Ma è sull'accoglienza che accende i riflettori oggi:
«Nei centri di accoglienza si radicalizzano. In quello che ho visitato, in Sicilia, erano 140, la metà erano già radicalizzati.
A un incontro pubblico, all'ora della preghiera, a un cenno si sono alzati tutti insieme,
cosa che non accade neanche a una conferenza internazionale di teologia».
Altro segnale inquietante, in una struttura simile che si trova nel Lazio:
«Due di quei ragazzi, che per me non sono minori, hanno almeno 20 anni, sono già jihadisti,
manifestano propensione al proselitismo e atteggiamenti di aggressività.
Sono fenomeni nascosti, non si lasciano vedere, ma c'è grande tensione, e un'attesa di qualcosa. È così in tanti centri».
Forte di una lunga esperienza in materia, di studio e sul campo, l'esperta ha pochi dubbi:
«Io li conosco e dopo neanche 5 minuti io li riconosco, li ho studiati e vedo cose preoccupanti».
«Molti ragazzi- riflette Sbai - sono scappati dal Marocco o dalla Tunisia e sono andati in Siria a combattere,
da lì poi non tornano nei Paesi di provenienza ma in Italia, o in Spagna, o in altre parti».
«Poi non si possono deradicalizzare se arrivano così.
Altri si radicalizzano qui, l'uno con l'altro e c'è sempre qualche esterno che può gestirli, condizionarli».
A marzo il Parlamento ha varato proprio la nuova legge sui minori non accompagnati.
La prima in Europa ma per Sbai niente è cambiato:
«Non c'è un programma vero. Noi per fortuna non abbiamo seconde o terza generazioni,
serviranno ancora 2-3 anni ma se noi li importiamo da fuori ci sarà un totale inquinamento fra pochi anni».
La soluzione?
«Monitorare, avere numeri precisi e informazioni, sentire i loro Paesi, verificare se i genitori li stanno cercando,
e poi i nomi e i cognomi, e io dico anche lavorare sul rimpatrio».
La giornalista è realista:
«I minori possono essere un cavallo di troia, possono essere spietati il giorno dopo,
bisogna essere molto chiari se non vogliamo svegliarci come Barcellona.
A noi ci lasciamo come frutta, ci possono fare male, molto male».