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Utente Senior



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Signoraggio ha condiviso un link.
21 luglio 2012
GEORGE SOROS: "Gli Stati Europei hanno trasferito alla BCE i propri diritti di signoraggio, per un valore che, secondo Willem Buiter di Citibank e la Huw Pill di Goldman Sachs, ammonta a circa 2000-3000 miliardi di euro."

http://lalternativaitalia.blogspot.it/2012/04/incredibile-soros-gli-stati-europei.html


L'ALTERNATIVA: Incredibile Soros "Gli stati europei hanno perso 3000 miliardi di Euro di Signoraggio
lalternativaitalia.blogspot
 
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Ma che strano!! Il debito pubblico italiano se fosse stato monetizzato attraverso la Banca Centrale piuttosto che attraverso la vendita di titoli sul mercato finanziario sarebbe di soli 192 miliardi di euro, il 12,3% del PIL e non il 132% come oggi!!!
Possiamo quindi affermare che il debito è praticamente oggi composto di soli interessi e che non dipende dalla spesa, dalla mala gestione, dalla corruzione e tanto meno dall’evasione fiscale.
Si tratta di capire che sono state la sciagurata decisione di non consentire più alla Banca d’Italia di sottoscrivere il debito nazionale, l’emissione di BTP a tassi ben superiori all’inflazione, la necessità di innalzare detti interessi per collocare il debito sul mercato, l’adesione all’Euro ed alle tante troppe sovrastrutture che ci sono state imposte con la sua adozione, le cause del debito pubblico e non la mala gestione della cosa pubblica.
Sprechi ci sono stati, ci sono e probabilmente ci saranno anche in futuro. Ma è un dato di fatto che l’Italia da vent’anni a questa parte ha prodotto avanzi primari di bilancio per una cifra superiore a 730 miliardi di euro!!
Sono gli interessi passivi che lo Stato paga ogni anno ad aver trasformato questo avanzo in un deficit dopo l’altro, consentendo al debito pubblico di arrivare a quasi 2100 miliardi di euro!
Inoltre questi interessi fluiscono per circa il 90% nelle casse del sistema bancario globale (italiano ed estero). Trattasi di 70/80 miliardi che le banche incassano senza rischio e che si guardano bene dal reimmettere nel sistema economico, tant’è che riducono il credito di 50 miliardi l’anno al sistema Imprese -Famiglie! Che bel risultato !come sono efficienti i mercati finanziari!!
Dobbiamo tornare padroni del nostro destino, gli italiani decidano per l’Italia.


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Pubblicato in DOMINIO E POTERE
 
I vampiri della finanza speculativa che succhiano il sangue a mezzo mondo ed i loro maggiordomi governativi bisogna chiamarli con il loro vero nome,! Ecco le prove. Il signoraggio esiste: lo attestano, tra l’altro, due risposte distinte: una del Governo italiano e l’altra dell’Unione europea, a tre specifiche interrogazioni parlamentari.



Nell’atto parlamentare (4/00932) il deputato Matteo Mecacci (radicale inserito nel gruppo parlamentare del Pd) aveva argomentato il 5 agosto 2008:


«nell'autunno del 2002 il ministro interrogato propose di sostituire le monete da uno e due euro con banconote dello stesso taglio, per combattere l'inflazione o, più precisamente, per attribuire il corretto valore di scambio alle monete in questione; la risposta dell'ex governatore della BCE (Banca Centrale Europea) Duisenberg arrivò, pubblicamente, in ottobre, riportata da numerose testate giornalistiche, del seguente tenore: «Ne abbiamo parlato e in linea di principio non abbiamo nulla in contrario. Mi auguro che il Ministro Tremonti sia consapevole che così perderebbe i proventi del diritto di signoraggio sulle monete»; sono trascorsi quasi sei anni dalla proposta del ministro interrogato ma, nel frattempo, numerosi quesiti sulle procedure relative alla emissione della moneta hanno fortemente interessato numerosissimi utenti della rete internet, ed anche quest'Aula parlamentare, senza che la questione abbia trovato analoga attenzione sui media di massa; l'ex Governatore della BCE, Duisenberg, si riferì esplicitamente alla perdita dei diritti di signoraggio; storicamente, questi diritti, sono stati iscritti nei bilanci della Banca d'Italia prima della volontaria devoluzione della prerogativa sovrana alla BCE; in seguito alla sottoscrizione del trattato di Maastricht, attualmente essi sono riportati sotto la voce «proventi da signoraggio» del bilancio della BCE; dalla lettura dei suddetti bilanci si deduce che i diritti di signoraggio rappresentano gli interessi sui titoli del debito pubblico che ogni anno la BCE riscuote, poiché gli stessi sono detenuti nel suo patrimonio; buona parte di questi interessi tornano alle Banche centrali dei Paesi dell'Unione Europea che detengono quote proprietarie della BCE stessa -: se al ministro risulti - poiché il diritto di signoraggio relativo all'emissione di monete metalliche è distinto da quello relativo all'emissione di cartamoneta a causa della inesistenza di un nesso tra l'emissione di moneta e l'interesse proveniente dal possesso di titoli del debito pubblico, essendo le monete in proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze e non utilizzate per acquistare alcun titolo del debito pubblico - a quale particolare genere di signoraggio l'ex Governatore della BCE, Duisenberg, si riferisse; se al ministro risulti se il Governatore si riferisse, specificatamente, al signoraggio sull'intero valore nominale delle monete, dedotti i costi di produzione; a chi si trasferirebbero i diritti di signoraggio, in seguito alla eventuale ed ipotizzata trasformazione delle monete da uno e due euro in banconote dello stesso valore nominale; se, poiché il signoraggio sulle monete metalliche prodotte dallo Stato è attribuito allo Stato emittente, il signoraggio sulle banconote prodotte dalla BCE sia attribuito alla stessa BCE; se esistano atti o fatti giuridici che trasferiscano il diritto di signoraggio, astrattamente inseribile nel bilancio dello Stato come utile, concorrendo alla diminuzione del debito pubblico, ad altri soggetti giuridici».


La prima ammissione a denti stretti, passata inosservata all’attenzione dell’opinione pubblica, è del Governo italiano, e fa riferimento a questo atto della Camera dei Deputati, sollecitato ben nove volte, fino alla spiegazione ufficiale datata 5 luglio 2010, a firma del Sottosegretario di Stato per l’economia e per le finanze, Nicola Cosentino, attualmente sotto processo (prossima udienza il 27 marzo 2013) con l'accusa di "concorso esterno in associazione camoristica".


«Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale vengono posti quesiti in ordine al diritto di signoraggio sulle monete metalliche. Al riguardo, sentita la segreteria del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, si fa presente che, ai sensi dell'articolo 106, comma 1, del Trattato CE e dell'articolo 16 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc), il consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote all'interno della Comunità da parte della Bce e delle Banche centrali nazionali (Bcn). Con decisione ECB/2001/15, il Consiglio direttivo, dando concreta attuazione a tali disposizioni, ha stabilito un preciso schema di ripartizione delle banconote in euro emesse dall'Eurosistema in base al quale alla Bce è attribuita, in via convenzionale, una quota fissa dell'8 per cento della circolazione, mentre il restante 92 per cento viene ripartito fra le Bcn, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale della Bce (capital key). In contropartita della quota di circolazione ad essa assegnata, la Banca centrale europea iscrive nel proprio bilancio un credito di pari importo verso le Banche centrali nazionali, remunerato al tasso marginale delle operazioni di rifinanziamento principale. Tale remunerazione costituisce il reddito da signoraggio della Bce; quest'ultimo (decisione ECB/2005/11) è ridistribuito alle Bcn in proporzione al rispettivo capital key, a meno che il Consiglio direttivo decida di trattenere il relativo ammontare (in tutto o in parte) a causa di: a) una perdita d'esercizio della Banca centrale europea o un utile netto inferiore all'importo del signoraggio; b) una assegnazione al Fondo di accantonamento a fronte dei rischi di cambio, di tasso di interesse e di prezzo sull'oro. Il reddito da signoraggio percepito dalle Banche centrali nazionali sul restante 92 per cento delle banconote in circolazione contribuisce alla formazione del reddito monetario, disciplinato dall'articolo 32 dello statuto del Sebc che prevede, ai fini della relativa ripartizione tra le Bcn, un processo diaccentramento e successiva redistribuzione in base al capital key. In coerenza con gli indirizzicontenuti nell'articolo 32, la Bce ha adottato la decisione ECB/2001/16 (successivamente modificatadalle decisioni ECB/2003/22, ECB/2006/7 e ECB/2007/15), con la quale ha definito in dettaglio lametodologia per il calcolo e la redistribuzione del reddito monetario.Con specifico riferimento ai quesiti sulle monete metalliche, si precisa che l'articolo 106, comma 2,del Trattato CE, attribuisce agli Stati membri, previa autorizzazione da parte della Bce, il potere diconiare monete; conseguentemente i benefici economici derivanti da tale funzione restano direttoappannaggio degli Stati stessi.Pertanto, nell'eventuale ipotesi di sostituzione delle monete da uno e due euro, le nuove banconote dipari taglio entrerebbero a far parte della circolazione e sarebbero oggetto del citato meccanismo diredistribuzione tra la Bce e le Bcn. Di conseguenza i relativi benefici economici, in termini disignoraggio, passerebbero dagli Stati membri all'Eurosistema.Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Nicola Cosentino».


Successivamente, il 12 marzo 2012 (atto E-000302/2012), il deputato europeo (PPE) Marco Scurria, aveva posto i medesimi interrogativi sul signoraggio all’Ue:
«In risposta ad un’interrogazione scritta sul medesimo tema presentata dall’on. Borghezio fornita il 16 giugno 2011, la Commissione informa il collega che “al momento dell’emissione, le banconote in euro appartengono all’Eurosistema e che, una volta emesse, sia le banconote che le monete in euro appartengono al titolare del conto su cui sono addebitate in conseguenza”. Può la Commissione chiarire quale sia la base giuridica su cui si basa questa affermazione?».
Nei tempi stabiliti dal Parlamento Europeo arriva la risposta di Olli Rehn a nome della Commissione:


«L’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea costituisce la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote e monete in euro da parte dell’Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali). La proprietà delle banconote e delle monete in euro dopo l’emissione da parte dell’Eurosistema è disciplinata dalla legislazione nazionale vigente al momento del trasferimento delle banconote e monete al nuovo proprietario, ossia al momento dell’addebito del conto corrente bancario o dello scambio delle banconote o monete».
Ergo, in punta di diritto: la proprietà giuridica dell’euro non appartiene alla BCE o alle BCN.


Olli Rehn non fa altro che ribadire che dopo l’emissione, ossia dopo la creazione fisica delle banconote, la proprietà dei valori nominali appartiene al nuovo proprietario, ovvero a chi ha accettato l’addebito. Inoltre, Olli Rehn, per giustificare l’affermazione secondo la quale rispondeva a Borghezio che l’Euro appartiene nella fase dell’emissione all’Eurosistema, cita l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dove nel comma 1 si legge: “La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione”.


E’ lapalissiano. Non c’è scritto da nessuna parte che la proprietà giuridica dell’euro emesso appartiene alla BCE o alle BCN. C’è soltanto scritto che la BCE può autorizzare l’emissione di euro a se stessa e alle BCN, dovendo controllare l’inflazione nella zona euro, così come stabilito dal Trattato di Maastricht. Ribadisce che solo l’Eurosistema può stampare le banconote o creare elettronicamente i valori nominali. Ma nessun riferimento giuridico, nessun trattato, nessuna legge, nessuna deliberazione, niente di niente ci dice che l’Eurosistema ha la facoltà di addebitare la moneta. E’ evidente che si appropria di questo grande ed esclusivo privilegio. E questo furto legalizzato (si fa per dire!) ai danni dei popoli europei va sotto il nome di signoraggio.
Non è tutto. Insoddisfatto della risposta evasiva, Scurria tornava a chiedere chiarimenti al Commissario Rehn, con un’altra interrogazione il 22 marzo 2012 (P-003128/2012):


«Oggetto: Proprietà dell’euro. Alla precedente interrogazione E-000302/2012 con richiesta di risposta scritta intitolata “Natura giuridica della proprietà dell’euro” con la quale è stato chiesto alla Commissione di chiarire il concetto della proprietà dell’euro, quest’ultima ha risposto citando l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che, riporta testualmente: “La Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote”. Considerato che la Commissione si è riferita alla sola facoltà di emettere banconote senza specificarne il concetto di proprietà al momento dell’emissione, ma soltanto in seguito con il trasferimento delle banconote stesse e stante che non sempre chi emette è proprietario, può la Commissione precisare se la facoltà di emettere banconote corrisponda alla proprietà delle stesse?».

Quindi, l’europarlamentare chiede di specificare se l'espressione “facoltà di emettere banconote” corrisponda all’essere proprietario, visto che l’interrogazione è sulla proprietà dell’euro, non sulla facoltà di emettere.
A questo punto il 24 aprile 2012 arriva la nuova risposta di Olli Rehn, a nome della Commissione:


«L’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea rappresenta la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote in euro da parte dell’Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali) e di monete in euro da parte dei singoli Stati membri. In assenza di una normativa armonizzata al livello dell’Unione, la proprietà delle banconote e monete in seguito all’emissione è soggetta alla legge nazionale applicabile nel momento in cui avviene il trasferimento al nuovo detentore. Alcuni paesi ritengono che il legittimo detentore delle banconote e delle monete in euro ne sia anche proprietario, altri considerano il contante in euro come un bene pubblico e limitano di conseguenza i diritti di proprietà del detentore (ad es. il diritto di danneggiare o distruggere deliberatamente il bene)».


E chiaro, no? Nel linguaggio eurocratese, Rehn prova ad arrampicarsi sugli specchi citando sempre l’articolo 128 che, inequivocabilmente, non attribuisce alla BCE la proprietà della moneta. Glissa sulla proprietà all’atto dell’emissione dicendo che la proprietà dopo l’emissione è soggetta alla legislazione nazionale “nel momento in cui avviene il trasferimento al nuovo detentore”.


Sostenere che c’è un nuovo detentore equivale ad ammettere implicitamente che ne sia esistito almeno un altro. Ma chi è il detentore precedente al nuovo? La logica ci suggerisce che è la BCE: all’atto dell’emissione la Banca Centrale Europea presta, e prestare è inequivocabilmente una prerogativa di chi detiene la proprietà. Un minuscolo esempio: l’anno scorso il Governatore della Banca Centrale Europea ha emesso e prestato 1000 miliardi di euro alle banche commerciali con un tasso di favore dell’1 per cento; Mario Draghi (ha denominato questa operazione LTRO (Long Term Refinanancing Operation).


Rehn, nelle sue contraddittorie confutazioni, non fa altro che confermare che la BCE si appropria del mezzo monetario trasformandolo in merce da prestare, e se ne appropria indebitamente perchè nessuna costtituzione, trattato, nessuna legge, nessuna norma, nessun regolamento, niente di niente gli conferisce la proprietà della moneta.
Questo è un autentico furto, perché la proprietà della moneta appartiene esclusivamente ai cittadini che creano il valore per convenzione. Allora, la gigantesca truffa è definitivamente smascherata. Tuttavia, non dimentichiamo che la moneta è solo una convenzione sociale (se ne potrebbe fare a meno), a diferenza dell'acqua che invece è un bene primario, vitale.

Rammentate l'aforisma di Henry Ford? «Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione».




Tace Monti - Infine, il 4 giugno 2012, gli onorevoli Rampelli e Marsilio depositano l’interrogazione a risposta scritta numero 4/16393:


«Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che: in data 10 luglio 2011 l'europarlamentare onorevole Mario Borghezio, ha presentato alla Commissione europea l'interrogazione con richiesta di risposta scritta E-006243/2011, nella quale si chiedevano lumi sulla natura giuridica della proprietà dell'euro, con richiesta esplicita di conoscere la proprietà dell'euro al momento della sua emissione; a tale interrogazione, in data 16 agosto 2011, il commissario europeo Olli Rehn ha risposto affermando che, nella fase di emissione, le banconote appartengono all'Eurosistema, ovvero la banca centrale europea e le Banche centrali dei Paesi aderenti alla moneta unica, mentre nella fase della circolazione appartengono al titolare del conto sul quale vengono addebitate; a seguito di tale vicenda un altro europarlamentare italiano, l'onorevole Marco Scurria, in data 12 gennaio 2012 ha presentato un'altra interrogazione, la E-000302/2012, nella quale ha chiesto esplicitamente alla Commissione quali fossero le basi giuridiche su cui si fondassero le affermazioni del commissario Olli Rehn in risposta all'interrogazione sopra richiamata; ancora una volta è arrivata la risposta del commissario Olli Rehn che, il 12 marzo 2012, ha confermato che, dopo l'emissione, la proprietà delle banconote e delle monete appartiene al nuovo proprietario, ovvero a chi ha accettato l'addebito delle stesse, indicando nell'articolo 128 del «Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea» la base giuridica su cui si fonda la risposta fornita in prima istanza all'interrogazione dell'onorevole Borghezio; insoddisfatto di tale risposta, anche in virtù del fatto che l'articolo 128 succitato nulla dice in fatto di proprietà dell'euro all'emissione in capo all'Eurosistema, disciplinando unicamente la facoltà di emissione dell'euro, l'onorevole Marco Scurria ha presentato un'ulteriore interrogazione, la P-003128/2012, con la quale ha chiesto esplicitamente se la Commissione fosse in grado di «precisare se la facoltà di emettere banconote corrisponda alla proprietà delle stesse»; l'ulteriore risposta, ancora del commissario Olli Rehn, cita ancora l'articolo 128 che, come visto, tratta di altro, ma aggiunge che «la proprietà delle banconote e monete in seguito all'emissione è soggetta alla legge nazionale applicabile nel momento in cui avviene il trasferimento al nuovo detentore», nulla dicendo sul precedente detentore che, secondo logica, dovrebbe a questo punto essere individuato nella Banca centrale europea; al termine di questa complessa vicenda sorge inevitabilmente il sospetto che la Banca centrale europea si sia appropriata indebitamente della proprietà dell'euro, mancando, in assenza di prova contraria, la norma che disciplina tale procedimento; l'altro elemento che lascia estremamente perplessi è dato dal fatto che, all'atto dell'emissione, la Banca centrale europea presta gli euro emessi, e l'atto del prestare è inequivocabilmente una prerogativa del titolare della proprietà -: se il Ministro interrogato sia in grado di fare chiarezza sull'effettiva proprietà dell'euro».


Il Governo del tecnico Mario Monti,non ha fornito alcuna spiegazione. E mai risponderà, perché la legislatura numero XVI è terminata. Vi dicono niente il conflitto di interessi, gli abusi istituzionali, ma soprattutto una macroscopica truffa a danno dei popoli europei?

Toc toc: esiste almeno un giudice a Berlino?
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L’eccezione tedesca nel collocamento dei titoli di stato


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29 marzo 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
Bisogna tenere conto di due cose per capire questo articolo, che non ha specificato
1. i titoli di stato sono considerati altamente liquidi nelle operazioni tra banche cioè alla stregua di moneta, sono moneta
2. la differenza tra mercato primario e mercato secondario è unicamente che il primo è l’oligopolio delle banche dealer che vanno alle aste pubbliche del debito con una sorta di diritto di prelazione sui titoli e un monopolio effettivo sugli stessi e sul loro tasso di rendimento (http://www.stampalibera.com/?p=59366)
Semmai dall’articolo sotto appare chiaramente che:
1. E’ la BUBA a stampare i TDS E NON LO STATO, a riprova dello scippo totale di sovranità degli Stati.
2. La BUBA, ma anche tutte le BC ivi compresa la BCE, si comporta come una vera e propria banca di investimento, o fondo avvoltoio secondo le parole della Kirchner: cioè specula in borsa, emette strumenti derivati e altri certificati strutturati e lo fa con i nostri TDS, che utilizza come moneta, ma i cui interessi sono “spalmati” dal verbo “to spread” sui popoli, di preferenza i cosiddetti PIIGS. E lo fa grazie ai differenziali di rendimento dei TDS e ai vari trucchi e sotterfugi che i paesi cosiddetti ‘forti’ utilizzano per derubare i cosiddetti paesi deboli o PIIGS.
Chiaro?
Nicoletta Forcheri
1/4/2013


Fonte: http://www.economiaepolitica.it/?s=la+bundesbank+compra+i+bund+tedeschi&x=9&y=8

Scritto da Manfredi De Leo il 07 Dicembre 2011

1. L’esito della recente asta dei titoli pubblici tedeschi ha sollevato un interessante dibattito intorno alle specificità del meccanismo di collocamento dei titoli pubblici che sembrano distinguere la Germania dagli altri paesi dell’eurozona. Il dibattito prende spunto dai dettagli presenti nel resoconto ufficiale della procedura d’asta, laddove si comunica che sono stati emessi tutti i 6 miliardi di euro di titoli inizialmente previsti dal governo, ma al contempo si afferma che – di questi – solamente 3,6 sono stati collocati presso investitori privati. Si tratta dunque di capire esattamente cosa è successo a quei 2,4 miliardi di euro di titoli residui, che sono stati dichiarati emessi, ma non sono stati sottoscritti dai partecipanti all’asta.​
Il resoconto ufficiale dell’asta definisce quella particolare quota dell’emissione come “Ammontare messo da parte per operazioni sul mercato secondario”. Dunque il 40% dei titoli emessi è stato trattenuto con lo scopo di essere successivamente venduto sul mercato secondario: una quota consistente dei titoli è stata, in altri termini, emessa ma non collocata presso gli investitori privati. Una simile operazione sembra possibile solamente qualora si ammetta l’intervento della Bundesbank, che avrebbe sottoscritto una parte della nuova emissione – come suggeriscono numerosi commentatori[1].​
Ciò significherebbe che la Germania opera al di fuori delle regole comuni dell’eurozona[2], ossia in deroga a quegli stessi principi che hanno impedito, ad esempio, alla Banca Centrale Greca di intervenire a sostegno dei titoli pubblici ellenici tra il Dicembre 2009 ed il Maggio 2010, quando la spirale nei tassi di interesse pretesi dai mercati finanziari internazionali in sede d’asta ha di fatto costretto Atene a ricorrere ad un prestito istituzionale, vincolato all’adozione delle cosiddette misure di austerità. L’“eccezione tedesca” alle regole europee sull’emissione di titoli del debito pubblico appare ancora più significativa se si considera che la pratica di trattenere una quota (anche consistente) dell’emissione “per operazioni sul mercato secondario” non costituisce affatto un’anomalia nelle ordinarie operazioni di collocamento dei bund, ma ne rappresenta piuttosto il regolare funzionamento: come illustrato dal seguente grafico, la Germania trattiene regolarmente una quota delle emissioni, esattamente come accaduto in quest’ultima, discussa, asta di bund decennali.​
Cercheremo di dimostrare che la Bundesbank sostiene attivamente il collocamento dei titoli pubblici tedeschi, esercitando un’influenza dominante sul prezzo dei titoli di nuova emissione, senza però ricorrere alla sottoscrizione degli stessi sul mercato primario, ma articolando il proprio intervento in modo tale da aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e praticare di fatto il finanziamento diretto del debito pubblico tedesco.​
2.Iniziamo col dire che il dibattito sull’asta dei titoli tedeschi ha il grande pregio di restituire il meccanismo di emissione dei titoli pubblici – fatto di regolamenti, prassi e rapporti di forza tra governi, banche private nazionali e internazionali – ad un contesto istituzionale più complesso di quella ‘forma di mercato’ che gli viene attribuita dalle istituzioni europee, e che giustifica il divieto di acquisto dei titoli pubblici imposto alle banche centrali, chiamate appunto a non interferire con il regolare funzionamento del mercato del credito.​
Vogliamo capire come sia possibile che un titolo pubblico venga emesso, ma non collocato. Precisiamo innanzitutto cosa si intende per collocamento: un titolo si definisce collocato quando viene sottoscritto per la prima volta. L’ufficio governativo responsabile dell’emissione dei titoli del debito pubblico tedesco è l’Agenzia per il debito (Finanzagentur), la quale gestisce le procedure d’asta e poi trattiene i titoli non collocati presso quella platea di investitori privati che hanno l’accesso riservato al mercato primario, platea costituita da una quarantina di banche e società finanziarie tedesche ed internazionali. L’idea, suggerita da molti commentatori, che i titoli non collocati vengano di fatto sottoscritti dalla banca centrale tedesca è stata immediatamente contestata, poiché sembra scaturire da una errata interpretazione del particolare ruolo svolto da quest’ultima all’interno del processo di emissione dei titoli. Come vedremo, sebbene sia effettivamente possibile confutare la tesi secondo cui la Bundesbank sottoscrive i titoli pubblici tedeschi direttamente sul mercato primario, la banca centrale tedesca può contare su altri e diversi canali per intervenire sui titoli di nuova emissione, con risultati assolutamente equivalenti all’azione diretta sul mercato primario.​
La Bundesbank agisce per conto dell’Agenzia per il debito tedesca in qualità di “banca custode e non di prestatore di ultima istanza”, come sostiene Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore del 26 Novembre 2011: i titoli trattenuti risultano in sostanza congelati presso la banca centrale tedesca, senza che questa corrisponda al governo alcuna somma di denaro in cambio, ossia senza che quei titoli risultino effettivamente sottoscritti. Spiega ancora la Bufacchi: “L`agenzia del debito tedesco riprende poi quei titoli invenduti e li ricolloca in tranche sul secondario, nell`arco di qualche giorno o in casi di mercati ostici di qualche settimana.” Dunque sembra, a prima vista, che la Germania non stia procedendo alla cosiddetta ‘monetizzazione’ del debito pubblico. A confermare questa interpretazione interviene anche la prestigiosa rivista The Economist, pubblicando sul proprio sito l’articolo Fun with bunds in cui, “per evitare che i bloggers passino molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, si affida la soluzione al dilemma alle parole di un rappresentate della PIMCO, una delle più importanti società private di investimento a livello internazionale: “La Finanzagentur ha emesso solamente 3,6 miliardi in cambio di liquidità. Loro hanno collocato 3,6 miliardi sul mercato ed hanno trattenuto 2,4 miliardi sui loro libri contabili. In futuro potranno vendere l’ammontare trattenuto sul mercato secondario, ottenendo la corrispondente liquidità. Potreste aver letto che la Bundesbank ha acquistato la quota dell’emissione che non è stata collocata in asta; ciò non è corretto. La Bundesbank non sta finanziando la Germania; opera semplicemente come un’agenzia per la Finanzagentur.”​
La pratica dell’Agenzia tedesca per il debito, consistente nel trattenere una quota dell’emissione, viene dunque presentata, molto semplicemente, come un metodo per procrastinare il collocamento di quei titoli, in attesa di più favorevoli condizioni sui mercati finanziari: una mera questione di tempo, poiché i titoli emessi ma non anche collocati saranno, prima o poi, effettivamente collocati.​
3. Dopo aver “passato molto tempo immersi nei meccanismi d’asta delle obbligazioni europee”, è forse possibile mettere in discussione la validità di questa lettura del problema, ed incentrare l’interpretazione del particolare meccanismo di emissione dei titoli pubblici tedeschi non tanto sul ‘quando’ i titoli trattenuti verranno sottoscritti, quanto piuttosto sul ‘dove’ quei titoli verranno poi, effettivamente, collocati.​
La struttura istituzionale conferita generalmente agli odierni processi di emissione dei titoli del debito pubblico si fonda su una netta distinzione tra il mercato primario, dove i governi collocano i titoli di nuova emissione, ed il mercato secondario, dove i titoli già emessi possono essere liberamente scambiati. Tale distinzione è rilevante, all’interno della cornice istituzionale dell’eurozona, poiché il Trattato di Maastricht (comma 1 art. 101[2]) vieta esplicitamente alle banche centrali dell’eurozona l’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi membri solamente sul mercato primario: la BCE e le banche centrali dei paesi membri sono dunque lasciate libere di acquistare titoli del debito pubblico dei paesi membri dell’eurozona sul mercato secondario, e siamo certi che stiano operando in questo senso quantomeno a partire dal Maggio 2010, nel contesto del Securities Markets Programme[4]. Si noti come la chiara distinzione tra mercato primario e mercato secondario, ovvero la regola per cui sul mercato secondario possono essere scambiati solamente titoli già emessi sul mercato primario, sia il presupposto della logica seguita dalle istituzioni europee, le quali prevedono contemporaneamente il divieto imposto da Maastricht, che si riferisce al mercato primario, ed il Securities Markets Programme, che limita al mercato secondario la libertà di intervento delle banche centrali. Nelle parole dell’allora Governatore della BCE Trichet: “le nostre azioni sono pienamente conformi al divieto di finanziamento monetario [del debito pubblico] e dunque alla nostra indipendenza finanziaria. Il Trattato vieta l’acquisto diretto, da parte della BCE, dei titoli del debito emessi dai governi. Noi stiamo acquistando quei titoli solamente sul mercato secondario, e dunque restiamo ancorati ai principi del Trattato”.[5]
Alla luce di quanto detto circa la pratica – operata negli anni dalla Germania – di destinare una quota rilevante delle emissione ad operazioni sul mercato secondario, risulta evidente che, quando consideriamo il mercato dei titoli pubblici tedeschi, la distinzione tra mercato primario e mercato secondario si fa quantomeno labile: tramite la quota di titoli di nuova emissione regolarmente trattenuta dall’Agenzia del debito, infatti, la Germania è in grado di collocare i propri titoli del debito pubblico direttamente sul mercato secondario. Ciò è rilevante perché se il mercato primario dei titoli pubblici è esplicitamente riservato, in tutti i paesi dell’eurozona, ad un gruppo di investitori privati, sul mercato secondario operano – accanto agli investitori privati – anche le banche centrali dei paesi membri. Questo significa che il tasso di interesse che si determina sul mercato primario può essere spinto al rialzo da una carenza di domanda di titoli che non ha ragione di esistere sul mercato secondario, laddove l’azione della banca centrale implica una domanda potenzialmente infinita per i titoli pubblici: sul mercato primario, dove non operano le banche centrali, può sussistere una situazione di eccesso di offerta di titoli che conduce ad un rialzo nei tassi di interesse, quale quello osservato in Grecia nei primi mesi del 2010, ed in Italia a partire dall’Agosto 2011, mentre sul mercato secondario l’intervento della banca centrale ha il potere di creare tutta la domanda necessaria a spingere al ribasso il rendimento dei titoli pubblici. Pertanto, il semplice fatto che il collocamento dei bund di nuova emissione avvenga, in parte, direttamente sul mercato secondario ha un impatto significativo sul tasso di interesse dei titoli pubblici tedeschi, garantendo alla Germania un minor costo dell’indebitamento pubblico, a prescindere dalla possibilità (pure presente) che i titoli di nuova emissione collocati sul mercato secondario vengano sottoscritti direttamente dalla Bundesbank. La particolare struttura istituzionale del processo di emissione dei titoli pubblici tedeschi sopprime di fatto la distinzione tra mercato primario e mercato secondario, aprendo lo spazio per il finanziamento del debito pubblico tramite la banca centrale – spazio negato agli altri paesi membri dell’eurozona.​
Il complesso meccanismo di emissione dei titoli pubblici appena descritto consente alla Germania di proporre, in asta, un tasso dell’interesse molto basso, come avvenuto il 23 Novembre: se gli investitori privati si rifiutano di sottoscrivere i titoli del debito pubblico tedeschi a quei tassi, giudicati poco remunerativi, lo Stato trattiene la quota dell’emissione non collocata e procede, successivamente, al collocamento di quei titoli sul mercato secondario, dove l’azione della banca centrale è in grado di orientare i livelli del tasso dell’interesse vigente, o addirittura di tradursi in un intervento diretto, con la Bundesbank che sottoscrive i titoli del debito non collocati sul mercato primario. In assenza di un simile meccanismo, i governi sono costretti ad accettare il tasso di interesse che gli investitori privati pretendono sul mercato primario, laddove la loro disponibilità a sottoscrivere i titoli pubblici rappresenta l’unica possibilità che lo stato ha di finanziare il proprio debito. L’“eccezione tedesca” può essere concepita come un metodo che permette di aggirare i divieti imposti dal Trattato di Maastricht, e viene da chiedersi per quale motivo gli altri paesi dell’eurozona non si siano dotati di un simile dispositivo, capace di arginare le pretese dei mercati finanziari internazionali sui rendimenti dei propri titoli pubblici.​
[1] Alesina e Giavazzi sul Corriere dela Sera del 24 Novembre 2011 affermano che “l’asta dei Bund è stata sottoscritta solo grazie alla Bundesbank che ha acquistato il 40% dei titoli offerti da Berlino.”. Lo stesso giorno, simili affermazioni compaiono sui più importanti quotidiani. Sul Sole 24 Ore Bufacchi sostiene che: “va scartata la maxi-quota, pari al 39% dei 6 miliardi, che è stata sottoscritta dalla Buba [Bundesbank] per essere rivenduta sul secondario per via del peculiare meccanismo usato fin dagli anni 70 nelle aste dei titoli di Stato tedeschi.”; Quadrio Curzio commenta che “senza l’intervento della Bundesbank poteva andare anche peggio” sul Messaggero; Tabellini afferma, sul Sole 24 Ore, che: “la Bundesbank di fatto continua ad agire come prestatore di ultima istanza quanto meno in via temporanea nei confronti dello Stato tedesco. I titoli non venduti in asta infatti sono stati assorbiti dalla Bundesbank, che da sempre svolge questo ruolo per garantire la liquidità dei titoli tedeschi.”
[2] “La banca centrale tedesca ha subito assorbito tutti i titoli invenduti. È esattamente ciò che la Bundesbank stessa non vuole che la BCE faccia con Italia e Spagna. […] ha comprato direttamente dal governo, un comportamento in apparenza illegale ai termini del trattato: finanziamento monetario del deficit.” Fubini, Corriere della Sera del 24 Novembre 2011.
[3] “È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “Banche centrali nazionali”), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.” (Cfr. Versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, 24/12/2002, corsivo nostro).
[4] “Nei termini definiti in questa Decisione, le banche centrali dell’Eurosistema possono acquistare […] sul mercato secondario titoli di debito […] emessi dai governi centrali o da enti pubblici dei Paesi Membri e denominati in euro.” (Cfr. Decision of the European Central Bank of 14 May 2010 establishing a securities markets programme, Official Journal of the European Union, 20/05/2010, corsivo nostro).
[5] Cfr. Speech by Jean-Claude Trichet, President of the ECB, at the 38th Economic Conference of the Oesterreichische Nationalbank, Vienna, 31 May 2010.

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l'importante nella vita e' andar di corpo:D
 
Falso in bilancio della Banca d'Italia


per non dimenticare:
Il Procuratore Generale Tarquini spiega la truffa di Bankitalia

Tratto da “La banca, la moneta e l’usura – La Costituzione tradita”, di Bruno Tarquini
[*], già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell'Aquila (ed. Controcorrente, Napoli 2001)

"Le anomalie di un bilancio […] la Banca d’Italia, nei propri bilanci, iscrive tra le poste passive la moneta che immette in circolazione. Questo ritiene di poter fare in virtù di un mero gioco di parole, che si risolve in definitiva in una presa in giro del popolo, sfruttando in modo truffaldino la formula che ancora si trova scritta sulle banconote (“Lire centomila – pagabili a vista al portatore” – firmato “Il Governatore”) e che, oggi, non avrebbe più alcuna ragione di essere, perché non significa nulla [1].

Infatti si tratta di un’obbligazione che l’istituto bancario si assumeva nel passato (nel tempo, cioè, in cui vigeva la convertibilità del biglietto di banca in oro) di convertire appunto la carta moneta nel metallo prezioso che ne costituiva la garanzia (base aurea). Nei tempi attuali, in cui quella convertibilità è stata abolita ed è stato imposto il corso forzoso della moneta cartacea, quella “promessa di pagamento a vista” ha perduto ogni contenuto e non può, quindi, avere alcun valore. Tuttavia la Banca d’Italia ritiene ancora di potersene avvalere, confidando che la mera apparenza, che ancor oggi conservano i biglietti di banca, di cambiali a vista, e quindi formalmente di debito, le possa consentire legittimamente di considerare la moneta immessa in circolazione come una propria passività da iscrivere in bilancio tra le poste passive. Ed è noto come l’aumento artificioso del passivo, in un bilancio societario, determini un illecito annullamento dell’attivo [2]. Quindi l’Istituto di Emissione immette in circolazione banconote che sono non solo prive di alcuna copertura (neanche parziale) o garanzia, ma anche strutturate come false cambiali, che da un lato offrono una parvenza di legalità alla loro iscrizione nel passivo dell’azienda, dall’altro costituiscono un “debito inesigibile”, come affermano le stesse autorità monetarie, inventando una fattispecie giuridica di cui facilmente si può misurare l’assurdità. A parte, infatti, che la inesigibilità non può che riguardare il credito (perché è questo che, caso mai, non può essere esatto), con la formula del “debitore inesigibile” si fa decidere allo stesso debitore di non pagare il debito. Una cosa è dire che “il credito” è inesigibile perché il debitore non può pagare, altra cosa è invece dire che esso è inesigibile perché il debitore (la Banca Centrale) per legge ha la garanzia di non dover pagare.

Riassumendo, delle due l’una: o la Banca d’Italia non è proprietaria della moneta al momento dell’emissione (come hanno affermato i rappresentanti del governo rispondendo alle interrogazioni parlamentari) ed allora appare del tutto ingiustificato che ne tragga un utile, tanto più che la banca stessa assume di essere debitrice dei simboli monetari emessi, così da iscriverli come posta passiva nel proprio bilancio; oppure la Banca Centrale (contrariamente a quanto dichiarato dai due Sottosegretari di Stato) è proprietaria di quella moneta e con giustificazione (solo apparente) ne ritrae un utile dal suo prestito al sistema economico nazionale, ma allora assume i contorni di un fatto illecito far figurare come poste passive operazioni che sono invece indubbiamente attive."

Note:
[*] Bruno Tarquini è nato ad Avezzano (L’Aquila) nel 1927. Laureatosi in giurisprudenza nel 1948 presso l’Università di Roma, è entrato giovanissimo in magistratura, percorrendone tutti i gradi. E’ stato pretore a Roma e, dal 1955, al Tribunale di Teramo, prima come giudice, poi come presidente; nel 1986 è stato trasferito alla Corte d’Appello dell’Aquila, dove ha svolto le funzioni di presidente della sezione penale e della Corte d’Assise di secondo grado, infine, nel 1994, è stato nominato Procuratore Generale della Repubblica presso la stessa Corte d’Appello. Gli studi giuridici e l’attività professionale non gli hanno impedito di alimentare le sue curiosità intellettuali, con particolare riguardo alla storia.
[1] Provi il cittadino a presentarsi ad uno sportello qualsiasi della Banca d’Italia, esibisca una banconota contenente quella (ormai inutile) promessa di pagamento e chieda di essere “pagato a vista”. E’ probabile che venga preso per matto!
[2] Sarebbe di certo giuridicamente infondato sostenere la legittimità della indicazione nel passivo della moneta al momento della emissione (ed a maggior ragione durante la sua circolazione), facendo ricorso a quanto stabilisce l’art.2424 del codice civile, secondo il quale il bilancio delle società per azioni deve indicare nel passivo (tra l’altro) anche “il capitale sociale al suo valore nominale…”, poiché non vi è alcun dubbio che nella massa di moneta creata e messa in circolazione dalla Banca Centrale non può sicuramente identificarsi il capitale sottoscritto e depositato dagli azionisti (“partecipanti”), dei quali costituisce un credito e, quindi, per la società un debito. Quella moneta la stessa Banca d’Italia – come si dirà più oltre – la definisce “merce”.


 
SIGNORAGGIO - La questione monetaria
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La questione monetaria
Ing. Lino Rossi​
1 – Messa al passivo delle “banconote in circolazione” Estratto dal bilancio presentato dal governatore Mario Draghi il 31 maggio 2006.
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/ricec/relann;internal&action=_framecontent.action&Target=_top
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È la Banca d’Italia stessa che nella definizione delle “BANCONOTE IN CIRCOLAZIONE” ci racconta che esse sono REDDITO.1)
Nel momento in cui si pongono nelle passività i suddetti “redditi” succede che gli stessi vengono sottratti al CONTO ECONOMICO, così come definito dall’art. 2425 del C.C.. Significa due cose:
1) il reddito così trattato non viene sottoposto a nessun tipo di imposizione fiscale, né a nessun tipo di rientro nelle casse dello Stato;
2) lo stesso viene fatto sparire dalla contabilità per prendere la misteriosa via del “NERO”.
Il mondo accademico prova a correre in soccorso a bankitalia spiegando meglio la faccenda. Dal libro universitario di economia aziendale (Produzione e Mercato - A. Birolo G. Tattara - Ed. Il Mulino - 1991 - ISBN 88-15-02961-3): "Si osservi che il biglietto di banca rappresenta un debito della banca centrale nei confronti di chi lo possiede. Quando un biglietto torna alla banca centrale, il debito che esso rappresenta è automaticamente estinto; l'eliminazione del debito comporta dunque la distruzione della moneta".
Quindi è tutto chiaro!? Bankitalia si è sbagliata a definire le “banconote in circolazione” come “reddito” perché in realtà è un debito e quindi fa benissimo a mettere quelle somme nelle passività. La banconota che torna alla banca centrale viene distrutta.
Vengono spontanee alcune domande:
a) da quando in qua un soggetto percepisce gli interessi di un debito da esso stesso contratto?
b) quando un debito non viene richiesto da nessuno è ancora tale? Nessuno infatti ha titolo per andare alla Banca d’Italia ad esigere la restituzione di quel “debito”!
c) da quando in qua un debitore “distrugge” il credito altrui? Quelle banconote sono della collettività e servono per scambiare i beni che la collettività stessa produce. Ciò verrà spiegato in seguito.
Il mondo accademico in questo caso ha sicuramente svolto l’ingrato compito di “Avvocato delle cause perse”.
Vediamo di quali cifre stiamo parlando. Dai bilanci ufficiali presenti sul sito della nostra banca centrale troviamo:
anno​
Banconote in circolazione [€]​
1996​
54.799.175.735​
1997​
58.914.304.307​
1998​
63.220.005.474​
1999​
70.614.050.000​
2000​
75.063.752.000​
2001​
64.675.772.000​
2002​
62.835.488.000​
2003​
73.807.446.000​
2004​
84.191.125.720​
2005​
94.933.679.360​
2006*​
100.000.000.000*​
* stima
Si tratta quindi di circa il triplo della manovra finanziaria in esame questi giorni. Sottolineo la misteriosa forte contrazione degli anni 2001 e 2002. Si comprenderà meglio in seguito l’assurdità di questa stranezza.
Quando troviamo:
- nella seconda edizione di “Euroschiavi” di Marco Della Luna ed Antonio Miclavez, Arianna editore –
alle isole Cayman sono stati trovati i seguenti conti:
700 26891 A01 N BANCA D'ITALIA UFFICIO RISCONTRO VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA
709 27154 A01 N BANCA D'ITALIA SERVIZIO RAPPORTI CON L'ESTERO, UFFICIO RISCONTRO 2484 VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA;
- sul web - http://spazioinwind.libero.it/cobas/finanzaloro/bancaditalia.htm - La Banca d'Italia nel 1994, tramite l'Ufficio italiano cambi (Uic), è entrata - con 100 milioni di dollari - in una società controllata dall'Hedge Fund Ltcm e costituita nel paradiso fiscale delle CAYMAN ISLAND dai soci promotori dello stesso Ltcm !!!
- nel Corsera del 26-10-95 il Financial Time ha scritto che per questo investimento la Banca d'Italia ha perso la sua "credibilità morale";
- ne Il Sole 24 Ore dell’ 8-10-98 - "E' assurdo utilizzare riserve nazionali per investire su un fondo come Ltcm, che era chiaramente speculativo", dichiara Edward Thorp, "padre" degli Hedge Fund americani;
- nel libro “Il Potere del denaro svuota le democrazie” di Giano Accame, ed. Settimo Sigillo – un esplicito riferimento alla presenza della Banca d’Italia alle isole Cayman.
COSA POSSIAMO PENSARE?
Possono essere informazioni vere o false; poco importa; andare a rintracciare i fondi neri è sempre un’impresa complessa. Ciò che conta è che quei soldi non sono dove dovrebbero essere, ovvero nelle casse dello Stato a lenire il nostro enorme debito pubblico.
Ma l’argomento del contendere è “solo” di 100 miliardi di euro?
Dal sito http://www.dt.tesoro.it/Aree-Docum/Debito-Pub/index.htm scopriamo che il debito pubblico nazionale il 31/12/2005 era pari a 1.511 miliardi di € dei quali l’80% sono titoli di Stato; oltre 1.200 miliardi di €.
http://www.dt.tesoro.it/Aree-Docum/Debito-Pub/Dati-Stati/Composizio/2005/Composizione-dei-Titoli-di-Stato-in-11.pdf
Quindi apparentemente lo Stato è indebitato con i Cittadini possessori di tutti questi titoli di debito pubblico. È questa solo una parte della verità. La verità completa è scritta fra le righe degli atti ufficiali.
Dalla sentenza con la quale il tribunale di Roma ha condannato il Prof. Giacinto Auriti per temerarietà, il 20 settembre 1994, apprendiamo: " .... la Banca d'Italia cede la proprietà dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture contabili dell'Istituto di emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli, valute, ecc.) che vengono, invece, appostati nell'attivo. "
Della seduta della Camera dei Deputati tenutasi il 17/03/1995, il deputato Pasetto rivolse una interrogazione al Ministro del Tesoro per sapere se non intendesse promuovere una riforma legislativa diretta a definire la moneta un bene reale conferito, all'atto dell'emissione, a titolo originario di proprietà di tutti i cittadini appartenenti alla collettività nazionale italiana, con conseguente riforma dell'attuale sistema dell'emissione monetaria, che trasforma la banca centrale da semplice ente gestore ad ente proprietario dei valori monetari. Nel rispondere a tale interrogazione, il Sottosegretario di Stato per il Tesoro, Carlo Pace, ha affermato: è inesatto sostenere che la banca centrale è proprietaria dei valori monetari, avendo per legge il compito istituzionale di emettere moneta e quindi crearla e di immetterla in circolazione "mediante il trasferimento ad altri soggetti, normalmente verso il corrispettivo di titoli o valute estere, attraverso le operazioni a tal fine legislativamente previste (quali, ad esempio, quelle di risconto o di anticipazioni, disciplinate dagli articoli 27 - 30 del Regio Decreto 28 Aprile 1910, n. 204, e successive modificazioni)"; ciò premesso, "in sostanza, per tutta la durata della circolazione, la moneta rappresenta un debito una passività dell'Istituto di Emissione; e come tale è iscritta, nel suo Bilancio, fra le poste passive".
Proviamo a seguire la procedura vigente passo dopo passo. La collettività ha prodotto nuovi beni e servizi che non può immettere con successo sul mercato perchè manca la necessaria monetizzazione pari ad esempio a 5 miliardi di €. Lo Stato emette titoli di debito pubblico pari a 5 mld di € per il quale l’autorità monetaria emette nuova moneta.
Prima di questo istante ci trovavamo in questa configurazione:
- debito dello Stato: 1.500 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 100 mld di euro.
Dopo l’effettuazione dell’operazione ci troveremo in questa configurazione:
- debito dello Stato: 1.505 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 105 mld di euro;
- nuovi 5 mld di € di titoli di debito pubblico all’attivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia;
- nuovi 5 mld € virtuali monetizzano la società.
Qualora la Banca d'Italia decidesse o avesse la possibilità di trasferire ai risparmiatori quei nuovi titoli di debito pubblico in cambio di 5 mld di €, cosa succederebbe nella sua Contabilità in termini di situazione patrimoniale, conto economico e trattamento fiscale?
Succederebbe che la banca d'Italia incasserebbe 5 mld di € che stornerebbe dalle banconote in circolazione, così come pure stornerebbe dall'attivo i titoli di Stato.
Ma i 5 miliardi di € ricevuti dai risparmiatori che fine fanno? Essi sono annullati contabilmente dalla messa al passivo delle monete emesse a costi pressoché nulli nel passaggio precedente. La parola “Cayman” in questi casi risulta particolarmente sinistra per la collettività ed interessante per chi smaneggia quelle somme. Otterremmo quindi la seguente configurazione:
- debito dello Stato: 1.505 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 100 mld di euro;
- ritorno alla configurazione di partenza dei titoli di debito pubblico all’attivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia;
- 5 mld di € in nero da sistemare da qualche parte.
Il mondo accademico giura che quei 5 mld vengono distrutti, ma qualche dubbio appare lecito. Ipotizziamo che gli si creda e si creda anche alle tiepide ed incerte dimostrazioni presentate da bankitalia nei suoi bilanci. Otterremmo la seguente configurazione:
- debito dello Stato: 1.505 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 100 mld di euro.
Ma questo non è ciò che serve alla collettività; ad essa serve una monetizzazione di 5 mld di euro SENZA contrarre nessun indebitamento, perché è essa che ha prodotto quei nuovi beni e quindi quei 5 mld di € sono dello Stato che la rappresenta.
La procedura è identica anche nei paesi “comunisti”. Non è difficile ora comprendere la genesi del pressoché generalizzato indebitamento pubblico di tutti gli Stati.
Se invece lo Stato emettesse per proprio conto le monete oppure la banca centrale gli cedesse le monete emesse a costi tipografici e questi ne postasse l’importo all’attivo del proprio bilancio, la configurazione che si otterrebbe sarebbe la seguente:
- lo Stato non si indebiterebbe;
- il corpo sociale beneficerebbe dei 5 mld di € per effettuare le transazioni necessarie alla messa sul mercato dei nuovi beni prodotti da esso stesso.
È proprio questo ciò che serve alla collettività.
2 – Perché lo Stato ha delegato ad un organismo privato sovranazionale la gestione della moneta?
Il motivo “ufficiale” è che storicamente spesso è successo che il potere politico non ha operato ragionevolmente con le proprie monete, provocando fenomeni negativi quali gli aumenti dei prezzi determinati dalla produzione di troppa moneta.
In risposta a due interrogazioni del 3 novembre e 1° dicembre 1994, rispettivamente dei senatori Natali e Orlando (appartenenti il primo al gruppo di Alleanza Nazionale, ed il secondo al gruppo di Rifondazione Comunista), il Sottosegretario di Stato per il Tesoro, Vegas, ha ripetuto quale fosse il compito istituzionale dell'Istituto di Emissione ed ha ribadito che questo non fosse proprietario dei valori monetari e che per tutta la durata della circolazione la moneta rappresentasse un debito, come tale iscritto nel bilancio dell'istituto fra le poste passive.
Come ulteriore argomentazione il Sottosegretario Vegas ricordò come nella attuale dottrina economica e nelle opinioni pubbliche degli Stati europei fosse avvertita e radicata l'esigenza "di non concentrare nelle mani di uno stesso soggetto politico, quale potrebbe essere l'autorità di governo, il potere di creare moneta e quello di spenderla, onde impedire che la moneta diventi strumento di lotta politica"; e ricordò che tale esigenza aveva trovato esplicito riconoscimento giuridico nel Trattato di Maastricht, che "sancisce il principio cardine dell'autonomia delle banche centrali dalle autorità governative statali, affidando in via esclusiva alle prime le funzioni monetarie e lasciando invece alle seconde la cura della politica fiscale e di bilancio".
Infatti un sistema economico si ha:
P.I.L.
=
V
*
M
=
P
*
B
Dove: P.I.L. è il prodotto interno lordo, espresso in €/anno;
V è la velocità della circolazione monetaria, espressa in utilizzi/anno;
M è la massa monetaria presente sul mercato, compresi i risparmi correttamente impiegati negli investimenti ad esempio dal sistema bancario, espressa in €;
P sono i prezzi dei beni e servizi prodotti e commercializzati in un anno, espressi in €;
B sono i beni ed i servizi prodotti in un anno;
nel momento in cui uno Stato mette in circolazione troppa moneta, cedendo alle richieste sindacali e/o corporative e/o lobbistiche, “gonfiando” M, a parità di beni e servizi prodotti, succede automaticamente che i prezzi aumentano.
Ma è anche vero che se una collettività produce nuovi beni e servizi, deve disporre di una adeguata monetizzazione senza indebitamento, perché altrimenti l’equilibrio non verrà mai raggiunto (esattamente ciò che accade a noi).
Si aprono ora due scenari, quello attuale e quello che dovrebbe essere se si rispettasse la Costituzione ed il Diritto Naturale.
COME FUNZIONA OGGI
Lo Stato monetizza il sistema economico indebitandosi della necessaria nuova moneta, introducendo un grave elemento di instabilità progressiva: la MONETA DEBITO. La banca centrale di emissione in cambio di titoli di debito pubblico crea le banconote dal nulla a costi tipografici, posta al passivo il valore nominale delle suddette banconote ed aggrava perennemente e progressivamente la situazione finanziaria dello Stato. Non è dato conoscere la destinazione delle banconote ottenute dalla vendita dei titoli di debito pubblico ai risparmiatori, azzerate contabilmente dalla suddetta fittizia messa al passivo del loro valore facciale.
COME DOVREBBE FUNZIONARE
Lo Stato monetizza il sistema economico stampando la necessaria nuova moneta e ponendo il valore nominale delle stesse all’attivo della Sua contabilità: MONETA CREDITO.
ULTERIORI OSSERVAZIONI
Ipotizzando che sia corretto definire l’inflazione come l’aumento dei prezzi P, perché l’autorità monetaria agisce su di essa sempre restringendo l’accesso al credito, ovvero contenendo M, quando non è l’eccesso di M a cagionare l’inflazione stessa?
Quando i prezzi P aumentano a causa del rincaro di alcune materie prime importanti come ad esempio il petrolio, il rame, ecc. non abbiamo certamente la circolazione monetaria in eccesso; anzi, per avere l’equilibrio bisognerebbe aumentarla proporzionalmente senza indebitare nessuno. Gli attuali aumenti del TUS sono del tutto ingiustificati; determineranno un peggioramento del debito pubblico, con tutte le ricadute che conosciamo. L’emissione di “moneta credito” risolve agevolmente il problema ristabilendo il necessario equilibrio senza alcuna sorta di problema sociale.
Quando i prezzi P aumentano a causa di carenze strutturali come ad esempio la mancanza di un adeguato numero di punti vendita rispetto al fabbisogno (come in Italia negli anni ’70 ed ‘80), non abbiamo certamente la circolazione monetaria in eccesso; anzi, per avere l’equilibrio bisognerebbe aumentarla proporzionalmente senza indebitare nessuno. Gli aumenti di quegli anni del TUS erano del tutto ingiustificati; hanno drasticamente contribuito al peggioramento del debito pubblico. L’emissione di “moneta credito” risolve agevolmente il problema ristabilendo il necessario equilibrio senza alcuna sorta di problema sociale.
Quando i prezzi P aumentano a causa dell’aumento del debito pubblico, alimentato dalla spirale perversa della “moneta debito” (come in Italia negli anni ’70 ed ’80, ma soprattutto in America Latina ed in alcuni Paesi in via di sviluppo), non abbiamo certamente la circolazione monetaria in eccesso; anzi, per avere l’equilibrio bisognerebbe aumentarla proporzionalmente senza indebitare nessuno. Gli aumenti del TUS sono del tutto ingiustificati; contribuiscono tragicamente al peggioramento del debito pubblico ed al collasso sociale. L’emissione di “moneta credito” risolve agevolmente il problema ristabilendo il necessario equilibrio senza alcuna sorta di problema sociale.
Prima domanda per i negazionisti:
come si può monetizzare un sistema economico in stato di carenza monetaria, senza indebitarlo?

Per chi non è negazionista la risposta è immediata: lo Stato stampa la moneta necessaria al raggiungimento dell’equilibrio, postandone il valore facciale all’attivo.
La risposta dei negazionisti non è nota.
Seconda domanda per i negazionisti:
vista l'autonomia delle banche centrali dalle autorità governative statali, qual è l’autorità che valuta il comportamento delle banche centrali stesse? A chi rispondono del loro operato? Che senso ha parlare di democrazia se lo strumento fondamentale di gestione della cosa pubblica non è nelle mani dei rappresentanti del popolo?
Va sicuramente sottratta al potere politico la facoltà di violare il Diritto Naturale, ma non si ravvisano certamente nelle questioni monetarie gli estremi per effettuare questa sottrazione. La questione monetaria è un tutt’uno con la “res publica”.
Ing. Lino Rossi
P.S.:
Numerosi lettori mi hanno invitato a trarre le conclusioni della prima parte, peraltro “ovvia” ed a portata di chiunque abbia avuto la pazienza di seguire tutti i passaggi; infatti Loro stessi Vi sono pervenuti. Esse si possono sintetizzare in questa maniera:

- il danno che ha subito lo Stato da questa procedura illegale è pari all’ammontare dei titoli del debito pubblico in essere, ovvero oltre 1200 miliardi di euro, dei quali 1100 già fatti sparire in nero e 100 sotto forma di banconote in circolazione; non ci sono elementi per determinare la genesi e la sorte dei 300 miliardi di euro rimanenti di debito, diversi dai titoli di debito pubblico;
- la convinzione che lo Stato è debitore nei confronti dei risparmiatori possessori dei titoli del debito pubblico è assolutamente incompleta e quindi errata e fuorviante. La realtà è ben espressa dalla presente affermazione, dedotta dai documenti ufficiali con il metodo matematico-deduttivo posto a fondamento della nostra civiltà:
lo Stato è debitore dei confronti dei risparmiatori possessori dei titoli del debito pubblico dell’importo dei titoli stessi ma è pure creditore per lo stesso importo nei confronti della propria banca centrale di emissione, perché la stessa gli ha sottratto negli anni quelle risorse in base ad una procedura ingannevole e contraria alla Costituzione, al buon senso ed al Diritto Naturale.

NOTE
1) A pagina 441 del bilancio bankitalia 2005 infatti troviamo:
BANCONOTE IN CIRCOLAZIONE
La BCE e le dodici BCN dell’area dell’euro, che insieme compongono l’Eurosistema, emettono le banconote in euro dal 1° gennaio 2002 (Decisione BCE 6 dicembre 2001, n. 15 sulla emissione delle banconote in euro, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 337 del 20.12.2001, pp.52-54, e successive modifiche). Con riferimento all’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese l’ammontare complessivo delle banconote in euro in circolazione viene redistribuito sulla base dei criteri di seguito indicati.
Dal 2002 alla BCE viene attribuita una quota pari all’8 per cento dell’ammontare totale delle banconote in circolazione, mentre il restante 92 per cento viene attribuito a ciascuna BCN in misura proporzionale alla rispettiva quota di partecipazione al capitale della BCE (quota capitale). La quota di banconote attribuita a ciascuna BCN è rappresentata nella voce di stato patrimoniale Banconote in circolazione. La differenza tra l’ammontare delle banconote attribuito a ciascuna BCN, sulla base della quota di allocazione, e quello delle banconote effettivamente messe in circolazione dalla BCN considerata, dà origine a saldi intra Eurosistema remunerati. Dal 2002 e sino al 2007 i saldi intra Eurosistema derivanti dalla allocazione delle banconote sono rettificati al fine di evitare un impatto eccessivo sulle situazioni reddituali delle BCN rispetto agli anni precedenti. Le correzioni sono apportate sulla base della differenza tra l’ammontare medio della circolazione di ciascuna BCN nel periodo compreso tra luglio 1999 e giugno 2001 e l’ammontare medio della circolazione che sarebbe risultato nello stesso periodo applicando il meccanismo di allocazione basato sulle quote capitale. Gli aggiustamenti verranno ridotti anno per anno fino alla fine del 2007, dopodiché il reddito relativo alle banconote verrà integralmente redistribuito in proporzione alle quote, versate, di partecipazione delle BCN al capitale della BCE (Decisione BCE 6 dicembre 2001, n. 16, sulla distribuzione del reddito monetario delle BCN degli Stati membri partecipanti a partire dall’esercizio 2002, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 337 del 20.12.2001, pp.55-61, e successive modifiche).
Gli interessi attivi e passivi maturati su questi saldi sono regolati attraverso i conti con la BCE e inclusi nella voce di conto economico interessi attivi netti.
Il Consiglio direttivo della BCE ha stabilito che il reddito da signoraggio della BCE, derivante dalla quota dell’8 per cento delle banconote a essa attribuite, venga riconosciuto separatamente alle BCN il secondo giorno lavorativo dell’anno successivo a quello di riferimento sotto forma di distribuzione provvisoria di utili (Decisione BCE 17 novembre 2005, n. 11, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 311 del 26.11.2005, pp.41-42). Tale distribuzione avverrà per l’intero ammontare del reddito da signoraggio, a meno che quest’ultimo non risulti superiore al profitto netto della BCE relativo all’anno considerato o che il Consiglio direttivo della BCE decida di ridurre il reddito da signoraggio a fronte di costi sostenuti per l’emissione e la detenzione di banconote. Il Consiglio direttivo della BCE può altresì decidere di accantonare l’intero reddito in discorso o parte di esso a un fondo destinato a fronteggiare i rischi di cambio, di tasso di interesse e di prezzo dell’oro. La distribuzione dell’acconto sugli utili da parte della BCE, corrispondente alla quota di reddito da signoraggio della BCE stessa riconosciuta all’Istituto, è registrata per competenza nell’esercizio cui tale reddito si riferisce, in deroga al criterio di cassa previsto in generale per i dividendi e gli utili da partecipazione.
Per l’esercizio 2005 il Consiglio direttivo della BCE ha deciso che l’intero ammontare del reddito da signoraggio resti attribuito alla BCE stessa.
 
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tradotto:se tal vo' capir,tal capess'altrimeinti ,min freiga gninto.e stasera a gnocca, nel nome del dio priapo ,sempre sia lodato,ste bein
 
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Zapatero shock: ecco la verità su Berlusconi che nessun media ha raccontato

di Daniele Di Luciano

Vorremmo dire «clamoroso», ma non è così perché sapevamo da tempo, e lo abbiamo più volte scritto, che non solo in Italia ma anche dall’estero arrivavano pesanti pressioni per far fuori Silvio Berlusconi. L’ultima prova, che conferma la volontà di rovesciare un governo democraticamente eletto, la rivela l’ex premier spagnolo Luis Zapatero, che nel libro El dilema (Il dilemma), presentato martedì a Madrid, porta alla luce inediti retroscena sulla crisi che minacciò di spaccare l’Eurozona.
Il 3 e 4 novembre 2011 sono i giorni ad altissima tensione del vertice del G-20 a Cannes, sulla Costa Azzurra. Tutti gli occhi sono puntati su Italia e Spagna che, dopo la Grecia, sono diventate l’anello debole per la tenuta dell’euro. Il presidente americano Barack Obama e la cancelliera tedesca Angela Merkel mettono alle corde Berlusconi e Zapatero, cercando di imporre all’Italia e alla Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale. I due premier resistono, consapevoli che il salvataggio da parte del Fmi avrebbe significato accettare condizioni capestro e cedere di fatto la sovranità a Bruxelles, com’era già accaduto con Grecia, Portogallo e Cipro. Ma la Germania con gli altri Paesi nordici, impauriti dagli attacchi speculativi dei mercati, considerano il vertice di Cannes decisivo e vogliono risultati a qualsiasi costo. Le pressioni sono altissime.

Zapatero descrive la cena del 3 novembre, con il tavolo «piccolo e rettangolare per favorire la vicinanza e un clima di fiducia». Ma l’atmosfera è esplosiva. «Nei corridoi si parlava di Mario Monti», rivela il premier spagnolo. Già, Monti. Che solo una settimana dopo sarà nominato senatore a vita da Napolitano e che il 12 novembre diventerà premier al posto di Berlusconi. Il piano era già congegnato, con il Quirinale pronto a soggiacere ai desiderata dei mercati e di Berlino.
La Merkel domanda a Zapatero se sia disponibile «a chiedere una linea di credito preventiva di 50 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale, mentre altri 85 sarebbero andati all’Italia. La mia risposta fu diretta e chiara: “no”», scrive l’ex premier spagnolo. Allora i leader presenti concentrano le pressioni sul governo italiano perché chieda il salvataggio, sperando di arginare così la crisi dell’euro.
«C’era un ambiente estremamente critico verso il governo italiano», ricorda Zapatero, descrivendo la folle corsa dello spread e l’impossibilità da parte del nostro Paese di finanziare il debito con tassi che sfiorano il 6,5 per cento. Insomma, i leader del G-20 sono terrorizzati dai mercati e temono che il contagio possa estendersi a Paesi europei come la Francia se non prendono il toro per le corna. Il toro in questo caso è l’Italia.
«Momenti di tensione, seri rimproveri, invocazioni storiche, perfino invettive sul ruolo degli alleati dopo la seconda guerra mondiale…»,caratterizzano il vertice. «Davanti a questo attacco – racconta l’ex leader socialista spagnolo – ricordo la strenua difesa, un catenaccio in piena regola» di Berlusconi e del ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
«Entrambi allontanano il pallone dall’area, con gli argomenti più tecnici Tremonti o con le invocazioni più domestiche di Berlusconi», che sottolinea la capacità di risparmio degli italiani. «Mi è rimasta impressa una frase che Tremonti ripeteva: conosco modi migliori di suicidio». Alla fine si raggiunge un compromesso, con Berlusconi che accetta la supervisione del Fmi ma non il salvataggio. Ma tutto ciò costerà caro al Cavaliere. «È un fatto – sostiene Zapatero – che da lì a poco ebbe effetti importantissimi sull’esecutivo italiano, con le dimissioni di Berlusconi, dopo l’approvazione della Finanziaria con le misure di austerità richieste dall’Unione europea, e il successivo incarico al nuovo governo tecnico guidato da Mario Monti». Un governo, ora sappiamo con certezza, eletto da leader stranieri nei corridoi di Cannes e non dalla volontà popolare degli italiani.
(il giornale)
Tratto da: Imola
 

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