mototopo
Forumer storico
RIFORMA COSTITUZIONALE E FINANZIAMENTO AI PARTITI: IL PATERACCHIO "MINOR" OSCURA LA VERA POSTA IN GIOCO
1. Torniamo indietro nel tempo - di non molto - per decifrare il "senso delle priorità" della politica italiana.
Si tratta delle priorità che, tra maggioranza e opposizione, si inscrivono tutte, saldamente, all'interno dell'idea (neo)ordoliberista della limitazione del perimetro dello Stato, della riduzione dei "costi della politica", della moralizzazione del costume attuata sui fenomeni estrinseci e suggestivi (casta-corruzione-sprechi-costi della politica), fallendo totalmente di cogliere la sostanza dei problemi:
a) di democrazia sostanziale (costituzionale, in senso proprio e non solo legato alle alchimie organizzative e elettoral-istituzionali);
b) di equilibrio e crescita economica effettivi;
c) di corretta distribuzione dei redditi in attuazione dei principi inderogabili della Costituzione.
Tralasciamo (per ora) la questione della riforma costituzionale: anche se qualcuno vincesse la paura di andare a elezioni anticipate (per NON essere poi rieletto), e impedisse il formarsi della maggioranza in Senato, dalle posizioni variamente espresse sui giornali (da anni), lo farebbe per le ragioni sbagliate. Nessuna coscienza della "vera posta in gioco" coinvolta nella detta riforma.
Quindi tralasciamo: i costituzionalisti qualche "cosina" l'avevano detta e, a quanto pare, oltre a ricevere qualche insulto, non se li è filati nessuno.
2. Parliamo invece del finanziamento pubblico ai partiti.
Rammentiamo il clou della "riforma" (attuata per decreto legge!!!) del 2014:
"Giovedì 20 febbraio (2014) la Camera ha approvato definitivamente la conversione del decreto legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti. L’abolizione non avverrà subito, ma nell’arco di tre anni, e il finanziamento pubblico sarà sostituito, come riassume il sito della Camera, da un «un sistema di finanziamento basato sulle detrazioni fiscali delle donazioni private e sulla destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche»
...Il finanziamento pubblico – che formalmente è un “rimborso elettorale”, ma ci torniamo – viene abolito, anche se non immediatamente. Nel 2014 i fondi erogati ai partiti saranno tagliati del 25 per cento, nel 2015 del 50 per cento e nel 2016 del 75 per cento. Dal 2017 questo tipo di finanziamenti diretti dello Stato, in forma di rimborsi, saranno completamente aboliti.".
3. Ora, l'inevitabile contraddizione nasce dal regime diciamo transitorio o "ponte" che fa parzialmente sopravvivere il vecchio regime in attesa del nuovo.
Il principio è semplice: da un pateracchio "maior" consegue un pateracchio "minor" (perfetto sillogismo) passando per l'applicazione di un inferenza scontata (cioè, "il consenso si conquista, ormai, cavalcando la tigre livorosa"): il finanziamento, immorale o meno, è indispensabile per far tirare avanti partiti e loro strutture fintanto che non si realizza il modello "finale" (dopo il 2017? Vedremo...), che vuole orgogliosamente riprodurre il modello USA.
4. Essendo in atto la manifestazione del "pateracchio" minor, i più convinti assertori della purezza (statunitense), hanno buon gioco a evidenziarne la furberia. Ecco qui (dall'inevitabile fonte neo-ordoliberista, più o meno a sua insaputa):
"La Casta colpisce ancora. E si fa la sanatoria con 319 sì e 88 contrari. In barba alle delibere adottate dagli Uffici di presidenza di Camera e Senato che, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, avevano “congelato” l’erogazione della tranche del finanziamento pubblico che i partiti avrebbero dovuto incassare prima della pausa estiva. Avrebbero, appunto. Perché due mesi fa la commissione che si occupa del controllo dei bilanci- istituita dalla legge del governo Letta che elimina progressivamente il finanziamento fino all’azzeramento nel 2017 – si era dichiarata impossibilitata a svolgere le dovute verifiche sui bilanci 2013 e 2014 per mancanza di personale.
Ecco dunque l’ennesimo colpo di spugna: un emendamento presentato dai deputati Sergio Boccadutri e Teresa Piccione (Pd), già approvato in commissione e quindi parte del testo approdato in Aula, che permette alle diverse forze che siedono in Parlamento – ad eccezione del Movimento 5 Stelle, che ha rinunciato – di spartirsi una torta complessiva di 45,5 milioni senza alcun controllo sui bilanci. La legge ora, per il via libera definitivo, dovrà passare all’esame del Senato ma ha già provocato la reazione dei grillini, che poco prima della votazione finale hanno sventolato in aula banconote finte da 500 euro, in segno di protesta."
5. Certo, se il "regime-ponte" prevede la rendicontazione delle spese come fondamento dell'erogazione delle tranches di finanziamento pubblico "a esaurimento", e dunque bilanci trasparenti che giustifichino i "rimborsi" per le spese elettorali in termini di corrispondenza effettiva, poi non bisogna aggirare tale principio, vanificando il relativo sistema di controllo.
Non ci piove.
Ma il problema è un po' come quello della corruzione: ci si lancia a testa bassa contro la sua forma più "rudimentale", vistosa, ma tutto sommato meno dannosa - rispetto all'appropriazione su larghissima scala delle risorse e della ricchezza pubblica, promossa dal liberismo anti-Stato (che stila le classifiche internazionali della corruzione in base alle "impressioni" dei...corruttori)-, e ci si dimentica della traiettoria, ben peggiore cui si va incontro: in termini di risultati del paradigma del finanziamento "libero" e privatizzato delle formazioni politiche.
6. Rammentiamo "plasticamente" quanto detto sul sistema USA di finanziamento delle campagne elettorali e dei partiti in generale.
Ecco la fenomenologia, illustrata da Riccardo Seremedi in Flags of our Fathers -3, per quanto riguarda gli USA (cioè il modello finale "virtuoso":
"La cronica assenza del voto pluriclasse nelle elezioni americane
Storicamente, gli Stati Uniti hanno una delle percentuali di affluenza al voto più basse tra le democrazie del mondo e per le elezioni presidenziali del 2004 - secondo i dati del “US Census Bureau” - su 197 milioni di adulti in età di voto solo il 72% si era registrato e l'affluenza alle urne aveva interessato solo poco più del 60% dei cittadini adulti.
E' del tutto evidente che in una nazione dove la potenziale base elettorale viene erosa alla fonte dall'esclusione di persone non iscritte alle liste elettorali, dove le principali minoranze “colored” e “latinos” vengono fortemente penalizzate da decisioni poco comprensibili – come l'annullamento della sezione 4 del “Voting Rights Act” - (http://www.thepostinternazionale.it/mondo/stati-uniti/il-voto-delle-minoranze) e da un contesto sociale che le vede ancora emarginate, dove una fisiologica percentuale di astensionismo contribuisce ad ingrossare le fila dei non-votanti, è evidente – dicevamo – che si avrà una ristretta partecipazione alla costruzione dell'assetto politico nazionale, con la progressiva cristalizzazione di segmenti sociali ben definiti; si osserverà pertanto una limitata presenza pluriclasse, in quanto coloro che si recheranno alle urne tenderanno ad essere la parte più anziana, più istruita e più benestante della popolazione: per fare un esempio, va a votare l'81% di chi guadagna più di 100.000 dollari l'anno, mentre la percentuale scende al 48% tra chi è sotto i 20.000 dollari (dati elezioni 2004).
...
Pecunia non olet – Obama&Wall Street: a love affair
Le campagne elettorali americane necessitano notoriamente di grandi risorse finanziarie, ed è impensabile giungere alla sfida decisiva, e vincerla, senza avere alle spalle il consenso e la potenza di fuoco dei grandi monopolisti di Wall Street , considerando che all'epoca Obama raccolse la cifrastratosferica di 778.642 milioni di dollari (), la più alta di sempre.
Per giustificare quella messe di denaro e non intaccarne l'immagine di outsider estraneo al “sistema”, media sussidiati, supporters ed entourage obamiano sottolinearono che lo straordinario successo era dovuto alla campagna di “fund-raising” (raccolta fondi) che aveva visto protagoniste centinaia di migliaia di persone comuni donare piccole somme attraverso internet, un racconto suggestivo e di forte presa emotiva ma lontano dalla realtà: lo studio redatto dal “Campaign Finance Institute”- un gruppo indipendente - ha rilevato che la percentuale delle piccole donazioni fino a 200 dollari (o meno) oscillava tra il 24% e il 26% del totale, lo stesso range (25%) che ottenne Bush nel 2004.
https://www.blogger.com/nullMichael J. Malbin - direttore esecutivo dell'istituto – ha dichiarato in un comunicato: “Il mito è che i soldi dei piccoli donatori hanno dominato le finanze di Barack Obama (…) la realtà della raccolta fondi di Obama è stata impressionante, ma la realtà non corrisponde al mito”https://www.blogger.com/null; sempre secondo codesto studio, Obama ha ricevuto circa l'80% del denaro dai grandi donatori, definiti come coloro che hanno dato 1.000 dollari o più, piuttosto che dai piccoli.
Diversi mesi prima della vittoria alle presidenziali, Reuters scriveva che “Wall Street puts its money behind Obama” , illustrando icasticamente quanto scritto poco sopra ; del resto basta scorrere la lista dei “top contributors” per rendersi conto che i maggiori finanziatori di Obama sono proprio le multinazionali e le big banks , una realtà fattuale che cozza con l'immagine di fustigatore che Obama cerca di proiettare in pubblico, “attaccandole banche mentre rastrella i quattrini a Wall Street”.
7. Ma non sono finite le implicazioni che, se volessimo mantenere una democrazia effettiva (e non idraulica, simulata e sondaggistica), dovremmo temere e su cui nessuno, ma proprio nessuno dei partiti in parlamento, pare essere "cosciente":
"Il caso Grecia, in termini di visibilità "estrema", e anche quello italiano, altrettanto visibile ma occultato dal sistema della "grancassa mediatica" pro-oligarchica, ci riportano al plateale fenomeno di inutili o quantomeno "stanche" consultazioni elettorali, in costanza di un alto astensionismo, correlato alla constatazione della invariabilità delle politiche che qualunque maggioranza uscita dalle urne sarebbe scontatamente "vincolata" a perseguire.
Negli USA ciò è stato anticipato, (rispetto all'Europa, sia pure con differenti capacità di adeguamento in ciascun paese), quasi allo "stato puro", dagli effetti dell'apertura dei mercati dei capitali - e dal conseguente paradigma dei vantaggi comparati che portava alla intensa delocalizzazione del manifatturiero esposto alla concorrenza asiatica, a cavallo fra gli anni '70 e '80: Galbraith ci parla apertamente della connessione tra ciò e l'istituzionalizzazione delle politiche monetariste anti-inflattive, che si è riflessa nella rottura della forza dei sindacati a fronte del dissolvimento del legame tra territorio e industria.
Ciò ha provocato, a sua volta, la progressiva e insesorabile sconnessione tra il partito Labor americano, cioè (tendenzialmente) quello democratico, e il supporto elettorale-finanziario apprestato dal fronte sindacale.
...Una volta che la competizione elettorale sia affidata alla esclusiva "via mediatica" a pagamento, ogni forza politica finisce per essere rappresentativa dei soli interessi di coloro che sono in grado, sul "libero mercato", di finanziare adeguatamente le campagne elettorali.
Ne è conseguita, - come effetto a catena della dissoluzione della capacità autorappresentativa della forza lavoro e di ogni altra componente sociale e produttiva non legata alla grande impresa finanziarizzata, (connessa all'indebolimento industriale-manifatturiero) -, la tendenziale coincidenza degli interessi "principali", cioè dei c.d. stakeholders, sottostanti a qualunque forza politica in grado di raccogliere (mediaticamente) il consenso a livelli sufficienti per governare.
Insomma, le differenze tra i "maggiori" partiti, (solo apparentemente in competizione), sfumano fino a divenire, per capture irreversibile da parte delle stesse forze oligarchiche, irrilevanti."
8. Saltiamo qualche passaggio e andiamo al "dunque" del perchè, parlare oggi, nell'eurozona, e in regime di pareggio di bilancio, di finanziamento privatizzato e non pubblico dei partiti, rappresenti una sensibile accelerazione della destrutturazione della democrazia costituzionale.
Chi poteva capire ha capito, chi non voleva capire, non capirà mai.
Ma lo ripetiamo lo stesso:
"Il problema dunque è l'intero paradigma che si accompagna, inevitabilmente e fin dall'inizio, cioè programmaticamente, alla moneta unica.
Nei suoi esiti finali, si tratta della deindustrializzazione ("competitiva" cioè spalmata sui paesi più deboli per imposizione del contenuto stesso del trattato, inevitabilmente congeniale ai paesi più "forti") e del suo riflesso sulla struttura politico-sociale del paese, prima ancora che su quella economica. Riportiamo il passaggio di Rodrik perchè ci pare riassumere perfettamente il fenomeno in tutte queste implicazioni:
"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili.
Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.
Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, hanno meno probabilità di verificarsi.
...Questo passaggio ci porta ad approfondire due aspetti, che rinviano a ragionamenti che abbiamo già in parte svolto:
a) Il primo è questo: se gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire (proprio per il venire meno di quel motore dei partiti di massa che è la industrializzazione manifatturiera legata al territorio), la non-rappresentatività di qualsiasi forza politica rispetto alla maggioranza schiacciante della non-elite, conduce all'astensionismo.
E l'astensionismo è la condizione "ideale" di svolgimento delle politiche liberiste, persino più di quelle perseguite da una dittatura oligarchica.
Pubblicato da Quarantotto a 11:52 3 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
Post più vecchi http://orizzonte48.blogspot.it/
1. Torniamo indietro nel tempo - di non molto - per decifrare il "senso delle priorità" della politica italiana.
Si tratta delle priorità che, tra maggioranza e opposizione, si inscrivono tutte, saldamente, all'interno dell'idea (neo)ordoliberista della limitazione del perimetro dello Stato, della riduzione dei "costi della politica", della moralizzazione del costume attuata sui fenomeni estrinseci e suggestivi (casta-corruzione-sprechi-costi della politica), fallendo totalmente di cogliere la sostanza dei problemi:
a) di democrazia sostanziale (costituzionale, in senso proprio e non solo legato alle alchimie organizzative e elettoral-istituzionali);
b) di equilibrio e crescita economica effettivi;
c) di corretta distribuzione dei redditi in attuazione dei principi inderogabili della Costituzione.
Tralasciamo (per ora) la questione della riforma costituzionale: anche se qualcuno vincesse la paura di andare a elezioni anticipate (per NON essere poi rieletto), e impedisse il formarsi della maggioranza in Senato, dalle posizioni variamente espresse sui giornali (da anni), lo farebbe per le ragioni sbagliate. Nessuna coscienza della "vera posta in gioco" coinvolta nella detta riforma.
Quindi tralasciamo: i costituzionalisti qualche "cosina" l'avevano detta e, a quanto pare, oltre a ricevere qualche insulto, non se li è filati nessuno.
2. Parliamo invece del finanziamento pubblico ai partiti.
Rammentiamo il clou della "riforma" (attuata per decreto legge!!!) del 2014:
"Giovedì 20 febbraio (2014) la Camera ha approvato definitivamente la conversione del decreto legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti. L’abolizione non avverrà subito, ma nell’arco di tre anni, e il finanziamento pubblico sarà sostituito, come riassume il sito della Camera, da un «un sistema di finanziamento basato sulle detrazioni fiscali delle donazioni private e sulla destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche»
...Il finanziamento pubblico – che formalmente è un “rimborso elettorale”, ma ci torniamo – viene abolito, anche se non immediatamente. Nel 2014 i fondi erogati ai partiti saranno tagliati del 25 per cento, nel 2015 del 50 per cento e nel 2016 del 75 per cento. Dal 2017 questo tipo di finanziamenti diretti dello Stato, in forma di rimborsi, saranno completamente aboliti.".
3. Ora, l'inevitabile contraddizione nasce dal regime diciamo transitorio o "ponte" che fa parzialmente sopravvivere il vecchio regime in attesa del nuovo.
Il principio è semplice: da un pateracchio "maior" consegue un pateracchio "minor" (perfetto sillogismo) passando per l'applicazione di un inferenza scontata (cioè, "il consenso si conquista, ormai, cavalcando la tigre livorosa"): il finanziamento, immorale o meno, è indispensabile per far tirare avanti partiti e loro strutture fintanto che non si realizza il modello "finale" (dopo il 2017? Vedremo...), che vuole orgogliosamente riprodurre il modello USA.
4. Essendo in atto la manifestazione del "pateracchio" minor, i più convinti assertori della purezza (statunitense), hanno buon gioco a evidenziarne la furberia. Ecco qui (dall'inevitabile fonte neo-ordoliberista, più o meno a sua insaputa):
"La Casta colpisce ancora. E si fa la sanatoria con 319 sì e 88 contrari. In barba alle delibere adottate dagli Uffici di presidenza di Camera e Senato che, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, avevano “congelato” l’erogazione della tranche del finanziamento pubblico che i partiti avrebbero dovuto incassare prima della pausa estiva. Avrebbero, appunto. Perché due mesi fa la commissione che si occupa del controllo dei bilanci- istituita dalla legge del governo Letta che elimina progressivamente il finanziamento fino all’azzeramento nel 2017 – si era dichiarata impossibilitata a svolgere le dovute verifiche sui bilanci 2013 e 2014 per mancanza di personale.
Ecco dunque l’ennesimo colpo di spugna: un emendamento presentato dai deputati Sergio Boccadutri e Teresa Piccione (Pd), già approvato in commissione e quindi parte del testo approdato in Aula, che permette alle diverse forze che siedono in Parlamento – ad eccezione del Movimento 5 Stelle, che ha rinunciato – di spartirsi una torta complessiva di 45,5 milioni senza alcun controllo sui bilanci. La legge ora, per il via libera definitivo, dovrà passare all’esame del Senato ma ha già provocato la reazione dei grillini, che poco prima della votazione finale hanno sventolato in aula banconote finte da 500 euro, in segno di protesta."
5. Certo, se il "regime-ponte" prevede la rendicontazione delle spese come fondamento dell'erogazione delle tranches di finanziamento pubblico "a esaurimento", e dunque bilanci trasparenti che giustifichino i "rimborsi" per le spese elettorali in termini di corrispondenza effettiva, poi non bisogna aggirare tale principio, vanificando il relativo sistema di controllo.
Non ci piove.
Ma il problema è un po' come quello della corruzione: ci si lancia a testa bassa contro la sua forma più "rudimentale", vistosa, ma tutto sommato meno dannosa - rispetto all'appropriazione su larghissima scala delle risorse e della ricchezza pubblica, promossa dal liberismo anti-Stato (che stila le classifiche internazionali della corruzione in base alle "impressioni" dei...corruttori)-, e ci si dimentica della traiettoria, ben peggiore cui si va incontro: in termini di risultati del paradigma del finanziamento "libero" e privatizzato delle formazioni politiche.
6. Rammentiamo "plasticamente" quanto detto sul sistema USA di finanziamento delle campagne elettorali e dei partiti in generale.
Ecco la fenomenologia, illustrata da Riccardo Seremedi in Flags of our Fathers -3, per quanto riguarda gli USA (cioè il modello finale "virtuoso":
"La cronica assenza del voto pluriclasse nelle elezioni americane
Storicamente, gli Stati Uniti hanno una delle percentuali di affluenza al voto più basse tra le democrazie del mondo e per le elezioni presidenziali del 2004 - secondo i dati del “US Census Bureau” - su 197 milioni di adulti in età di voto solo il 72% si era registrato e l'affluenza alle urne aveva interessato solo poco più del 60% dei cittadini adulti.
E' del tutto evidente che in una nazione dove la potenziale base elettorale viene erosa alla fonte dall'esclusione di persone non iscritte alle liste elettorali, dove le principali minoranze “colored” e “latinos” vengono fortemente penalizzate da decisioni poco comprensibili – come l'annullamento della sezione 4 del “Voting Rights Act” - (http://www.thepostinternazionale.it/mondo/stati-uniti/il-voto-delle-minoranze) e da un contesto sociale che le vede ancora emarginate, dove una fisiologica percentuale di astensionismo contribuisce ad ingrossare le fila dei non-votanti, è evidente – dicevamo – che si avrà una ristretta partecipazione alla costruzione dell'assetto politico nazionale, con la progressiva cristalizzazione di segmenti sociali ben definiti; si osserverà pertanto una limitata presenza pluriclasse, in quanto coloro che si recheranno alle urne tenderanno ad essere la parte più anziana, più istruita e più benestante della popolazione: per fare un esempio, va a votare l'81% di chi guadagna più di 100.000 dollari l'anno, mentre la percentuale scende al 48% tra chi è sotto i 20.000 dollari (dati elezioni 2004).
...
Pecunia non olet – Obama&Wall Street: a love affair
Le campagne elettorali americane necessitano notoriamente di grandi risorse finanziarie, ed è impensabile giungere alla sfida decisiva, e vincerla, senza avere alle spalle il consenso e la potenza di fuoco dei grandi monopolisti di Wall Street , considerando che all'epoca Obama raccolse la cifrastratosferica di 778.642 milioni di dollari (), la più alta di sempre.
Per giustificare quella messe di denaro e non intaccarne l'immagine di outsider estraneo al “sistema”, media sussidiati, supporters ed entourage obamiano sottolinearono che lo straordinario successo era dovuto alla campagna di “fund-raising” (raccolta fondi) che aveva visto protagoniste centinaia di migliaia di persone comuni donare piccole somme attraverso internet, un racconto suggestivo e di forte presa emotiva ma lontano dalla realtà: lo studio redatto dal “Campaign Finance Institute”- un gruppo indipendente - ha rilevato che la percentuale delle piccole donazioni fino a 200 dollari (o meno) oscillava tra il 24% e il 26% del totale, lo stesso range (25%) che ottenne Bush nel 2004.
https://www.blogger.com/nullMichael J. Malbin - direttore esecutivo dell'istituto – ha dichiarato in un comunicato: “Il mito è che i soldi dei piccoli donatori hanno dominato le finanze di Barack Obama (…) la realtà della raccolta fondi di Obama è stata impressionante, ma la realtà non corrisponde al mito”https://www.blogger.com/null; sempre secondo codesto studio, Obama ha ricevuto circa l'80% del denaro dai grandi donatori, definiti come coloro che hanno dato 1.000 dollari o più, piuttosto che dai piccoli.
Diversi mesi prima della vittoria alle presidenziali, Reuters scriveva che “Wall Street puts its money behind Obama” , illustrando icasticamente quanto scritto poco sopra ; del resto basta scorrere la lista dei “top contributors” per rendersi conto che i maggiori finanziatori di Obama sono proprio le multinazionali e le big banks , una realtà fattuale che cozza con l'immagine di fustigatore che Obama cerca di proiettare in pubblico, “attaccandole banche mentre rastrella i quattrini a Wall Street”.
7. Ma non sono finite le implicazioni che, se volessimo mantenere una democrazia effettiva (e non idraulica, simulata e sondaggistica), dovremmo temere e su cui nessuno, ma proprio nessuno dei partiti in parlamento, pare essere "cosciente":
"Il caso Grecia, in termini di visibilità "estrema", e anche quello italiano, altrettanto visibile ma occultato dal sistema della "grancassa mediatica" pro-oligarchica, ci riportano al plateale fenomeno di inutili o quantomeno "stanche" consultazioni elettorali, in costanza di un alto astensionismo, correlato alla constatazione della invariabilità delle politiche che qualunque maggioranza uscita dalle urne sarebbe scontatamente "vincolata" a perseguire.
Negli USA ciò è stato anticipato, (rispetto all'Europa, sia pure con differenti capacità di adeguamento in ciascun paese), quasi allo "stato puro", dagli effetti dell'apertura dei mercati dei capitali - e dal conseguente paradigma dei vantaggi comparati che portava alla intensa delocalizzazione del manifatturiero esposto alla concorrenza asiatica, a cavallo fra gli anni '70 e '80: Galbraith ci parla apertamente della connessione tra ciò e l'istituzionalizzazione delle politiche monetariste anti-inflattive, che si è riflessa nella rottura della forza dei sindacati a fronte del dissolvimento del legame tra territorio e industria.
Ciò ha provocato, a sua volta, la progressiva e insesorabile sconnessione tra il partito Labor americano, cioè (tendenzialmente) quello democratico, e il supporto elettorale-finanziario apprestato dal fronte sindacale.
...Una volta che la competizione elettorale sia affidata alla esclusiva "via mediatica" a pagamento, ogni forza politica finisce per essere rappresentativa dei soli interessi di coloro che sono in grado, sul "libero mercato", di finanziare adeguatamente le campagne elettorali.
Ne è conseguita, - come effetto a catena della dissoluzione della capacità autorappresentativa della forza lavoro e di ogni altra componente sociale e produttiva non legata alla grande impresa finanziarizzata, (connessa all'indebolimento industriale-manifatturiero) -, la tendenziale coincidenza degli interessi "principali", cioè dei c.d. stakeholders, sottostanti a qualunque forza politica in grado di raccogliere (mediaticamente) il consenso a livelli sufficienti per governare.
Insomma, le differenze tra i "maggiori" partiti, (solo apparentemente in competizione), sfumano fino a divenire, per capture irreversibile da parte delle stesse forze oligarchiche, irrilevanti."
8. Saltiamo qualche passaggio e andiamo al "dunque" del perchè, parlare oggi, nell'eurozona, e in regime di pareggio di bilancio, di finanziamento privatizzato e non pubblico dei partiti, rappresenti una sensibile accelerazione della destrutturazione della democrazia costituzionale.
Chi poteva capire ha capito, chi non voleva capire, non capirà mai.
Ma lo ripetiamo lo stesso:
"Il problema dunque è l'intero paradigma che si accompagna, inevitabilmente e fin dall'inizio, cioè programmaticamente, alla moneta unica.
Nei suoi esiti finali, si tratta della deindustrializzazione ("competitiva" cioè spalmata sui paesi più deboli per imposizione del contenuto stesso del trattato, inevitabilmente congeniale ai paesi più "forti") e del suo riflesso sulla struttura politico-sociale del paese, prima ancora che su quella economica. Riportiamo il passaggio di Rodrik perchè ci pare riassumere perfettamente il fenomeno in tutte queste implicazioni:
"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili.
Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.
Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, hanno meno probabilità di verificarsi.
...Questo passaggio ci porta ad approfondire due aspetti, che rinviano a ragionamenti che abbiamo già in parte svolto:
a) Il primo è questo: se gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire (proprio per il venire meno di quel motore dei partiti di massa che è la industrializzazione manifatturiera legata al territorio), la non-rappresentatività di qualsiasi forza politica rispetto alla maggioranza schiacciante della non-elite, conduce all'astensionismo.
E l'astensionismo è la condizione "ideale" di svolgimento delle politiche liberiste, persino più di quelle perseguite da una dittatura oligarchica.
Pubblicato da Quarantotto a 11:52 3 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
Post più vecchi http://orizzonte48.blogspot.it/