Il Virus, le Italie e i capponi di Renzo.
Maurizio Blondet 9 Maggio 2020
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Il Virus, le Italie e i capponi di Renzo. — Blondet & Friends
di Roberto Pecchioli
Penetro in un campo minato. Il poco credito acquisito nel tempo rischia di evaporare in un attimo, come il gruzzolo dello scommettitore compulsivo che gioca tutto su un unico numero della
roulette. Pure, non taccio, a sprezzo di insulti e maledizioni. La mia tesi è che tra i tanti danni inferti dal coronavirus, uno riguarda un nuovo,
ulteriore sfilacciamento del senso nazionale unitario.
Il peso della tragedia è stato sopportato, in termini di vittime e di crollo del sistema produttivo, soprattutto dalle regioni settentrionali. E’ un fatto: il numero dei contagi e delle vittime attesta che l’85 per cento dei casi riguarda il Nord Italia.
Metà delle vittime è in Lombardia, con la provincia martire di Bergamo. Non risulta che la mobilitazione – morale, politica, civile e umana – dell’Italia tutta stia tenendo conto di questa verità statistica, le cui ricadute sociali, demografiche, economiche, finanziarie e produttive sull’insieme dello Stato sono enormi.
Chi meno è abituato lamentarsi ed è uso a rialzare la testa stringendo i denti e trattenendo le lacrime, da noi ha sempre torto. Bergamo, Milano, Brescia, Lodi, Piacenza – la provincia emiliana in ginocchio-
non sono state degnate di una visita del presidente Mattarella, mentre il presidente del Consiglio, tanto veloce nel pavoneggiarsi a Genova per il completamento del ponte autostradale crollato (con annesso assembramento) è troppo occupato con le innumerevoli
task force. Sarebbe bastata una presenza senza pompa e con tutti i dispositivi individuali di sicurezza: il re di Spagna ha visitato e visita gli ospedali e le residenze per anziani simbolo della strage.
Sembra che, senza dirlo apertamente, un pezzo d’Italia si feliciti di averla ( in parte) scampata.
E che gli ostrogoti se la sbrighino da soli.
Lo ammetto: sono di parte, nel senso che, italiano di lingua, sentimenti e cultura, considero l’Italia la Patria grande, ma amo con maggiore intensità la mia “casa”, il pezzo d’Italia, il Nord, la Liguria, in cui sono nato e cresciuto e dove più mi sento a mio agio. Posso confessare di sentirmi di casa più a Trieste che a Napoli, rispettando la posizione uguale e contraria dei connazionali del sud? Immagino che sia pressoché vietato: forse è “
discriminazione territoriale”, anche se non odio nessuno, non sogno padanie improbabili o comiche riedizioni della Repubblica di Genova.
Brucia la sensazione- forse sono malfidato e sospettoso – che questa parte d’ Italia, che per me rappresenta l’
heimat dei tedeschi o la
domovina degli slavi, la terra-casa, la patria più sentita e istintiva, serva soltanto per
piegare il groppone e pagare il conto a piè di lista. I neo sbandieratori patriottardi sono sinceri, ma non lo sono affatto i loro sospetti mandanti politici, per i quali vale la frase di Samuel Johnson: il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie.
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Pesa tuttavia che
non si avverta un afflato comune, un’unità di fondo. Sembra che, al di là dell’istintivo, ragionevole sollievo per il minore pericolo a Sud,
esista un pezzo di opinione pubblica che, in fondo al cuore, è contenta che sia toccata proprio a “loro”, agli ostrogoti. Si sentivano i più forti, ora
si ammalano e muoiono come le mosche.
E’, più o meno, lo schema dei capponi di Renzo. Ricordate I Promessi Sposi, romanzo “italiano” ambientato in Lombardia al tempo della peste e di una guerra di cui la nostra penisola era solo il teatro di scontro? I capponi che Renzo portava all’avvocato Azzeccagarbugli erano destinati alla pentola,
ma nel tragitto si beccavano tra loro senza tentare di sfuggire alla sorte. Questo è tipicamente italiano, con poche o nulle distinzioni geografiche.