BECK: cantore della Generazione X

ricpast

Sono un tipo serio
Si tratta di un cantante che forse alcuni di voi conosceranno:badate bene,non si tratta di Jeff Beck ma bensì di Beck Hansen!!!Biondo musicista californiano dalle molteplici influenze:folk,rock,pop,elettronica,soul e tutti i generi che avete in mente.Ho deciso di scrivere un'opinione su di lui in quanto è uno dei miei cantanti preferiti ma soprattutto perchè ritengo che la sua musica valga la pena di essere pubblicizzata e REALMENTE credo vada incontro a tutti i gusti.
Molti lo conosceranno per una sua hit del 1994: "Loser" dell'album "Mellow Gold" (video allucinato e goliardico dove lo si può vedere mentre in calzoncini trascina con una corda una bara grezza attraverso un bosco di conifere.....).Pur restando un fenomeno-movimento difficilmente inquadrabile storicamente,la GENERAZIONE X può essere identificata con la "tredicesima" generazione americana,ovvero quella dei giovani nati tra il 1961 ed il 1981(tuttora la componente di maggioranza nella popolazione statunitense con circa 80 milioni di persone).Sono stati ironicamente battezzati "baby busters", sottintendendo piu' di un semplice antagonismo demografico(soprattutto con la generazione precedente: i "baby boomers"), oppure "Generation X", un'espressione resa celebre dall'omonimo libro di Douglas Coupland, ad indicare una generazione senza identita', senza nulla di rilevante da dire(per maggiori info: http://www.scaruffi.com/feltri/us21.html ).
Loser è l'inno della Generazione X: nel testo tra l'altro si può leggere: "il mio tempo è un pezzo di paglia...sono un perdente baby,perchè non mi uccidi??".
Beck è figlio di Beebe Hansen,una frequentatrice assidua della Factory di Andy Warhol (ha partecipato come protagonista di alcuni brevi filmati porno girati dallo stesso Warhol e caratterizzati dal fatto che le inquadrature erano esclusivamente fatte sulle espressioni degli attori durante l'amplesso....)e nipote di un itinerante cantante folk(di cui non ricordo il nome).La cosa che mi piace della musica di Beck è la sua continua mutevolezza che le consente di scatenare i più svariati sentimenti ed emozioni nell'ascoltatore.
Io consiglio spassionatamente di avvicinarvi alla sua musica seguendo la cronologia della discografia proprio per riuscire a cogliere ed apprezzare l'evoluzione,la crescita del suo percorso musicale.
Si parte quindi con il già citato "Mellow Gold" che,al suo interno contiene perle di ineguagliabile lisergicità ("Beercan","Whiskeyclone Hotel-City 1997",la rinunciataria e serena "Pay no mind-snoozer" e le indiane "Steal my body home" e "Blackhole").Sono tra le più belle canzoni che Beck abbia mai realizzato quelle presenti nel singolo di "Loser":"Totally confused","Corvette bummer" ed "MTV makes me want to smoke crack".
Nel 1995,sull'onda del successo di mellow Gold,viene pubblicata la raccolta "Stereopathetic Soul-manure" che contiene lavori sperimentali di Beck del periodo 1988-1993("Today has been a fucked up day" è registrata con un comunissimo mangia-cassette portatile,"Rowboat" e "Modesto" hanno grosse influenze folk-hawaiane).Dopo alcuni anni di silenzio ecco il ritorno nel 1997 con "O-delay"(continua la sperimentazione elettro-pop-rap-folk con hit del calibro di: "Where it's at","The new pollution","Jackass","Devil's haircut" di cui vengono realizzati video allucinati e spesso coloratissimi di cui Beck è anche creatore-produttore-regista).
Beck intanto non disdegna di collaborare con hollywood per alcune colonne sonore:la dolcissima "Feather in your cap",dall'OST del film Suburbia (presente nel singolo di Syssineck),e la conosciutissima "Deadweight",dall'OST di "A life less ordinary",da cui è tratto un fantastico video di cui Beck è ovviamente ideatore e regista.La canzone è dedicata a suo nonno,grande ispiratore ed esesmpio per il nostro (deadweight=peso morto,non deve trarre in inganno!!Dopotutto stiamo parlando di Beck non di Ligabue,di Vasco o di Eros).
Nel 1998 la svolta con "Mutations":lp dalle sonorità malinconiche e meno sperimentali,di impatto assolutamente diverso ma altrettanto profondo(indimenticabile la struggente "Nobody's fault but my own" in cui vengono recuperate sonorità orientali tipiche della musica indiana già presenti in Mellow Gold).
L'anno successivo ecco l'ennesima "mutazione":"Midnite vultures".In questo album,inno alla gioia dei piaceri del sesso,Beck esalta la sua poliedricità elettronica attraverso canzoni come:"Sexx laws"(da cui è tratto un video spesso trasmesso da MTV),"Mixed business","Peaches & Cream","Debra"(sonorità e voce in farsetto alla Prince dei tempi migliori).Sono gli anni,a detta dello stesso Beck,più spensierati in cui si gode anche i piaceri di un'infiammata relazione con la bellissima Wynona Rider!!BEATO LUI!!
Dopo "Midnite Vultures" si dedica ad alcune interessanti collaborazioni tra le quali meritano di essere qui ricordate:"The vagabond" assieme agli anglo-francesi AIR e "Don't be light","Flavour" con Jon Spencer ed i Blues Explosion.
A settembre 2002 esce il suo(per ora)ultimo lavoro:"Sea Change".Si tratta di un album dai ritmi lentissimi rispetto ai precedenti,figlio di un periodo in cui Beck ha sofferto per la brusca fine di un'intensa relazione(non so se con Wynona!!).
E' UN ALBUM BELLISSIMO!!!(da citare:"The golden age","Guess I'm doing fine","End of the day" e "Little one").

....questo è quello che avevo scritto in un sito 3 anni fa...

Un anno fa è uscito Quero: l'ultimo album.
Fantastico!
Beck riprende le sonorità di o-delay e di midnite voltures.
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Beck è l'artista che più di ogni altro ha esteso i confini del rock negli anni 90. E' l'uomo che ha preso folk, blues, rock, rap, bossa nova, funky, musica caraibica e mille altri ingredienti ancora, frullandoli alla massima velocità per ottenere un cocktail mai sentito prima. E' il classico antidivo, magro, schivo, quasi timido e impacciato nelle interviste, diventato giovanissimo idolo della "X Generation" riuscendo poi a mantenere, anzi forse ad aumentare, negli anni l'ammirazione un po' di tutti, dagli "indipendenti" delle generazioni successive agli ascoltatori mainstream. Beck il personaggio, Beck l'inventore, Beck da cui ci si aspettano miracoli a ogni uscita, anzi, a ogni canzone.

Partiamo dall'inizio. Beck Hansen nasce nel 1970 a Los Angeles ed è figlio d'arte: Suo padre è un musicista bluegrass, sua madre è un'attrice del giro della Factory di Andy Wahrol, il nonno materno Al Hansen è uno dei principali esponenti del movimento Fluxus. Così il piccolo Beck, fin da quando impara a parlare, cresce immerso nella musica fino al collo e nella curiosità per l'avanguardia. La multietnicità e l'ambiente di Los Angeles, denso di tutte le salse dello spettacolo, fanno il resto.
Troviamo l'adolescente Beck sballottato tra blues e folk, che segneranno il suo punto di partenza creativo. A 18 anni si trasferisce a New York, come un novello Dylan, suonando nei club della Lower East Side e diventando parte della cosiddetta scena anti-folk di quegli anni.

Nel 1990, soddisfatto ed evidentemente arricchito da quell'esperienza, torna a Los Angeles e comincia, appena ventenne, a sfornare incisioni su incisioni casalinghe, con l'aiuto di amici e suonando da solo quasi tutti gli strumenti. Non ci sono confini di genere, non c'è blocco mentale di sorta. Tutto è permesso, partendo dal blues e passando per il folk dell'adolescenza viene tirato dentro veramente di tutto.
Dopo nastri autoprodotti pubblica un Ep "A Western Harvest Field By Moonlight" e due album, Golden Feelings e il suo vero successo underground Stereopathetic Soulmanoure.
Molte di queste registrazioni sono già hit alla nascita, sfornati come il fornaio sforna il pane la mattina o come si beve un bicchier d'acqua: come se fosse la cosa più naturale del mondo. Da quelle sessioni tra la cucina e la camera da letto nasce "Mtv Makes Me Want To Smoke Crack", singolo dal titolo programmatico che lo impone all'attenzione degli ambienti indipendenti che in quegli anni stanno dando poderosi segni di vita.

Non si fa però in tempo a vederlo nascere come fenomeno underground che un'altra di quelle registrazioni fatte un po' sul serio e molto per gioco, dal titolo "Loser", esplode in faccia al mondo diventando di punto in bianco uno dei più grandi, se non il più grande, singolo degli anni 90 e scaraventandolo direttamente tra le superstar.
Che "Loser" sia uno dei più grandi singoli del decennio lo si capisce immediatamente al primo ascolto nel 1993 (la registrazione risale però al '91). Si sa già che si potranno ascoltare singoli fino all'inizio del nuovo millennio, ma nessuno come questo potrà avere l'impatto quasi fisico, la portata innovativa, la forza trascinante dance/hip-hop e rock allo stesso tempo, riuscendo a non essere banale neanche per un istante.
Dopo "Loser" niente nel pop è più uguale a prima. La bandierina che segna il confine di "ciò che è possibile fare" è stata spostata una spanna abbondante in avanti da un ragazzo che quando ha inciso questa canzone aveva appena ventuno anni.

La Geffen lo mette immediatamente sotto contratto su consiglio del suo amico Karl Stephenson (compagno di quelle sessioni e anche coautore di alcune canzoni per quanto riguarda gli effetti sonori), che era stato assunto alla casa discografica come produttore. Stephenson, prendendo con minimi ritocchi quelle registrazioni, gli fa confezionare il suo debutto su major sulla lunga distanza dal titolo Mellow Gold.
"Loser" apre l'album con una base blues di slide guitar campionata, una batteria indolente, un testo rappato "fuori di testa" quanto basta e un ritornello contagioso come il morbillo sull'orgoglio di essere perdenti. Il resto non è da meno, commerciale e anticommerciale non si sono mai sposati così bene. Tra numeri folk, chiaramente a base Dylan, ma spostati nelle periferie suburbane tomba del sogno americano, come in "Pay No Mind (Snoozer)", e blues contaminati da ogni sorta di campionamento ed effetto sonoro, come per "Wiskeyclone Hotel City 1997" e "Truckdrivin Neighbours Downstairs", materiale da discoteca assolutamente stralunato quale "Beercan" e la stessa "Loser", musica indiana, rock e hip-hop sparsi in mille rivoli, quest'album raccoglie praticamente tutto ciò che la musica popolare ha prodotto nei trent'anni precedenti. Tutto meravigliosamente chiaro e visibile, ma spezzato e ricomposto in figure sempre nuove, irriconoscibili e conosciute allo stesso tempo.
Influenze? Dylan su tutto, ovviamente, ma anche Devo (Beck dichiarerà che ammira queste due fonti nella stessa maniera), Dinosaur Jr., noise-rock e low-fi, Public Enemy e la lucida - divertita - follia di Beastie Boys, Rolling Stones e Captain Beefheart, elettronica e musica indiana, ma in generale tonnellate di blues e hip-hop di ogni tipo. Ogni cosa è filtrata attraverso la lezione onnivora di Frank Zappa, forse il vero denominatore comune/deus ex machina. Tutto fa brodo, perché Beck riesce a usare tutto come se fosse il "suo" linguaggio da sempre, divertendosi a ricomporlo ogni volta in modo nuovo, con la stessa spontaneità di un bambino che gioca coi cubi.

La X-Generation a cavallo tra 80 e 90 trova in Beck anche un simbolo: praticamente è un nerd (o qualcosa che gli somiglia molto) con il suo aspetto dimesso e la sua (falsa) timidezza, confonde generi e stili senza riguardi per creare qualcosa di non-mainstream che allo stesso tempo è mainstream ma riesce a nasconderlo benissimo, nei testi è ermetico (per qualcuno semplicemente furbo) e ironico quanto basta per cantare l'orgoglio dei perdenti proprio per una generazione che è confusa e si sente perdente. Insomma, ha il phisique du role e le parole adatte per quei ragazzi. L'uomo giusto al posto e al momento giusto.
Dunque, arriva il successo e grazie anche ai suoi video strampalati e imprevedibili come la sua musica Beck diventa anche un eroe di quella Mtv che gli faceva "venir voglia di fumare crack".

Tutti pensano che l'inizio di questo artista sia già abbastanza, ma egli riesce a spiazzare tutti nel 1996 con il nuovo album Odelay. Nell'esperanto di Beck arrivano nuovi inaspettati linguaggi, come musica latina, party-music anni 60 e 70, punk e elettronica ancora più scoperta, che nelle sue mani si inseriscono con inaspettata naturalezza sugli elementi preesistenti. Odelay è a parere di molti il miglior disco di Beck, grazie anche alla riuscitissima collaborazione con i Dust Brothers alla produzione, quello che gli schiude definitivamente le porte dello star-system, e ascoltandolo è facile comprendere perché.
A parte il fatto di riuscire a superare in qualità il pur rivoluzionario esordio, c'è di tutto per tutti. "Devil's Haircut", l'hit che apre il disco, è uno strano mix tra influenze di lounge-music seventies, blues, campionamenti non campionamenti (Beck in questo disco non campiona le chitarre ripetitive ma - come affermerà in svariate interviste - suona proprio in quel modo), tastiere dal suono analogico, suonate sempre da lui con uno stile tra l'indolente e il jazzy.
Il risultato è affascinante e difficile da dimenticare. Le due canzoni successive "Hotwax" e "God Only Knows" sono più scopertamente blues pur con i soliti inserti paradossali a far sempre capolino, country, low-fi, hip-hop di volta in volta. "The New Pollution", a seguire, è il miglior pezzo dell'album, fatto di pura party-music d'antan, chiaramente di derivazione brasiliana (quella bossa nova che di lì a poco diverrà il nuovo amore dell'artista), sassofoni jazz, una voce dai toni bassi semplicemente affascinante e la solita influenza hip-hop nella ripetitività della sezione ritmica basso-batteria.
Non mancano i mantra lentissimi e allucinati, che sono uno dei tanti segni distintivi di Beck, come in "Derelict" e nello struggente folk di "Jack-Ass" e "Ramshackle". Semplicemente indimenticabili sono poi "Novacane" e "Where Is At" (che troverà un numero imprecisato di imitazioni). La prima è l'hip-hop che incontra il low-fi e la musica elettronica. La seconda è il perfetto inno rap da concerto, con tanto di battimani e suoni di tastiera analogici e caldi di eccezionale personalità come in tutto l'album, con un perfetto ritornello dove Beck denuncia "il demone" che lo spinge irrefrenabilmente alla bulimia musicale: "Gotta ten thousand devils in my microphone" ("Ho diecimila diavoli nel mio microfono"). In questo disco c'è persino il punk di "Minus" e il rap di chiara derivazione Beastie Boys, ma con inserti bossa nova (!), elettronici, rumoristi e disco, di "High 5 (Rock The Catskills)".

Il tutto può essere definito anche semplicemente pop, ma di certo è pop non convenzionale, mille miglia distante dalle piatte produzioni per adolescenti ai primi calori e che, a differenza di quelle, non si scorda tanto facilmente. Digerire la musica dei trent'anni precedenti e rigurgitarla in forma nuova e perfettamente coerente (è questo l'incredibile) con la semplicità apparente con cui lo fa Beck nei primi due album è facile intuire come possa risultare quantomeno affascinante per una intera generazione di ascoltatori "non convenzionali", che musicalmente si era trovata persa nel nulla del mainstream a cavallo dei primi anni 90, trovando sfogo nel cosiddetto indie-rock o nella verve sanguigna dell'hardcore, nell'hip-hop o nel passato degli anni 70 e 60, tutti elementi di cui ora Beck si fa portatore e rivelatore presso le masse che di tutto ciò hanno avvertito solo echi lontani.

L'anno successivo (1997) Beck compone tre canzoni per un piccolo film indipendente dal titolo "Deadweight". La title track svela il nuovo amore di Beck, ossia la bossa nova che già aveva fatto capolino in Odelay, ed è un ottimo risultato finale. Il lavoro appare come una naturale prosecuzione dell'ultimo album: le tastiere da party anni 70 sono le medesime, ma il ritmo a base di pettine e maracas, il flauto, i cori brasileri, la chitarra classica densa di "saudade" non lasciano dubbio su cosa stia interessando l'artista in quel momento. Visionario e surreale il video che gira per promuovere il singolo, dove un'ombra si ribella al suo padrone, triste impiegato, e ne prende il posto per realizzare i suoi desideri nascosti e fuggire dalla frustrazione quotidiana. "Erase The Sun" è un allucinato blues-folk stonato e oscuro, altalenante e dolorante, mentre "SA-5" chiude il trittico con un breve pezzo di folk scoperto, dotato di una divertente ritmica elettronica martellante e persino di influenze beatlesiane.

Sono anni di intensa creatività e prolificità musicale. Con Mutations (1998), Beck tende a ridurre quel pout-pourri di generi che aveva contraddistinto le sue prove precedenti, proponendo una serie di variazioni sul tema del country, contaminato via via con echi di "space age pop", psichedelia barrettiana e persino venature brasiliane (il singolo "Tropicalia"). Il tutto nel segno di un futuribile "folk-rock dell'era spaziale", come lo definisce l'autore, che trova la sua perfetta calibratura nel pastiche esotico-lisergico di "Diamond Belloks", vero tour de force del disco.
Sono a fuoco soprattutto le melodie, che illuminano episodi come l'iniziale "Cold Brains", con un motivetto pop appiccicoso che ti non molla più, "Dead Melodies", ballata sintetica impregnata di aromi Kinks, e "Sing It Again", struggente campfire song da praterie sterminate. E se "Nobody's Fault But My Own" riporta in primo piano la lezione psichedelica dei Sixties, "Lazy Flies" entra decisamente in territorio folk, cesellando armonie e ritornelli di grande eleganza, assecondato da una strumentazione ad hoc: viola, violoncello, pianola e sitar. Anche il suono si fa più pulito e accurato, rinunciando alla tipica impronta artigianale da "quattro piste" delle precedenti opere, mentre gli arrangiamenti portano la firma del produttore Nigel Godrich.
Meno innovativo e travolgente dei predecessori, ma sorretto da una scrittura sempre fluida e brillante, Mutations guarda al passato (la tradizione americana) con lo sguardo preveggente di chi sta già pensando alla prossima mossa per arrivare in anticipo sulla storia del rock.

Nel 1999 Beck produce l'ennesima "mutazione" del suo suono e del suo metodo di composizione con Midnite Vultures. L'idea è quella di produrre un album parzialmente più danzereccio dei precedenti e più pop-ular, nei testi, battendo il tasto più tranquillo dell'amore e l'attrazione fisica, con maggiori influenze funky e più propriamente disco o soul, meno rap, meno folk meno "provocazioni" intellettual-musicali. L'autore si fa accompagnare da una band di qualità (soprattutto la batteria "spacca" lungo tutto il disco), con una nuova abbondante presenza di fiati, e da ospiti illustri tra i quali tornano i Dust Brothers. Ne risulta un disco a fasi alterne, dove si trova dell'ottimo, del buono e dei momenti in cui il tutto viene tirato un po' per le lunghe.
Alle decisamente coinvolgenti "Sexx Laws", primo singolo con il solito ritornello tremendamente immediato, "Nicotine & Gravy" e "Mixed Bizness", dove il nostro fa le prove da James Brown, seguono parti elettroniche un po' meno riuscite come in "Get Real Paid", che avrebbe dato miglior risultato se fosse stata contenuta in due minuti, e l'egualmente troppo lungo sforzo hip-hop lounge di "Hollywood Freaks".
Analogamente "Peaches & Cream" non pare avere tutta l'ispirazione di cui avrebbe bisogno e suona faticosa a scorrere. "Broken Train" riporta decisamente alle buone vibrazioni di Odelay, così come "Milk & Honey" è un bel mix di rock & electrofunk di sapore decisamente anni 80, grazie anche alla presenza di Johnny Marr alla chitarra. Affascinante è anche la ballata a base di piano "Beautiful Way".
Chiudono l'album la rockeggiante "Pressure Zone" e un'altra caldissima ballata, "Debra", che sembra rubata dal cassetto di Prince, da ascoltare possibilmente in due la sera col camino acceso, ed è ancora una collaborazione con i Dust Brothers dalle sessioni di Odelay. Tanti giovincelli soul di bella presenza avrebbero qui tutto da imparare. Da segnalare la ghost-track finale, che appare dopo oltre dieci minuti di silenzio, una sorta di densa afro-elettronica tribale, fulminante quanto uno sfogo hardcore.
Beck ha prodotto Midnite Vultures perché non si accontenta, vuol provare a fare tutto e perciò è disposto anche a rischiare di inciampare per poi rialzarsi, il ché in nella musica popolare troppo spesso vittima di gente seduta sugli allori o nata già impacchettata per il "bizness" è spesso già di per sé un merito.

In Sea Change (2002), ideale seguito di Mutations, Beck smussa gli angoli e le stranezze residue di quel lavoro, completando una parabola artistica che lo ha portato verso un songwriting di stampo quasi "classico". Grazie anche alla produzione di Goldrich, il vestito di questi brani è curato in maniera certosina, e l'equilibrio tra melodia, elettronica e archi (orchestra diretta dal padre David Campbell) è pressoché perfetto. Abbandonati al passato giochi di citazioni, campionamenti, ironia beffarda, Beck si conferma ormai un maturo cantautore nel più classico senso del termine, e i riferimenti ai grandi maestri sono inevitabili, da Neil Young ("The Golden Age") a Scott Walker ("Lonesome Tears"), passando per Nick Drake ("Already Dead"). Tra un salto e un altro, però, ci scappa anche uno scivolone, il mezzo plagio di "Paper Tiger", che ricorda in maniera clamorosa "Melody" di Serge Gainsbourg, alla quale il nostro ha comunque ammesso di essersi ispirato.
Se la melodia la fa da padrone, vittima di questo cambiamento è il ritmo: niente funky dei bei tempi, ma lente e malinconiche ballate, dove il ritmo si alza di rado.
Non si tratta di invecchiamento, come qualcuno paventa, ma di una fase creativa che Beck ha compiuto consapevolmente, se si tratta di una senilità creativa non è certo Sea Change l'album che la testimonia.

Dopo tre anni di silenzio esce Guero, che si presenta come la summa di quanto seminato in un decennio: 14 pezzi in cui l'universo beckiano viene sminuzzato, passato, frullato, esemplificato (con ampio uso di cori e battiti di mano) e servito in piccole dosi. Purtroppo, però, manca la necessaria ispirazione per sorreggere un'operazione così ambiziosa.
Il limite di brani, pur godibili, come il singolo "E-pro" (un veloce pop-rock) o come il country-rock "Girl" è quello di suonare come b-side. Altri invece, come "Black Tambourine" (praticamente una linea di basso che si ripete scossa da colpi di batteria e tamburello) o la lunga cavalcata country "Farewell Ride", suonano semplicemente spenti.
Non mancano, comunque, episodi di buon livello, dalla filastrocca di "Que Onda Guero", punzecchiata da inserti di tromba, a "Broken Drum", in cui una melodia sognante, una chitarra tagliente, gocce di piano e una pulsazione elettronica disegnano un'atmosfera eterea, fino a "Hell Yes", quasi una cover di Eminem. A fotografare il rimpianto è semmai "Rental Car", che trova un buon giro di chitarra cui appigliarsi e alcune buone trovate in sede d'arrangiamento, ma che suona edulcorata, sfociando nell'ennesimo coretto.
In sostanza Guero costituisce, oltre che la prima pausa di riflessione di Beck, il suo primo passo falso.

Uscito a meno di un anno di distanza, Guerolito (2006) segue la stessa tracklist di Guero, proponendo un remix per ogni brano dell'originale. Non tutto il materiale è inedito, però: qualcosa si trovava già nella Deluxe Edition di Guero. E' il caso della "Girl" degli Octet, con una decostruzione che ne costituisce l'intermezzo e la coraggiosa scelta di fare a meno del ritornello. E' soprattutto un peccato che pure il superclassico di questa raccolta fosse già uscito. Trattasi della miracolosa "Broken Drum", griffata Boards Of Canada, con i suoi nastri all'indietro, la sua psichedelica malinconica che si sposa alla perfezione con il testo, la produzione non meno che perfetta. Scompare invece l'ottima "Missing" remixata dai Röyksopp. Il sostituto, però, è all'altezza della situazione: la nuova "Missing", rinominata "Heaven Hammer", è un ricostruzione operata dagli Air, che scelgono un'atmosfera quasi cupa, con synth che imitano gli archi, pianoforte e un sentore di catastrofe imminente.
Ci sono poi altri remix inediti che meritano la citazione. La "E-Pro" appena pasticciata dagli Homelife, per esempio, o il giocoso mix di "Qué Onda Guero" proposto dagli Islands. E il Dust Brother John King fa di una canzone spostata come "Rental Car" un vero elettro-delirio. Operano bene anche i nomi hip-hop coinvolti. Ad Rock, un terzo dei Beastie Boys, lavora su "Black Tambourine", mentre El-P supera le più rosee aspettative su "Scarecrow".

Dunque, Beck è stato tutto e il contrario di tutto, cos'altro potrà inventarsi? Ma questa è la domanda che tutti gli appassionati si sono fatti dopo ogni album. La parola "scontato" con Beck ha raramente un senso.

di: Marco Simonetti

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..ric,mannaggia..io che ero pronto con JEFF BECK,..uno dei miei chitarristi preferiti( ho quasi tutti i suoi lp....e invece.. :( :( :( :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :ciao:
 
Generazione X

Alle spalle dei "baby boomers" e' passata del tutto inosservata, considerata poco piu' che un incidente di percorso, la "tredicesima" generazione americana (secondo un sistema convenzionale di contare le generazioni): quella dei giovani nati fra il 1961 e il 1981, che pure oggi costituiscono il segmento piu' grande della popolazione (sono ottanta milioni).

Sono stati ironicamente battezzati "baby busters", sottintendendo piu' di un semplice antagonismo demografico, oppure "Generation X", un'espressione resa celebre dall'omonimo libro di Douglas Coupland, ad indicare una generazione senza identita', senza nulla di rilevante da dire.

La loro non e' auto-commiserazione, e' una forma di impotente rassegnazione al proprio destino universale di "sconfitti". Ed e' anche, ovviamente, un modo per esorcizzare quel destino.

Se negli anni '60 la frattura generazionale fra i baby boomers e i loro genitori (la cosiddetta "silent generation") fu un fatto violento, che rimise in discussione l'intero sistema di valori dello stile di vita americano, oggi quella fra baby boomers e baby busters e' un fatto molto piu' subdolo, ma non meno traumatico e non meno ricco di conseguenze. In una parola l'atteggiamento dei baby busters verso i loro predecessori e' di disprezzo.

I baby busters stanno crescendo in un mondo che e' ossessionato a livelli di paranoia collettiva da valori come: la pace, l'ambientalismo, il ritorno ai valori tradizionali, la spiritualita' , l'ottimismo. Sono sottoprodotti dei baby boomers, che crescendo hanno trasformato le proprie origini libertarie e fabbricato una industria di valori ideologici a proprio uso e consumo. Nei college degli anni '90, invece, prevalgono cinismo, materialismo, distacco, amore della tecnologia, fascino della guerra e un pessimismo di fondo.

Se la generazione dei baby boomers era cresciuta in pieno boom economico con il massimo delle aspettative, la generazione X sta crescendo in piena recessione con il minimo delle aspettative: il problema non e' piu' quello di diventare un altro Bill Gates, e' quello semplicemente di trovare almeno un posto di lavoro come commesso al negozio sotto casa. Il loro mondo e' un mondo afflitto dalla pestilenza dell'AIDS , dall'inquinamento, dal buco dell'ozono, dal debito pubblico , dalla droga , dagli omicidi , tutti problemi lasciati alle loro spalle dai baby boomers.

Scrittori come Doug Coupland, Shann Nix, Brett Easton Ellis (il cui "Less Then Zero" potrebbe essere il primo affresco generazionale dei baby busters), Nancy Smith, Steven Gibb, Eric Liu, Gael Fashingbauer, David Bernsteis, Robert Lukefahr, Ian Williams esprimono nella loro prosa tutto il fastidio che i baby busters provano per la civilta' dei baby boomers. L'umore della generazione X viene pero' colto soprattutto dalle "sitcom" degli anni '90, molte delle quali sono indirizzate specificamente a quel pubblico.

Il grosso della cultura dei baby boomers di oggi e' ispirato alla filosofia del "new traditionalism", ovvero un ritorno ai valori tradizionali ma salvaguardando le conquiste sociali, economiche e tecnologiche che sono state rese possibili rinnegando quei valori. E' il terzo voltafaccia di quella generazione, gia' passata, come scrisse Todd Gitlin, dal "je accuse" allo jacuzzi (ovvero dal periodo hippie a quello yuppie), ed ora pervenuta a un'illuminazione di stampo ascetico con la new age.

Per i baby busters tutto cio' sa di ipocrita, di futile e di vanesio. Clinton e' forse meno amato dei suoi due predecessori (Bush e Reagan), che pure appartenevano entrambi alla "GI generation", quella nata addirittura nel primo quarto di secolo. Il fatto che i baby boomers ce l'abbiano fatta a scalzare le vecchie generazioni (e abbiano lasciato la anonima, noiosa, pedante "Silent Generation" l'unica senza aver mai avuto un presidente) non induce i baby busters a gioire.

I baby busters hanno imparato che i loro genitori sono in realta' dei "nebbies" ("negative-equity boomers"), ovvero che i loro debiti superano i loro averi e che pertanto loro, i figli, passeranno la vita a ripagare quei debiti. La vita che i loro genitori stanno costruendo per loro e' "ovviamente" sempre peggiore, sempre piu' violenta e sempre piu' povera; inoltre i genitori sono spesso uno solo, nel senso che maternita' senza matrimonio e divorzi hanno reso i baby busters orfani dalla nascita, privati persino del bisogno piu' elementare, quello della famiglia. I baby boomers potevano lamentarsi di tutto nei confronti della societa', ma se non altro erano cresciuti in una famiglia; i baby busters spesso non hanno neppure una vera famiglia.

Nulla di cio' che stanno facendo i baby boomers puo' indurre all'ottimismo i baby busters. Persino l'etica apparentemente immacolata dei baby boomers di oggi presenta dei risvolti che la fanno sembrare pericolosamente neo-puritana e fondamentalista: l'idea di punire duramente chi inquina, chi non paga le tasse, chi commette qualsiasi crimine (le nuove battaglie di quella generazione, adesso che deve proteggere la propria esistenza borghese) mira certamente a costruire una societa' piu' giusta, ma rischia di tradursi in una sorta di societa' "orwelliana", e a sperimentarlo saranno loro, i baby busters.

I sondaggi dicono che i baby busters si sentono soprattutto soli: non possono sperare in alcun aiuto nella vita. Si considerano degli agnelli sacrificali nelle mani dei nuovi sacerdoti del tempio. Il loro curriculum e' una strage: nati alle prime madri che prendevano la pillola per non averli e che dovettero andare a lavorare per mantenerli, cresciuti nella promiscuita' post-hippie, educati da quelle che sono diventate le scuole medie meno efficienti del mondo industriale, affidati ai servizi sociali (pensioni, assistenza medica) piu' carenti del mondo occidentale, punk, tossicodipendenti ed ora minacciati di sterminio dall'AIDS: i baby busters crescono nel mondo peggiore che si possa immaginare.

La "generazione X" si sfoga indulgendo in rituali per soli adolescenti, ora quelli dei cyberpunk , ora quelli delle street gang , ora quelli del teppismo fine a se stesso.

I baby boomers crebbero nel mondo migliore che si potesse immaginare, fatto di famiglie perfette, scuole perfette, servizi sociali perfetti, comunita' perfette.

La differenza piu' profonda e influente e' forse quella relativa all'ambiente familiare. Un detto popolare e' che i baby boomers crebbero nella civilta' dei "my three children" (ovvero della famiglia-tipo con tre bambini che domino' la televisione e il cinema dell'epoca), mentre i baby busters crescono nella civilta' dei "my two dads" (ovvero delle coppie divorziate).

Nel 1962 meta' degli adulti americani riteneva che i genitori dovessero evitare il divorzio per amore dei figli; nel 1980 soltanto un quinto la pensava cosi'. Negli anni '60 la societa' privilegiava le famiglie con bambini, negli anni '80 li penalizzava: sono stati sospesi molti dei finanziamenti alle scuole, non esistono piu' molti programmi per la gioventu' ed e' prassi comune di tutti gli stabili per bene di non ammettere famiglie con bambini in tenera eta' (perche' fanno rumore e sporcano). E, per i baby boomers che oggi vanno al potere, i loro figli sono innanzitutto un problema.

Baby boomers come il giornalista Tony Kornheiser (sul Washington Post) e la scrittrice Cornelia Comer (sull'Atlantic Monthly) si sono sentiti in dovere di pubblicare durissimi attacchi contro i baby busters, articoli che sono l'esatto opposto dei panegirici che vent'anni prima scrivevano per se stessi: i baby busters vi vengono descritti come dei perfetti ignoranti, che non sanno nulla di geografia e non sono neppure capaci di fare le sottrazioni; degli idioti a cui sfugge il significato delle situazioni piu' ovvie; privi di fantasia, di iniziativa e di eleganza. Dopo essere stati abbandonati dai propri genitori, i baby busters vengono a malapena sopportati come un problema da risolvere.

Se e' sempre esistito il dubbio che quella generazione fosse stata soltanto un grande bluff, nessuno lo ha capito meglio dei baby busters. Nella letteratura gnomica dei baby busters tutto cio' di cui i baby boomers si vantano (dalla rivoluzione sessuale al rock and roll, dai diritti civili al boom economico) viene analizzato e rivisto in chiave critica, smascherando falsi miti ed effetti disastrosi.

Mutatis mutandis, la rivalita' fra queste due generazioni ricorda quella fra la "missionary generation", nata nel dopoguerra della Guerra Civile, e la "lost generation", nata alla fine del secolo. I primi erano i vincitori per definizione, i secondi erano gli sconfitti per definizione. L'epoca a cui questi secondi diedero vita, la cosiddetta "era del jazz", fu una delle piu' ricche (culturalmente e artisticamente parlando) della storia americana...

Richard Linklater ha riassunto l'atteggiamento dei baby busters con il termine "aggressive nonparticipation", che ben rende l'idea di questa generazione disgustata dal mondo in cui deve vivere ma al tempo stessa privata (per tante ragioni) della motivazione a cambiarlo.

Nel 1990 la percentuale di suicidi di ragazzi fra gli undici e i quindici anni aumenta dell'11.7% rispetto all'anno precedente. E' il piu' grande incremento di tutti i tempi. La "nonparticipation" e' arrivata all'ultimo stadio.

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I baby boomers

Bill Clinton, eletto nel 1992, e' il primo presidente prodotto dalla generazione dei "baby boomers".

Nati fra il 1943 e il 1960, i "baby boomers" (cosiddetti perche' in quegli anni di boom demografico il numero delle nascite tocco' punte record fino ai 4 milioni e rotti di neonati del 1957) sono quasi settanta milioni e costituiscono pertanto un terzo della popolazione americana, piu' della meta' della popolazione elettorale.

I baby boomers hanno vissuto la guerra del Vietnam, le lotte per i diritti civili, il movimento hippie, la rivoluzione sessuale. E adesso sono arrivati al potere: Bill Gates (classe 1955) e' l'uomo piu' ricco d'America, Clinton il suo presidente. Per vent'anni non si e' fatto praticamente altro che parlare dei "baby boomers", delle trasformazioni sociali indotte dal loro stile di vita, dei loro valori morali, della evoluzione della loro personalita' da hippie a yuppie, e cosi' via. Quella massa rappresenta oggi una grossa percentuale della popolazione attiva, tale da determinare le sorti della nazione.

Sono loro negli anni '80 a originare il fenomeno degli "yuppies" ("young urban professional"), avidi e cinici, materialisti fino ai piu' meschini eccessi. Saranno loro negli anni '90 a dar vita al "realignment" .

Si tratta di una generazione non conflittuale nei confronti della realta' sociale, ma desiderosa invece di integrarvisi il piu' rapidamente possibile. Dimostrano maggior rispetto per la famiglia e la religione, sono ansiosi di guadagnare molto denaro e molto in fretta. L'unica differenza sostanziale rispetto agli standard dei loro genitori e' che sono molto piu' sensibili alla qualita' della vita. Il weekend e' sacro e, pur non arrivando al concetto europeo di "ferie", il tempo libero e' diventato prezioso. La salute fisica viene subito dopo: dal "jogging" all'aerobica, dai cibi naturali alle vitamine. La BMW e' il loro status symbol preferito.

Detestati e vilipesi da tutte le altre generazioni, sia quelle piu' anziane sia quelle piu' giovani, i baby boomers sono comunque destinati a marchiare a fuoco la storia degli U.S.A. La nazione ha praticamente seguito passo passo la loro crescita. Negli anni '60 ci fu il boom di bambini, la crisi di spazio nelle scuole, la corsa ai vaccini, e cosi' via. Negli anni '80 questi bambini hanno generato un boom nei consumi e nell'occupazione. Gia' si profila la preoccupazione di quando tutti questi baby boomers andranno in pensione, prosciugando i fondi pensionistici della Nazione.

All'inizio del secolo 4% degli Americani avevano piu' di 65 anni. Oggi sono 33 milioni, ovvero il 13%, e nel giro di 15 anni, quando sara' la volta dei baby boomers, passeranno il 15%. L'irresponsabilita' proverbiale dei baby boomers si riflettera' purtroppo pesantamente sull'economia nazionale. I vecchi di oggi, infatti, avevano saggiamente risparmiato e possono godere oggi di un buon tenore di vita. I baby boomers, i vecchi di domani, hanno investito pochissimo in assicurazioni pensionistiche.

Forse nella storia degli U.S.A. nessuna generazione ha goduto di tante attenzioni, analisi e critiche. Della generazione successiva, la "generazione X" , si comincia a parlare soltanto negli anni '90, e quasi per caso.
 
Quero Beck...

una delle poche gemme

dopo i massive fine anni novanta

ma anche la musica è IN STALLO!!


Torno al mio sostakovich
 
superbubola ha scritto:
..ric,mannaggia..io che ero pronto con JEFF BECK,..uno dei miei chitarristi preferiti( ho quasi tutti i suoi lp....e invece.. :( :( :( :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :ciao:

Eh no!
:lol: :lol:

:)

Beck ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo molte volte: alcatraz di milano, 2 volte al castello di ferrara, alla fortezza dell'albornoz ad urbino...
Oramai ogni volta che viene in italia io non manco!
:up: :)

Ciro, grandi i massive.Memeorabili all'arena di verona.
:) :up:
 
sono veramente colpito da questi 3D
definirli belli è dir poco
e non è la prima volta che li incontro
in questo forum
complimenti ancora
 

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