Siamo saturati dai debiti
Siamo prossimi alla saturazione da debito. Questa è la tesi di uno studio di Nathan Martin apparso recentemente. L'ipotesi dell'economista americano è semplice: quando le famiglie, le imprese e i Governi hanno accumulato un indebitamento eccessivo, non funziona più il tentativo delle banche centrali di rilanciare la crescita attraverso la stampa di nuova moneta, poiché questi soldi verranno usati per pagare gli interesse e/o rimborsare parte del debito preesistente e non per nuovi consumi e nuovi investimenti. Stando a Nathan Martin, l'economia americana è già giunto a questo stadio.
La premessa della tesi di una saturazione del debito è che l'attuale moneta fiduciaria, che non è più ancorata all'oro o ad altri beni reali, è una moneta che in realtà corrisponde a debiti o a promesse di interesse o di rimborsi di debiti. Questa premessa è totalmente condivisibile, ma seguiamo il ragionamento dell'economista americano. Nathan Martin parte dall'analisi sul rapporto tra debito e crescita economica. Negli anni Sessanta ogni dollaro di debito aggiuntivo creava almeno un dollaro di PIL. Da allora questo rapporto è continuato a diminuire, a tal punto che nel terzo trimestre del 2009 ogni dollaro aggiuntivo di debito ha ridotto il PIL di 45 centesimi. Siamo dunque giunti ad un punto di rottura, in cui l'economia non è più in grado di sostenere il totale del debito accumulato. In queste condizioni, che corrispondono alle condizioni attuali dell'economia mondiale, la creazione di nuova moneta non produce crescita ma diventa unicamente uno strumento redditizio per l'industria finanziaria che guadagna commissioni e interessi nel ristrutturare e allungare le scadenze dei debiti pregressi.
Può essere interessante a questo punto interrogarsi sulla bontà della tesi di Nathan Martin. Il capitalismo è un castello di debiti. Quindi il credito/il debito fanno parte del patrimonio genetico dell'economia di mercato. Il problema diventa dunque un altro: la quantità di debiti accumulata è sostenibile? Oppure siamo giunti ad un punto di rottura, che può essere superato solo attraverso la cancellazione e/o la ristrutturazione di gran parte di questi debiti?
Per giungere alla conclusione che questo punto di rottura è già stato superato, Nathan Martin, cerca giustamente di individuare il rapporto tra aumento del debito e incremento della crescita economica e della produttività. Infatti un indebitamento crescente è sicuramente sostenibile se è accompagnato da un incremento della produttività e della crescita economica. Infatti un'azienda indebitata che riesce a produrre in modo più efficiente (grazie alla maggiore produttività) e a vendere i suoi prodotti (grazie anche alla crescita dell'economia) sarà sicuramente in grado di onorare i propri debiti.
Lo stesso discorso vale per le famiglie che grazie all'aumento della produttività e della crescita economica vedono aumentare i loro salari e pure per lo Stato che vedrebbe aumentare i propri introiti fiscali. Come tutti sanno, non è questa la realtà attuale. Prendiamo il caso degli Stati Uniti. Il debito pubblico e quello di famiglie ed imprese americane supera il 300% del PIL statunitense. Il debito dello Stato federale è nettamente superiore alle cifre che ci propina Washington. Infatti nel bilancio non vengono consolidati tutta una serie di enti pubblici, che detengono enormi quantità di debito. Basti pensare a Fannie Mae e Freddie Mac, che garantiscono la stragrande maggioranza dei mutui ipotecari americani e i cui debiti a partire dall'estate del 2008 sono esplicitamente garantiti dallo Stato federale americano. Si può dunque dire senza timore di essere smentiti che non è solo la Grecia a falsificare i dati dei conti pubblici. Ritornando agli Stati Uniti, si constata la scarsa qualità del debito accumulato.
Le famiglie si sono indebitate per sostenere un tenore di vita superiore ai loro redditi (credito al consumo) o per acquistare case, il cui valore è fortemente sceso a causa della crisi immobiliare. Il settore finanziario si è esposto sempre più costruendo una sequela di scatole cinesi, in cui nascondere attività di dubbio valore. Lo Stato federale ha accumulato un debito che si avvicina al 100% del PIL per finanziare l'apparato militare (classicamente una spesa non produttiva) e le spese sociali. Come tutti sanno, negli ultimi anni a causa degli scarsi investimenti gli Stati Uniti hanno accumulato un notevole ritardo infrastrutturale. In questa situazione è chiaro che l'espansione monetaria effettuata dalla Federal Reserve produce un incremento della crescita economica e della produttività sempre inferiore. Quindi la moneta dalla Fed serve unicamente per evitare un immediato crollo del castello di debiti/moneta accumulato negli anni. E' pure chiaro che i tassi molto bassi e la continua stampa di moneta vanno unicamente a beneficio del settore finanziario, che è e continua ad essere in stato fallimentare.
Per queste ragioni si può ritenere fondata la tesi di Nathan Martin, secondo cui siamo già giunti ad un tale livello di indebitamento per cui gli interventi delle autorità monetarie servono solo a rinviare il momento della verità, ossia il crollo del castello dei debiti. Era quanto stava succedendo nell'autunno del 2008 ed è quanto succederà ancora. Infatti la crisi non è superata, poiché non si sono affrontati i problemi che l'hanno causata. Le autorità politiche e monetarie hanno finora solo applicato dei cerotti, al di sotto dei quali l'infenzione continua ad espandersi come metterà in evidenza la prossima fase di grande attività di questa crisi che è iniziata nell'estate del 2007.
Alfonso Tuor
(Ticinonews.ch)