Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi

G20 - Derivati - allora non ricordavo male.....

MILANO (MF-DJ)--
Dal meeting del G20 devono uscire misure forti sia a livello macroeconomico che per il settore finanziario per affrontare la peggiore crisi economica da decenni.


Lo ha dichiarato il segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner, che il prossimo ;)fine settimana sara' impegnato nell'incontro tra i ministri delle Finanze del G20 a Londra.


Due, secondo Geithner, saranno i punti principali dell'agenda: assicurare il recupero dell'economia facendo ripartire la crescita economica e riorganizzare il sistema di regolamentazione finanziaria internazionale.

Geithner ha poi definito come "ragionevole" l'indicazione del Fondo Monetario Internazionale ai singoli Paesi di mettere in atto un piano di stimolo fiscale pari a :eek::up:circa il 2% del Pil in termini aggregati per gli anni 2009 e 2010.

Inoltre, secondo il segretario al Tesoro, il G20 dovrebbe :up::up::up:incrementare le risorse a disposizione del Fmi per interventi di emergenza di altri 500 mld di dollari.


...allora non ricordavo male. Aspettiamoci novità contabili sui derivati.

Saluti

Pierluigi
 
mah ... le novità si sanno da un pezzo ... abolizione del mark-to-market ...
io ho roba iscritta in bilancio ad un valore che spesso ho deciso io (level 3), il mercato la valuta molto meno ... chissenefrega :):)
alla faccia della correttezza dei bilanci :D
 
Si lo so, UBS ad esempio...

mah ... le novità si sanno da un pezzo ... abolizione del mark-to-market ...
io ho roba iscritta in bilancio ad un valore che spesso ho deciso io (level 3), il mercato la valuta molto meno ... chissenefrega :):)
alla faccia della correttezza dei bilanci :D

Ma io mi riferivo a qualche cosa di più "rivoluzionario"....

Ciao

PJ
 
Riusciranno :clava:" a costringere " l'enorme liquidità
custodita-nascosta nei paradisi fiscali e di conseguenza
farla rimpatriare ? ( vista l'attuale sete mondiale di cash )


12.03.09 12:09 - *G20: Juncker, discutera' misure contro paradisi fiscali
 
E' strano...iniziano a pensare di fare...

Quello che io ed altri sosteniamo da tempo.

Di solito una cosa del genere la reputo molto strana

Saluti

PJ
 
COMMENTO
Francia nella NATO: il disegno di Sarkozy
Sergio Romano
Si potrebbe sostenere (qualcuno lo ha fatto negli scorsi giorni) che il ritorno della Francia nell’organizzazione militare integrata dell’Alleanza Atlantica sia una «non notizia».

I francesi non hanno mai abbandonato il Consiglio Atlantico, hanno sempre avuto una sostanziale voce in capitolo nelle decisioni che concernono il ruolo dell’Alleanza nel mondo e hanno preso parte a tutte le missioni militari della Nato dalla Bosnia all’Afghanistan.


La sedia vuota della Francia negli organismi strettamente militari era ormai soltanto un atto di omaggio al clamoroso gesto con cui il generale De Gaulle, nel 1966, aveva annunciato il ritiro del suo Paese dalle strutture integrate e dato congedo al comando supremo dell’Alleanza, allora installato a Fontainebleau. Valeva davvero la pena di sfidare l’ombra del generale, irritare i gollisti di stretta osservanza e suscitare un dibattito politico in cui il partito socialista, paradossalmente, ha adottato i toni e lo stile del nazionalismo gallico?


Molti spiegano il ritorno alla Nato puntando il dito sul carattere del presidente francese. Nicolas Sarkozy è impulsivo, dinamico, irrequieto, desideroso di occupare continuamente la scena con nuove iniziative e nuove idee.


Dopo l’Unione Mediterranea e la proposta di trasformare l’Eurogruppo, sotto presidenza francese, nel governo economico della «zona euro», ecco il ritorno alla Nato.

Alcuni progetti sono interessanti e destinati a produrre effetti duraturi.

Altri servono ad animare una conferenza stampa e a occupare per qualche giorno le prime pagine dei giornali.

Questa analisi non è interamente sbagliata, ma esige qualche riflessione supplementare.

Dietro la decisione di Sarkozy vi è la grande crisi franco-americana dei mesi che precedettero l’invasione dell’Iraq.$
Il presidente francese Jacques Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder si opposero ai progetti iracheni di George W. Bush.
La Francia, membro permanente del Consiglio di sicurezza, minacciò di bloccare con il suo veto la risoluzione che avrebbe conferito alla guerra americana il crisma della legittimità.

Le reazioni americane rasentarono l’isterismo e provocarono nella società degli Stati Uniti un’ondata di irrazionale gallofobia.


Quando fu chiesto a Condoleezza Rice quale linea sarebbe stata adottata verso i Paesi ostili alla guerra (Francia, Germania e Russia), la presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale rispose seccamente: «Punire la Francia, ignorare la Germania, perdonare la Russia».
La situazione, da allora, è cambiata. Gli Stati Uniti, pur senza ammetterlo esplicitamente, hanno capito che gli avversari della guerra non avevano torto.
Vi sono stati gesti distensivi da una parte e dall’altra.

Pochi mesi dopo la sua elezione, Sarkozy è stato cordialmente ricevuto nella residenza familiare dei Bush sulle coste delle Nuova Inghilterra.


E alla Casa Bianca vi è oggi un presidente che fu contrario alla guerra irachena e ha fatto del ritiro americano dall’Iraq uno dei punti principali della sua campagna elettorale.

Ma è probabile che anche Sarkozy abbia riflettuto sulla baruffa franco-americana del 2003 e ne abbia tratto qualche lezione per il futuro.

È giunto alla conclusione che la Francia non possa permettersi di litigare con la maggiore potenza mondiale.

Crede che il suo Paese potrà esercitare una maggiore influenza se non contesterà esplicitamente la leadership americana e se siederà accanto agli Stati Uniti nelle maggiori organizzazioni internazionali.
Sostiene che la presenza francese nell’organizzazione militare integrata convincerà gli Stati Uniti a non ostacolare il progetto di Saint-Malo per la creazione di una forza militare europea: un progetto che gli americani, negli scorsi anni, hanno considerato con grande sospetto.

Sarà questo, in ultima analisi, il banco di prova della politica di Sarkozy.

Se il ritorno della Francia alla Nato permetterà all’Europa di fare un passo avanti sulla strada della difesa comune, la scelta del presidente verrà riconosciuta utile e intelligente.

In caso contrario verrà ricordata come un gesto fatto per catturare per qualche giorno l’attenzione del mondo.
13.03.09 07:39:52
 
COMMENTO
IL PERICOLO È LA DEFLAZIONE
ALFONSO TUOR
La crisi c’è ed è destinata ad essere molto severa anche in Sviz­zera. La previsione è della Banca Nazionale (BNS). Secondo il nostro istituto di emissione, il Pil svizzero si contrarrà que­st’anno ad un tasso variante tra il 2,5 e il 3%.

Tre mesi fa, ossia lo scor­so mese di dicembre, la nostra banca centrale prevedeva un calo del Pil dell’1%.

Per attenuare l’impatto della crisi, la BNS ha ridotto al­lo 0,25% il suo tasso direttore, il tasso Libor a tre mesi, e soprattut­to si propone di frenare la tendenza al rafforzamento del franco nei confronti dell’euro, che approfondirebbe ulteriormente la cri­si, in cui già versa la nostra industria di esportazione.

A tale scopo la nostra banca centrale sta intervenendo sui mercati con opera­zioni pronti contro termine, acquisti di obbligazioni e di divise.

Dopo l’annuncio di queste decisioni il franco svizzero, che stava di nuovo avvicinandosi ai massimi di 1,43 rispetto all’euro tocca­to nell’ottobre scorso, si è ieri leggermente indebolito.

Il vero pericolo per l’economia elvetica è la deflazione, ossia l’av­vio di un processo di riduzione dei prezzi (e poi anche dei salari), che avrebbe la conseguenza di spingere famiglie ed imprese a rin­viare consumi ed investimenti, accentuando in questo modo la contrazione dell’economia.

Il continuo rafforzamento del franco trasformerebbe questo pericolo in una certezza, poiché la dimi­nuzione dei prezzi dei beni importati in un contesto di recessione spingerebbe al ribasso l’intera struttura dei prezzi non dipendenti ti da monopoli o da altre malfor­mazioni del mercato.


Questo pe­ricolo è menzionato implicita­mente dalla stessa BNS, la quale prevede che quest’anno l’indice generale dei prezzi al consumo diminuirà dello 0,5% e che l’an­no prossimo l’inflazione sarà ze­ro.

L’analisi e la strategia di in­tervento della BNS appaiono to­talmente condivisibili, ma le pro­babilità di successo sono incer­te.

La nostra banca centrale può infatti riuscire a frenare la ten­denza al rafforzamento del fran­co, ma ciò non basta per attenua­re la forza della recessione.

In­fatti l’industria di esportazione elvetica non soffre tanto per il franco forte, ma soprattutto per il crollo della domanda estera.

Basti pensare che si prevede che l’economia del nostro principa­le partner commerciale, ossia quella tedesca, si contrarrà que­st’anno del 4/5% e che le pro­spettive degli altri paesi non so­no affatto migliori.

Anzi, come continua ad ammonire il Fondo Monetario Internazionale, lo sta­to di salute dell’economia mon­diale continua a deteriorarsi a ritmi precedentemente inimma­ginabili.

Se dall’industria di esportazione proverranno noti­zie sempre più negative, la situa­zione non sembra migliore per il mercato interno.

In Svizzera, contrariamente ad altri Paesi, gli sforzi delle autorità moneta­rie non vengono sostenuti da quelle politiche.

La Confedera­zione ha varato un secondo pac­chetto di rilancio di 710 milioni di franchi che si aggiungono ai 341 già stanziati a novembre.

L’entità di queste cifre è assolu­tamente ridicola e nemmeno lontanamente paragonabile ai pacchetti di rilancio approvati da Germania, Stati Uniti ed al­tri.

Tra l’altro non è previsto al­cun provvedimento a sostegno dell’industria di esportazione, il fiore all’occhiello della nostra economia, che è confrontata con una crescente difficoltà di acces­so al credito bancario.


Ma c’è di peggio.

La Confedera­zione, incurante della realtà, conferma provvedimenti desti­nati ad aggravare la crisi, come le misure radicali di risanamento delle casse pensioni, che voglio­no dire un aumento delle tratte­nute sui salari e dei premi ver­sati dai datori di lavoro, o non contrasta minacce che si staglia­no chiaramente all’orizzonte, come il forte aumento dei premi delle casse malati, che è già sta­to ormai preannunciato.


La lista potrebbe continuare e induce a concludere che le nostre autori­tà monetarie non possono con­tare su un forte sostegno dellla Confederazione nella lotta con­tro questa recessione, che ri­schia di essere la più profonda dopo quella che colpì il nostro Paese a metà degli anni Settan­ta.


Le possibilità di successo della Banca Nazionale sono limitate anche per altri motivi.

In primo luogo, la crisi internazionale è destinata a durare a lungo, men­tre lo spazio di manovra della Banca Nazionale diventa sem­pre più stretto (non si possono ridurre i tassi al di sotto dello ze­ro).

Nella prospettiva assoluta­mente realistica di una recessio­ne dura che non finisce l’anno prossimo e dell’ingranarsi nel­l’economia elvetica di una ten­denza alla diminuzione dei prez­zi, la BNS non avrebbe molte al­tre possibilità di manovra se non quella di comprare obbligazio­ni straniere per tentare di depri­mere il valore del franco.

Politi­che eterodosse, come quelle se­guite dalla Federal Reserve ame­ricana e dalla Banca d’ Inghilter­ra, appaiono precluse alla BNS, da un canto, a causa dell’esigui­tà del mercato dei titoli di stato (circa 125 miliardi di franchi) e delle obbligazioni emesse da de­bitori svizzeri (circa 260 miliar­di di franchi)e, dall’altro, dal fat­to che questi titoli sono in gran parte già detenuti da casse pen­sioni e assicurazioni che non hanno alcuna intenzione di ven­dere.


In conclusione, la Banca Nazio­nale ha giustamente deciso di usare gli strumenti a sua dispo­sizione per limitare l’ascensio­nedel franco.

La stessa BNSèpe­rò consapevole che ciò non ba­sterà ad evitareuna pesante re­cessione.

Comunque spera che almeno basti a scongiurare il pe­ricolo che la Svizzera cada in una spirale deflazionistica.
Alfonso Tuor
 
no,anch`io.......ma non volevo dargli soddisfazione...:wall:.....

anzi,non me ne frega niente:p:p:p
 

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