■ 8 MARZO
UOMINI, NON FATECI GLI AUGURI
di ROMINA BORLA
Chiudete gli uomini fuori dalla porta, vi prego, fatelo almeno per un giorno. Intrattenitori, compagni, mariti o colleghi che siano. È qualche tempo che, con formulazioni diverse, vado ripetendo questo concetto.
L'ho suggerito a un'amica che per celebrare «degnamente» la giornata della donna, che cade proprio oggi, mi ha invitato ad assistere all'ormai classico spogliarello maschile in un locale alla moda di Lugano.
In realtà, ho cercato invano di spiegarle, c'è poco da festeggiare e molto da riflettere, non tanto perché l'8 marzo si commemora un episodio tragico: un incendio scoppiato nel 1908 in cui persero la vita 129 operaie dell'industria tessile Cotton, a New York, perché rinchiuse nello stabilimento dal proprietario indispettito dai loro scioperi.
Ma perché anche la condizione «normale» della donna, senza scomodare le tragedie, è stata e resta problematica in tutti i Paesi del globo. Ho ripetuto il «fuori dalla porta» a una cugina che per principio soffre del mal d'amore e si trascina nel mondo raccontando di storie impossibili con maschi improbabili che, oltre a complicarle l'esistenza, le costano parecchio in termini di farmaci e psicologi.
E pure a mia madre che da una vita si affanna ad accudire suo marito, ovvero mio padre: lo aspetta con impazienza ogni santa sera, lo coccola come se fosse un bambino, lo veste, lo rifocilla e lo cura quand'è malato. Eh sì, carissime, siamo ancora noi a sobbarcarci la maggior parte dei lavori domestici, anche nei Paesi in cui si crede raggiunta la parità come il nostro, indossando i panni e i ruoli che ci hanno disegnato addosso (come quello dell'infermiera).
L'ho detto anche a una vicina di casa, manager in una grande azienda del Bellinzonese, che si è vista soffiare la promozione dal collega perché, parole del datore di lavoro, «ha un utero e prima o poi farà dei figli», e che da al
lora trascorre le sue giornate in preda alla collera, insultando tutti i poveri maschi che incontra nei corridoi.
Tutti.
Tutti fuori dalla porta.
E non lo affermo perché ritengo gli uomini nemici del genere femminile o perché intendo attribuire loro tutte le responsabilità delle nostre magagne (spesso, infatti, siamo davvero brave a sabotarci per conto nostro). Oppure perché sono una femminista frustrata che pensa di poterne fare a meno, visto soprattutto gli ultimi sviluppi delle tecniche di procreazione.
Credo semplicemente che le donne farebbero bene a riportare al centro del loro pensiero - almeno in occasione della loro festa, se non si può fare di più - loro stesse e le loro necessità, dimenticandosi per un istante del resto dell'universo (che spesso ha a che fare con l'altro sesso). A ritrovarsi tra di loro, e solo tra loro, a discutere di problemi e a cercare soluzioni per poi, in un secondo tempo, tornare a confrontarsi con gli uomini con forze rinnovate. Propongo insomma di recuperare, per usare un termine fuori moda, la pratica dell'autocoscienza che, semplificando, consiste nel mettere in discussione se stesse ed il contesto politico, culturale, sociale in cui si vive attraverso la relazione autentica e dialettica con altre donne.
Invece di perdere tempo a mangiarvi il fegato per le promozioni perdute, piegare calzini o stirare mutande, aspettare un SMS o farvi belle per rimorchiare in discoteca - donne - focalizzatevi su di voi e sulle vostre passioni. Perché solo risparmiando energie e concedendovi spazio potrete fare miracoli. Per concludere, un appello anche agli uomini: questo 8 marzo non fateci gli auguri. Non regalateci mimose o cioccolatini.
Non invitateci a cena ma, ve lo chiediamo per favore, dimenticateci, ignorateci, lasciateci perdere. Almeno nel giorno della nostra festa non vogliamo che continuiate ad essere al centro del nostro mondo, vogliamo esserlo noi.