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03-08-2005
Lo stato dei tassi in Europa
Tommaso Monacelli
La crescita reale langue in Europa e molti invocano un ruolo più attivo della BCE nel sostenere la ripresa. Al proposito, vanno subito chiariti due aspetti. Primo, il problema di crescita dell’Europa (almeno per alcuni grandi malati come Italia, Francia e Germania) è di
lungo periodo, riguarda cioè il tasso di crescita del livello potenziale del prodotto. Per definizione, questa variabile non è influenzabile dalla politica monetaria, ma dipende principalmente dall’andamento della
produttività e, in parte, dalla politica fiscale. Secondo, il mandato della BCE prevede una attenzione esclusiva all’obiettivo di inflazione (fermo restando che sbaglia chi, all’opposto, lamenta che la Fed ha invece un obiettivo di crescita, suggerendo così una spiegazione erronea al differenziale di crescita tra USA e Eurolandia: semplicemente, la Fed non ha target espliciti).
Tra arte e scienza
Condurre la politica monetaria vuol dire muoversi con perizia nel territorio di confine tra arte e scienza. Uno dei semplici "principi scientifici" (intendendo con ciò un principio con un minimo di fondamento nella teoria economica) per valutare la correttezza della posizione della politica monetaria è la cosiddetta
regola di Taylor (1). Questa prescrive che le deviazioni del tasso di interesse corrente da quello "naturale di lungo periodo" (per definizione, quello compatibile con la stabilità dei prezzi) debbano dipendere da due fattori. Primo, le deviazioni dell’inflazione dal target di riferimento (con un "peso" 1.5). Secondo, le deviazioni del PIL corrente dal livello potenziale, il cosiddetto output gap (con peso 0.5).
Per semplicità, e vista la definizione dell’ obiettivo prioritario di inflazione, la migliore approssimazione per la BCE è quella che fissa il peso dell’output gap a zero. Adottando questa metrica possiamo valutare la condotta della politica monetaria della BCE e paragonarla al "paradigma di Taylor". La
figura qui sotto illustra il confronto. La retta continua indica, per ogni livello di inflazione osservato dal 1999 a oggi, dove la regola di Taylor prescriverebbe di fissare i tassi
(2). La nuvola di punti indica invece dove la BCE ha effettivamente fissato i tassi dall’inizio del proprio mandato. Appare subito chiaro un punto centrale. La BCE è stata quasi sempre più espansiva rispetto a quanto indicato da una buona regola di condotta della politica monetaria, fissando i tassi mediamente al di sotto di quanto prescritto dalla regola di Taylor.
Questo contraddice la visione comune che indica nell’eccesso di rigore della BCE una delle cause principali della stagnazione europea. Se di qualcosa la BCE ha peccato, forse, è stato di "lassismo". Lo conferma il fatto che in questi anni il conseguimento dell’ obiettivo di inflazione (per quanto opaco nella sua formulazione: "al di sotto ma vicino al due per cento") è stato più una eccezione che una regola.
L’andamento dei tassi di interesse
Data questa evidenza, non solo
andrebbero smorzati i toni sull’eccesso di rigidità della BCE, ma
probabilmente rivedute le aspettative di un abbassamento dei tassi in Eurolandia. Se i tassi di interesse sono destinati a variare, quindi, lo faranno verso l’alto. Non solo per la dinamica al rialzo che si osserva negli USA e in generale nel mondo (dovuta al graduale contrarsi dell’offerta di risparmio proveniente dall’area asiatica, in particolare dalla Cina).
La stagnazione europea sembra in particolare guidata da un rallentamento della produttività. Poiché, come indicato all’inizio, questa è la determinante centrale del livello potenziale del prodotto, è presumibile che l’output gap di Eurolandia (come ricordato, la differenza tra prodotto effettivo e potenziale)
stia subendo pressioni al rialzo. Come tali, queste sono pressioni inflazionistiche. Accomodarle con una discesa dei tassi oggi significherebbe, probabilmente, una pericolosa ripresa inflazionistica che richiederebbe rapide e indesiderate strette monetarie future.
(1) Si veda
http://www.stanford.edu/~johntayl/
(2) Questa retta di Taylor è ottenuta assumendo un livello del tasso di interesse naturale (o di equilibrio) del 2.5%, la media dei tassi reali in Germania dal 1960 a oggi.