, dove gli esperti pullulano. Solo che gli stabilimenti delle fabbriche non sono delle arene per le competizioni sportive e negli USA ve ne sono sempre meno. Il nuovo millennio moderno Tutto questo è avvenuto nel millennio scorso, e risale dunque – quantomeno tale è la percezione – a molto, ma molto tempo fa. Da allora una grande depressione come quella del secolo scorso non si è più verificata, se si misura la depressione considerando la disoccupazione (negli USA). D'altro canto, però, si moltiplicano le crisi finanziarie e con esse i debiti, rendendo nel frattempo il contesto molto depresso. Sono stati ben tre i crolli sui mercati finanziari che hanno avuto luogo in questo millennio praticamente appena iniziato. Solo sette anni dopo lo scoppio della bolla delle dot.com è sopraggiunta la crisi dei subprime negli Stati Uniti e quattro anni più tardi la crisi del debito europeo. E poco dopo ecco spuntare dietro l'angolo la rispettiva nuova edizione, che è stata solo presumibilmente bandita grazie ai “whatever it takes” (ossia “a qualunque prezzo”) di Mario Draghi. I tempi moderni di oggi sono soprattutto caratterizzati dagli aiuti per i salvataggi. Tuttavia, per me il progresso è qualcosa d'altro. Vengono infatti salvati soprattutto le grandi imprese, le compagnie aeree, le industrie automobilistiche, persino gli Stati, ma in particolare sempre più le banche. Le banche sono considerate in generale il focolaio del rischio di contagio. Su questo concordano tutti, come anche sul fatto che le grandi imprese possono rappresentare un rischio sul piano economico, dato che rappresentano il potere di mercato, il quale viene però anche spesso abusato. Il concetto “too big to fail” non è un fenomeno prettamente specifico delle banche, ma purtroppo le banche rimangono tuttora il polso dell'economia, la cui frequenza viene misurata ai casinò di questo mondo, ossia le borse. Progresso zero E tutto continua come prima, o come finora. Al momento sono le banche italiane a dover essere salvate, secondo gli esperti di grande esperienza anche qui nel nostro Paese. Le banche greche hanno “dovuto” essere salvate a più riprese, come è ben noto. L'argomentazione è sempre la stessa: se gli istituti finanziari colpiti dalla crisi non vengono salvati, o in gergo finanziario ricapitalizzati, sussiste il rischio di contagio ai quattro angoli del globo, poiché le interconnessioni del settore sono altamente complesse e al contempo altresì piuttosto poco trasparenti. Incombe la minaccia di una profonda recessione, di una disoccupazione di massa e di tutti i relativi problemi. Uno scenario che nessun politico vuole (e di cui ovviamente non intende assumersi la responsabilità). Pertanto, è meglio optare per un altro salvataggio, compreso quello della propria testa. Negli attuali tempi moderni non siamo riusciti a sradicare questa pericolosa costellazione. Naturalmente non è nell'interesse del settore finanziario cambiare qualcosa, perlomeno fino a quando le perdite potranno essere assunte dalla comunità e gli utili privatizzati – un disastroso automatismo, questo. Un po' più di progresso sarebbe davvero auspicabile negli attuali tempi moderni. Non si deve per forza arrivare fino a quel punto come nel film di Charlie Chaplin “Tempi moderni”. L'alimentazione automatica ha infatti fallito anche lì.
 

mariougo

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Prospettive settimanali #8 venerdì 29 luglio 2016 11:03:44 Raiffeisen Economic Research [email protected] Tel. +41 044 226 74 41 Focus: Gli investimenti dei Paesi emergenti si ristabiliscono ma restano rischiosi Due settimane dopo il golpe fallito in Turchia il mercato azionario locale quota circa il 10 % in meno. Anche la Lira, la valuta turca, ha riguadagnaato solo poco del terreno perso. Le preoccupazioni per le conseguenze economiche dovute alle turbolenze politiche sono al momento troppo grandi. Inoltre il paese ha un disavanzo corrente troppo alto di oltre il 4% del PIL e perciò dipende da flussi finanziari stabili dall’estero. La performance delle azioni da inizio anno risulta ancora in positiva. Per via dell’indebolimento della valuta rispetto al Franco Svizzero non risulta essere una rendita positiva dal punto di vista degli investitori svizzeri. Tra i grandi mercati emergenti la Turchia rappresenta piuttosto un’eccezione . Nel 2016 la maggior parte degli investimenti dei paesi emergenti, tra cui anche obbligazioni di società e titoli di Stato, dopo diversi anni turbolenti, hanno registrato bei guadagni. Dopo tanto tempo si registra in parte anche una rendita monetaria positiva, ad esempio in Brasile e in Russia. Entrambi sono esportatori importanti di materie prime e beneficiano della stabilizzazione dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime. Un altro motivo per il miglioramento dell’umore degli investitori è che il rialzo del ciclo dei tassi negli USA ha perso un po’ della sua minacciosità poiché la Fed è in pausa da dicembre 2015. Nei paesi industrializzati il livello dei tassi di interesse è addirittura calato ancora, il che ha ulteriormente aumentato l’attrazione verso le obbligazioni dei paesi emergenti. In generale, nei mesi scorsi, le preoccupazioni relative alla crescita dei mercati emergenti sono diminuite. Accanto all’aumento del prezzo del greggio ciò è dovuto alla Cina la cui congiuntura è stata resa stabile da un ampio programma per dare stimoli all’economia. Ciò si manifesta anche nella domanda della Cina di beni di importazione provenienti da altri paesi emergenti. I due colossi Brasile e Russia mostrano invece che l’economia ha ormai superato i suoi livelli minimi. Così l’umore delle imprese e dei consumatori tende nuovamente a salire. Ultimamente, in entrambi i paesi la diminuzione del PIL è stata sempre più piccola e per l’anno prossimo si prospetta una crescita in positivo. Non si prevede però grande potenziale per ulteriori impulsi di investimenti nei paesi emergenti. Il ristabilimento del prezzo del greggio, che è strettamente correlato all’Indice MSCI Mercati Emergenti, è frenato per via dell’offerta eccessiva di petrolio, il che mette in evidenza la recente correzione. Sulla propria economia, accanto a fattori esterni come il prezzo del greggio gravano debolezze strutturali invariate. La crescita potenziale è diminuita in molti mercati emergenti dopo le fasi congiunturali dal 2003 al 2008. Da allora gli incrementi di produttività sono deludenti poiché tutto sommato non ci sono riforme strutturali; tranne poche eccezioni come ad esempio l’India. Pertanto non ci si aspetta una ripresa della crescita economica nei paesi emergenti. Inoltre, il potenziale per una politica fiscale più espansiva è limitato poiché molti paesi sono confrontati con molti deficit di bilancio e aumento di debiti. In Brasile si hanno grandi speranze per via del programma di riforme del nuovo governo sotto la guida del presidente di transizione Michel Temer. Quest’anno la borsa di Sao Paolo e la valuta brasiliana Real sono cresciute fortemente. Finora però non si registrano grandi sviluppi nelle riforme e Michel Temer così come metà del parlamento è coinvolto in fatti di corruzione come la presidente sospesa Dilma Rousseff. In generale si consiglia con ciò una quota neutrale per le azioni dei paesi emergenti. Per quanto riguarda le obbligazioni si preferiscono obbligazioni USD e si sconsigliano titoli di Stato e moneta locale. Accanto alle prospettive di crescita smorzate ci sono ancora alcuni fattori di rischio in gioco che riguardano le valute dei paesi emergenti, ad esempio la politica dei tassi degli USA. La Fed ha espresso nuovamente opinione positiva dopo il miglioramento dei dati congiunturali e non si esclude che le aspettative basse sui tassi di interesse nei mercati finanziari aumentino. Anche il proseguimento dell’aspettato rallentamento di crescita in Cina può in qualsiasi momento causare turbolenze alla moneta dei paesi emergenti, come a inizio anno. Pertanto non si è convinti che per quanto riguarda le monete così come i mercati azionari si sia avviato un trend positivo durevole
 

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