boom boom boom!!!!!

BEBEEP ha scritto:
Scusa, correggimi se ho capito male: giove si e' messo a 90° con dietro un "malefico" e un altro addirittura"grande malefico"? Sara' mica pericoloso stare a 90° con due testecalde del genere intorno? :eek: :eek:
appunto

si può dire che per la fine del mese o meglio per il 5 luglio le posizioni cominciano a mutare perchè marte si incammina verso l'uscita della costellazione del leone


PS:
questa'anno l'equinozio di primavera è caduto il 20 marzo alle ore 18:15
il giono dopo ha visto sorgere il sole in pesci
mentre il 12 marzo il sole sorse in acquario

http://scis.uai.it/cielomese/cielo_marzo_2006.htm
 
tontolina ha scritto:
appunto

si può dire che per la fine del mese o meglio per il 5 luglio le posizioni cominciano a mutare perchè marte si inccamina verso l'uscita della costellazione del leone


PS:
questa'anno l'equinozio di primavera è caduto il 20 marzo alle ore 18:15
il giono dopo ha visto sorgere il sole in pesci
mentre il 12 marzo il sole sorse in acquario

http://scis.uai.it/cielomese/cielo_marzo_2006.htm
okkio che gli astronomi guardano davvero il cielo mentre gli astrologi moderni NO
per gli astrologi il 20 marzo il sole era a 30° di distanza rispetto alla posizione reale
 
bradley2006.gif
 
UNO STRANO ALLINEAMENTO ASTRALE

di *Alessandro Fugnoli
La data è il 23 dicembre 1998. Ebbene oggi, sette anni e mezzo più tardi, cioè novanta mesi dopo, S&P 500 e Treasury decennale Usa sono esattamente allo stesso livello, i Fed Funds quasi e anche il dollaro, in fondo, non è cambiato molto.

http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=387354

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15 Giugno 2006 15:10 MILANO

*Alessandro Fugnoli è lo strategist di Abaxbank. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il 23 dicembre 1998 non successe niente di speciale. Forse quel giorno nacque qualcuno che cambierà il corso della storia umana nei prossimi decenni, ma adesso è presto per dirlo. Di sicuro sappiamo che otto settimane prima nacque Google e nessuno se ne accorse. Larry Page e Sergey Brin avevano finalmente trovato un finanziamento di 100mila dollari e la sera erano andati a festeggiare da Burger King.


La sera del 23 dicembre 1998 l’S&P 500 chiuse a 1228.54. La Camera dei Rappresentanti aveva votato nei giorni precedenti l’impeachment del presidente Clinton in seguito al caso Lewinski, ma si sapeva che il Senato avrebbe votato contro. L’economia mondiale si stava riprendendo dalla crisi finanziaria di agosto, quando la Russia aveva fatto default sul debito e Long Term Capital Management, il più blasonato degli hedge fund, aveva fatto bancarotta. L’Asia era ancora in ginocchio, con le riserve valutarie a zero e un crollo di consumi e produzione, ma si cominciavano a vedere segnali di stabilizzazione. La sera del 23 dicembre 1998 i Fed Funds stavano al 4.75 per cento, mentre il decennale rendeva il 5.08. Due mesi prima Greenspan aveva tagliato a sorpresa, senza aspettare un meeting del Fomc e solo con un giro di telefonate. Aveva intuito genialmente che il mondo rischiava di precipitare in deflazione.

A Francoforte e a Bruxelles, invece, la deflazione era un concetto sconosciuto. Nessuno appariva nemmeno sfiorato dalla questione. La sera del 23 dicembre, comunque, a Francoforte si fece tardi negli uffici che preparavano la partenza dell’euro. La prima quotazione della moneta unica, dieci giorni dopo, sarebbe stata di 1.17 contro dollaro.

Sette anni e mezzo più tardi, novanta mesi dopo, S&P 500 e Treasury decennale sono esattamente allo stesso livello, i Fed Funds quasi e anche il dollaro, in fondo, non è cambiato molto. Se includiamo il differenziale di rendimento, con il dollaro che ha sempre reso più dell’euro, chi ha tenuto i dollari in questi sette anni e mezzo è un po’ più ricco di chi ha creduto nell’euro. Chi l’avrebbe detto.

Provate a pensare. Se vi dicessero che il 15 dicembre 2013, fra sette anni e mezzo, tutto si troverà come oggi non avreste un leggero senso di stordimento?

Sette anni e mezzo di borsa e 0.0 di performance (a parte i dividendi miserelli). Sette anni e mezzo in cui siamo stati bombardati e martellati furiosamente da discorsi colpevolizzanti sull’asset inflation, sulla k di Marshall eccessiva, sulla q di Tobin, sull’esuberanza irrazionale, sull’avidità degli hedge fund. Zero punto zero.

Sette anni e mezzo in cui M2 in America è passata da 4 a 7 trilioni e M3 da 5.8 a 10.2. Il Pil nominale era nel dicembre 1998 di 9.9 trilioni ed è oggi di 13.4. L’inflazione CPI è stata complessivamente del 21 per cento e quella del deflatore del 18.


Gli utili per azione erano in quel momento di 38 dollari sull’SP e oggi sono di 86 per il 2006 e 95 per il 2007 (stime di consenso).

Da quel giorno di dicembre il valore delle case è più che raddoppiato. Non solo in America. Nella Greater London (fonte HBOS) da 1998 Q4 a 2006 Q1 sono salite del 133.1 per cento.

L’oro valeva 290 dollari e oggi ne vale 565. Il petrolio era a 11 ed è oggi a 68.

La borsa è stata dunque il peggiore investimento possibile, paragonabile solo alla detenzione di dollari sotto il materasso. Si dirà naturalmente che, essendo andati a cercare la prima volta in cui l’SP è stato al livello di oggi, per definizione la performance da quel momento a oggi è zero. Giusto, ma di dovere risalire così indietro nel tempo non ce l’aspettavamo. Fine 1998 vista oggi appare in prebolla, ma allora appariva come un rally di sollievo per essere sopravissuti alla terribile estate di quell’anno. Di bolla si parllò molto di più nei 16 mesi successivi, che portarono l’SP 500 a 1530.

Ci siamo concessi questo piccolo divertimento allarmati dai catastrofisti che in questi giorni sono spuntati o rispuntati da tutte le parti, a partire da Andie Xie di Morgan Stanley che ci ammonisce su una correzione del 50-70 per cento sulle borse più sovraccariche da qui a fine 2007.

Tutto può essere, naturalmente, ma non è chiaro perché il prosciugarsi progressivo della liquidità di cui si parla ormai anche sugli autobus (e che indubbiamente c’è) debba essere pagato soprattutto dalla borsa. Sulle case, infatti, la Fed dice che i prezzi scenderanno leggermente e dolcemente e solo nelle aree surriscaldate. Sui bond si dice che cominciano a essere interessanti (Goldman Sachs vede il decennale al 4.50 l’anno prossimo) perché l’inflazione smetterà di salire entro fine anno, mentre la crescita sta già rallentando. Sull’oro si dice che va comprato perché è l’unica difesa in un contesto di squilibri sempre più gravi. Sul petrolio le agenzie internazionali (IAEA, FMI, Ocse più Greenspan nella sua accorata testimonianza al Congresso la settimana scorsa) fanno a gara per toglierci ogni illusione che possa scendere. Rimane quindi solo la borsa, che vale come valeva nel 1998 e adesso deve scendere e pagare per tutti? Terrà il petrolio ma dovranno scendere i petroliferi? Terranno i bond ma dovranno scendere le azioni sensibili ai tassi? Terranno le case ma dovranno scendere costruzioni e immobiliari? Terranno le materie prime ma dovranno scendere i minerari?

Certo, la borsa è securitizzata per definizione e, in caso di crisi urgente di liquidità si fa prima a vendere azioni per 100 milioni che una casa da 100mila. Alle case non è mai capitato di perdere il 25 per cento di valore in due giorni, all’SP 500 capitò nell’ottobre 1987. Nessuno compra le case con lo stop loss dello 0.0001 per cento sotto il prezzo d’acquisto, mentre tutto il securitizzato è ormai impregnato di acceleratori della volatilità. Eppure le case si comprano ormai a leva lunga (l’anticipo su un mutuo in America è più basso del margine iniziale sui futures di borsa) ma non hanno margini di mantenimento e sono beatamente esenti da VaR (nonché da disclaimer, market abuse, prospetti, vigilanze, quote giornaliere, market making).

Nel tempo, però, le distorsioni temporanee si correggono e, prima di correggersi, creano opportunità. Se cade la borsa e tutto il resto no, si crea una formidabile occasione di arbitraggio.

Sulla questione della liquidità (e dell’impatto della sua progressiva riduzione) possiamo dire due cose. La prima è che la riduzione sarà dolce e graduale, come è stata del resto in questi due anni passati. Non c’è nessun bisogno di frenate brusche. La seconda è che l’impatto sarà distribuito tra tutti gli asset reali e finanziari. Sarà cioè meno duro per le borse rispetto a quanto oggi si aspetta il mercato, mentre sarà, per tutto il resto, un po’ meno dolce di quanto il mercato stia scontando in questo momento.

Per quanto riguarda le prospettive dell’azionario, prima di azzardare previsioni facciamo una breve premessa. Sui libri di Valuation e di Portfolio Management viene spiegato con dovizia di formule che le quotazioni azionarie sono sostanzialmente funzione degli utili e dei tassi. Proporremo quindi un’alta onorificenza accademica e un CFA honoris causa a chi ci spiegherà come sia possibile avere l’SP a 1228 nel dicembre 1998 e oggi con la stessa curva dei rendimenti (e fin qui tutto bene) ma con utili per azione che in un caso sono meno della metà che nell’altro. Ci sembra un’incongruenza spettacolare.

E’ chiaro che la teoria accademica, benché elegante e perfetta nell’Iperuranio, non basta neanche lontanamente a spiegare le cose a noi che viviamo ben al di sotto delle sfere celesti. Quaggiù i corsi azionari riflettono anche altri due fattori. Il primo sono le dinamiche tecniche interne al mercato, i sovraccarichi di posizioni, gli sbilanciamenti. In tempi normali hanno un’influenza contenuta sui prezzi, in tempi particolari, come questo o l’ottobre 1987, possono spostare i prezzi enormemente, anche se per un periodo circoscritto. In questa fase attuale la correzione degli sbilanciamenti sembra in via di completamento. Chi doveva uscire per forza è già uscito. Il secondo fattore è il ruolo delle borse come strumento di politica monetaria. Al tempo della crisi asiatica, che è poi il tempo della bolla, la borsa fu usata dalla Fed in funzione espansiva. In una fase concitata di allarme da deflazione la Fed tollerò (inizialmente volentieri e poi con preoccupazione crescente), tra la metà di ottobre 1998 e la metà di marzo 2000, un rialzo dell’SP da 955 a 1530. Il 60 per cento in 17 mesi.

Oggi la Fed usa la borsa come strumento di politica restrittiva. In questi giorni il mercato azionario è stato tenuto sotto pressione in tutti i modi. Bernanke e i suoi hanno prenotato un’enorme quantità di apparizioni, dosando poi le parole in modo da fare dichiarazioni durissime contro l’inflazione quando il mercato sembrava recuperare e non parlando di economia quando il mercato scendeva già abbastanza per conto suo.

Con uno squeeze sulle borse si è provocato a catena uno squeeze sui cambi (chi vendeva borsa indiana tornava sulla valuta di partenza, ovvero il dollaro) e poi sull’obiettivo vero, cioè le materie prime con l’oro in testa e il bersaglio grosso, il petrolio, sullo sfondo. Con una settimana di impegno puramente verbale, probabilmente senza spendere un dollaro, si è fatto scendere il rame del 25 per cento, mentre l’oro è sceso da 730 a 560. Alla Fed interessa poco del rame e dell’oro in tempi normali, ma l’altissimo valore simbolico che i due metalli avevano assunto nelle ultime settimane come segno tangibile di accelerazione inflazionistica ha indotto i policy maker a mantenere la pressione fino a eliminare completamente le velleità rialziste sulle materie prime. Questo effetto durerà almeno qualche mese ed è estremamente positivo.

Il bersaglio grosso, si diceva, era il petrolio, che conta un milione di volte più dell’oro su CPI e deflatore. Fare scendere il petrolio di qualche dollaro sposta il PPI e il CPI che viene comunicato al mercato il mese successivo. Si tiene buono il mercato e si guadagna tempo, in attesa che la gobba d’inflazione si esaurisca (qui bisogna armarsi di pazienza, perché ci vorranno ancora dai due ai tre trimestri).

Il petrolio, d’altra parte, non va compresso troppo. Greenspan, la settimana scorsa, ha detto che gli speculatori che hanno accelerato il rialzo del greggio sono meritevoli di pubblico encomio. E’ grazie al loro sforzo quotidiano che il petrolio ha oggi un prezzo tale da risvegliare (faticosamente) un’offerta addormentatissima e stimolare la ricerca di fonti convenzionali e alternative. Se il greggio stesse e rimanesse a 50 dollari, ci troveremmo tra pochi anni con una crisi energetica improvvisa di gravità finora sconosciuta.

Il petrolio, quindi, va per la Fed semplicemente fermato e sgonfiato leggermente del suo carico speculativo. Niente di più. Fermarlo basta immediatamente a far scendere l’inflazione.

Da qui in avanti, vista dalla Fed, la borsa dovrà stare tranquilla grosso modo fino ad agosto. Il 29 giugno avremo il rialzo al 5.25. In agosto si vedrà e molto dipenderà dalla borsa. Un mercato debole (che non vuol dire più debole di adesso) darà spazio alla Fed per non alzare, oppure (ipotesi che preferiamo) per alzare ma contestualmente annunciare la pausa. In quel momento la Fed comincerà a dare ufficialmente la priorità alla crescita e la borsa potrà fare la sua parte salendo. E’ una partita in due tempi, difficile e delicata. Per il momento tutto sembra sotto controllo. Tutto è voluto e non subìto e questo è molto importante e molto positivo.


Copyright © Il Rosso e il Nero, Settimanale di Strategia di Abaxbank per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved
 
LA BCE E LA SINDROME CINESE

di *Raj Shant
La Banca Europea perseguirà una politica monetaria stabile. Pechino farà ciò che è necessario per sostenere il suo processo di industrializzazione. Queste due verità implicano che gli investitori in titoli azionari...


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15 Giugno 2006 10:29 LONDRA

*Raj Shant, e' Portfolio Manager di Newton Investment Management, di Mellon Global Investment. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – La stampa non è quasi mai tenera nei confronti della BCE. Negli ultimi anni, anche quando ha tagliato i tassi di interesse europei a un irrisorio 2%, è stata accusata di non fare abbastanza per sostenere la crescita. I funzionari della BCE hanno sottolineato che i tassi di interesse reali erano effettivamente negativi in alcuni paesi periferici ed molto bassi persino in paesi come la Germania, per cui la colpa non è della politica monetaria bensì delle rigidità strutturali nelle economie. Seguire l’esempio della Fed e ridurre drasticamente i tassi all’1% non determinerebbe necessariamente un miglioramento della crescita a lungo termine, ma porterebbe unicamente a un incremento sconsiderato del debito.

La massa monetaria e i prestiti bancari sono aumentati assai rapidamente e la BCE è rimasta ferma alla politica del suo progenitore, la Bundesbank, che considerava la massa monetaria come un segnale anticipatore di futuri rischi inflazionistici. Questo la fa sembrare anche una “guastafeste” rispetto ad altre banche centrali che hanno abbandonato questo tipo di politica; la Fed è andata addirittura oltre e ha smesso di pubblicare i propri dati sulla massa monetaria M3.
Non è divertente essere l’unica persona sobria a una festa…


Il dna della Banca Centrale Europea proviene dalla Bundesbank. La BCE ha ereditato le proprie caratteristiche attuali in seguito alle storiche battaglie con l'iperinflazione in Germania. Battaglie che, tra l’altro, hanno portato alla nascita del nazionalsocialismo. Di conseguenza, la BCE ora considera la moneta stabile come un fattore positivo per tutti. Una moneta instabile, anche se positiva nel breve termine, causa maggiori problemi nel lungo termine.


Ecco perché la BCE è più preoccupata di tutti per l'incremento dei prezzi degli attivi nell'area euro. Ad eccezione del settore immobiliare tedesco, la maggior parte delle valutazioni immobiliari sono aumentate improvvisamente, così come i corsi azionari unitamente alle opere d’arte e beni simili. Secondo la BCE questa è l'altra faccia della medaglia quando si registrano bassi tassi di interesse per lungo tempo. Può contribuire a dare maggiore fiducia ai consumatori e quindi a incrementare i consumi, ma la BCE non desidera stimolare consumi alimentati dal debito per sostenere la crescita.


Inflazione? Quale inflazione?

Negli Stati Uniti, l’incremento dei tassi di interesse è stato presentato come una fase di semplice “normalizzazione” dei tassi da livelli particolarmente bassi. Nel frattempo, gli aumenti incerti da parte della BCE hanno attirato diverse critiche a fronte di un rallentamento della crescita in Europa e del rafforzamento dell’Euro. Le banche centrali parlano d’inflazione e alcuni adducono come prova i prezzi dell’oro e di altri prodotti di base che salgono alle stelle. Ma l’opinione più diffusa è che in realtà non ci sia nessuna inflazione.


Sin dalla fine degli anni ’90 si ripete che l'impatto della globalizzazione (soprattutto il ruolo della Cina) e le nuove tecnologie (soprattutto Internet) implicano che l’inflazione è morta. Benvenuti nel nuovo mondo fatto di tassi di interesse e inflazione perennemente su livelli bassi. Un mondo in cui i tassi di interesse contenuti porterebbero un cambiamento strategico nel livello di indebitamento che un’impresa o una famiglia può assumersi con prudenza (occorre sottolineare che la crescita fulmina dei settori a capitale di rischio e private equity si basa su questa semplice premessa).


La sindrome cinese

Ma anche le tendenze più consolidate alla fine perdono il loro vigore. Certamente, la Cina sta investendo molto per produrre merci a buon mercato e poi esportarle verso gli ingrati mercati occidentali. La Cina possiede molta forza lavoro conveniente, ma non possiede petrolio, carbone, gas, sostanze plastiche, metalli ferrosi, alluminio, rame, ferroleghe, silicio, e così via. Il punto è che un numero crescente di quei prodotti che sono noti per essere “made in China” stanno in effetti diventando più cari. L’incremento dei costi alla fine dovrà essere trasferito sui prezzi. Sarà un vero e proprio choc per chi di noi è stato abituato ad assistere a un progressivo decremento dei prezzi, dall'abbigliamento all'elettronica.


Questa “sindrome cinese” potrebbe evolversi da costante fattore deflazionistico a fattore leggermente inflazionistico, catalizzando eventualmente l’incremento dei tassi di interesse nel mondo. Naturalmente, con un Dollaro debole l’effetto sarebbe più evidente negli Stati Uniti rispetto a Europa o Inghilterra.


Attenzione ai desideri che esprimete…

L’ultimo comunicato del G7 chiedeva direttamente una rivalutazione delle valute asiatiche, in linea con la forte eccedenza della loro bilancia commerciale. Nel lungo termine certamente ciò sarà necessario per ribilanciare i livelli odierni del commercio mondiale. Ma nel breve termine è una politica che presenta molti rischi. Con l’incremento delle valute asiatiche, i beni che questi paesi esportano verso l'Occidente diventano necessariamente più cari. In aggiunta ai forti incrementi nei costi delle risorse, a livello di commercio al dettaglio in Europa (ma anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti) si potrebbe verificare un incremento dei prezzi al consumo.


L’attività delle banche centrali si fa nuovamente interessante?

L’incremento dell’inflazione porrebbe le banche centrali di fronte a un dilemma interessante. Ovvero, quanto possono aumentare i tassi di interesse senza causare danni collaterali alle economie più indebitate e quanto possono aumentare i prezzi al dettaglio prima che inizino ad aumentare le richieste salariali? Finora la costante diminuzione dei prezzi dei beni di consumo ha attutito gli effetti del taglio dei costi da parte delle imprese e della continua diminuzione dei salari in rapporto al PIL. Per cui ci si chiede se assisteremo a una svolta nella tendenza a lungo termine. La BCE sa che dovrà verosimilmente affrontare temi molto complessi nei prossimi 12 mesi. Probabilmente incrementerà i tassi più rapidamente del previsto in risposta ai segnali di un riemergere dell’inflazione. In caso contrario, i controllori del mercato obbligazionario potrebbero tornare una volta influenti potrebbero tornare in azione.


… e i mercati azionari?


Se la vostra strategia azionaria si è basata su una riduzione della parte azionaria o un incremento del debito, allora potreste perdere tutto. In questo contesto, le storie di rendimento senza una logica di investimento operativa dovranno confrontarsi con la liquidità e le obbligazioni a più alto rendimento.


Le imprese al consumo che hanno dovuto affrontare l’inflazione nei costi delle risorse, ma che non sono state in grado di riversare tali costi sui prezzi, potrebbero trovare più favorevole il nuovo contesto. Di conseguenza, i comparti di Newton dell’Europa continentale hanno una posizione sovrappesata sia sui rivenditori al dettaglio che sul settore alimentare.


E naturalmente per i titoli a bassa capitalizzazione che hanno prosperato in un contesto di elevata liquidità le valutazioni particolarmente elevate (rispetto ai titoli concorrenti di prim’ordine) potrebbero essere assai esposte in tale situazione.


La BCE perseguirà una politica monetaria stabile; la Cina farà ciò che è necessario per sostenere il suo processo di industrializzazione a lungo termine. Queste due verità implicano che gli investitori in titoli azionari europei dovranno passare da un'era di capitale abbondante e a buon mercato ad un'era in cui il capitale ha un costo effettivo. In tale contesto le politiche di investimento solide avranno nuovamente il sopravvento sulle strategie basate sulla momentanea crescita economica.

http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=387241
 
e brava tontolina :)
ieri poi si è saliti, contro ogni sospetto, e probabilmente lo farà anche oggi...

ma, a parte le battute sui 90° (carine però :D ), se i malefici colpiscono, dal 18 (cioè dal 19) si dovrebbe ricoinciare a scendere, giusto?
stiamo a vedere, ciao :up:
 
leo-kondor ha scritto:
e brava tontolina :)
ieri poi si è saliti, contro ogni sospetto, e probabilmente lo farà anche oggi...

ma, a parte le battute sui 90° (carine però :D ), se i malefici colpiscono, dal 18 (cioè dal 19) si dovrebbe ricoinciare a scendere, giusto?
stiamo a vedere, ciao :up:
aspetta....
la congiunzione marte-saturno avviene perfettamente domani

ho linkato la pagina dell'Unione Astronomi ... e lo puoi leggere....

dopo lentamente si allontana marte e lentamente la posizione si annulla

direi che il rimbalzo dovrebbe comunque il fiato corto
e terminare entro i primi giorni della settimana proxima ...

questa posizione planetaria cesserà completamente il suo effetto dal 3-5 luglio ... vattelo a leggere
aspetta che te lo rilinKo
 

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