È POSSIBILE RUBARE LE ELEZIONI?

astro blu

Forumer attivo
Finalmente arriva anche in Italia la vera Democrazia.......

....... naturalmente quella made in U.S.A. :sad:


Grazie al voto elettronico (introdotto in queste elezioni 2500 sezioni) ogni tentativo di broglio sarà stroncato nel nascere, non solo ma sarà anche possibile votare stando in vacanza ai caraibi o da qualsiasi parte, tanto faranno tutto LORO.

Grazie all'esempio americano di democrazia applicata al voto, la maggioranza sarà decisa da chi detiene il controllo dello scrutinio elettronico, vera garanzia di imparzialità.

Ecco un video che eprime come si crea la democrazia grazie al voto elettronico, al confronto con la polemica montata da Berlusconi sembra una barzelletta.
Chi tiene veramente alla democrazia legga pazientemente gli articoli ed esprima un suo giudizio.

http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=BigDownload&id=3337

Articolo tratto da http://www.arcoiris.tv/modules.php?...ownload&cid=554&min=10&orderby=titleD&show=10


È POSSIBILE RUBARE LE ELEZIONI?


8 Anni Rubati
Nel 2000 Bush vinse le elezioni grazie alla Florida, lo stato che era rimasto in bilico fino all'ultimo, e che valeva appunto un numero sufficiente di delegati per assicurarsi la Casa Bianca. Una cosa simile si è ripetuta nel 2004, con l'Ohio a fare da ago della bilancia, finendo anch'esso per una manciata di voti - 51% a 49% - nelle tasche dei repubblicani. In ambedue i casi si è vociferato, nemmeno tanto sommessamente, di frodi elettorali.

Nella Florida soprattutto, sono ancora in corso decine di cause intentate da interi quartieri di neri che, vuoi perchè la scheda non gli è mai arrivata, vuoi perchè i loro seggi obbligavano a disagi di ogni tipo, non sono riusciti a votare (contro Bush, ovviamente). In Ohio invece la vox-populi ha parlato di macchinette truccate, visto che si era passati al sistema computerizzato, ed in effetti il distacco negli exit-poll, che davano Kerry ormai sicuro vincitore, con quel miracoloso sorpasso all'ultimo minuto, non è mai stato spiegato da nessuno. Almeno non fino ad oggi.

Massimo Mazzucco


Ed ecco la vicenda italiana, tratto da:http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1966


BROGLI ELETTORALI, DUE INCHIESTE CONGIUNTE (PARTE PRIMA)
Postato il Lunedì, 27 marzo @ 03:25:00 EST di davide

Internet e controllo DI GIULIETTO CHIESA E FRANCESCO DE CARLO

Violazione della privacy, intercettazioni illegali, rivelazione di segreto d’ufficio. Tra servizi deviati e polizie parallele, come emergono dal "caso Storace", Telecom Italia si trova coinvolta in un’oscura vicenda di spionaggio politico. Proprio ora che si appresta a mettere le mani su un piatto molto succulento: la gestione elettronica delle elezioni.
Il 9-10 aprile infatti i voti di 10 milioni di italiani verranno scrutinati da operatori presenti nei seggi, inseriti in un pc e trasmessi via modem a un centro nazionale operativo. La nuova metodologia, chiamata appunto "scrutinio elettronico", è stata introdotta a gennaio dalla legge 22/2006 e interesserà il 20 per cento dell’elettorato nazionale. Prima domanda: si tratta di un sistema sicuro? Sì. Anche se esistono ancora importanti zone d’ombra (riassunte nell’interrogazione parlamentare presentata da Fiorello Cortiana dei Verdi e Beatrice Magnolfi dei Ds), il mantenimento delle tradizionali operazioni di spoglio e la presenza di registri cartacei (decisivi su quelli informatici in caso di discrepanza) garantiscono la possibilità di verificare la validità del voto comunicato per via telematica.

Tutto qui? No, perché aprile è solo una tappa verso l’importazione del "voto elettronico". E qui, alla luce delle esperienze americane del 2000 e del 2004, c’è di che essere davvero inquieti. Anche perché questa tappa sta avvenendo in Italia in un contesto di "privatizzazione della democrazia". La gestione elettronica delle elezioni verrà infatti affidata dallo Stato ad aziende private, prima fra tutte Telecom Italia, e già spuntano evidenti conflitti di interessi che ruotano intorno ai ministri Stanca e Pisanu.

Una sperimentazione di questo tipo può essere molto utile al potere politico per introdurre sistemi di gestione elettorale capaci di aggirare o distorcere la volontà popolare al di fuori dei controlli democratici tradizionali. Dunque non è ozioso chiedersi fin da ora come, a chi, perché, con quali costi e con quali rischi lo Stato abbia deciso di vendere il processo elettorale ai privati.

Quali sono e come sono state scelte le società che gestiranno lo scrutinio elettronico? Nel febbraio 2004 il Consiglio dei ministri approva la sperimentazione dello scrutinio elettronico, stanziando 12 milioni di euro, e conferisce a Innovazione Italia SpA (società di scopo posseduta da Sviluppo Italia SpA, di cui l’intero capitale sociale è detenuto dal ministero delle Finanze) l’incarico di realizzare il progetto in 2500 seggi per le europee del 12-13 giugno 2004. A marzo viene bandita una gara d’appalto pubblica da Innovazione Italia e risultano aggiudicatari due raggruppamenti temporanei d’imprese (rti): il primo con Ibm Italia SpA (capogruppo) e T-Systems Italia SpA, e il secondo con Telecom Italia SpA (capogruppo), Electronic Data Systems Italia SpA (Eds Italia) e Accenture SpA.

Tratte le somme, il Consiglio dei ministri autorizza la prosecuzione della sperimentazione, erogando altri 10 milioni per lo scrutinio elettronico in tutti i seggi della Liguria nelle regionali del 3-4 aprile 2005. Ma qui sorgono altre domande. Invece della massima trasparenza, lo Stato decide di procedere attraverso trattative private: nel gennaio 2005 viene rinnovato il contratto al solo rti guidato da Telecom. Perché non si è scelta una nuova gara pubblica? La legge consente di agire in deroga alle norme della contabilità generale dello Stato solo in circostanze eccezionali. È stata la fretta cattiva consigliera? Forse nel caso del 2005, certamente non nel caso del 2006, quando la situazione di urgenza è stata creata artificiosamente dilazionando l’approvazione della legge.

A meno di un mese dalle prossime elezioni non è ancora chiaro chi sia stato scelto per svolgere questo delicato compito, né con quale criterio sia stato selezionato. Tutto fa pensare che saranno coinvolte le stesse imprese che hanno gestito finora la sperimentazione dello scrutinio elettronico: Telecom Italia, Eds Italia e Accenture. Il solo fatto di assegnare un ruolo così centrale per le sorti del paese a una grande multinazionale aggiunge altre domande curiose. È normale delegare la salute della democrazia a una società che con il governo ha avuto, avrà e ha tuttora numerose intersezioni nel campo dei servizi, della telefonia, della televisione? Esistono garanzie sufficienti per evitare che le votazioni diventino una merce di uno scambio più ampio tra Telecom e settore pubblico? Telecom Italia gestirà le nostre elezioni. Ne è stato dato conto ai cittadini? Possiamo fidarci di una società il cui ex responsabile della sicurezza, Giuliano Tavaroli, è al centro di un’inchiesta della procura di Milano, sotto accusa di aver guidato un gruppo clandestino di 007 privati, capace di violare perfino i segreti delle procure? Sia chiaro che Tavaroli, collocato ancora oggi come top manager negli elenchi interni all’azienda di Tronchetti Provera (forse si sono dimenticati di cancellarlo?) è coinvolto nella vicenda di Super Amanda, una rete di contatti che, secondo l’Espresso, comprende "ufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, poliziotti, ex agenti Cia e giornalisti, ingaggiati con consulenze pagate a peso d’oro". Una centrale d’intelligence cui farebbero capo tutte le intercettazioni telefoniche e via web effettuate in Italia, monitorate dal Centro nazionale autorità giudiziaria. Tavaroli c’entra anche con questo?

In ogni caso Telecom Italia è in buona compagnia: Eds e Accenture sono società molto attive nella privatizzazione dei servizi e sono specializzate nella gestione elettronica dei sistemi di voto, principalmente negli Stati Uniti. Sono proprio loro, guarda caso, parte di una task force di grosse società informatiche americane (tra cui la Sequoia e la Diebold) che è riuscita a far votare dal Congresso l’Help America Voting Act (Hava), un’importante riforma del sistema elettorale che ha introdotto il voto elettronico. L’ha firmata il presidente Bush nell’ottobre 2002. Alcune di queste multinazionali conservano un rapporto privilegiato con il Partito repubblicano e con l’industria militare, e spesso si sono presentati casi di conflitto di interessi tra i soggetti appaltanti e imprese appaltatrici dell’e-voting. Casi come quello di Bill Jones, che ha iniziato a lavorare per Sequoia, dopo aver approvato, in qualità di funzionario elettorale, la fornitura di apparecchiature di voto alla stessa società; oppure come quello di Walden O’Dell, costretto a lasciare l’incarico di amministratore delegato della Diebold, dopo la scoperta di una sua lettera indirizzata ai finanziatori del partito di Bush, in cui si impegnava ad aiutare la vittoria del presidente con i voti dell’Ohio; o infine come quello della stessa Accenture, che ha elargito ai partiti donazioni indirette per decine di migliaia di dollari, con chiara predileziome per la fazione repubblicana, e che si prepara a giocare un ruolo da protagonista anche nelle operazioni di spoglio delle elezioni italiane.


Dunque all’affidabilità e alla trasparenza, entrambe dubbie, di Telecom si aggiungono Accenture (sorta dalle ceneri della Arthur Anderson Consulting, condannata per la distruzione di prove nello scandalo Enron), registrata nel territorio esentasse delle Bermuda e in società con la Halliburton, precedentemente gestita da Dick Cheney; e la Eds, che in Italia è già stata citata in giudizio con l’accusa di violazione di diritto d’autore, violazione di impegni contrattuali e concorrenza sleale per aver copiato e rivenduto allo Stato il software open source per lo scrutinio elettronico sviluppato dalla Ales Srl, una piccola società di Cagliari (che lo ha ideato e utilizzato per la prima volta in Italia, a proprie spese, in occasione delle politiche 2001, con l’autorizzazione del ministero dell’Interno).

Lo scrutinio elettronico è il primo passo verso il voto elettronico? Intanto sono due cose diverse. Nel primo caso al termine delle elezioni un operatore informatico inserisce manualmente i dati delle schede cartacee in un pc e poi le trasmette per via telematica a un centro nazionale; nel caso del voto elettronico, invece, gli elettori votano tramite touch screen o lettore a scansione ottica: un sistema già introdotto in India, Venezuela, Estonia, Brasile e soprattutto in Usa, dove, a distanza di un anno e mezzo, è ancora difficile appurare la correttezza democratica delle presidenziali del novembre 2004, mentre è già accertata la clamorosa manipolazione di quelle del 2000 (vedi Michael Moore).

Al termine di una giornata elettorale caratterizzata da disordine e approssimazione – spesso causati dalle stesse macchine elettroniche – dopo le operazioni di spoglio, si è registrata una forte discordanza tra gli exit poll, che davano lo sfidante John Kerry vincente per 5 milioni di voti, e il risultato finale che ha confermato Bush presidente con uno scarto di più di 3 milioni. Una differenza di 8 milioni di voti: per gli statistici, un margine di errore altamente improbabile.

E infatti dopo le domande di qualche parlamentare (in particolare John Conyers, deputato democratico del Michigan) e alcune inchieste giornalistiche è emerso che le macchine del voto elettronico hanno completamente alterato le reali indicazioni dei cittadini: in molti Stati decine di migliaia di preferenze per Kerry sono state cancellate o assegnate ai candidati di altri partiti; spesso è mancata la coincidenza tra numero di voti e numero di votanti e in alcune contee sono state registrate affluenze record del 124 per cento. Fino al vaudeville: in una contea dell’Ohio ci sono stati 638 voti, Kerry ne ha presi 260, Bush 4.258. È una coincidenza il fatto che gli errori degli exit poll si siano verificati solo e soltanto in quei distretti dove non esistevano schede cartacee su cui controllare i risultati elettronici ?

È questo il sistema di voto che s’intende importare in Italia? Cosa voleva dire il ministro Stanca quando, nel giugno 2004, dichiarava a Repubblica che "il voto elettronico è un’opportunità matura dal punto di vista tecnico. Sono gli elettori a non essere pronti"? Cosa intende dire il direttore generale di Innovazione Italia Marco Monti, quando afferma che lo scrutinio elettronico elimina "la necessità di trasportare fisicamente la carta" (Monthly Vision, Finanza e Mercati, marzo 2006)? È un caso che le multinazionali scelte dal governo per la gestione dello scrutinio elettronico italiano siano le stesse che in Usa gestiscono le operazioni di voto elettronico e che, in Italia come altrove, fanno pressione sulle istituzioni per accelerare i processi di privatizzazione dei servizi pubblici e in particolare delle elezioni? Stiamo importando il sistema elettorale americano, conflitti di interessi compresi.

Quanto costa la privatizzazione delle elezioni? Lo stanziamento previsto dallo Stato per le prossime politiche è di 34 milioni di euro, ma la sperimentazione riguarda solo quattro regioni (Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna). Quando si passerà alla totalità del territorio nazionale sarà quintuplicato, cioè 170 milioni di euro. Senza considerare che il turn-over tecnologico rende un pc già obsoleto dopo pochi anni, e che comunque i registri cartacei e molti costi tradizionali non saranno eliminati (il contrario significherebbe infatti la fine di ogni controllo).

Insomma le elezioni sono diventate un affare, sempre più appetibile ad ogni tornata. Un valore economico che si aggiunge all’evidente importanza politica, in un contesto di oscure commistioni tra società selezionate e potere esecutivo: è normale che il responsabile del Public Sector dell’Accenture sia il figlio del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu? Senza contare poi che la procedura di selezione di tali società passa per Innovazione Italia, azienda posseduta da Sviluppo Italia: alla guida della prima vi è Andrea Mancinelli, capo di Gabinetto del ministro Stanca (fino al 2001 presidente dell’Ibm, una delle aggiudicatarie dell’appalto del 2004), mentre il direttore generale della seconda è Roberto Spingardi, che ha ricoperto a lungo ruoli cruciali all’interno della Fininvest e ha partecipato attivamente alla nascita di Forza Italia.

Siamo contro la modernità? Niente affatto. Il problema è che il mercato delle elezioni è questione troppo poco trasparente. Dopo l’acqua, l’energia, l’etere televisivo, i trasporti e altri beni di inalienabile valore pubblico, il vorace processo di privatizzazione di beni e servizi sta inghiottendo anche il processo elettorale. Dobbiamo affidare la nostra democrazia a società delle Bermuda, pronte a barattare una vittoria elettorale con un appalto?

Giulietto Chiesa e Francesco De Carlo
24.03.06
Megachip settimanale
Visto su: www.ilcantiere.org
Link: http://www.ilcantiere.org/index.php?option=com_content&task=view&id=268&Itemid=70


E questo è il continuato, tratto da:http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=2013

BROGLI ELETTORALI, DUE INCHIESTE CONGIUNTE (PARTE II)
Postato il Giovedì, 13 aprile @ 20:15:00 EDT di davide

Internet e controllo DI GIULIETTO CHIESA E FRANCESCO DE CARLO

"OPERAZIONE BROGLI" - La seconda parte dell'inchiesta sullo scrutinio elettronico

Nell'ultimo numero di MicroMega abbiamo iniziato la nostra inchiesta sull'affidamento delle elezioni ai privati, un'operazione la cui scarsa trasparenza si è nei giorni scorsi conquistata l'attenzione dei grandi media e ha spinto alcuni parlamentari dell'opposizione a chiedere la sospensione della sperimentazione programmata per aprile. La vicenda solleva forti dubbi circa la silenziosa privatizzazione della democrazia, le modalità con le quali viene appaltata alle multinazionali e il subdolo percorso intrapreso verso il "voto elettronico", di cui lo "scrutinio elettronico" costituisce una tappa fondamentale.
Tre questioni sulle quali dobbiamo ritornare perché ulteriori approfondimenti ci hanno permesso di documentare l'inopportunità della prima fase, l'illegittimità della seconda e la sostanziale pericolosità della terza. Lo scrutinio elettronico, che viene fatto passare per inoffensivo, è il passaggio cruciale di un percorso. Le intimidazioni, sotto forma di bombardamenti preventivi di denunce, contro chi ne parla lo dimostrano.

La democrazia non è uno show

Perché si è deciso di procedere alla sperimentazione dello scrutinio elettronico? Tra le prerogative dei buoni governanti c'è la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini, non quella di inventare problemi e spese. A noi non risulta che questo "bisogno" sia emerso. Meno che mai risulta che la gente, gli elettori, vogliano giocarsi alla roulette elettronica la sicurezza del voto che esprimono. Meno che mai che vogliano farlo per guadagnare qualche ora sull'annuncio dei risultati. La democrazia non è una questione di rapidità. Il 2 giugno 1946, quando il paese venne chiamato a scegliere tra repubblica e monarchia, il ministero dell'Interno fu in grado di rilasciare le prime indicazioni solo tre giorni dopo il voto. Avrebbe cambiato qualche cosa un campione di mille persone che avesse detto in due ore il risultato? Naturalmente no. Cosa fa pensare al nostro governo che sapere più in fretta di quanto già non sappiamo risponda a una necessità sociale avvertita nel paese? E dunque perché spendere i nostri soldi (35 milioni di euro per una sperimentazione che interessa solo quattro regioni)? Per essere, come si suol dire, "al passo con il progresso"? Oppure per snellire la procedura della conta? La verità è che lo scrutinio elettronico non elimina le file ai seggi, non snellisce le operazioni di voto, ma taglia i tempi solo per la proclamazione dei vincitori. E non rappresenta neanche un grosso risparmio economico rispetto alle metodologie tradizionali di spoglio, a meno che non si pensi, in prospettiva, di eliminare i registri cartacei.

Ma è proprio questo il motivo dell'allarme, perché a quel punto chi controllerà i risultati? Chi garantirà la correttezza delle procedure di conteggio? Chi assicurerà dal rischio di intromissioni dolose? E, se si mantiene la fase cartacea, allora si gettano dalla finestra miliardi e miliardi, inutilmente. In sintesi: mettiamo a repentaglio la democrazia senza ricavarne vantaggi di sorta.

Come non vedere che, nella migliore delle ipotesi, si vuole soltanto spettacolarizzare ulteriormente la politica, far combattere gli "esperti", i sondaggisti, i vincitori e i vinti, in prime time , negli orari di massimo ascolto, nelle maratone elettorali studiate per consumatori televisivi imbolsiti dagli exit poll? E questa, appunto, è l'ipotesi migliore. C'è anche quella peggiore: che chi organizza tutto questo circo Barnum voglia solo importare, a caro prezzo, la nuova democrazia elettronica di George Bush. Il tutto mentre – come ha scritto prima di morire Paolo Sylos Labini – il 9 aprile è "in gioco la nostra dignità". Esattamente come nel 1946.

La democrazia non è un business

S'è già scritto che Telecom, Eds e Accenture sono state scelte senza appalto pubblico e a trattativa privata. Dicono che c'era urgenza perchè la legge era stata varata solo a gennaio, tre mesi prima del voto. Così hanno aggirato gli appalti, cosa che si può fare solo in via eccezionale. Ma, poiché la data delle elezioni non era una sorpresa, e altre sperimentazioni erano già state fatte, tutto fa pensare che la situazione d'urgenza è stata creata in modo artificioso.

Solo sospetti? Niente affatto. Si può dimostrare che l'affidamento dello scrutinio elettronico di aprile alle suddette società è illegittimo. Il decreto 157/1995 dice che i 95 giorni che separano il varo della legge dal 9 aprile sono sufficienti almeno per una trattativa privata plurima con preliminare pubblicazione del bando di gara. Dunque non c'erano condizioni d'urgenza che impedivano di consultare altre aziende. Peggio ancora. Si è semplicemente proceduto a riaffidare lo scrutinio elettronico alle stesse società che avevano vinto una gara precedente. Un appalto auto-capestro che impediva allo Stato di cambiare eventualmente percorso per ulteriori affidamenti.

È quanto emerge da una diffida portata avanti dalla Ales srl, società informatica di Cagliari, nei confronti del ministero dell'Interno, del ministero dell'Innovazione, di Sviluppo Italia e di Innovazione Italia. Il caso della Ales, sollevato da MicroMega nel numero scorso e poi ripreso dal blog di Beppe Grillo e da altri media, è il caso di una piccola realtà nel mondo informatico che sviluppa un software open-source per la rilevazione informatizzata dei dati elettorali, lo sperimenta a proprie spese nel 2001 in Sardegna su autorizzazione di Pisanu, ne cede l'uso per un massimo di 2.500 licenze in occasione delle europee del 2004 alle società che hanno vinto l'appalto pubblico e si vede esclusa l'anno successivo, quando il governo riaffida, senza gara, il servizio a Telecom, Eds e Accenture per le regionali del 2005. La Ales ricorre al Tar del Lazio per ottenere tutta la documentazione. Quando scopre che il software utilizzato dalla Eds, le brochure informative, le guide rapide e i capitolati tecnici risultano simili a quelli del 2004 dà corso a una citazione in giudizio e a una diffida.

La democrazia è sotto schiaffo

Fumus persecutionis ? Processiamo le intenzioni? La reazione dei protagonisti è piuttosto scomposta. MicroMega ancora non è stata querelata, ma i colleghi di Diario , arrivati in contemporanea a noi sullo stesso osso, sono stati avvertiti, insieme a "quanti altri divulghino le affermazioni gravemente diffamatorie" contenute nel settimanale. E che dire delle pagine intere acquistate da Telecom sui principali quotidiani con la minaccia di ricorrere per vie legali contro chiunque osasse mettere in relazione l'azienda con il caso Storace? Appunto bombardamenti legali preventivi che, coniugati con l'uso delle inserzioni pubblicitarie, possono avere effetti rilevanti su un quarto potere già debilitato.

Chiara è solo una cosa: che il ministro Stanca non sta improvvisando. Il cronista del Giornale gli chiede: "Ministro, dove sta l'innovazione e il risparmio di tempo se poi c'è il rischio che si debbano ricontare le singole schede [in caso di contestazione]?". Stanca risponde: "Vero, ma vogliamo fare un passo alla volta". Questo passo l'abbiamo analizzato, e il successivo? Stanca lo comunica a Repubblica : "Il voto elettronico è un'opportunità matura dal punto di vista tecnico. Sono gli elettori a non essere pronti". Quando saranno pronti, secondo Stanca, lo si vede dalla sua lettera al ministro dell'Interno, nel 2003, dove sollecita l'innovazione delle procedure elettorali elettroniche al fine di "innovare le modalità di voto anche sul resto del territorio nazionale in vista delle elezioni europee del 2009".

Di corsa per fare come in America, dove sono stati documentati gli errori di macchine elettroniche che hanno assegnato a Bush preferenze destinate a Kerry e hanno registrato surreali affluenze al voto del 124 per cento. Per non parlare dei conflitti di interessi tra il Partito repubblicano e le società interessate al voto elettronico. Tra queste proprio Eds e Accenture.

Per questo bisogna fermarli, fino a che non si dimostri che sono inoffensivi, se non vogliamo svegliarci alla vigilia della prossima consultazione elettorale in mezzo a computer che non si sa chi li manovra e con l'ansia di brogli elettorali che non potranno essere riparati, perché non ci sarà controllo possibile e perché i vincitori già staranno festeggiando nei salotti televisivi.

Giulietto Chiesa e Francesco De Carlo
Fonte: http://www.megachip.info/
Link. http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=1775


Non è ancora finita, se avete pazienza e tenete alla democrazia, leggeta anche questo, tratto da:http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=2012

DUE TWIN TOWERS DI SCHEDE ELETTORALI
Postato il Giovedì, 13 aprile @ 10:55:00 EDT di marcoc

politica italiana DI MAURIZIO BLONDET

Un lettore mi chiede: «cosa ne pensa di quanto di anomalo è successo in queste elezioni?». Sondaggi ed exit poll (concordi tra loro da anni) ribaltati come nelle elezioni finte di Bush, non abbastanza da cambiare il vincitore ma abbastanza da rendere il Paese quasi ingovernabile. I risultati che cambiano con un trend costante nel corso dello spoglio, cioè una crescita-decrescita costante delle coalizioni e non oscillazioni.
I risultati che dovevano essere definitivi entro le 20 e quasi non lo sono ancora, lo scrutinio elettronico che rallenta anzichè accelerare lo spoglio (il Lazio è stato l'ultimo a dare il risultato definitivo alla camera, alle 3.30 della notte). E l'arresto dopo 43 anni (!) di latitanza di Provenzano.

Si parlava, ora non più, ma vedremo poi i fatti quando si voteranno le leggi, di una sorta di governo di unità nazionale, secondo me per escludere quelle forze sia da una parte che dall'altra che si oppongono ai poteri forti della finanza e della politica internazionale (le parti contrarie all'ultra-liberismo, a Bush e a Israele che si trovano in entrambi gli schieramenti). Da Vespa sia quelli della Margherita che dell'UDC avevano una sola domanda preoccupata: «cosa penserà la finanza internazionale?». Testuali parole. Magari sono solo coincidenze...

Confesso che, non avendo trascorso le mie giornate davanti alla TV, mi erano sfuggite alcune «anomalie» dello spoglio di cui parla il lettore. Può trattarsi di casualità: il caso esiste, dopotutto.
Ma è anche vero che sono state alcune «anomalie» iniziali a farci intuire che l'11 settembre era qualcosa di diverso dall'attentato islamico della versione ufficiale.
La caduta perfettamente verticale e simmetrica dei due immensi grattacieli, per esempio: qualcosa di troppo netto, perfetto e televisivo per non lasciare il sospetto che l'apparenza dell'evento fosse stata «preordinata» - con cariche esplosive da demolizione - per essere spettacolare. Ora in Italia abbiamo due Torri gemelle di schede elettorali: eguale altezza, perfetta simmetria, metà e metà. Di nuovo qualcosa di «preordinato per apparire?».
O stiamo esagerando in dietrologia?
Il fatto è che un amico che abita a Washington ci esprime gli stessi sospetti del lettore.
E ci invita a dirigere l'attenzione sull'agenzia americana di sondaggi ingaggiata da Berlusconi per la campagna. E' la Penn, Schoen & Berland Associates (PSB). Ora, la PBS come agenzia di sondaggi è essa stessa «anomala».

Nel marzo 2005, dunque in data non sospetta, l'analista Jonathan Mowat (1) indicava la PBS come un nodo della vasta rete di consulenti ed esperti di agitazione e sovversione che hanno creato lo «scenario democratico» in Serbia contro Milosevic, e in Georgia e Ucraina contro i regimi sostenuti da Mosca.
Un organo di quell'apparato che Mowat definisce la «nuova Gladio»: l'organizzazione «stay-behind» rielaborata nella nuova dottrina americana («Revolution in military Affaire») che con metodi non-violenti persegue - come guerra psicologica - gli stessi scopi delle forze armate americane.
Cosa sia questa nuova Gladio lo spiegava il 26 novembre 2004 Ian Travor, l'inviata del Guardian a seguire la «rivoluzione arancio» ucraina, con le folle di giovani che «spontaneamente» erano scese in piazza per la «democrazia». «La campagna è una creazione americana, un esercizio sofisticato e brillantemente concepito di marketing di massa e di politica del marchio all'occidentale che, in quattro Paesi in quattro anni, è stata usata per salvare elezioni con brogli e rovesciare regimi discutibili…L'operazione, che consiste nel fabbricare (engineering) la democrazia con urne elettorali e disobbedienza civile, è così ben collaudata che i metodi sono diventati maturi come procedura standard per vincere le elezioni altrui».
Gli strumenti psicologici di questo tipo di operazioni sono stati messi a punto molto tempo fa da sociologi di un tipo particolare.

Già dal 1967 il Tavistock Institute di Londra (clinica psichiatrica e anche laboratorio di guerra psicologica, diretta da psichiatri che hanno il grado di generale o colonnello) concentrava le sue ricerche sul modo di provocare «cambi di paradigma», di indurre stati d'animo collettivi in certe società-bersaglio.
Specificamente, attraeva quegli studiosi il fenomeno degli «swarming adolescents» (adolescenti in torma, in orda o sciame) che agitavano i concerti rock: queste torme potevano essere utilizzate per destabilizzare politicamente interi Stati, dirigendo la «rebellious hysteria» delle torme verso i bersagli da destabilizzare.
La spontanea rivolta giovanile che nel 1967 fece cadere il governo De Gaulle e diede inizio al «maggio '68» pare essere stata una precoce applicazione del metodo. E' noto che all'Università di Trento, un giovane Francesco Alberoni sociologo studiava lo «Stato nascente» dei gruppi giovanili (forma nostrana della «rebellious hysteria») insieme a Curcio, Franceschini e agli altri fondatori delle prime Brigate Rosse: quelle movimentiste, non le successive a cellula clandestina ed omicida.

Nel novembre 1989, all'università dell'Ohio, si inaugura un «Programma per l'innovazione sociale nella gestione globale». In quest'ambito, nel '91, Howard Perlmutter, docente di «architettura sociale» alla Wharton School e allievo del Tavistock, esemplifica nel concetto di «video rock a Kabul» la metodologia da applicare per destabilizzare culture tradizionali e renderle così «aperte alla civiltà globale». Sottolinea anche la necessità di «costruire reti impegnate a livello internazionale» che si colleghino con «organizzazioni a vocazione locale» per creare «eventi» che, benchè «locali», troveranno «un'immediata risonanza internazionale attraverso i mass-media».
Peter Ackerman, un altro sociologo, perfeziona processi e concetti.
Essenziale il concetto di «swarming» (azione in sciami; «swarm» è uno sciame, specialmente di vespe arrabbiate) che è - nota Mowat - comune sia alle operazioni militari che non-militari nella nuova dottrina americana.
Nel 1994 Ackerman pubblica il suo saggio capitale, «Strategic non-violent conflicts», in cui teorizza fra l'altro che «le nuove tecnologie si stanno democratizzando», sì che «rendono possibile un'assemblea digitale decentrata» capace di buttare giù regimi rigidi e dittatoriali.
Basterà dotare l'orda, lo sciame giovanile arrabbiato, di cellulari e internet ed altro materiale hi-tech, e della preparazione psicologica necessaria per vincere la paura, scendere in piazza, deridere il regime con graffiti e piccole recite stradali e così via (2).
Nel giugno 2004 Ackerman parla di tutto questo al Dipartimento di Stato.
Ma le tattiche e i metodi che promuove sono diventati politica americana già da molto tempo. Già sono nati gli enti - privati, «culturali» e «senza scopo di lucro» - che forniscono metodi consulenze (e denaro) per la «spontanea fabbricazione della democrazia» all'estero.
Mowat li elenca.

Albert Einstein Institute
Finanziato da George Soros, è diretto dal colonnello Robert Helvey (ex ufficiale della DIA, l'intelligence militare) e da Gene Sharp; sociologo di Harvard.
Sharp ha scritto un manuale, «The politics of non-violent action», tradotto in 27 lingue, dal serbo al cinese all'italiano. Gene Sharp è anche l'autore di un vecchio manuale di resistenza civile ad una possibile invasione sovietica - il manuale di Gladio, si può dire - che è stato tradotto ovviamente in italiano: «Verso un'Europa inconquistabile» (1989), con introduzione di Gianfranco Pasquino: sociologo di Bologna e della John Hopkins University, direttore de Il Mulino (cui collaborano Panebianco e Paolo Prodi), potenziale candidato della Rosa nel Pugno, già senatore della sinistra cosiddetta indipendente: insomma uno dell'area Prodi, più che di Berlusconi.
Un «amico» di Washington con casacca di sinistra, come Giuliano Amato.

International Center for non-violent conflicts.
Diretto da Jack DuVall (ex ufficiale dell'Air Force) e da James Wollsey (ex capo della CIA e neocon), «sviluppa e incoraggia l'uso di strategie fondate sui civili, non militari, per stabilire e difendere la democrazia e i diritti umani nel mondo»; Beninteso, «fornisce addestramento e consiglieri sul campo» a questo scopo.

The Arlington Institute.
Ha lo scopo dichiarato di «contribuire a ridefinire il concetto di sicurezza nazionale in termini molto più larghi e inclusivi, introducendo nell'equazione della difesa… i salti di paradigma sociale». Freedom House, finanziato da George Soros, con presidente Woolsey. La sue azioni e consulenze per la «democrazia» hanno fatto espellere questa ONG da diversi Paesi dell'Est.

National Endowment for Democracy.
Creato nel 1983 per «fare apertamente ciò che la CIA fa in segreto», ha filiato il National Democratic Institute for International Affairs e l'International Republican Institute, che agiscono o appaiono come due facciate dei due partiti USA. Ma per un unico scopo.
Tutti questi enti hanno avuto una parte molto attiva nell'agitazione democratica che ha fatto cadere Milosevic, nelle rivoluzioni colorate nell'Est post-sovietico, e anche in Birmania, Venezuela (contro Chavez) e Messico. Sempre allo scopo di fabbricare democrazie filo-americane. Ma dobbiamo tagliare l'interessantissimo rapporto di Mowat.

Arriviamo alla società di sondaggi assoldata da Berlusconi, così come la descriveva Mowat nel 2005:Penn, Schoen & Berland Associates.
«Ha giocato un ruolo da pioniera nell'uso delle operazioni di sondaggio, specialmente 'exit polls', per facilitare i rivolgimenti politici» [«democratici», ndr.]. La sua missione primaria è creare l'apparenza che il gruppo messo al potere in un Paese-bersaglio goda di ampio appoggio popolare. Il gruppo ha cominciato a lavorare in Serbia quando il suo fondatore, Mark Penn, era il primo consigliere politico di Clinton [dunque «di sinistra», ndr]. Nell'ottobre 2000, con una lettera riportata sul sito web della ditta, così Madeleine Albricht, il ministro degli Esteri di Clinton, lodava le attività dell'impresa: «il vostro lavoro con il National Democratic Institute e l'opposizione jugoslava ha contribuito direttamente e in modo decisivo al recente successo della democrazia in quel Paese… è forse la prima volta che i sondaggi hanno svolto un ruolo così essenziale nel determinare ed assicurare gli obiettivi [USA] di politica estera». La PSB ha condotto anche gli exit poll per le elezioni della nuova «democrazia» ucraina, per conto dell'OCSE, e con ampa risonanza televisiva mondiale. La Albricht è oggi presidente del National Democrayic Institute.

Nello stesso sito si può leggere un articolo intitolato «Defeating dictators ad the ballot box» (sconfiggere i dittatori con le urne): «strategi internazionali, consulenti politici e mediatici - come noi siamo - hanno svolto un ruolo essenziale dietro le quinte (proprio così: behind the scenes) delle votazioni in Serbia e Zimbabwe, aiutando i partiti d'opposizione a elaborare strategie e messaggi e ad organizzare una campagna efficace e credibile … L'introduzione delle tecniche più avanzate di comunicazione e di creazione dell'immagine è un'arma potente come gli aerei, le bombe e la tecnologia di spionaggio» (sic). La PBS ha fatto adeguati «exit poll» anche in Venezuela per l'opposizione a Hugo Chavez, predicendo ovviamente (e sbagliando) la sconfitta di Chavez, ma in modo da creare la «percezione» opposta. L'opposizione era finanziata dal National Endowment for Democracy. Stessa operazione in Messico nel 2000, dove gli esperti dell'agenzia sono stati definiti «delinquenti politici». Notevole la lista dei clienti della PSB. Fra Siemens ed American Express, Texaco e De Beers, Citigroup e BP, brilla la Goldman Sachs.

Goldman Sachs.
Singolare coincidenza: proprio due giorni prima delle elezioni, sul «Riformista» di D'Alema, Gian Carlo Padoan - l'economista di fiducia di D'Alema - scriveva un articolo in cui difendeva, se non Berlusconi, l'Italia dagli attacchi al governo del Cavaliere che in quei giorni avevano scatenato l'Economist e il Financial Times. Diceva in sostanza Padoan: gli stessi attacchi erano stati il preludio, nel 1994, al saccheggio dell'economia del nostro Paese da parte dei passeggeri del «Britannia» e di Goldman Sachs. Non basta: anche allora c'erano al potere in Italia le stesse figure istituzionali (Ciampi e Draghi), diceva Padoan. Ed oggi, a quei gruppi che deridono Berlusconi fanno gola banche ed ENI (3)… Questo solo per dire che le cose sono un po' più complicate di quel che sembrano. Perché è troppo semplice pensare che la PBS abbia fatto un servizio a Berlusconi. Forse si è fatta pagare dall'ingenuo impresario («amico dell'America» e accecato dal non aver capito che oggi l'alleato è il vero avversario) ma per fare un lavoro utile ai suoi referenti del Dipartimento di Stato, del partito Democratico e delle banche d'affari USA. O che non sia riuscita a far molto in ogni caso. Dopotutto, l'Italia non è la Serbia né l'Ucraina: alle elezioni siamo abituati, c'è troppo controllo sociale per poter manipolare «l'apparenza» sì da farla apparire sostanza.

Ma resta in piedi l'ipotesi del nostro lettore: che il pareggio-spaccatura sia stato preordinato per agevolare il governo di larghe intese che darà quel che resta di buono in Italia ai poteri forti internazionali, tagliando fuori le «estreme» che nei due schieramenti sono ostili alla finanza globale. Ma allora, perché il sonoro «no» di Prodi (Goldman Sachs) alla grande coalizione? Forse la spiegazione è ovvia: Prodi non ha bisogno di fare un accordo di legislatura con il Polo. Basta che ne aspetti lo sfaldamento, che può ritenere inevitabile, ed accogliere i transfughi democristiani. Forse solo il futuro può chiarire dubbi e sospetti. Resta il dispiacere che l'area di D'Alema (che pare aver capito chi è il nemico principale) sia uscita indebolita dal voto. E restano quelle due torri di schede elettorali: così uguali, così simmetriche, così «anomale».

Maurizio Blondet
Fonte: www.effedieffe.com
Link:http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1086&parametro=politica
13.04.06

Note

1) Jonathan Mowat, «The new Gladio in action?», Online Journal, 19 marzo 2005.
2) Alla luce di questi studi sull'utilizzo dello «swarm» giovanile può porsi qualche domanda inquietante sui veri mandati delle violentissime manifestazioni di piazza del G8 a Genova (dove i più violenti erano individui stranieri, benissimo organizzati), e dell'ancor più violento, immotivato e indecifrabile attacco di un gruppetto no-global in Porta Venezia a Milano (10 marzo 2006, a un mese dalle votazioni). Anche questi erano «swarms» in azione.
3) Gian Carlo Padoan, «Sinistra, non gioire per l'Economist», Il Riformista, 8 aprile 2006.
 

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