Bruciata viva...

Eravamo molte di più dei grillini e con richieste e posizioni molto più importanti.

Ma i media ci hanno ignorate quasi del tutto :-x
 
Le donne portano in piazza 250mila italian* contro la violenza

Un brevissimo estratto:

Una data che rimarrà storica, quella del 26 novembre, in cui nella Capitale il gruppo di donne dietro lo striscione “Non una di meno”, che ormai conta migliaia di adesioni, sono state seguite da 250 mila persone provenienti da ogni parte del Paese per sfilare da piazza Esedra e San Giovanni in un corteo fatto da tutt*: maschi, femmine, bambini, bambine, studenti e studentesse, persone di ogni età, e ognuna portatrice di una realtà diversa. Un’onda colorata, danzante, pacifica e aperta a tutt*, che ha avuto il coraggio di rendere visibile la propria forza senza gridare. Nessuna bandiera di partito, nessuna istituzione, solo un unico grande fiume: donne che ogni giorno combattono sul campo come guerriere in prima linea, donne che ci rimettono i soldi, la vita, gli spazi privati, perché sono convinte che quello che stanno facendo è giusto e va fatto malgrado, o proprio a causa, delle inefficienze dello Stato e di fronte a istituzioni che continuano a pronunciare promesse senza seguito, a fare patti non rispettati, a pronunciare parole che poi cadono inesorabilmente nel vuoto, in un Paese famoso per le sue buone norme mai pienamente applicate.

È vero che si combatte come guerriere sacrificando un sacco di cose: denaro, tempo libero e spazi privati.
E a volte, lo ammetto, mi chiedo se ne valga la pena.

Dalle prime settimane di ottobre, tra progetti in vari istituti scolastici, conferenze, cortei, ospedali e questura, ufficio, accoglienze e giornaliste, ho passato notti in bianco, percorso decine e decine di km in poche ore, speso soldi miei e tempo, investito in risorse personali ed emozioni, incontrato persone negative e pericolose, partecipato a riunioni lunghissime dove non succede mai niente di concreto, creato materiali usati da molta gente che non cita nemmeno la fonte, incontrato una vittima di tratta, litigato con poliziotti e medici, passato il tempo a gestire la famiglia e la casa sempre di corsa...

E tutto questo per cosa?
Son pessimista oggi. Molto. Mi trovo a dover scrivere una frase che non credevo avrei scritto mai : "avessi almeno una retribuzione adeguata"
 
Ultima modifica:
Non so quante fossimo....
i numeri li sparano a caso secondo me :D

Ma.... Tantissime persone. Sicuro

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:-x

Sabato 26 novembre, un corteo allegro, ironico, di popolo, guidato dalle donne e formato da uomini e donne di tutte le età, ha sfilato per le vie di Roma per dire basta alla violenza di genere. Tra le centomila e le duecentomila persone. Chiedevano un cambiamento di prospettiva e di cultura, chiedevano politiche attive, e quindi denaro pubblico per creare reti di assistenza, educazione dei giovani e delle giovani al problema, strumenti giuridici nuovi e adeguati.

Una manifestazione che riempie Via Cavour dalla Stazione Termini ai Fori Imperiali, senza staccare vetrine e senza bruciare cassonetti, che non ha dietro nessuno sponsor, totalmente autofinanziata, in grado di fare proposte politiche, di interloquire con i governi e le autorità, non si improvvisa. È il frutto del lavoro che migliaia di persone in maggior parte donne hanno fatto negli ultimi anni in tutta Italia.

Lavoro in particolare sul femminicidio e sulla violenza di genere, e più in generale sui temi della eguaglianza di diritti e di risorse tra le persone dei due sessi. La violenza nasce anche dalla persistente svalorizzazione delle donne, dalla loro mancanza di reddito e risorse, di politiche sociali adeguate e di reti di sostegno.

Questa è la dimostrazione di una crescita politica sana, non corrotta, non chiusa nei palazzi, non solo parolaia, non gridata ma presente nel quotidiano. Una cosa, insomma, molto importante.

Bene. Peccato che per i principali media questa manifestazione non c’è stata. Come dice il comunicato firmato da Non Una di Meno e dalle altre organizzazioni che avevano indetto la manifestazione, “il TgUno, che appena il 25 novembre condannava la violenza sulle donne, ieri sera ha intervistato solo la Ministra Boschi e poi, come per caso, è stata data la notizia che migliaia di donne avevano sfilato a Roma per dire no alla violenza. RaiDue ha mostrato un papà con un bambino sullo sfondo del Colosseo e della manifestazione, sembrava una festa per famiglie. La7 non si è accorta di niente”.

E là dove se ne è parlato, se ne è parlato dopo la morte di Castro, dopo il maltempo, dopo la giornata della raccolta alimentare, e soprattutto, dopo aver parlato molto più a lungo della manifestazione per il no, che ha raccolto un centesimo delle persone, ma aveva alla testa un comico rabbioso, e di un altro evento molto meno frequentato sul si al referendum, tenutosi sempre nella capitale.

Perché evidentemente sarebbe una gran notizia che a una settimana dal referendum tutte e due le parti facciano eventi. Ma le donne in piazza no, anche nel servizio pubblico, non sono notizia. Sono velate, nascoste, sono invisibili, sono ascose, non sono importanti, non rilevano, ah già che vuoi che facciano le donne? Per tutto il giorno precedente abbiamo detto che, a una a una, si fanno massacrare, bruciare, attaccare con l’acido, picchiare, stuprare, che il loro destino da grandi è di finire all’ospedale picchiate dal marito.

Come facciamo ora a descriverle insieme, forti organizzate, allegre, ironiche, coi loro figli e coi loro compagni, con una loro azione e un loro pensiero politico?

È anche per via di un sistema informativo che non sa fare il suo mestiere, che blandisce i potenti di turno e i loro eventi e non informa sulla realtà, che ci ritrova poi con le élites politiche incapaci di capire quel che succede veramente nelle teste e nei cuori della gente, e con la gente che crede che la politica sia solo teatrino di palazzo. Questa è una pagina vergognosa del servizio pubblico e dell’informazione italiana, i responsabili se ne dovrebbero almeno scusare.
 
Il medico è accusato dell'omicidio di quattro anziani pazienti fra il 2012 e il 2014 all'ospedale di Saronno, dove lavorava e, successivamente, di aver ucciso assieme all'infermiera il marito di lei, morto non in ospedale: gli sarebbero stati somministrati, per un lungo periodo, farmaci "assolutamente incongrui" rispetto alle sue reali condizioni di salute, debilitandolo fino alla morte. Per entrambi l'accusa è di omicidio volontario.

Le intercettazioni: "La nonna Maria la facciamo fuori" "Ma poi la nonna Maria la facciamo fuori...". "La Nene la possiamo far fuori quando vogliamo e anche la zia Adriana". Sarebbero alcune delle frasi che compaiono nelle intercettazioni raccolte durante le indagini coordinate dalla Procura di Busto Arsizio e che hanno portato all'arresto dell'infermiera e del suo amante. Dal fraseggio si evincerebbe che la presunta omicida coinvolgeva il figlio 11enne nei suoi progetti deliranti. -

Laura Taroni e Leonardo Cazzaniga parlavano spesso al telefono. E le loro telefonate era puntualmente registrate dagli inquirenti. Compreso quella in cui la donna ha espresso il proposito di ammazzare i suoi figli. “Se vuoi uccido anche i bambini” ha detto l’infermiera killer, con il vice-primario che ha riposto: “No, i bambini no”. Laura Taroni però ha ribadito il concetto: “Se vuoi, li uccido anche loro…”. Loro, come vengono definiti dalla coppia, sono l’angelo blu e l’angelo rosso, ovvero i due figli della donna.
 
117 donne uccise per femmicidio nel 2016: dati che parlano chiaro riguardo un problema culturale profondo. Non è “emergenza femminicidio”, come molti la chiamano, ma una costante punta dell’iceberg che sottende molto sommerso, spesso non denunciato per paura, per difesa dei/delle figli/e, per costrizione, per vergogna.

I dati della ricerca condotta da Cristina Martini, ricercatrice di ProsMedia dal titolo “Uomini che odiano le donne. Come l’agenzia di stampa Ansa rappresenta i casi di femmicidio secondo la nazionalità dei protagonisti” confermano la trasversalità del fenomeno. È necessaria un’analisi dettagliata dei casi di femmicidio per inquadrarli: è frequente assistere alla diffusione di dati scorretti da parte di mezzi di informazione o inesperti sul tema che etichettano come violenza di genere qualsiasi uccisione di donna, ad esempio gli omicidi per motivi economici o successivi a una rapina.

Nel 2016 le vittime di violenza di genere sono state 117, di cui la maggior parte al Nord (54), seguito poi dal Centro (36), il Sud (20) e le Isole (7). In Veneto i casi di femminicidio sono stati 14: sei a Verona (Mirela Balan, Larisa Elena, Mirella Guth, Alessandra Maffezzoli, Lloara Petronela Uljca, Ines Valenti), tre a Rovigo (Radica Monteanu, Maria Askarov, Miranda Sarto), due a Venezia (Nelly Pagnussat, Emilia Casarin), due a Padova (Mariana Caraus, Lidia Marinello) e uno a Vicenza (Monica De Rossi).

Le donne uccise nel 2016 sono in prevalenza italiane: 84 (il 71,8%); sono straniere nel 28,2% dei casi di femmicidio (33). Le nazionalità delle vittime sono molteplici: rumena (8), ucraina e moldava (5), marocchina, albanese, nigeriana, bulgara (2), americana, serba, brasiliana, dominicana, algerina, peruviana e argentina (1).

Gli uomini colpevoli sono per la maggior parte italiani: 84 (nel 71,8% dei casi), 20 stranieri (il 17,1%; uno di questi è in possesso di doppia cittadinanza, italiana e algerina) e 13 non sono ancora stati identificati oppure le indagini non sono ancora state completate (11,1%). Le loro nazionalità: 5 offender sono rumeni, 3 albanesi, 2 ucraini e tunisini, un senegalese, marocchino, tedesco, serbo, moldavo, paraguayano, pakistano e algerino. Il 90% (18 su 20) dei colpevoli stranieri ha ucciso la propria compagna straniera; solo in due casi (Gisella Purpura e Maria Grazia Cutrone) hanno agito contro una vittima italiana: in entrambi i femmicidi era la loro moglie.

La provenienza delle vittime straniere e dei relativi offender sono in linea con i risultati pubblicati nel “Dossier Statistico Immigrazione 2016” dal Centro Studi e Ricerche IDOS, in partenariato con la rivista interreligiosa Confronti, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) in cui la collettività più numerosa nel territorio italiano è quella romena (22,9%), seguita dai cittadini dell’Albania (9,3%), del Marocco (8,7%), della Cina (5,4%) e dell’Ucraina (4,6%).

Le vittime hanno un’età soprattutto tra i 31 e i 60 anni (57 su 117, il 48,7%), seguite dalle over 60 (35) e dalle donne tra i 18 e i 30 anni (19); le vittime minorenni nel 2016 sono state sei. I casi di femminicidio sono stati agiti in prevalenza con armi compatibili con la realtà domestica: sono 47 le morti (il 40%) provocate da armi da taglio; seguono i delitti compiuti con armi da fuoco (26), per strangolamento (15), con oggetti (11), con il fuoco in cui la vittima è stata bruciata viva (5), per soffocamento (4), con percosse (4), con manomissione del tubo del gas, per annegamento, con auto (1). In due casi vi è stato l’uso di farmaci, tra cui numerose punture di eparina.

Violenza di genere, femminicidio, femmicidio continuano ad essere giustificati da chi li racconta. La ricerca dei click e delle condivisioni soprattutto attraverso i canali social media hanno portato ad una maggior diffusione di messaggi scorretti che, volontariamente o no, confermano stereotipi e pregiudizi già presenti nella cultura del possesso. I racconti emotivi, di spettacolarizzazione e con particolari morbosi attirano i pubblici dipendenti cognitivamente dai media, indirizzandone il pensiero su elementi quali l’amore, la gelosia, la malattia mentale e il raptus, la provocazione e l’occultamento della violenza in diverse modalità.

I dati raccolti parlano invece di casi di violenza perpetrati nel tempo da persone con un legame molto stretto con la vittima, che hanno raggiunto il tragico epilogo dopo segnali e precedenti percosse, intimidazioni, azioni di stalking. Ci parlano di colpevoli che pianificano attentamente l’atto criminoso per costruirsi un alibi, che progettano nei dettagli l’uso dell’arma o infieriscono sul corpo della vittima se lo scopo non viene raggiunto a un primo tentativo.

In merito alla violenza sulle donne e ai racconti di questa, la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) ha pubblicato un documento decalogo che invita gli operatori del settore dell’informazione – ma i suggerimenti sono consigliati per tutti coloro che si occupano di diffondere dati e notizie in merito – all’uso di un linguaggio corretto scevro da stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle persone coinvolte; a contestualizzare, proponendo statistiche ai propri pubblici, i singoli fatti di cronaca; a utilizzare fonti attendibili e autorevoli, come ad esempio le associazioni che si occupano di violenza di genere e di femminicidio e a identificare la violenza inflitta alla donna in modo preciso attraverso la definizione internazionale contenuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sull’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.

È possibile trovare l’elenco completo delle vittime al link dell’Osservatorio sul femmicidio: Osservatorio sul femmicidio.

Il report dati del 2015: 106 vittime della cultura del possesso: i femmicidi del 2015.

Il report dati del 2014: Uccise in quanto donne: i femmicidi del 2014.

Altri post su “femmicidi e violenza di genere”: Femmicidi e violenza di genere – ProsMedia.


( I femmicidi del 2016: 117 vittime della violenza di genere )
 

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