COMMENTO
IL PERICOLO È LA DEFLAZIONE
ALFONSO TUOR
La crisi c’è ed è destinata ad essere molto severa anche in Sviz­zera. La previsione è della Banca Nazionale (BNS). Secondo il nostro istituto di emissione, il Pil svizzero si contrarrà que­st’anno ad un tasso variante tra il 2,5 e il 3%.
Tre mesi fa, ossia lo scor­so mese di dicembre, la nostra banca centrale prevedeva un calo del Pil dell’1%.
Per attenuare l’impatto della crisi, la BNS ha ridotto al­lo 0,25% il suo tasso direttore, il tasso Libor a tre mesi, e soprattut­to si propone di frenare la tendenza al rafforzamento del franco nei confronti dell’euro, che approfondirebbe ulteriormente la cri­si, in cui già versa la nostra industria di esportazione.
A tale scopo la nostra banca centrale sta intervenendo sui mercati con opera­zioni pronti contro termine, acquisti di obbligazioni e di divise.
Dopo l’annuncio di queste decisioni il franco svizzero, che stava di nuovo avvicinandosi ai massimi di 1,43 rispetto all’euro tocca­to nell’ottobre scorso, si è ieri leggermente indebolito.
Il vero pericolo per l’economia elvetica è la deflazione, ossia l’av­vio di un processo di riduzione dei prezzi (e poi anche dei salari), che avrebbe la conseguenza di spingere famiglie ed imprese a rin­viare consumi ed investimenti, accentuando in questo modo la contrazione dell’economia.
Il continuo rafforzamento del franco trasformerebbe questo pericolo in una certezza, poiché la dimi­nuzione dei prezzi dei beni importati in un contesto di recessione spingerebbe al ribasso l’intera struttura dei prezzi non dipendenti ti da monopoli o da altre malfor­mazioni del mercato.
Questo pe­ricolo è menzionato implicita­mente dalla stessa BNS, la quale prevede che quest’anno l’indice generale dei prezzi al consumo diminuirà dello 0,5% e che l’an­no prossimo l’inflazione sarà ze­ro.
L’analisi e la strategia di in­tervento della BNS appaiono to­talmente condivisibili, ma le pro­babilità di successo sono incer­te.
La nostra banca centrale può infatti riuscire a frenare la ten­denza al rafforzamento del fran­co, ma ciò non basta per attenua­re la forza della recessione.
In­fatti l’industria di esportazione elvetica non soffre tanto per il franco forte, ma soprattutto per il crollo della domanda estera.
Basti pensare che si prevede che l’economia del nostro principa­le partner commerciale, ossia quella tedesca, si contrarrà que­st’anno del 4/5% e che le pro­spettive degli altri paesi non so­no affatto migliori.
Anzi, come continua ad ammonire il Fondo Monetario Internazionale, lo sta­to di salute dell’economia mon­diale continua a deteriorarsi a ritmi precedentemente inimma­ginabili.
Se dall’industria di esportazione proverranno noti­zie sempre più negative, la situa­zione non sembra migliore per il mercato interno.
In Svizzera, contrariamente ad altri Paesi, gli sforzi delle autorità moneta­rie non vengono sostenuti da quelle politiche.
La Confedera­zione ha varato un secondo pac­chetto di rilancio di 710 milioni di franchi che si aggiungono ai 341 già stanziati a novembre.
L’entità di queste cifre è assolu­tamente ridicola e nemmeno lontanamente paragonabile ai pacchetti di rilancio approvati da Germania, Stati Uniti ed al­tri.
Tra l’altro non è previsto al­cun provvedimento a sostegno dell’industria di esportazione, il fiore all’occhiello della nostra economia, che è confrontata con una crescente difficoltà di acces­so al credito bancario.
Ma c’è di peggio.
La Confedera­zione, incurante della realtà, conferma provvedimenti desti­nati ad aggravare la crisi, come le misure radicali di risanamento delle casse pensioni, che voglio­no dire un aumento delle tratte­nute sui salari e dei premi ver­sati dai datori di lavoro, o non contrasta minacce che si staglia­no chiaramente all’orizzonte, come il forte aumento dei premi delle casse malati, che è già sta­to ormai preannunciato.
La lista potrebbe continuare e induce a concludere che le nostre autori­tà monetarie non possono con­tare su un forte sostegno dellla Confederazione nella lotta con­tro questa recessione, che ri­schia di essere la più profonda dopo quella che colpì il nostro Paese a metà degli anni Settan­ta.
Le possibilità di successo della Banca Nazionale sono limitate anche per altri motivi.
In primo luogo, la crisi internazionale è destinata a durare a lungo, men­tre lo spazio di manovra della Banca Nazionale diventa sem­pre più stretto (non si possono ridurre i tassi al di sotto dello ze­ro).
Nella prospettiva assoluta­mente realistica di una recessio­ne dura che non finisce l’anno prossimo e dell’ingranarsi nel­l’economia elvetica di una ten­denza alla diminuzione dei prez­zi, la BNS non avrebbe molte al­tre possibilità di manovra se non quella di comprare obbligazio­ni straniere per tentare di depri­mere il valore del franco.
Politi­che eterodosse, come quelle se­guite dalla Federal Reserve ame­ricana e dalla Banca d’ Inghilter­ra, appaiono precluse alla BNS, da un canto, a causa dell’esigui­tà del mercato dei titoli di stato (circa 125 miliardi di franchi) e delle obbligazioni emesse da de­bitori svizzeri (circa 260 miliar­di di franchi)e, dall’altro, dal fat­to che questi titoli sono in gran parte già detenuti da casse pen­sioni e assicurazioni che non hanno alcuna intenzione di ven­dere.
In conclusione, la Banca Nazio­nale ha giustamente deciso di usare gli strumenti a sua dispo­sizione per limitare l’ascensio­nedel franco.
La stessa BNSèpe­rò consapevole che ciò non ba­sterà ad evitareuna pesante re­cessione.
Comunque spera che almeno basti a scongiurare il pe­ricolo che la Svizzera cada in una spirale deflazionistica.
Alfonso Tuor