Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi (3 lettori)

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Il Nobel dell'economia Stiglitz: «Bernanke troppo ottimista»
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23 FEBBRAIO 2009

Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, è stato «eccessivamente ottimista» a dire che nell'arco di tre anni l'economia degli Stati Uniti uscirà dalla crisi. Ne è convinto il premio Nobel per l'economia
, secondo cui c'è il rischio reale per gli Usa di entrare in una «malattia giapponese», una recessione «lunga un decennio» come quella che ha colpito il Giappone negli anni Novanta. L'economista, consulente del presidente dell'Assemblea Generale dell'Onu Miguel D'Escoto Brockmann, è intervenuto oggi ad un seminario al Palazzo di Vetro, spiegando che «è necessaria una riforma più profonda». Secondo Stiglitz, in particolare, «si deve ripensare all'idea di una riserva globale che sostituisca il Fondo Monetario Internazionale, come aveva proposto John Maynard Keynes più di settant'anni fa».
 

mostromarino

Guest
EDITORIALE – Crisi economica
Le banche, il bandolo della matassa
Alfonso Tuor
Anche la nuova amministrazione democratica americana non sta riuscendo a definire una linea coerente per affrontare la crisi economica che oramai ha investito l’intera economia mondiale.
La questione irrisolta e apparentemente irrisolvibile rimane la crisi del sistema bancario.

Il nodo da sciogliere è cosa fare con gli istituti di credito in stato fallimentare.

Anche il presidente Barack Obama (che ha parlato nel corso della notte davanti alle Camere riunite) ha scelto di non scegliere e di continuare, almeno per il momento, con la politica dei cerotti.
Infatti l’amministrazione ha preannunciato di voler salvare Citigroup sull’orlo della bancarotta, convertendo in azioni solo parte delle obbligazioni del colosso bancario già sottoscritte dallo Stato federale in modo che lo Stato federale americano non detenga una partecipazione azionaria superiore al 40%. La stessa via sarà sicuramente seguita anche per affrontare la crisi di Bank of America.


Barack Obama appare riluttante a nazionalizzare le banche, anche se queste sopravvivono solo grazie alle iniezioni di capitali e alle garanzie dello Stato federale.

Questa realtà ha spinto personalità di sicuro stampo conservatore come l’ex presidente della Fed, Alan Greenspan, e il senatore repubblicano Graham ad invocarne una chiara e completa nazionalizzazione.

La riluttanza dell’amministrazione non sembra dunque dovuta tanto a ragioni politiche, ma alla consapevolezza che la loro nazionalizzazione non equivarrebbe alla fine degli esborsi di denaro pubblico (lo Stato dovrebbe coprire le perdite e ricapitalizzarle perché riprendano a svolgere la loro funzione).

Questa scelta creerebbe inoltre nuovi problemi: le banche nazionalizzate, che sono oggi le più malate, attirerebbero più clienti e si finanzierebbero sul mercato più facilmente delle banche più sane.

L’amministrazione sembra essersi dunque cacciata in un vicolo cieco: comincerà questa settimana a sottoporre ad uno stress test le banche con una somma di bilancio superiore ai 100 miliardi di dollari, ma non sa bene cosa fare degli istituti che non supereranno questo esame.


Le incertezze americane sono comprensibili: il buco nascosto nei bilanci delle banche è colossale e una loro nazionalizzazione lo trasferirebbe automaticamente sulle spalle dei contribuenti.

Per avere un’idea delle dimensioni di questo buco, basta menzionare che le attività tossiche detenute dalle banche europee ammontano a 18.000 miliardi di euro, secondo un’inchiesta dell’Unione Europea.

È facile presumere che le dimensioni dei titoli tossici delle banche americane sia di entità simile se non superiore. Pur ammettendo che solo una percentuale di queste somme si traduca in una perdita reale, si ha comunque a che fare con cifre da capogiro che confermano, da un canto, lo stato fallimentare del sistema delle grandi banche internazionali e, dall’altro, il pericolo per i contribuenti di un trasferimento di queste perdite agli Stati.


Risolvere questo nodo gordiano è comunque la premessa indispensabile per poter affrontare la crisi.

Ciò vale sia per gli Stati Uniti sia per l’Europa. Infatti la crisi finanziaria si è già trasformata in una crisi dell’economia reale a causa del marasma dei mercati finanziari e continua ad aggravarsi per il fatto che gli istituti di credito non svolgono più la loro funzione di elargire crediti a famiglie ed imprese.

L’ultimo segnale d’allarme è stato lanciato lunedì scorso dalla Banca centrale europea che ha comunicato di aver constatato una flessione dell’offerta di credito in Eurolandia.

Nonostante i ripetuti ed ingenti interventi statali, è incontestabile che nulla è migliorato.

Basti ricordare che nei soli Stati Uniti sono già stati spesi 8.000 miliardi di dollari tra iniezioni di capitale, garanzie statali e via dicendo.

Anche in Europa si sono usati miliardi e miliardi per salvare le banche senza raggiungere alcun risultato di rilievo.


Questa politica dei cerotti non risolve nulla, anche perché la recessione è destinata a far lievitare le «attività tossiche» delle banche.

È invece indispensabile concentrarsi sull’economia reale e scongiurare il pericolo che l’attuale recessione si trasformi in una depressione.

Per perseguire questo obiettivo, bisogna sciogliere dapprima il nodo delle banche, che è nel contempo economico e politico.


In proposito bisogna sottolineare che alcuni passi nella giusta direzione si cominciano ad intravvedere. Le invocazioni di Greenspan, di Graham e di altri ad una nazionalizzazione delle banche costituisce un importante progresso: è un plateale riconoscimento dello stato fallimentare dei principali istituti di credito, anche se la soluzione proposta non è condivisibile, poiché trasferirebbe allo Stato le loro perdite.

In una direzione ancora più appropriata sembra muoversi il «Wall Street Journal» che ha recentemente cominciato ad ospitare contributi che propugnano la soluzione delle «good bank» (tra questi anche il finanziere americano Georges Soros).

L’ultimo in ordine di tempo è quello di Willem H. Buiter, professore alla London School of Economics, il quale suggerisce di individuare alcune banche importanti per il sistema economico, che dovrebbero essere sostenute dallo Stato, e di lasciar fallire le altre.

Queste tesi sono per il momento ancora isolate, ma l’entità dei buchi nascosti nei bilanci bancari e gli enormi rischi economici di un loro trasferimento allo Stato sono destinate a farle diventare sempre più numerose e soprattutto ascoltate.

Si può, anzi, ipotizzare che gli attuali tentennamenti del presidente americano Barack Obama siano tesi a guadagnar tempo in modo da creare consenso politico attorno a misure drastiche per risolvere la crisi bancaria.
25.02.09 07:37:

 

Giontra

Forumer storico
Finalmente delle proposte

Crisi, Eurobond per evitare spinte protezionistiche - Isae
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Reuters - 25/02/2009 13:32:47
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ROMA, 25 febbraio (Reuters) - L'emissione dei cosiddetti Eurobond può essere uno strumento efficace per preservare il mercato unico europeo e limitare le spinte protezionistiche dei governi nazionali.

Lo ha detto il presidente dell'Isae Alberto Majocchi a margine della presentazione delle nuove previsioni Isae.

"L'idea degli Eurobond sta facendo progressi. Nell'Unione europea la politica 'ognuno per sé' è inefficace e fa nascere problemi di nazionalismo", ha detto Majocchi parlando delle misure protezionistiche assunte da lacuni Paesi europei per frontegiare la crisi come la Francia.

"Inevitabilmente la logica è quella di tornare a valutare l'impatto sulle economie nazionali delle misure. L'assenza di una politica fiscale oltre che monetaria comune mette a rischio il mercato comune", ha continuato Majocchi.

Per il presidente dell'Isae la creazione degli Eurobond, appoggiata dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, può avvenire in due fasi: "La prima tappa è affrontare il problema degli spread, oggi lo spread dell'Italia grosso modo è come lo spread del Portogallo. L'idea è che si proceda all'emissione di un debito paniere, un debito emesso in comune dai Paesi europei. Emissioni comuni con quote nazionali. Per questa quota risponde il bilancio nazionale e il servizio del debito è a carico dei bilanci nazionali".

"Gli euro bond veri e propri sarebbero la seconda tappa, in cui la garanzia non sarebbe più dei Paesi ma dell'Europa", ha
spiegato Majocchi.

Per garantire rimborso e pagamento di interessi si può "creare un fondo ad hoc. Una delle ipotesi è immobilizzare le quote di riserve che sono in bilancio alle Banche centrali nazionali", ha detto Majocchi.

Secondo il presidente dell'Isae la creazione di Eurobond è anche nell'interesse di Paesi, come la Germania, che hanno un finanze statali molto più solide rispetto ai partner europei come l'Italia.

"Se ci sono rischi di default di alcuni Paesi questo conta
anche per la Germania. La Germania vende all'Italia 60 miliardi di euro in termini di esportazioni. Stabilizzare il debito di questi paesi è un elemento importante anche per la Germania", ha detto Majocchi.
 

METHOS

Forumer storico
... i Tremonti bond che nessuno vuole ora li prenota Intesa ... 3 miliardi

e non solo intesa a quanto pare...


Intesa Sanpaolo, Banco Popolare, Unicredit e B.Mps avvieranno con il Ministero dell’economia il negoziato per sottoscrivere i Tremonti-bond. Molto probabilmente l’aiuto sotto forma di prestito obbligazionarioche sarà chiesto da Intesa sarà di circa 3 miliardi di euro, per un vantaggio immediato di circa 75 punti base sul core tier 1. Ieri si sono riuniti i consigli di sorveglianza e di gestione della banca, con all’ordine del giorno anche l’esame dei nuovi tratti del Tremonti-bond (dopo le ultime modifiche). Si attendono quindi i decreti attuativi che stabiliranno le modalità tecniche per l’emissione delle obbligazioni a sostegno del patrimonio delle banche. I due consigli quindi potrebbero dover presiedere una convocazione straordinaria prima di quella per l’approvazione del bilancio prevista per il 20 marzo.
 

scoglio24

f.orumer che scrive poco
CRISI: TREMONTI, VOLUME DERIVATI 12,5 VOLTE PIL MONDIALE


(AGI) - Roma, 26 feb. - Il volume dei derivati e' 12 volte e mezzo il Pil mondiale. Lo ha sottolineato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nel corso di un'audizione al Senato. "Da molti anni - ha spiegato -, almeno dal 2000 in poi, i derivati non hanno piu' la funzione assicurativa ma diventano operazioni speculative fini a se stesse. In questo momento - ha aggiunto - il volume nazionale dei derivati e' pari, secondo i dati del Congresso degli Stati Uniti ma anche secondo la Banca dei regolamenti, a 12,5 volte il Pil del mondo". La differenza di partite, ha concluso il ministro, "e' secondo alcuni 30, secondo altri 40 trilioni di dollari, il piano della presidenza americana e' un trilione di dollari. Questo da' un'idea della degenerazione che e' avvenuta nelle strutture del capitalismo".

26/02/2009 - 10:13

:eek:
 

Kylix

Forumer attivo
In una intervista di un paio di mesi orsono Tremonti ha detto." Stiamo affrontando il primo problema.....il terzo, i derivati, sarà di gran lunga il più impegnativo."
 

lorenzo63

Age quod Agis
CRISI: TREMONTI, VOLUME DERIVATI 12,5 VOLTE PIL MONDIALE


(AGI) - Roma, 26 feb. - Il volume dei derivati e' 12 volte e mezzo il Pil mondiale. Lo ha sottolineato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nel corso di un'audizione al Senato. "Da molti anni - ha spiegato -, almeno dal 2000 in poi, i derivati non hanno piu' la funzione assicurativa ma diventano operazioni speculative fini a se stesse. In questo momento - ha aggiunto - il volume nazionale dei derivati e' pari, secondo i dati del Congresso degli Stati Uniti ma anche secondo la Banca dei regolamenti, a 12,5 volte il Pil del mondo". La differenza di partite, ha concluso il ministro, "e' secondo alcuni 30, secondo altri 40 trilioni di dollari, il piano della presidenza americana e' un trilione di dollari. Questo da' un'idea della degenerazione che e' avvenuta nelle strutture del capitalismo".

26/02/2009 - 10:13

:eek:

Nel forum, dove nn mi ricordo un mese fa o forse+ avevamo già scritto che la crisi (il valore degli asset) era 12.5 volte il pil mondiale...:(:(:( Ci copia pure lui...:lol::lol::lol:
 

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