Atlantia (ATL) ATLANTIA: Crolla viadotto a Genova

Tontolina una persona responsabile nel dubbio blocca tutto! Tantopiù un ponte del genere, controverso, superutilizzato per via del porto (25,5 milioni di veicoli l'anno) Ma scherziamo?

Per gli ascensori le norme sono mooolto più stringenti e questi si permettono di fidarsi di una commissione senza nemmeno porsi il dubbio dell'unico senso di marcia o di limitare i mezzi pesanti? nulla!!!

Comunque grazie tontolina dei tuoi post, mi sono un poco innervosito sulla questione della tipologia di manutenzione..

ciao
 
Leggete qua...SCARICABARILE ALL'ITALIANA SOLO ALL'INIZIO!

Ponte Morandi, follia italiana: sapete cosa faceva chi sta indagando sul crollo? Grosso imbarazzo

Ferrazza, al Corriere della Sera, si difende, parlando a proposito della relazione di febbraio di "valutazione approfondita e rapida vista la mole di materiale. A noi spettava il compito di valutare la necessità e l'efficacia del progetto, e anzi lo abbiamo fatto in tempi veloci, proprio per consentire che i lavori partissero quanto prima". Insomma, a decidere sull'inizio dei lavori o l'eventuale stop al traffico sul viadotto dovevano essere altri.

POVERELLI, TROPPO MATERIALE!
 
GENOVA: la tragedia del Ponte Morandi e le colpe (di tutti e di nessuno)
Scritto il 20 agosto 2018 alle 10:20 da Danilo DT

Ormai la frittata è fatta. Il ponte Morandi è crollato, lasciando nel disagio assoluto una città, creando una serie di problematiche pesantissime, oltre che ovviamente restituirci un numero di vittime che potrebbe essere destinato a salire.
Tutti ora sono lì, pronti a sparare addosso ad altri la responsabilità. Ma funziona così, soprattutto nel nostro Bel Paese.
In questa sede non voglio dire anche la mia su chi potrebbe essere il responsabile, ma preferisco indicarvi un interessante quanto importante articolo che va a riprendere quanto avevo sostenuto nei giorni scorsi.
L’articolo è uscito su Il Sole 24Ore , con la firma di Rosalba Reggio. Ve lo ripropongo con alcune mie integrazioni.

Chi dà la colpa all’austerity, chi alla privatizzazione, chi alla mancanza di investimenti. La gara per identificare il colpevole della tragedia di Genova è aperta e la fila dei giustizialisti si alimenta ora dopo ora, così come quella delle soluzioni. Spesso emotive e di facile consenso all’indomani di un disastro. Dati alla mano, però, nulla di quanto denunciato in questi giorni trova riscontro nella realtà. L’austerity, per cominciare, tanto cara alla folta schiera di antieuropeisti che trovano nell’Europa la causa di tutti i mali. Nel caso del ponte Morandi, per esempio, l’accusa non ha alcun fondamento, trattandosi di una struttura gestita dalla società Autostrade per l’Italia. I vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea, dunque, in nessun modo possono essere collegati al crollo della A10.

Il vento del populismo soffia feroce e nella rete finiscono tanti pesciolini che ce l’hanno con il sistema in generale e quindi sono terreno fertile per gli sbraitanti della piazza. Questo non è un messaggio politico, ma solo un avvertimento al cittadino italiano che dovrebbe imparare a capire cosa è successo prima di sputare sentenze e puntare il dito contro qualcuno. In questo caso, quindi, l’austerity conta ZERO. Ma a qualcuno faceva comodo tirarla in ballo.

Difficile anche identificare la privatizzazione come responsabile delle inefficienze del sistema. In Italia, infatti, più del 90% della rete stradale è gestita dal pubblico e solo la rete autostradale è data in concessione ai privati. Il paragone tra le due gestioni, poi, non pende certo a favore di quella pubblica. Non è credibile, dunque, trovare nella revoca delle concessioni la soluzione ai problemi.

Ditemi voi, ora, in quali condizioni si trovano le nostre strade. Posso inorridire all’idea che arrivi la nazionalizzazione della concessione autostradale?

Sul tema degli investimenti confutare la teoria della colpa è ancora più facile: la spesa per la manutenzione della rete – approvata dal soggetto pubblico – è stata fatta dai soggetti concessionari in linea con quanto stabilito dai Piani economici e finanziari. Nel caso specifico di Autostrade per l’Italia parliamo di 2,52 miliardi, contro i 2,47 previsti dal Piano. I numeri sono verificabili nella Relazione annuale della Direzione competente al Ministero delle Infrastrutture. Gli investimenti, insomma, sono stati fatti, ma questo nulla ci dice sulla qualità dei lavori effettuati.

E questo è sicuramente il punto a sfavore di Atlantia. Difficile tracciare una mappa realistica degli interventi. MA attenzione. Altro elemento che bisogna sottolineare. E’ sicuramente vero che Atlantia viaggia a multipli di utility, con un bilancio, quello di società Autostrade con 3,9 miliardi di ricavi e 2,4 di utile lordo. Con tanto di dividendi eccellenti per gli azionisti. Ma notate bene che il piano interventi è stato deciso con il Ministero delle Infrastrutture. Quindi lo Stato era PERFETTAMENTE al corrente di quanto stava accadendo, di quanto spendeva Atlantia e degli importi che venivano impiegati sulla rete autostradale.

I soldi potrebbero essere stati spesi male. «Il vero problema delle concessioni autostradali – spiega Francesco Ramella, docente di Trasporti all’Università di Torino -, in Italia come negli altri Paesi europei con un sistema simile, è la mancanza della competizione. Si tratta infatti di monopòli, di concessioni mai messe veramente in gara e offerte a condizioni non stringenti, talvolta migliorate a favore dei concessionari. Una situazione che pesa sulle tasche dei viaggiatori, che pagano due terzi degli elevati profitti delle società. Situazione analoga a quella dei trasporti pubblici comunali, dove le gare tendono a rinnovare il gestore esistente, questa volta a carico del contribuente». Una storia che si ripete dalla prima privatizzazione delle autostrade, quando la necessità di far cassa subito per affrontare i problemi finanziari, portò lo Stato ad offrire ai concessionari un’alta redditività. Una soluzione immediata che ha però portato conseguenze per anni. Il problema, dunque, non riguarda la privatizzazione ma il suo processo.

Et voilà. Capito cari lettori? Qui si opera in regime di monopolio, dove quindi non c’è concorrenza e dove i prezzi li fa una controparte che è padrona del mercato. E la qualità, per forza di cose, non può essere stellare perchè non esiste una controparte che ti mette in “riga” e ti costringe a migliorare qualitativamente, ottimizzando magari dei processi di costo e migliorare anche la qualità del lavoro.

«Per avere un’efficiente gestione del sistema non si può prescindere da gare realmente competitive e dai processi di controllo. Privatizzare un servizio, infatti, rende necessarie regole precise e verifiche continue affinché le regole vengano rispettate». Il Sistema, insomma, richiede profonde riflessioni, analisi accurate, consulenze di esperti, verifiche affidabili. Azioni lontane dalle facili reazioni a caldo all’indomani di una tragedia. «È evidente che, nel caso del ponte Morandi, qualcosa non abbia funzionato -, conclude Ramella – Ma cercare una colpa collettiva non è la soluzione giusta. Così come enfatizzare il problema sicurezza. Chi oggi prende un’autostrada italiana, non corre il rischio di crollare insieme a un ponte, ma quello di essere coinvolto in un incidente stradale. E su questo – va detto – gli ultimi anni registrano un forte miglioramento. Da circa 600 decessi all’anno siamo passati a 230. Numeri in continuo miglioramento, che, nel caso di Autostrade per l’Italia, raccontano risultati migliori della media». [Source: Sole24Ore]

Ok, gli incidenti saranno diminuiti ma il problema è capire quanto stiamo viaggiando in sicurezza. Sulle autostrade, certo, ma anche sulle strade PUBBLICHE. Credete che il problema sia solamente su quel famoso 10% in concessione ad Atlantia? Vi sbagliate di grosso. Intanto però, sempre per quel 10% non è facile trovare alternative credibili, realistiche e qualitativamente migliori. E vi ripeto, nazionalizzare mi farebbe venire la pelle d’oca.

UPDATE da twitter
STAY TUNED!

upload_2018-8-20_16-49-53.png


Danilo DT

(Clicca qui per ulteriori dettagli)
 
Tontolina una persona responsabile nel dubbio blocca tutto! Tantopiù un ponte del genere, controverso, superutilizzato per via del porto (25,5 milioni di veicoli l'anno) Ma scherziamo?

Per gli ascensori le norme sono mooolto più stringenti e questi si permettono di fidarsi di una commissione senza nemmeno porsi il dubbio dell'unico senso di marcia o di limitare i mezzi pesanti? nulla!!!

Comunque grazie tontolina dei tuoi post, mi sono un poco innervosito sulla questione della tipologia di manutenzione..

ciao
concordo.... qul ponte doveva già essere rifatto nel 1994 ma Burlando lo bloccò

adesso ci sono altre autostrade che necessitano di manutenzione STRAORDINARIA e quindi spetta al governo... vedremo se anche questi fanno chiacchiere e sputi sperando che possano tenerle su
 
governo imbarazzante a dir poco , dei dilettanti allo sbaraglio , difatti quando hanno strillato dalle tv che revocavano la concessione manco sapevano della clausola che concede un indennizzo alla concessionaria in casi simili ...non credo che si potrebbero trovare casi simili di superficialità e dilettantismo nemmeno nel continente africano ....cmq AVANTI POPOLO !!!!! ahahah ....:accordo:
 
governo imbarazzante a dir poco , dei dilettanti allo sbaraglio , difatti quando hanno strillato dalle tv che revocavano la concessione manco sapevano della clausola che concede un indennizzo alla concessionaria in casi simili ...non credo che si potrebbero trovare casi simili di superficialità e dilettantismo nemmeno nel continente africano ....cmq AVANTI POPOLO !!!!! ahahah ....:accordo:

Oggi anche Del Rio e Cottarelli hanno dato un pollice su alla revoca della concessione.
Oltre a dare un senso di giustizia alle vittime andrebbe ad aumentare il PIL attraverso un raddoppio degli investimenti. Siccome oggi l'unica cosa che conta è il PIL, penso che revocheranno la concessione.
 
Oggi anche Del Rio e Cottarelli hanno dato un pollice su alla revoca della concessione.
Oltre a dare un senso di giustizia alle vittime andrebbe ad aumentare il PIL attraverso un raddoppio degli investimenti. Siccome oggi l'unica cosa che conta è il PIL, penso che revocheranno la concessione.
poi vedremo come reagiranno gli azionisti di Atlantia che sono
USA+Australia+Germania+francia+singapore+......

quando scadranno i BTP chi li sottoscriverà?
Quando si perde la reputazione poi non ci si può lamentare se si finisce come la grecia

spread all'infinito?

Spread, investitori esteri in fuga e i Btp pagano tassi d’interesse sempre più vicini a quelli dei titoli greci
Spread, investitori esteri in fuga e i Btp pagano tassi d'interesse sempre più vicini a quelli dei titoli greci - Il Fatto Quotidiano

Siamo arrivati al punto in cui analisti come quelli di Société Générale considerano Atene un’alternativa più sicura ai bond di Roma. La Grecia sarà di nuovo sui mercati dal 2019. Per ora l’acquisto di obbligazioni elleniche avviene solo tra banche. Nel frattempo però lo spread tra titoli a 5 anni italiani e greci si è ridotto dai 300 punti di marzo agli attuali 100 punti

di Mauro Del Corno | 19 agosto 2018


I capitali esteri se ne vanno e lo spread, inesorabile, sale. Che sia a balzi o a piccoli passi, come nell’ultima settimana, la direzione è sempre verso l’alto. In circa tre mesi il rendimento di un titolo decennale italiano è più che raddoppiato, collocandosi ormai sopra al 3%. La differenza di rendimento rispetto al corrispondente titolo tedesco (preso a riferimento in quanto considerato un investimento quasi senza rischio) è passato da 110 a circa 290 punti. Un trend tutto italiano. La differenza di rendimento tra Btp ed equivalenti titoli spagnoli, ha toccato quota 172 a favore di bond iberici, il gap più ampio dal 2011. In questi 3 mesi l’incremento degli interessi sui titoli spagnoli è risultato infatti irrisorio mentre quello italiano è stato notevole. In altre parole, in questo momento, il nostro Paese è il sorvegliato speciale sui mercati. A maggio il costo medio sul debito italiano (ossia l’interesse medio pagato dallo Stato sui titoli di tutte le durate) era di circa l’1%. Oggi siamo all’1,6%. Se si prova a traslare questa differenza sulle emissioni che sono in programma nel 2019, solo per rinnovare i titoli che arrivano a scadenza, circa 280 miliardi di euro, si scopre che dovremo spendere almeno 1,5 miliardi di euro in più in interessi, una sorta di tassa aggiuntiva che grava su tutti noi. Il conto naturalmente potrebbe essere più basso se i rendimenti italiani ricominciassero a scendere. Ma potrebbe essere ancora più salato se le cose dovessero peggiorare.


La verità è che in questo momento sui mercati si vendono più Btp di quanto se ne comprino e così l’equilibrio tra offerta e domanda si sposta su prezzi più bassi. Poiché la cedola pagata è fissa in valore assoluto, il rendimento in rapporto al prezzo del titolo sale. La fuga dai bond del nostro Paese si legge, oltre che nei prezzi, nei dati della Banca d’Italia. Lo scorso giugno i Btp hanno registrato una fuoriuscita di capitali esteri pari a 33 miliardi di euro che segue il rosso di 25 miliardi segnato in maggio. Sono cifre paragonabili ai movimenti registrati dopo il drammatico vertice di Deauville in Francia nel 2010 in cui Angela Merkel e Nicholas Sarkozy prospettarono la possibilità che gli investitori privati fossero chiamati a partecipare ai costi del salvataggio di paesi aderenti all’euro.

Come spiegano gli operatori, molti fondi che avevano “in pancia” quantità significative di titoli italiani, hanno visto improvvisamente esplodere il livello di rischio complessivo del proprio portafoglio. E così vendono per rientrare nei loro parametri, oppure, se progettavano di comprare, aspettano. Dallo scorso maggio il Tesoro è dovuto scendere in campo per comprare titoli sul mercato già 3 volte da maggio allo scopo di fornire liquidità ad un mercato altrimenti asfittico. Siamo arrivati al punto in cui analisti come quelli di Société Générale considerano i titoli di stato greci un’alternativa più sicura ai bond italiani. Atene sarà di nuovo, a tutti gli effetti, sui mercati dal 2019. Per ora l’acquisto di bond ellenici avviene solo tra banche. Nel frattempo però lo spread tra titoli a 5 anni italiani e greci si è ridotto dai 300 punti di marzo agli attuali 100 punti. In altri termini l’equivalente greco di un Btp quinquennale italiano paga solo l’1% in più di interessi. Gli analisti di Bank of America ritengono che l’attuale livello dello spread italiano non sia sostenibile nel lungo termine. E prefigurano due scenari. Il primo, nel caso di una legge di bilancio che non impatti sostanzialmente sul deficit, un ritrovato interesse verso i Btp e una discesa dello spread verso quota 170. Il secondo, nel caso di una finanziaria poco attenta alle casse pubbliche, una corsa del differenziale fino a 400 punti. Molti analisti concordano, infine, nel ritenere un rendimento del 3,5% sui decennali come lo spartiacque tra sostenibilità o meno del debito nel lungo termine.

A tenere la situazione per ora sotto controllo contribuisce la presenza sul mercato della Banca centrale europea, non tanto per l’entità quotidiana degli acquisti di Btp (alcune centinaia di milioni su un volume di scambi di 8 miliardi di euro al giorno in periodi normali), quanto da un punto di vista psicologico. A farlo notare è Angelo Drusiani, storico operatore del mercato obbligazionario e consulente di banca Albertini SYZ che aggiunge: “Quello che preoccupa i mercati è questo clima di campagna elettorale permanente che spinge in secondo piano i temi economici cruciali per il Paese. C’è la sensazione che le questioni economiche siano abbandonate a loro stesse e questo inevitabilmente rischia di ripercuotersi sulla crescita del Paese. E con un Pil fermo basta poco perché la situazione debitoria sfugga di mano”. “Il pericolo che vedo – mette in guardia Drusiani – è che una o due aste di Btp a dieci anni vadano male, con una domanda scarsa. Bankitalia potrebbe in qualche modo metterci una pezza ma il segnale sarebbe pessimo. Giocare contro i mercati è pericoloso – conclude Drusiani – vincere è difficilissimo e l’Italia ha davvero poche frecce al proprio arco”. L’amara realtà è che indebitarsi per una cifra pari a quasi una volta e mezza il proprio Pil, come ha fatto l’Italia nel corso degli anni, significa consegnarsi mani e piedi agli umori dei propri creditori.

Nella trincea più avanzata di questa battaglia ci sono le banche, che hanno in portafoglio bot e btp per 370 miliardi di euro e che non a caso nelle ultime settimane hanno molto sofferto in Borsa. La perdita del valore dei titoli incide sui bilanci, soprattutto attraverso i bond che non vengono classificati come da mantenere fino a scadenza. L’impatto sui bilanci significa per le banche la necessità di dirottare risorse verso il proprio rafforzamento patrimoniale. In prospettiva, quindi, anche meno disponibilità per i finanziamenti all’economia reale.

Il momento decisivo potrà essere già a settembre. A fine estate prenderà forma la legge di bilancio e le agenzie di rating si dovranno pronunciare sul Paese. Moody’s, in particolare, ha già annunciato che il giudizio sull’Italia verrà abbassato se saranno toccate in modo significativo riforme come la Fornero. Una riduzione che ancora non farebbe precipitare l’Italia fuori dalla categoria “investment grade”, ma che spargerebbe ulteriore diffidenza tra gli investitori. Secondo diversi osservatori le agenzie di rating guardano attentamente anche a quello che sta accadendo nelle vicende Ilva e soprattutto Atlantia. Se la sacrosanta ricerca e attribuzione delle responsabilità e le eventuali modifiche contrattuali avvenissero forzando le regole del diritto, il segnale per chi investe nel Paese non sarebbe certo incoraggiante.
 
Ultima modifica:
"I tiranti di Ponte Morandi ridotti del 20%". Il documento choc: ministero e Autostrade sapevano
L'Espresso pubblica il verbale di una riunione di febbraio: la gravità della corrosione era nota. Ecco chi era presente al tavolo


C'è un documento che inchioda i reponsabili alle proprie colpe. Un documento che porta la data del primo febbaio 2018 e che ora potrebbe far luce sulla verità che sta dietro il drammatico crollo di Ponte Morandi.


"I tiranti di Ponte Morandi ridotti del 20%". Il documento choc: ministero e Autostrade sapevano

Mentre la commissione ispettiva del ministero delle Infrastrutture, presieduta da Roberto Ferrazza, cerca tracce, indicazioni e dettagli tecnici per far luce su quanto accaduto la mattina di martedì scorso, l'Espresso pubblica il resoconto di un vertice a cui hanno partecipato il ministero delle Infrastrutture, la Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali a Roma, il Provveditorato per le opere pubbliche di Piemonte-Valle d'Aosta-Liguria a Genova e Autostrade per l'Italia. Dal resoconto di quella riunione emerge chiaramente che "almeno sette tecnici, cinque dello Stato e due dell'azienda di gestione, sapevano infatti che la corrosione alle pile 9 (quella crollata) e 10 aveva provocato una riduzione fino al venti per cento dei cavi metallici interni agli stralli", ovvero i tiranti trasversali in cemento armato, e il progetto di rafforzamento presentato da Autostrade presentava alcune falle.
Eppure nessuno ha mai pensato di chiudere la tratta o quantomeno ridurre il traffico.

Domani inizierà il lavoro della procura che sta indagando sulla terribile tragediache ha provocato 43 morti. In campo, per ora, due grandi squadre di esperti: gli inquirenti, con la polizia giudiziaria e i suoi consulenti e la Commissione nominata dal ministero delle Infrastrutture. In una intervista a Sky Tg24, Ferrazza dice che "varie concause" potrebbero aver contribuito al crollo del Ponte Morandi: "Non è venuto giù così come stava ma si è piegato ed è caduto".
La dinamica del cedimento non rende, a suo dire, "del tutto chiaro" quale sia l'elemento che si è rotto per primo innescando la tragedia.
Eppure già sei mesi e mezzo fa, quando al ministero delle Infrastrutture sedeva il piddì Graziano Delrio, in molti sapevano che qualcosa su quel viadotto non andava.
E tra questi c'era lo stesso Ferrazza che, lo scorso febbraio, era seduto proprio a quel tavolo col ministero e con Autostrade. Non solo. Tra i presenti c'era persino Antonio Brencich che adesso siederà nella commissione di indagine del governo "per svolgere verifiche e analisi tecniche sul crollo".


Nella riunione dello scorso febbraio Paolo Strazzullo, responsabile unico del procedimento per Autostrade, e Massimiliano Giacobbi, progettista dell'intervento per conto della Spea Engineering avevano illustrato i risultati delle prove riflettometriche che "hanno evidenziato un lento trend di degrado dei cavi costituenti gli stralli" che oscilla tra il 10 e il 20 per cento. Una riduzione preoccupante che ha spinto la concessionaria ad "avviare una progettazione finalizzata al rinforzo degli stralli delle pile 9 e 10". Come già fatto vent'anni prima per rinforzare la pila 11 del viadotto, il progetto proponeva di rinnovare i cavi esterni. A leggere le osservazione dei tecnici pubblici, riportate dal sito dell'Espresso, sembra che a quel tavolo fossero tutti d'accordo: "Complessivamente il progetto esecutivo esaminato appare ben redatto e completo in ogni dettaglio. Lo stesso risulta studiato in modo metodologicamente ineccepibile". Eppure qualcosa non torna. Perché in quell'occasione Brencich aveva bocciato i metodi usati da Autostrade per l'Italia per fare il check up al ponte. "Il metodo Sonreb-Win è scientificamente ormai ritenuto fallace - aveva spiegato - il margine di errore è più-meno 80 per cento (un calcestruzzo di resistenza 40 viene rilevato con resistenza da 8 a 72), mentre la sonda Windsor definisce una penetrazione nel calcestruzzo indipendente dalla resistenza dello stesso: si osserva che la tecnica Windsor è stata abbandonata dal contesto scientifico".
 
Ma adesso anche il governo rischia di finire nell'indagine
Vigilare su Autostrade è compito delle Infrastrutture

Stefano Zurlo - Sab, 18/08/2018 - 08:43
nostro inviato a Genova

Il governo alza la voce: «Ci costituiremo parte civile».
Ma adesso anche il governo rischia di finire nell'indagine


E punta il dito contro Autostrade per l'Italia. Ma qualcosa non quadra, perché l'esecutivo, attraverso il ministero delle Infrastrutture, è chiamato a controllare i lavori svolti dal concessionario.
Insomma, non c'è solo il tema, scivolosissimo, della revoca della concessione su cui i leader del governo gialloverde hanno precipitosamente innestato la retromarcia.
No, c'è di più, come ha notato Antonio Di Pietro, che a suo tempo su quella poltrona di ministro si era accomodato, in un colloquio con il sito Fanpage.it.
Il ragionamento dell'ex pm è semplicissimo: «Quando nel 2007 fu firmata la convenzione fra Anas e Autostrade per l'Italia, io ero ministro e si stabilì che Anas avrebbe dovuto controllare le opere del concessionario. Sarebbe pure stato sufficiente, ma nel 2013 è intervenuta una legge che ha rafforzato il ruolo pubblico del controllore e l'ha sottratto all'Anas, creando una struttura di vigilanza delle concessioni autostradali presso il ministero delle Infrastrutture».
Insomma, se nessuno si è accorto di nulla e le ispezioni non hanno rilevato nulla di anomalo, se la caduta è arrivata improvvisa, allora il ministero dovrebbe pendersela anche con se stesso. E con la sua task force.

Difficile immaginare che il ministero possa ritagliarsi il ruolo di parte civile.
Come fosse una vittima.
Più facile immaginare un altro percorso, meno nobile.
Per carità, in questa fase nessuno può prevedere che piega prenderà l'indagine.
Ma non si può escludere che gli avvocati giochino una carta pesante nel corso del processo che sarà accesissimo, chiamando anche le Infrastrutture a rispondere di quel che è successo, magari sul piano civile. Esiste certamente un intreccio di responsabilità che deve essere sciolto. Danilo Toninelli, il titolare delle Infrastrutture, potrebbe pure cavarsela, se non altro perché è in quella posizione da poche settimane e il passato non può certo ricadere su di lui, ma resta il fatto che la struttura di vigilanza, varata fra squilli di tromba, si sia poi trovata a operare all'italiana, con mezzi e risorse limitati se non risicati.
Come emerso dall'audizione in Parlamento nel 2016 del numero uno del team, Mauro Colletta.
Colletta fu chiaro: spiegò che non c'erano nemmeno i soldi per le trasferte degli ispettori. Tanto che il personale, chiamato a svolgere un compito delicatissimo, doveva anticipare le spese dei viaggi. E aggiunse che il budget, una coperta troppo corta, aveva costretto i suoi tecnici a dimezzare le «ispezioni a sorpresa» fra il 2011 e il 2015. Non risulta che qualcosa sia cambiato dopo quella drammatica denuncia.
Chissà. Se non altro a livello politico questa inadeguatezza dei mezzi dovrebbe essere argomento di discussione se non di polemica. Ma non si può escludere che qualche avvocato corazzato provi a farlo entrare fra le carte del dibattimento.
 
Crollo ponte, vertici Atlantia: con noi meno vittime | Verso class action in Usa
"Dai privati nessun freno alla sicurezza": le dichiarazioni dei dirigenti del gruppo appartenente alla famiglia Benetton dopo la decisione del governo di revocare la concessione delle autostrade italiane

Crollo ponte, vertici Atlantia: con noi meno vittime | Verso class action in Usa - Tgcom24
C_2_articolo_3158968_upiImagepp.jpg

"Prima della privatizzazione, le risorse destinate alla sicurezza erano drammaticamente inferiori, con l'attuale gestione abbiamo raggiunto il risultato di far diminuire drasticamente le vittime degli incidenti registrati sulle tratte autostradali da noi gestite: dalle 420 vittime nel 1999, ultimo anno di gestione pubblica, alle 119 nel 2017". I dirigenti Atlantia hanno diramato un comunicato per rispondere alle accuse dopo il disastro di Genova.

I vertici hanno quindi replicato alle critiche per aver espresso in ritardo il proprio cordoglio per le 41 vittime del crollo del ponte Morandi spiegando di aver "ritenuto doveroso mantenere il silenzio per il rispetto dovuto alle persone che hanno perso la vita". Un comunicato, tardivo, che ha il sapore di un certo opportunismo e che promette di scatenare non poche polemiche.

Atlantia, la holding di Autostrade per l'Italia appartenente alla famiglia Benetton, teme di perdere un'importantissima fetta di mercato se la revoca della concessione per le autostrade dovesse diventare effettiva, come promesso dal governo, che avrebbe intenzione di nazionalizzare i caselli. Ma non solo, ora il gruppo trema per il rischio di una class action degli azionisti in America.

Da privati nessun freno alle risorse per la sicurezza - Nel comunicato i dirigenti Atlantia proseguono sottolineando che da parte loro "non c'è nessun freno agli investimenti per la sicurezza, né ci sono tagli alle spese di manutenzione da immolare sull'altare del dio profitto. Al contrario, è alta la volontà di investire pesantemente in sicurezza e metodi di gestione trasparenti e meritocratici - uniti a fatica, impegno e passione - della squadra dirigenziale e di tutto il personale dell'Azienda, per rafforzare i livelli di sicurezza che prima della privatizzazione erano drammaticamente inferiori".

Potrebbe abbattersi una class action su Atlantia - Lo studio legale Bronstein, Gewirtz & Grossman infatti "sta esaminando potenziali rivendicazioni per conto di acquirenti" dopo che, sulla notizia della possibile revoca della concessione e di una sanzione "il prezzo delle azioni è sceso di 1,66 dollari, o del 13,7%, per chiudere a 10,45 dollari il 16 agosto". Lo annuncia lo studio legale la cui "competenza è la ricerca aggressiva di richieste di contenzioso".
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto