Europa, ora il debito tedesco fa paura
Europa, ora il debito tedesco fa paura - Yahoo! Finanza Italia
Anche la
Germania deve fare i conti con il suo debito pubblico.
Secondo Bruxelles non ci sono rischi nel breve termine, ma bisogna ridurre il debito. Tutta colpa della
spesa previdenziale e sanitaria di uno Stato sempre più vecchio. Il Rischio è che il debito non scenderà sotto il 60% del Pil prima del 2030. Uno smacco per i tedeschi che, fino ad ora, hanno fatto da traino alla malconcia Eurolandia.
Insomma,
anche l’impassibile cancelliera deve tenere sotto controllo i conti pubblici.
E chi lo avrebbe mai detto?
La Commissione europea che con il suo consueto 2012 Fiscal sustainability report si è messa a fare le pulci (finanziarie) a Berlino.
Niente di grave, sia ben chiaro.
Ma se non ci sarà un’inversione di tendenza
“il debito pubblico tedesco non scenderà sotto quota 60%, il limite massimo stabilito dal Fiscal compact, prima del 2030”, sostiene l’Ue. Il che significa che anche la Germania deve applicare le regole del rigore.
Chi di austerity ferisce, verrebbe da pensare.
Ma lasciando da parte i soliti proverbi, la questione teutonica non è affatto da prendere sotto gamba.
Non ci sono solo Grecia, Spagna o Italia a rischiare grosso. Perché come sostiene il team guidato da Per Eckefeldt, economista della Direzione generale con delega agli Affari economici e monetari della Commissione Ue, Berlino dovrebbe rendere sostenibile il proprio debito pubblico. “Nessun rischio nel breve periodo”, si legge nel report, ma il timore è quello che un’inversione del saldo primario strutturale possa mettete a rischio i conti pubblici tedeschi.
Adesso analizziamo un po’ i dati dei conti tedeschi.
La Commissione Ue ricorda che
il debito è pari all’80,5% del Pil (dati 2011). Si tratta di oltre 20 punti percentuali la famosa barriera del Fiscal compact, il nuovissimo patto fiscale europeo.
Il saldo primario, per far fronte alla spesa pubblica,
deve essere migliorato di 1,4 punti percentuali di Pil annui.
E
l’austerity pare la via designata per raggiungere questo obiettivo.
Il saldo primario previsto per il 2014 è del 2,5% del Pil, in aumento rispetto all’1,8 dell’anno scorso. Un aumento importante ma non decisivo per la sostenibilità del sistema welfare.
Non è un Paese per vecchi. O forse sì, perché
la Germania sta diventando sempre più anziana.
E i costi per pagare le pensioni, uniti a quelli sanitari, stanno lievitando sempre di più. Tra il 2010 e il 2060 la spesa pubblica per il sistema previdenziale, più quello sanitario, sarà in media del 3,6% l’anno – secondo i dati riportati da Linkiesta – contro una media europea del 2,9 per cento. Molto. E anche se è vero che dare sempre colpa alla crisi ormai è diventato noioso e fin troppo semplice, è altrettanto indubbio che nei prossimi anni se gli europei non si decideranno a fare più figli, l’eurozona presto dovrà fare i conti, tra le tante, con la spesa per il welfare.
Soprattutto il prossimo anno che sarà di stagnazione. A dirlo è la Bundesbank che si sbilancia ipotizzando una crescita dello 0,4% dell’economia tedesca nel corso del 2013, al di sotto delle previsioni.
La Germania, è giusto precisarlo, è il maggiore contribuente europeo. Versa più di tutti nei due fondi di stabilizzazione,
Efsf e Esm. L’intero ammontare è pari a 401,046 miliardi di euro. Mica poco. Nello specifico, per quanto riguarda l’Efsf (European financial stability facility) la Germania ha posto garanzie finanziarie per 211,046 miliardi. Riguardo al secondo, invece, ci si avvicina ai 190 miliardi di euro.
In buona sostanza per salvare la Grecia, Irlanda e Portogallo, oltre alle banche iberiche, Berlino ha speso più soldi in assoluto.
La Germania rimane, senza dubbio, il motore trainante dell’Unione europea. Ma “il ruolo di Berlino nella crisi dell’area euro, ovvero di principale salvatore delle economie meno virtuose, rischia di peggiorare i conti pubblici tedeschi da qui al 2015”, è il monito di Société Générale.
Pagare per non fare uscire nessun Paese dall’euro ha il suo prezzo. Che anche la Germania non può evitare.