Bond USA? no grazie

tontolina

Forumer storico
Bond Usa a rischio shock

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Maria Paulucci

“In futuro ci aspettiamo che i banchieri centrali abbiano un minore margine di manovra per contrastare i deludenti dati macro. Reattività e flessibilità saranno quindi fattori chiave per adattarsi a uno scenario più sfavorevole”. E’ questa l’opinione di Jean Médécin, membro del comitato investimenti di Carmignac Gestion, che contattiamo per capire come si sta regolando la società di gestione francese.
Dott. Medecin, in che modo si muoveranno dunque le banche centrali?
Le banche centrali hanno giocato un ruolo chiave nel fornire ampia liquidità per evitare che una recessione innescata dalla necessità degli operatori di ridurre la leva finanziaria si trasformi in una vera e propria depressione. La crescita moderata ha consentito agli istituti centrali di mantenere politiche monetarie accomodanti più a lungo del solito, cosa che ha sostenuto l’azionario. Sarebbe tuttavia pericoloso pensare che le banche centrali continueranno a supportare i mercati finanziari a prescindere dai fondamentali. La recente ripresa dell’inflazione negli Stati Uniti potrebbe costituire il punto di svolta per una più rapida normalizzazione della politica monetaria americana.



Quindi, voi come vi state muovendo?
Nella nostra strategia di investimento globale cerchiamo di rimanere un passo avanti, in particolare per quanto riguarda il reddito fisso. Riteniamo che i tassi statunitensi siano sempre più vulnerabili agli shock, con la volatilità delle obbligazioni sovrane al minimo storico. Crediamo inoltre che il differenziale del credito statunitense rispetto alla liquidità sia sempre meno attraente. Per queste ragioni, stiamo lontani dal reddito fisso Usa. Dall’altra parte, l’Europa continua a offrire qualche interessante rendimento reale sui periferici, mentre le obbligazioni societarie del settore finanziario beneficiano di un trend pluriennale di riduzione della leva e del rischio e di introduzione di nuove regole.

E per quanto riguarda l’azionario?
Ci concentriamo sui temi strutturali dove il potenziale di guadagno non è correlato alle condizioni macroeconomiche. Per farle un esempio, posso citare il nostro tema dei “leader mondiali”, categoria alla quale dal nostro punto di vista sono riconducibili principalmente le società del Vecchio Continente dotate di forti bilanci e di potere di determinare i prezzi e in grado di sopportare un contesto economico più sfavorevole. O, ancora, il tema della crescita strutturale degli Stati Uniti, puntando dunque sui “sottotemi”, diciamo così, della rivoluzione energetica, della monetizzazione di Internet o dell’innovazione sanitaria. Manteniamo anche posizioni selettive sui mercati che appaiono a buon prezzo e ancora non troppo amati dagli investitori globali: è il caso del Giappone e dei mercati emergenti, area nella quale concentriamo le nostre partecipazioni sulla Cina, sull’India e sul Messico.

Infine, quale idea avete sulle materie prime e sulle valute?
Riguardo agli assai poco amati settori dei metalli e dei minerali, scorgiamo alcune ragioni per una visione più costruttiva che vada oltre le valutazioni attraenti. Per esempio, il governo cinese ha dimostrato di essere intenzionato a mantenere i suoi obiettivi di crescita in particolare sul fronte delle ferrovie e del social housing. Sulle valute, manteniamo la nostra preferenza relativa per il dollaro Usa, che dovrebbe beneficiare della graduale normalizzazione della politica monetaria negli Stati Uniti, e abbiamo aumentato la nostra esposizione allo yen. Consideriamo la nostra posizione sulla divisa giapponese un fattore di bilanciamento del rischio nella costruzione complessiva del portafoglio.
 
Emissioni bond, primo bilancio 2014

Mario Alessandro Allegra – LUPOTTO & PARTNERS

ITForum News - Emissioni bond, primo bilancio 2014


L’evoluzione negli anni delle nuove emissioni obbligazionarie è un’interessante analisi per valutare gli sviluppi del mercato del credito e può fornire anche un’indicazione di massima sulle aspettative future dei tassi e dei rischi connessi con questa tipologia di investimenti.

Nel 2014 il totale nominale emesso in bond valuta euro è stato di 1.867 miliardi contro i 2.034 miliardi dello stesso periodo nel 2013.


La differenza di nominale tra i due periodi deriva da una minore attività di emissioni governative, visto il miglioramento dello stato di salute di diverse economie, ad eccezione di poche compresa quella italiana.


Il numero totale degli emittenti è però aumentato, ovvero c’è stato un numero maggiore di aziende che ha emesso debito rispetto al 2013 ma con un nominale inferiore. Per fare qualche numero, il nominale medio emesso è stato nell’anno corrente di 1,26 miliardi contro i 1,57 dello scorso anno.
Questo fatto si giustifica facilmente considerando il livello dei tassi medio degli ultimi mesi, che ha spinto le aziende a finanziarsi a interessi storicamente bassi tramite emissioni obbligazionarie, e utilizzare i proventi della raccolta a basso costo per fare investimenti o per rifinanziare un debito già esistente ma più caro.



Abbiamo visto nel corso dell’anno diverse operazioni di questo tipo, per citare alcune nomi su Peugeot, Wind, Piaggio, ecc. E’ ipotizzabile che qualora i tassi dovessero restare ai livelli attuali molte altre aziende potrebbero sfuttare questo scenario per ottimizzare le proprie risorse finanziarie.





Un altro elemento a favore dell’aumento delle emissioni corporate è riconducibile alla ricerca da parte degli investitori di rendimenti attraenti in uno scenario di tassi bassi anche a costo di qualche rischio in più: nel 2014 abbiamo assistito a un maggiore incremento di emissioni subordinate, molto richieste per via dei rendimenti maggiori, il cui totale emesso è circa triplicato rispetto allo stesso periodo del 2013. Questa ricerca di rendimenti attraenti aiuta le aziende a basso rating o con limitato accesso ai finanziamenti a reperire capitali più facilmente, come ad esempio succede nel segmento dei mini bond, dove c’è sempre maggiore attenzione da parte degli investitori, o come ad esempio è successo alla Grecia appena è rientrata nel mercato dei capitali dopo il default.
Un altro aspetto interessante da notare nelle nuove emissioni dell’anno in corso è la struttura della cedola: c’è stato un forte incremento, per un totale di circa 100 miliardi di euro, di obbligazioni a tasso variabile e a tasso misto (fisso per un certo periodo e poi variabile).
Può essere questo un segnale di aspettative future dei tassi?

E’ chiaro che una maggiore diffusione di questo tipo di bond crea delle aspettative sullo sviluppo futuro dei tassi che probabilmente saranno più alti di quelli attuali, anche se non fornisce alcuna indicazione sulle relative tempistiche, e conferma i rischi connessi alla svalutazione dei corsi obbligazionari. Il rendimento medio offerto dalle nuove emissioni è in calo, così come la cedola media, di poco inferiore al 2,5% annuo.
Fondamentale è in questo scenario non farsi contagiare da rendimenti elevati e sbilanciare quindi il portafoglio verso attivi più rischiosi per mantenere i livelli di rendimento degli anni passati. Il nostro consiglio è di mantenere sempre una buona diversificazione e magari cercare di compensare il calo dei rendimenti con una riduzione dell’elevato impatto fiscale attraverso strumenti che differiscono la tassazione.
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Contro la paura tassi ora c’è l’ETP

Michela Mercante

lunedì 4 agosto 2014
E’ una domanda che vale miliardi di dollari. Quando saliranno i tassi negli Stati Uniti? La sfera di cristallo non l’ha nessuno, ma tra gli investitori montano i dubbi sulle conseguenze della fine della politica ultra-espansiva della Fed. Tra l’altro, i segnali di un risveglio dell’inflazione non mancano, a conferma che il mercato potrebbe arrivare a scontare salite future dei rendimenti. Soprattutto negli Usa, mentre diverso appare il caso Europa dove le economie semmai “flirtano” apertamente con rischi deflazionistici.
Con adeguato tempismo, ci pensa Boost Etp, società di WisdomTree, ad annunciare su Borsa Italiana il lancio della prima gamma di Etp obbligazionari a tripla leva short in Europa, che permettono di guadagnare (o proteggersi) dal rischio di aumento dei tassi.
I nuovi Etp di Boost
Product Name
ISIN
Ticker
Boost BTP 10Y 3x Short Daily ETP
IE00BKS8QM96
3BTS
Boost Bund 10Y 3x Short Daily ETP
IE00BKS8QN04
3BUS
Boost US Treasuries 10Y 3x Short Daily ETP
IE00BKS8QT65
3TYS
Si tratta di ETP che replicano gli indici che forniscono un’esposizione ai rendimenti dei future sui Treasuries Usa a 10 anni e sulle obbligazioni governative italiane e tedesche, sempre a 10 anni. Sono pensati per restituire un ritorno -3x sul movimento giornaliero dell'indice di riferimento. Ad esempio – spiega una nota della società – “se il BNP Paribas Long Term BTP Future Index scende dell'1% in un giorno il "3BTS" aumenterà del 3% sempre in quel giorno (al netto di commissioni e aggiustamenti). Al contrario, se il BNP Paribas Long Term BTP Future Index aumenta dell1% in un giorno il "3BTS" scenderà del 3%”. Con quest’ultima quotazione i prodotti di BOOST ETP disponibili sulle borse di Londra, Francoforte e Milano salgono così a 75.
CommentaHector McNeil, Co-CEO di Boost ETP: “Viste le aspettative di crescita dei tassi d’interesse nel breve termine gli ETP obbligazionari a tripla leva short di Boost daranno agli investitori l’opportunità di migliorare i propri rendimenti o proteggersi dall'aumento dei tassi”.


ITForum News

 
La rielezione di Erdogan e gli errori nella politica estera USA di Barack Obama: aspettiamoci pesanti ed impensabili conseguenze

15 agosto 2014 Di Scenari Economici

http://www.rischiocalcolato.it/2014/08/la-rielezione-di-erdogan-e-gli-errori-nella-politica-estera-usa-di-barack-obama-aspettiamoci-pesanti-ed-impensabili-conseguenze.html


Scenarieconomici.it
Nonostante gli scandali – ipotetici o reali – che lo hanno travolto, Erdogan è stato rieletto alla presidenza della Turchia con la maggioranza assoluta. Questa è una notizia destabilizzante per l’amministrazione americana che aveva investito molte risorse nella sua caduta.
Scontri-e-Morti-in-Turchia-Turkey-Revolution.jpg
In breve, le premesse sono che gli USA nell’ambito di un contemporaneo indebolimento della Russia, di un potenziamento del ruolo degli alleati arabi in medio oriente (finalizzato a far giungere il petrolio iraqueno nel mediterraneo ed a controllarne flussi e prezzi, valuta di scambio $ inclusa) anche in relazione all’immancabile premessa/conditio sine qua non di mantenere gli scambi di petrolio denominati in dollari USA, hanno sferrato l’attacco alla Siria confidando in uno rapido crollo del regime, un po’ come capitato per tutti i Paesi nord africani esclusa l’Algeria (su cui la Francia ha posto il veto, nessun intervento nell’ex colonia governata per interposta persona dal super ‘allineato’ Bouteflika, oggi in cura a Parigi).
Nel marasma di un conflitto quasi epocale visto il numero dei paesi coinvolti in situazioni di cambio di regime (mi verrebbe da inserire anche il golpe del 2011 contro il grandissimo alleato americano dell’era Bush, Silvio Berlusconi, se non altro per l’indifferenza d’oltreoceano nell’impedirlo), Erdogan ad un certo punto decise di giocare la sua partita nello scacchiere medio orientale cercando l’annessione siriana nei termini di un ricollocamento di Damasco nel solco dell’influenza di Ankara. Questo chiaramente ha irrigidito gli USA che hanno tirato fuori le unghie come sanno ben fare, leggasi praticando l’intromissione soft, possibilmente facendo leva sugli scandali (in Italia sono 30 anni che succede e forse anche più).
Oggi l’arma letale di turno non è più il semplice dossieraggio da passare alla stampa ma è il controllo dei social networks, in grado di prevedere le tendenze elettorali (peccato si sia realizzato troppo tardi che in paesi molto nazionalisti semplicemente tale strumento non funziona – tipo Turchia -, mentre in Italia è efficacissimo!).



Dunque, Erdogan forte di un supporto strabordante ha comunque vinto le presidenziali addirittura con la maggioranza assoluta ed ora le cose davvero si complicano: per Washington può significare la nascita di un asse alternativo e credibile alla sua presenza storica in Medio Oriente. A livello informativo si ricordi che Iran ed Iraq sono paesi a fortissima connotazione sciita, come l’elite al potere a Damasco: la Turchia ha una grande minoranza sciita (ca. 30%) ma soprattutto mantiene ancora una certa qual capacità agglomerante legata alle proprie radici ottomane, per lo meno nella fascia Medio Orientale mediterranea. Se si dovesse rinsaldare l’asse turco-iraniano sarebbero dolori. Da qui le ambizioni del presidente turco.
In questo contesto l’amministrazione USA di Barack Obama rischia di aver fatto un capolavoro: è riuscita a trasformare gli alleati in nemici, gli amici in rivali. Nessun presidente USA era arrivato a tanto, oggi i cugini d’oltreatlantico hanno ben più dei famosi tre fronti aperti contemporaneamente che storicamente/da manuale hanno segnato la sconfitta in qualsiasi di fatto belligeranza: gli USA hanno aperti fronti

in Iraq e Medio Oriente (incluso l’Arghanistan),

in Ucraina e Russia,

NSA come fronte globale, quest’ultimo avendo comportato una conflittualità dichiarata con alleati storici (Brasile e Germania su tutti ma anche con la Cina).

Poi una serie di conflitti sotto traccia in tutto il mondo musulmano, escludendo l’Arabia e gli alleati del golfo, dove però al contrario delle elites al potere la popolazione non sembra essere così amichevole nei confronti degli anglosassoni, memento i disordini in Bahrain di alcuni anni or sono. E la Turchia sembra pronta a rivaleggiare nel vicino Medio Oriente, probabilmente addirittura con maggior incisività rispetto al passato.

A questo si aggiunga una crisi economica irrisolta e le elezioni americane che si avvicinano, c’è da scommettere che i repubblicani non faranno sconti al primo presidente di colore degli Stati Uniti, i maligni sussurrano anzi che cercheranno di fare in modo di fare il grande ribaltone e con queste referenze i democratici avranno il loro da fare per difendersi dagli attacchi.
Si noti inoltre che una delle conseguenze cruciali della belligeranza 2.0 del terzo millennio (oggi con le armi strategiche le guerre con i ‘pari nucleari’ sono di fatto escluse, dunque ogni forma di conflitto che normalmente di sarebbe combattuta con le armi oggi resta apparentemente sotto traccia) è l’accordo di portata storica tra Russia e Cina, accordo che fa il paio con quello di Nixon con Mao che aprì l’impero celeste al mondo: anche in questo caso le ripercussioni saranno di portata globale ed il rischio di un asse commerciale tra Russia e Cina a tutto tondo deraglierebbe senza ombra di dubbio il dollaro come moneta di scambio globale (leggasi, gli States non potranno più scambiare carta con merci, ossia i consumi americani rischiano di esserne pesantemente intaccati e con essa l’intera macchina economica statunitense).
Ricordiamo che il tanto vituperato G.W. Bush riuscì nel capolavoro di mettere d’accordo tutti nelle due guerre in Medio Oriente ed Afghanistan, sebbene con risultati (ed anche modi) discutibili fu indubbiamente un capolavoro diplomatico. Il confronto con la situazione attuale stride alquanto.
Quale storico sostenitore degli USA, sebbene non riesca veramente a comprendere i fini dell’amministrazione americana attuale, sono molto preoccupato: l’Italia è penso l’unico paese in cui il sinonimo di eden è l’America (“…hai trovato l’America…”) e da italiano vedere gettare alle ortiche un così cospicuo patrimonio di relazioni ed alleanze sembra davvero un peccato oltre che apparire come un grave errore strategico. Della serie, i migliori alleati sono coloro che non sono obbligati ad esserlo…
Mitt Dolcino
 
QUESTO SARA UN ANNO DECISIVO PER LA PRESENZA AMERICANA NEL MEDITERRANEO di Antonio de Martini

15 agosto 2014



UNA PREVISIONE FATTA A GENNAIO. BUON FERRAGOSTO A TUTTI I LETTORI ED AMICI.


Le leggerezze e l’improvvisazione statunitense che hanno trasformato la primavera araba in un inverno di fame e di morte nel Levante ( chiamata MENA area= Middle East and North Africa) stanno iniziando a provocare anche conseguenze di medio e lungo termine in campo geopolitico.
La conseguenza più appariscente è la ricerca egiziana di un nuovo equilibrio in campo internazionale con un riavvicinamento alla Russia, ma esistono anche i problemi nascenti dalla distruzione dei sogni geopolitici della Turchia e le inevitabili conseguenze della separazione consensuale tra Arabia Saudita e USA, tutte gravide di conseguenze durature.


Originally posted on IL CORRIERE DELLA COLLERA:
QUESTO SARA UN ANNO DECISIVO PER LA PRESENZA AMERICANA NEL MEDITERRANEO di Antonio de Martini
EGITTO
Il corpo degli ufficiali si è reso conto che alla dipendenza totale dalle forniture militari USA segue inevitabilmente la dipendenza dal sistema addestrativo negli Stati Uniti e quindi fatalmente influenza lo stesso modo di pensare della classe dirigente che in Egitto è e resterà quella militare per almeno un altro secolo.
I fratelli mussulmani non stanno combattendo per salvare la democrazia, ma perché aspirano a seppellirla loro.
Questa nuova politica di “ritorno all’ovile” nasseriano sta iniziando da parte egiziana a produrre effetti, quali la ripresa del programma nucleare egiziano varato dal presidente Mubarak nel 2007 e che era stato messo da parte dal presidente Morsi e l’interessamento russo a questa fornitura. Da parte statunitense , impossibilitati a premere energicamente sull’Egitto data la necessità di utilizzare il canale di Suez, pena la separazione tra la quinta e la sesta flotta USA, si registra un accresciuto interesse verso il Sudan che è il granaio dell’Egitto e rappresenta una utilissima base la cui parte nord del Sudan aspira a federarsi per i legami di lingua , religione , commercio e lavoro, oltre che per le acque del Nilo.
Come ebbe a dirmi un esponente di governo sudanese in privato, ” il Sudan ha ereditato le sue frontiere dagli inglesi e non vi si sente vincolato. A sud se vogliono l’indipendenza la avranno, noi – col nord- vogliamo unirci all’Egitto perché siamo arabi. L’Africa nera non ci interessa più di tanto. La rendita petrolifera è assicurata da contratti di diritto privato e abbiamo un territorio grande come l’Europa”.
Questa prospettiva era già un incubo per Israele col governo Egiziano in buoni rapporti : un paese con cento milioni di abitanti che si affaccia sul Mediterraneo farebbe paura a tutti, ma a Israele in particolare. Ora che l’Egitto sta misurando le distanze con gli USA, la situazione si fa ancor più delicata.
Le pressioni che gli USA stanno facendo sul Sudan da sud rischiano di affrettare la spinta verso l’unità dei due paesi arabi e sarebbero un errore ancor più madornale. L’equilibrio geopolitico del Nord Africa ne sarebbe talmente sovvertito da far rimpiangere i bei tempi in cui trattavano con Gheddafi.
Una potenza demografica come un Egitto da 100 milioni di abitanti guarderebbe famelico ai due ricchi e deboli vicini: la Libia e l’Arabia Saudita che dispongono di quel che manca agli egiziani: la rendita petrolifera.
Una maggiore indipendenza egiziana dagli USA corrisponderebbe una maggiore indipendenza di tutto il mondo arabo ed un rischio aumentato per Israele.

TURCHIA
Le mire egemoniche della Turchia sull’area detta della “mezzaluna fertile” ( Siria, Libano, Irak,) si sono infrante sul fronte siriano e curdo, i suoi progetti di negoziato con la UE sulle rivolte studentesche che ne hanno mostrato il volto repressivo e i buoni rapporti con l’Iran sacrificati sull’altare del rapporto privilegiato con gli USA, danneggiato prima dalle critiche all’attacco alla Libia e naufragato poi per il rifiuto di attaccare la Siria che a sua volta ha armato anche i curdi siriani e reso insostenibile la posizione dell’Esercito turco già alle prese con uno scontro ventennale coi curdi irakeni e con le purghe politiche inflitte da Erdoghan timoroso di un golpe ( 300 ufficiali condannati in un maxi processo).
Anche la politica di protezione dei palestinesi ha visto il suo limite nello scontro navale della MAVI MARMARA e la crisi israeliana che ha rotto una collaborazione militare di parecchi lustri e che ha fruttato la creazione di un accordo di assistenza militare Cipro -Israele.
In questa situazione che ricorda la storia della rana che si voleva ingrandire, l’Esercito ha rialzato la testa ed ha presentato un ricorso alla magistratura contro la condanna dei trecento ufficiali prendendo una inedita posizione antigovernativa, forte dell’appoggio del Bazar ( i commercianti penalizzati dal ristagno economico di un paese che si era abituato ad una crescita del 6/7 % annuo nello scorso ventennio).
Anche in questo caso, la via di uscita sembra essere una ostpolitik verso la Russia e l’Iran che hanno il petrolio e i mercati ( dei paesi turcofoni) necessari alla ripresa.
Al possibile restringimento ( secondo le leggi internazionali) della libertà di navigazione per le navi da guerra americane nel canale di Suez, potrebbe abbinarsi una aumentata liberta russa nei dardanelli, al punto che la Russia ha chiesto a Cipro ( membro UE e ospitante una base aerea e di intelligence NATO) una base navale oltre a quella di Tartous che già ha in Siria.

ARABIA SAUDITA
La annunziata separazione tra la politica estera Saudita e quella americana, sembra la classica separazione consensuale tra coniugi italiani per non pagare l’IMU sulla seconda casa.
In questo modo i sauditi hanno mano libera per colpire gli interessi russi nel Caucaso – come hanno iniziato a fare – senza che la responsabilità possa risalire al governo americano che invece attacca sul fronte dei ” diritti civili” che sostanzialmente consistono finora nel reclamare la libertà di fare propaganda omosessuale sui minorenni in Russia, mentre negli USA si perseguitano i contatti eterosessuali con minorenni di diciassette anni e dopo quaranta anni si spiccano mandati di cattura internazionali nei confronti di un regista ormai ultrasettantenne che abusò di una disinibita minorenne.
L’obbiettivo politico saudo-americano è saldare le istanze nazionaliste caucasiche con l’islamismo fanatico per ottenere una miscela esplosiva che polarizzi l’attenzione Russa come l’Afganistan ha accecato gli USA. Il secondo obbiettivo saudita è di politica interna: la fazione che guida la guerra – di questo si tratta – cerca di acquisire potere interno in vista della successione al re e i colpi di scena e di palazzo sono all’ordine del giorno ( un sottosegretario estraneo alla famiglia reale è stato nominato ” saltando il Primo ministro” che si opponeva. Roba che nemmeno in Italia…).
Nessuna meraviglia quindi che i frutti avvelenati di questo subappalto colpiscano anche il Libano dove alcuni attentati orditi dai rispettivi servizi segreti mirano a coinvolgere il paese nel conflitto siriano, mentre la popolazione rimane calma, ostile ed estranea a queste trame.
Gli scontri si limitano all’area di Tripoli, sono tradizionali e semi tribali.
Se a questa situazione mediterranea si aggiunge la nuova posizione decisamente pacifista del Pontefice ed il riavvicinamento tra cattolici e ortodossi, risulta evidente che il 2014 sarà un anno che gli USA vivranno – e ci faranno vivere- pericolosamente.
gennaio 6, 2014
 
pensavamo che Bush fosse un guerrafondaio
invece questo è davvero peggio anche se gli hanno dato il premio nobel per la pace defunta

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Obama accusa Putin: «La Russia ha armato i separatisti, non ostacoli le indagini»


nel mondo ci sono ben TRE pulizie etniche e tutte supportate dall'esercito USA
- la prima in palestina a Gaza dove gli israeliani non si fanno scrupoli a bombardare i palestinesi e massacrare donne e bambini indifesi
- la seconda in Siria/Iraq dove le iterroristi carnefici dell'ISIS sono stati addestrati dagli USA nel Qatar ed Obama ha pure loro inviato armi per distruggere la Siria.... i terroristi che si definiscono islamici dopo aver crocefisso e mangiato gli organi interni dei siriani, hanno cominciato ad uccidere anche i cristiani residenti nell'Iraq
- la terza sta avvenendo in Ucraina dove i nazisti di kiev sono stati addestrati sempre dall'esercito USA in Polonia... non solo... in Ukraina è stata "visitata" dal capo della CIA e dal Vicepresidente degli USA ... e lì ci sono militari contractors [insomma mercenari] americani che consigliano come uccidere i propri connazionali ed abbatere aerei civili ed accusare ingiustamente la Russia



infine c'è anche un problema africano sempre generato dall'Impero della morte americano [la morte nera].....
Fbi accusato di aver pagato musulmani per diventare terroristi

Lo sostiene un rapporto del Human Rights Watch. Successe dopo l'11 settembre.
?Report Hrw: l?Fbi ha pagato mussulmani per diventare terroristi - America 24


Antes del 11 de Septiembre, EEUU tenia todo planeado con Al Qaeda creado por la Cia para hacer la mayor mentira en el mundo


Hillary Clinton confiesa que EEUU creó Al Qaeda.
SIGUENOS EN: https://www.facebook.com/Nuevordenmundial Para los ignorantes que solo se dedican a ver las noticias en la televisión y no investigar, abrir sus...



 
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Chi Arma la Vittoriosa Al Qaeda in Iraq? (Immagina, puoi). (di Maurizio Blondet)

Chi Arma la Vittoriosa Al Qaeda in Iraq? (Immagina, puoi). (di Maurizio Blondet) - Rischio Calcolato


Nota di Rischio Calcolato: Questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe sito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€ spesi benissimo).
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E chi l’avrebbe mai detto? «Al Qaeda in Iraq s’è impadronita di Mossul e marcia su Kirkuk»; anzi, punta su Baghdad: non c’è dubbio che vincerà, è una potente armata di islamisti fanatici sunniti che di colpo si è manifestata armatissima, organizzatissima – e rovescerà il regime sciita di Al Maliki.
Chi l’avrebbe mai detto? Dopo tutti gli sforzi americani per cacciare Saddam, un milione di iracheni uccisi, centinaia di terroristi liquidati coi droni ad personam, migliaia di americani morti per portare la democrazia a quel petrolifero Paese, l’occupazione ultradecennale dell’Iraq da parte della NATO, l’armamento e l’addestramento delle forze armate dell’Iraq democratico… e questo è il risultato? Sta vincendo Al Qaeda, a cui la sola superpotenza rimasta ha dichiarato da dieci anni la guerra più spietata, allo scopo di distruggerla totalmente?

I media occidentali cadono dalle nuvole
: da dove viene fuori questa possente, inarrestabile armata jihadista? Non vogliamo tenervi sulla corda, perciò vi riferiamo la protesta del Generale di Brigata Abdelilah al-Bashir: siriano, ma nemico del regime di Assad, anzi membro di spicco della Free Sirian Army (FSA), il braccio combattente del «Governo in esilio» siriano, laico e secolare. Per tutti questi anni il Generale Al-Bashir s’è lamentato che gli americani non mandavano abbastanza armamenti alle sue forze anti-Assad; adesso che Washington ha cominciato a mandare armamenti a vagonate, il Generale si lamenta che gli USA scavalcano il suo FSA «e stanno consegnando direttamente le armi a vari gruppi di guerriglieri sul terreno», e con ciò «creano miriadi di signori della guerra in stile Somalia».


E chi l’avrebbe mai detto?

Gli agenti dell’America, questo faro della civiltà occidentale, il nemico mortale dei qaedisti, «distribuiscono direttamente gli armamenti nel fronte Sud e nel fronte Nord». Sicché succede questo: la nuova versione di Al Qaeda, che oggi si chiama «Islamic State of Iraq and the Levant» (ISIL), è abbastanza forte e organizzata da puntare a creare uno Stato islamico «dalla Siria all’Iraq», il sognato califfato transnazionale. È abbastanza potente da condurre un’operazione gigantesca (e coordinata con l’offensiva siriana) fino a impadronirsi di Mossul, la terza città irachena, in quella zona altamente petrolifera che i curdi si erano ritagliata come ricca zona autonoma, nucleo di un Kurdistan indipendente.
Addio sogno di un Governo kurdo (e laico), addio sogno di un Governo laico in Siria al posto di Assad. E mi sa che stiamo per dare addio anche al Governo iracheno di Al-Maliki, che è sciita, sostenuto dalla maggioranza sciita e appoggiato dal vicino Iran, sciita.
Questa trasformazione di un Iraq «liberato» in roccaforte sciita non doveva piacere né agli americani né, diciamolo, ai monarchi sauditi. Per cui, ecco che d’improvviso una potente armata sunnita e wahabita, coordinata con gruppuscoli di tagliagole siriani, è apparsa di colpo. Vittoriosa, inarrestabile. La disfatta dell’esercito di Al Maliki, i cui soldati sono scappati come conigli, ha fatto cadere in mano ai jihadisti una quantità di armamento nuovo, ovviamente Made in USA: cingolati, corazzati, mitragliatici pesanti, missili anticarro e persino un terribile elicottero d’assalto Black Hawk. E vuoi vedere che trovano degli addestratori che gli insegnano a pilotarlo? O magari lo pilotano dei contractors della Blackwater, inopinatamente messisi al fianco dei jihadisti? Dietro compenso di 15 mila dollari al mese, come prendono in Ucraina?
Al Maliki, il caporione sciita di Baghad, chiede disperatamente nuove armi agli alleati americani per battere i terroristi islamici. Ma proprio in questo momento, gli americani stanno meditando di interrompergli le forniture militari. L’ha detto un tale Charles Lister, definito «a senior fellow» del Brookings Institute – una fondazione culturale vicina al partito democratico USA – che proprio in questi giorni s’è spostato a Doha per studiare gli «extremist groups»: a che pro armare Al Maliki, visto che i guerriglieri dell’ISIL (ex Al Qaeda) «già circolano sugli Humvees forniti dagli USA agli iracheni? Washington si deve domandare se continuare a sostenere l’esercito iracheno nella sua ultima battaglia contro il terrorismo».
Chi l’avrebbe mai detto?
Washington non ritiene di continuare la battaglia «contro il terrorismo». È la stessa Washington che in Siria arma direttamente i signori della guerra, distribuendo le armi sul terreno ai peggiori, onde formare una specie di Somalia nella (prima) civilissima e laica Siria. Sono quegli stessi ribelli che hanno lanciato armi chimiche in Siria, accusandone il regime, nella speranza di provocare l’intervento diretto americano e della NATO; false flag mandato a monte da Vladimir Putin.
Domanda: non sarà che gli americani lo fanno apposta?
Magari preferiscono i terroristi islamisti in quelle zone petrolifere. Magari gli fa comodo che gli sciiti influenzati dall’Iran perdano la presa sull’Iraq. Magari, avendo abbandonato l’Iraq e dovendo abbandonare l’Afghanistan, lasciano lì i loro complici a combattere quella che chiamano «proxy war», guerra per interposta persona. Che è più comoda e anche, infine, meno costosa.
Viene anche un altro dubbio: che stiano facendo la stessa cosa in Ucraina.

Che anche lì la Victoria Nuland abbia armato e stia pagando (400 euro mensili) i giovani eroi di piazza Maidan, poi rivelatisi neonazisti tagliagole, detestati dalla massima parte della popolazione ucraina, anche quella che detesta i russi (ai Pravi, alle elezioni, hanno dato l’1,7%).
A proposito della Siria, il 16 giugno del 2013, Vladimi Putin, in visita a Downing Street, ha chiesto incredulo a David Cameron: «Pensate veramente di armare gente che hanno mangiato organi umani davanti al pubblico e alle telecamere? Sono queste le persone che volete vedere al Governo in Siria? Ciò non pare in rapporto con i valori umani predicati dall’Europa da secoli. Noi, la Russia, armiamo – fino a prova contraria – il Governo legittimo della Siria».


Vuoi vedere che dovrà ripetere lo stesso discorso per l’Ucraina?

Magari anche là si prepara una guerra alla siriana?

Con milizie che si abbandonano ad atti di terrore puro e mangiano, magari, intestini dei russi davanti alle telecamere?

Ad Odessa abbiamo avuto un assaggio di questi tipo di guerra.
Che poi, a ben pensarci, è impressionante il numero di terroristi «islamici» tornati dalla Siria, che si dedicano accanitamente ed esclusivamente a colpire un solo Paese infedele: la Russia.

Il FSB ha fatto sapere che dall’inizio del 2014, dunque in meno di sei mesi, ha dovuto liquidare 130 terroristi, fra cui 21 capi, e sventando in anticipo sei mega-attentati più «38 azioni criminali legate alle operazioni suddette»: ciò ha dimezzato il numero di attentati islamici anti-russi rispetto al 2013. Secondo RiaNovosti, «il FSB ha anche localizzato più di 160 depositi terroristi, sequestrando grosse quantità di armi e munizioni». Chissà chi gli forniva tutte queste armi, ai qaedisti anti-Putin?
Come dice la pubblicità: «Immagina, puoi».
La minaccia jihadista in Europa
Sono pochi giorni che il Governo USA, per bocca di Susan Rice (Dipartimento di Stato), ha ammesso di aver deciso di fornire «armi letali» ai ribelli siriani per accelerare la cacciata di Assad.
Ed immediatamente, è l’ISIL che, con una coordinatissima campagna di 6 settimane, sta procedendo (contemporaneamente alla guerra contro Assad in Siria, contro Al Maliki in Iraq) all’eliminazione di tutti gli altri gruppuscoli jihadisti armati rivali, essenzialmente ma non solo quelli della cosca Al-Nusra: ammazzandone oltre 600, strappando loro quattro campi petroliferi dell’area di Deir al-Zor, provocando la fuga dalle loro case di 130 mila civili (simpatizzanti coi jihadisti sconfitti). Lo scopo dell’ISIL è (scrive la Reuters) è di «estendere il suo controllo fino alla cittadina di Albukamal sul confine iracheno, onde rafforzare i collegamenti fra l’ala siriana e quella irachena» del medesimo ISIL. Il Syrian Observatory for Human Rights riferisce che in ormai l’ISIL controlla «la riva nord-orientale dell’Eufrate quasi dal confine con la Turchia giù fino alla città di Busayra, 320 chilometri più a sud».
Sembra che insieme alle armi letali in quantità evidentemente generosa, l’ISIL abbia trovato anche un comando strategico evoluto, si direbbe quasi di tipo occidentale. E non avete ancora visto niente.
Non so se ci avete fatto caso: i media europei hanno cominciato a lanciare il seguente allarme: ci sono 3mila combattenti islamici in Siria, nati e cresciuti in Europa dagli immigrati musulmani, con passaporti europei. Adesso questi sono di ritorno e vogliono commettere delitti in Europa, con le armi che hanno ricevuto ed imparato ad usare. Non è che se lo sono inventato, i media: hanno ricevuto le veline dai Ministri dell’Interno della UE che, il 5 giugno, si sono riuniti per fare il punto sullo spinoso pericolo: e pensare che lo devono sapere bene, visto che alcuni di queste partenze di giovanotti fanatizzati in Siria, le hanno favorite. Di parecchi hanno dossier e impronte digitali, li controllano da anni: come quel Mehdi Nemmouche, che secondo la versione ufficiale ha ucciso a Bruxelles, nel museo olocaustico locale, due agenti israeliani d’alto bordo. I servizi francesi lo conoscevano benissimo, e dopo il delitto a Bruxelles l’hanno recuperato (pardon, volevo dire: arrestato ) al suo ritorno in Francia, con le armi e tutto. In teoria, dovrebbero estradarlo in Belgio, dove ha commesso gli omicidi; ma Nemmouche ha rifiutato di essere consegnato ai belgi.
Così, farà le sue confessioni ai francesi. Più precisamente al Procuratore François Molins, un esperto della faccenda, che ha trattato già un altro criminale massacratore, Mohammed Merah, e che ha come tesi questa: sono lupi solitari, dei ragazzi radicalizzatisi in prigione, dove erano entrati da delinquenti comuni di mezza tacca.
È la solita storia dell’assassino solitario. Ricordatelo, quando cominceranno a fare attentati qui da noi.
 

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