"Il compromesso" di Robert Musil in Soldaten-Zeitung n. 29 (Natale 1916)
Uno dei principali concetti della politica è il compromesso. La parola suona sospetta e suscita facilmente immagini di debolezza o quanto meno di opportunità. Che i compromessi possano essere soltanto brutti è una frase fatta che forse predomina nella maggior parte della società. Ma questa opinione, così generalizzata, è certamente ingiusta. Vale perciò la pena di analizzare una volta tanto un tema così interessante.
Non ci soffermiamo sul termine in sé; in origine, aveva un significato diverso da quello che gli si attribuisce oggi. Secondo l'uso linguistico odierno, “compromesso” è il tentativo di conciliare forze contrapposte tra loro, di mettere d'accordo volontà diverse, e per raggiungere tale scopo si debbono fare concessioni reciproche. Il compromesso cerca di trovare una comunanza di interessi che abbia per tutte le parti un valore così alto da indurle, pur di assicurarne il conseguimento, a sacrificare il resto. L'opposto sarebbe il tentativo di imporre totalmente la volontà di una parte sull'altra. Per giungere a questo occorrerebbe però un potere grandissimo il quale, volendo creare qualcosa di duraturo, dovrebbe operare altrettanto durevolmente. Ma un potere del genere non è mai esistito. Persino ciò che ha creato un personaggio straordinario come Napoleone e un'infinità di altre creazioni di cui parla la storia, basate soltanto sul potere, sono crollate poco dopo la caduta dei loro artefici. Si può dunque lasciare da parte la considerazione che il sentimento umano, in fondo, semplicemente si rifiuta di fare violenza su altri uomini, e basta solo constatare come tutte le cose durevoli, feconde, risolutive, non siano mai state effetto di un potere unilaterale, ma quasi sempre risultato di un'assennata politica di compromesso.
La questione non è quindi se ai compromessi si debba ricorrere oppure no; ciascuno dovrebbe piuttosto tentare di chiarire a se stesso cosa sia un compromesso buono e cosa un compromesso cattivo. Fare tante concessioni, in modo che nessuno ottenga niente […]: ecco suppergiù il concetto usuale di compromesso, che può essere confermato da molti esempi. In effetti, un compromesso imbastito a quel modo – a meno che non si tratti di concessioni assolutamente insignificanti – cova sempre dentro di sé, inevitabilmente, il germe della morte. Sul momento può significare la via d'uscita da uno stato di imbarazzo che non si riesce a risolvere altrimenti, ma sotto sotto continuano ad agire quasi con la stessa intensità le vecchie forze divergenti. Ciascuno sente di aver sacrificato qualche cosa, e che cosa ha ottenuto in cambio? Briciole di quanto voleva. Questo è il compromesso della via intermedia. Cerca la comunanza nella diversità. La compensazione naturale dei contrari. Il cane che non sia né bianco né nero né bruno, né grande né piccolo, né da caccia né da cortile né da tiro né di lusso. È il ferro del mestiere preferito della piccola, della minima e della grande politica. Ciascuno sa come col suo aiuto si redigano regolamenti elettorali e proposte per mettere fine ai dissidi nazionali che ci affliggono. Questo è il compromesso cattivo.
All'opposto c'è il genere di compromesso buono e valido. Non deve trarre i propri elementi dai contrasti che trova sul suo cammino, ma per quanto possibile dev'essere creato indipendentemente da essi. Deve rappresentare qualcosa di nuovo, non solo qualcosa che rimane quando le forbici dell'idea di compromesso hanno tagliato via tutto ciò che non è conciliabile. Non deve mirare a ottenere una forza intermedia dalle forze contrarie, ma essere una forza nuova, originale, che pieghi tutte le altre nel proprio senso. Ogni compromesso buono deve recare in sé un carattere creativo, e ciò richiede per lo più tempo e lungimiranza. E – ex ungue leonem – dalla zampata si riconosce il leone. Esempi di questo tipo di compromesso sono la creazione del Reich tedesco, la costituzione inglese, la storia coloniale dell'Inghilterra, la moderna legislazione sociale. Al loro fondo si trovano ancora oggi le vecchie contrapposizioni esistenti all'origine, e se si fosse dato peso soltanto ad esse, quelle realizzazioni oggi non esisterebbero ancora. Ma il nuovo è germogliato sulle contrapposizioni con forza e vantaggi tali, che queste non si prendono più sul serio. In fondo, anche ogni sindacato di imprenditori ci offre un'identica lezione; le imprese di cartello non livellano i profitti che già possiedono, perché facendolo ciascuna si sentirebbe svantaggiata, ma si ripartiscono in un futuro profitto maggiorato, che otterranno grazie alla loro unione. [...]