Lo stato dell’arte, al netto dell’ottimismo per il piano Geithner e i rimbalzi da gatto morto delle Borse, è il seguente: l’amministrazione Obama, quella che usa come testa d’ariete il populismo della maxi-aliquota per i più ricchi, sta arricchendo a dismisura banche e fondi a spese dei contribuenti senza intervenire realmente verso quegli istituti i cui default potrebbero pregiudicare pesantemente l’intera economia mondiale.
Un esempio è quello di Blackrock, uno dei primi due enti privati che hanno aderito al piano di riacquisto degli assets tossici. Sapete qual è il motto di Blackrock? Aderire al piano Geithner per il bene dell'America e contemporaneamente scommettere contro la sua ripresa. Certo non lo troverete stampato sulla brochure informativa, ma è proprio questa la filosofia, tipica del fondo hedge, con cui Blackrock ha approcciato all’ultima mossa del Tesoro Usa per cercare di eliminare dai bilanci di banche e assicurazione gli assets tossici che continuano a regalare perdite e svalutazioni a ogni trimestre, con conseguente necessità di intervento della Fed.
Il fondo globale macro di BlackRock Inc, il secondo miglior fondo hedge al mondo in termini di performance nell’ultimo biennio tra i fondi che puntano sui trend macroeconomici, sta infatti scommettendo contro il rally che in queste ultime settimane ha fatto recuperare dal 20 al 25 per cento ai principali listini azionari mondiali. L’Asset Allocation Alpha Fund (questo il nome del prodotto), che nel 2008 ha guadagnato il 41% contro il 19% in media registrato dai fondi hedge, sia “corto” di azioni sui mercati statunitense, inglese, australiano e canadese oltre che di bond britannici, come confermato dal gestore, David Hudson.
Il gestore ha spiegato a Bloomberg che «il rischio è che nel secondo semestre dell’anno l’andamento economico risulti molto deludente e costringa i mercati a toccare nuovamente i minimi entro pochi mesi e forse a calare ulteriormente». Insomma, da un lato la casamadre istituzionale sposa la politica governativa e contemporaneamente il fondo speculativo di famiglia scommette contro: esattamente come i trader che operano on-line sui Cft - contratti per differenza, ovvero basati su un sottostante che replica l’andamento di un’azione, una commodities o una valuta senza acquistarla - che automaticamente si pongono in posizione contraria a quella scelta dall’investitore come copertura, se va long ci si posizione short e viceversa.
Blackrock nasce negli Stati Uniti nel 1988 come gestore indipendente altamente specializzato nel reddito fisso e dedicato esclusivamente al segmento istituzionale. Nell’ottobre 2006 si fonde con Merrill Lynch Investment Managers - società leader nel business retail e con team di gestione azionaria tra i più apprezzati nell’industria del risparmio gestito - e solo dopo un anno, nell’ottobre 2007, chiude l’acquisizione di Quellos Group, una delle maggiori piattaforme globali di fondi che offre soluzioni d’investimento hedge, private equity e real estate a clienti sia istituzionali sia privati di tutto il mondo.
Con un patrimonio in gestione di oltre 1.250 miliardi di dollari, BlackRock è il primo gestore indipendente quotato al NYSE in termini di attivi in gestione: la società opera con diverse opzioni d’investimento nel reddito fisso, nel segmento azionario e monetario, investimenti alternativi e real estate, settore che dopo il crollo dovuto ai subprime potrebbe diventare la prossima gallina dalle uova d’oro poiché quei derivati ridotti a pezzi di carta senza valore che BlackRock si impegna a comprare sottendono comunque degli immobili, ovvero un bene reale su cui investire per il futuro.
Alla sede principale di New York, qualcuno, ha fiutato l’affare “coprendosi” comunque dal rischio di brutte sorprese ponendosi al ribasso sugli indici: speculazione pura. Ma non è certo il primo caso, visto che questa crisi per alcuni è stata un’enorme opportunità. Già dalla scorsa primavera nessuno comprava più le obbligazioni emesse dalle banche e dalle imprese, ma c’era qualcuno che sfidava il trend: il gruppo Carlyle (il fondo privato della famiglia Bush) nel mese di aprile lanciò un’emissione da mezzo miliardo di dollari - di obbligazioni «garantite» da prestiti, cosa quasi incredibile in questo momento di generale insolvenza dei debitori - e lo fece allo scopo di comprare, coi soldi che sarebbe riuscita a raccogliere, «i debiti ad alto rischio e ad alto rendimento che le banche stanno cedendo a prezzi scontati»: parola di Bloomberg, l’agenzia finanziaria del sindaco di New York.
Passata la buriana - che passerà esattamente come sono passate tutte le altre crisi - quelle case torneranno appetibili, soprattutto perché comprate a prezzi ridicoli e ora pronte a essere rimesse sul mercato a dieci volte tanto. Insomma, Geithner non ha fatto altro che istituzionalizzare l’intuizione speculativa del fondo di George W. Bush ponendo al servizio della stessa denaro dei contribuenti al fine di attirare i privati e rendere meno respingente il fattore di rischio insito nell’operazione.
D’altronde non sarà sfuggito a nessuno di voi come da qualche giorno a questa parte la Borsa Usa riesca a risorgere dopo la pubblicazione di sorprendenti dati riguardo il mercato immobiliare: vendite di case in aumento ovunque negli States e anche numeri record per la costruzione di nuovi immobili. Gli speculatori saranno anche antipatici ma non sono stupidi, scommettono soldi ma lo fanno a ragion veduta.
Politicamente, però, non è questa la risposta. E non è questo il vero problema, almeno in questo momento. Ora la vera, grande questione è la Cina. Secondo i dati del Tesoro Usa, la Repubblica Popolare (esclusa Hong Kong) deteneva, a luglio 2006, 700 miliardi di dollari in titoli del debito americano a lungo termine. Di questi, 107 miliardi erano «agency bonds», ossia pacchetti formati da mutui «garantiti» (più o meno) da qualche entità pubblica statunitense.
La Cina ha comprato titoli a lungo termine per 2,5 miliardi di dollari a luglio 2007, ne ha comprati ancora 2,7 miliardi ad agosto quando è scoppiata la bolla dei sub-prime e addirittura 8 miliardi a settembre, quando le colossali dimensioni del crack subprime erano ormai note a tutti. Il comportamento appare anche più strano se si tiene conto che nel 2002 la Cina acquistò non più di 100 milioni di questi titoli fatti di mutui. Nel 2006, ne aveva 107 miliardi: un aumento del mille per cento.
v A questo accumulo di debito Usa va aggiunto quello di Hong Kong: la città aveva, a giugno 2006, 13,4 miliardi di titoli Usa, di cui oltre 5 miliardi in mutui confezionati. Il perché di questa politica apparentemente suicida è semplice: Pechino non aveva altra scelta che questo gioco pericoloso per mantenere bassa la sua valuta rispetto al dollaro, mentre contemporaneamente stava accumulando troppi dollari con le sue esportazioni. Ora la camera di compensazione sembra pronta alla chiusura. È dell’altro giorno, infatti, la notizia in base alla quale Pechino avrebbe chiesto di sostituire il dollaro come moneta di riferimento globale con un paniere di monete comprendente dollaro, euro, sterlina e yen: immediato il no degli Usa e anche di Joaquin Almunia.
v La guerra - commerciale, finanziaria e valutaria - è stata dichiarata: è la crisi potrebbe offrire ottime opportunità a chi intende rivedere gli equilibri globali. Non guardate la Borsa, guardate il Forex.
Mauro Bottarelli
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=14943
La Cina vuole l'SDR, una nuova supervaluta per gli scambi internazionali
Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca Centrale cinese, cioè il signore che di fatto controlla la più grande riserva valutaria in dollari del pianeta (circa 2mila miliardi), propone di sostituire il biglietto verde americano come moneta di riserva. Al suo posto, una supervaluta controllata dal Fondo Monetario Internazionale, lo Special Drawing Right (SDR, "Diritti Speciali di Prelievo", in italiano). Le dichiarazioni sono state riprese dai media cinesi, nelle edizioni sia in mandarino sia in inglese, il che significa che Pechino vuole lanciare il sasso esplicitamente.
Che cos'è lo Special Drawing Right? Si tratta di un'unità di conto, introdotta nel 1969 dal Fondo Monetario Internazionale, per rimpiazzare l'oro nelle transazioni internazionali all'interno dei rapporti di cambio fissi di Bretton Woods.
Quando negli anni Settanta il sistema collassò e si passò alla fluttuazione dei cambi, la supervaluta perse la sua ragione d'essere. Ciò nonostante continua ad esistere ed è usato come unità di conto per alcune convenzioni internazionali.
Si basa su un un paniere di valute nazionali che comprende il dollaro Usa, l'euro, lo yen giapponese e la sterlina britannica.
La Cina adesso vuole estenderne l'utilizzo. Il punto è che Pechino è stufa di importare inflazione. Le misure anticrisi dell'amministrazione Obama possono ulteriormente svalutare il dollaro e le autorità cinesi non vogliono trovarsi in cassa montagne di soldi che tendono pericolosamente verso la carta straccia. In pratica, la Cina non è più disposta a lasciare che la propria ricchezza dipenda dalle scelte politiche, economiche e finanziarie altrui.
Già pochi gorni fa il premier Wen Jiabao aveva esortato gli Usa a proteggere gli investimenti del Dragone, manifestando esplicita preoccupazione.
La strategia cinese è graduale e punta inequivocabilmente alla riforma del sistema monetario internazionale, attraverso l'assegnazione di più poteri a un FMI riformato.
Si chiede in primo luogo che venga allargato il paniere di monete che compongono gli SDR, secondo quote proporzionali al Pil dei singoli Paesi; in pratica, si vorrebbe che anche il renminbi - la valuta del Dragone - venisse incluso nel paniere.
In seguito, gli Stati dovrebbero affidare parte delle proprie riserve monetarie al Fmi.
E' una proposta radicale, che arriva alla vigilia del summit del G20 in programma per il 2 aprile. Si tratta di un segno del nuovo ruolo che la Cina vuole giocare come potenza economica mondiale.
E' un'ipotesi che può funzionare? I commenti di parte occidentale già fioccano.
Un'obiezione riguarda il fatto che il renminbi non appare ancora pronto per essere inserito nel paniere che compone lo SDR, in quanto non del tutto convertibile.
Poi c'è da ridiscutere il peso "politico" della Cina all'interno del FMI, ai cui fondi contribuisce attualmente solo per il 3%. La Cina sembra disponibile ad aumentare la propria quota, Usa ed Europa sono d'accordo?
Poi c'è il problema dello SDR stesso: ora come ora non appare in grado di sostituire il dollaro in quanto a liquidità disponibile. E' possibile che un giorno lo insidi nel gestire l'enorme volume delle transazioni internazionali?
Eswar Prasad, economista indiano, propone di creare una cospicua riserva di SDR come segue: ogni Paese che accetterà di contribuire al fondo dovrà versare una quota "d'iscrizione" compresa tra i 10 e i 25 miliardi di dollari. In cambio, in caso di crisi, avrà accesso a un credito privilegiato.
http://www.criticamente.it/Article4171.html