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La Corte Ue: Bce non ha colpe per le perdite sui bond greci del 2012
Il tribunale dell'Unione europea ha respinto le accuse di 200 creditori, prevalentemente italiani, secondo cui la Banca centrale europea sarebbe stata responsabile del taglio del valore delle obbligazioni. Per Lussemburgo si tratta di "rischi insiti nelle attività del settore finanziario"
07 ottobre 2015
MILANO - Il danno subito nel 2012 dai detentori privati di titoli di credito greci nel quadro della ristrutturazione del debito pubblico dello stato greco non è imputabile alla Bce, ma ai rischi economici normalmente insiti nelle attività del settore finanziario. Lo ha stabilito il Tribunale Ue secondo il quale, proteggendo i titoli greci detenuti dalle banche centrali nazionali e da lei stessa, la Bce ha esclusivamente agito con l'obiettivo di mantenere la stabilità del mercato monetario.
Il fatto. Il caso riguarda le decisioni dell'Eurozona per gestire la crisi greca e gli effetti sui risparmiatori e investitori. Nel febbraio 2012, Bce, banche centrali nazionali, governi dell'Eurozona e Grecia avevano concluso un accordo in base al quale i titoli del debito greco sarebbero stati scambiati contro nuovi titoli aventi valore nominale, tasso d'interesse e date di scadenza e di pagamento degli interessi identici a quelli dei titoli scambiati, ma con numeri di serie e date di emissione diversi. Atene e il settore privato avevano concordato contemporaneamente uno scambio volontario e uno scarto di garanzia del 53,5% dei titoli detenuti da investitori private (l'operazione si chiamava 'private sector involvement', in sostanza la ristrutturazione del debito il cui onere ricadeva sui privati). Di fatto, i detentori privati hanno allora visto il valore nominale dei titoli scambiati ridursi del 53,5%.
All'inizio di marzo, poi, la Bce stabilì, come garanzia per le operazioni creditizie dell'eurosistema, di subordinare l'utilizzo dei titoli di debito greci che non raggiungessero la soglia minima di qualità creditizia alla prestazione, da parte della grecia a favore delle banche centrali nazionali, di un rafforzamento creditizio, sotto forma di programma di riacquisto.
L'accusa. Abbastanza perché oltre 200 detentori privati di titoli greci (essenzialmente cittadini italiani) hanno chiesto alla Ue di condannare la Bce a risarcire il danno loro causato per un ammontare di 12 milioni di euro: secondo i ricorrenti l'Eurotower avrebbe violato la buona fede e le legittime aspettative degli investitori privati nonchè il principio di certezza giuridica e il principio di eguaglianza di trattamento. Non solo : la Bce, attraverso comunicati stampa e pubbliche dichiarazioni dei presidenti che si sono succeduti (Trichet e Draghi), si sarebbe sempre opposta alla ristrutturazione del debito pubblico greco e al default controllato della Grecia. Inoltre, l'accordo di scambio del 15 febbraio 2012 le avrebbe permesso di sottrarsi al taglio concordato per il settore privato e quindi, anche, al taglio forzoso dei titoli imposto dalla clausola. Infine, del programma di riacquisto dei titoli greci avrebbero beneficiato soltanto le banche centrali nazionali, nonostante tali titoli non soddisfacessero le condizioni minime di qualità creditizia. In sostanza, la Bce si sarebbe riservata uno status di creditore di "rango privilegiato" a danno del settore privato.
La sentenza. Il tribunale Ue ha stabilito che gli investitori privati non possono avvalersi del principio di protezione della buona fede nè del principio di certezza giuridica in un ambito come quello della politica monetaria, il cui oggetto "comporta un costante adattamento in funzione delle variazioni della situazione economica". Secondo il tribunale, gli investitori privati avrebbero dovuto conoscere la situazione economica altamente instabile che determinava la fluttuazione dei valori dei titoli greci. Dunque, non potevano escludere il rischio di una ristrutturazione del debito pubblico greco, tenuto conto delle divergenze di opinione sul punto in seno all'eurosistema e all'interno degli organismi coinvolti (Commissione, Fmi e Bce). Quanto alle dichiarazione pubbliche di esponenti della Bce, queste "avevano un contenuto generico e provenivano da una istituzione che non era competente a decidere di un'eventuale ristrutturazione del debito pubblico di uno stato membro, non fornivano assicurazioni precise e incondizionate provenienti da fonti autorizzate capaci, quindi, di creare legittime aspettative".
Inoltre, il tribunale ritiene che il principio generale di uguaglianza di trattamento non si possa applicare, dato che i risparmiatori o i creditori privati da un lato e la Bce (come le banche centrali nazionali) dall'altro, non si trovavano in una situazione comparabile: di fronte alla crisi finanziaria greca e alle circostanze eccezionali connesse, "la Bce è esclusivamente stata guidata da obiettivi d'interesse pubblico, tali, in particolare, l'obiettivo di mantenimento della stabilità dei prezzi e la buona gestione della politica monetaria". Gli investitori o risparmiatori privati, invece, hanno agito perseguendo "un interesse puramente privato, cioè al fine di ottenere il massimo rendimento dei loro investimenti".