Conto alla rovescia terminato: per oltre due miliardi di utenti in tutto il mondo
scatta oggi l’entrata in vigore dei nuovi (e controversi) termini di utilizzo di WhatsApp,
annunciati per la prima volta a gennaio.
Inizialmente l’aggiornamento era stato programmato per l’8 febbraio, ma le proteste degli iscritti,
di cui hanno giovato le rivali
Telegram e
Signal, e le reazioni di diverse autorità nazionali e sovranazionali
–
tra cui il Garante italiano per la privacy – hanno spinto Menlo Park a rinviare la scadenza di oltre tre mesi
per illustrare con maggiore chiarezza le novità in arrivo.
Ebbene: a fronte del diffuso timore che l’update conduca a trattamenti di dati non autorizzati da parte di Facebook,
l’azienda ha fin da subito sostenuto che
«non ci sono modifiche alle modalità di condivisione dei dati di WhatsApp nella Regione europea (incluso il Regno Unito)
derivanti dall’aggiornamento dei Termini di servizio e dall’Informativa sulla privacy»
e che
«WhatsApp non condivide i dati degli utenti WhatsApp dell’area europea con Facebook
allo scopo di consentire a Facebook di utilizzare tali dati per migliorare i propri prodotti o le proprie pubblicità».
Negli Stati Uniti diventa obbligatorio accettare che dati come il numero di cellulare o la rubrica di WhatsApp
possano essere impiegati da Facebook per mostrare pubblicità personalizzate.
Poteva già succedere, ma dal 2016 era opzionale.
Secondo Menlo Park, dunque, l’unica novità di rilievo alle nostre latitudini consisterà nella possibilità,
per le aziende che utilizzano WhatsApp Business e si avvalgono dei servizi di hosting di Facebook,
di utilizzare i dati contenuti nelle conversazioni con i propri clienti con finalità di marketing eventualmente anche sul popolare social network.
L’avviso comparso a gennaio scorso che tanto ha fatto discutere
Tutto chiaro?
Niente affatto secondo Johannes Caspar, commissario di Amburgo per la protezione dei dati e la libertà di informazione,
che giusto martedì ha intentato un procedimento contro la divisione europea di Facebook
chiedendole di non raccogliere né elaborare alcun dato dagli utenti tedeschi di WhatsApp.
In più ha invocato l’intervento dell’European Data Protection Board (Edpb)
affinché approfondisca la questione e prenda una decisione vincolante in tutta Europa (
qui il comunicato).
Tra i problemi riscontrati, informazioni «non chiare», dal «contenuto fuorviante» e «notevoli contraddizioni».
Si legge ancora:
«Anche dopo un’analisi approfondita non si comprende quali conseguenze possa avere il consenso per gli utenti».
Di fatto, nulla di diverso rispetto a quanto osservato tre mesi fa dal già citato Garante italiano,
che aveva definito impossibile per gli utenti sia «evincere quali siano le modifiche introdotte» c
he «comprendere chiaramente quali trattamenti di dati saranno in concreto effettuati dal servizio di messaggistica».
WhatsApp però tira dritto e va al muro contro muro:
un portavoce della piattaforma ha fatto sapere agli organi di stampa che,
«poiché le affermazioni del commissario di Amburgo sono errate,
il suo ordine non avrà alcun impatto sul lancio dell’aggiornamento».
Né in Germania né tanto meno negli altri Paesi.