tontolina
Forumer storico
Qualcuno si chiede: Quanto petrolio c’è in Somalia?
Maurizio Blondet 10/01/2007
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1691¶metro=
D’accordo, è possibile che dietro le corti islamiche somale ci sia Al Qaeda.
E che per questo gli USA abbiano spinto il dittatore etiopico Museweni ad attaccare la Somalia, per mettere al potere un regime più amico dell’Occidente.
Ma dietro, c’è un altro motivo, non detto: il petrolio.
Che sotto le sabbie della Somalia ci sia petrolio (e parecchio) è un’ipotesi che viene definita «assurda» dal dipartimento di Stato e dagli esperti del settore.
Ma allora non si spiega perché la Conoco [di proprietà della fam.BUSH], grande petrolifera statunitense, abbia mantenuto aperta la sua enorme sede a Mogadiscio in tutti questi anni, in un Paese senza strade né governo, con le poche infrastrutture (italiane) distrutte da tempo, abbandonato all’anarchia, alla violenza e ai signori della guerra, da cui tutte le altre imprese estere sono scappate.
Questa sede - un vasto compound recintato da alte mura, sorvegliato da guardie armate locali e straniere - è anzi servita di fatto come ambasciata non-ufficiale degli Stati Uniti.
Poiché tutte le sedi diplomatiche a Mogadiscio sono crivellate dall’artiglieria, svuotate da anni di vandalismo, ogni diplomatico americano che si avventura per qualche missione nel Paese viene ospitato nel compound della Conoco; e così i capi e gli addetti delle organizzazioni non-governative USA e britanniche, collegate ai ministeri degli Esteri e ai servizi d’intelligence dei rispettivi Paesi, e intensamente occupate in Somalia in missioni definite «umanitarie».
«E’ solo nostro dovere di ospitalità come cittadini americani», dice John Geybaure, portavoce della Conoco ad Houston, Texas, aggiungendo che la diplomazia USA paga un regolare affitto per gli edifici che occupa nell’interno del compound fortificato.
D’accordo.
Ma è anche vero che ai tempi del dittatore Siad Barre (figlio di un pastore, diplomato in un corso per ufficiali dei carabinieri in Italia) i quattro colossi americani del petrolio, Conoco, Amoco, Chevron e Phillips avevano ottenuto dall’uomo forte i diritti di esplorazione su ben due terzi del territorio somalo, e negoziato grosse concessioni per l’estrazione.
La caduta di Siad Barre nel 1991 ha bloccato ulteriori sviluppi.
Ma ciò che hanno trovato i geologi della Conoco dev’ essere molto promettente, se la compagnia ha ritenuto necessaria la spesa per mantenere aperta la sua sede a Mogadiscio per quasi due decenni di caos e instabilità, dove ogni attività è di fatto stata impossibile.
Evidentemente, la continua presenza serve a proteggere gli investimenti già fatti e le prospettive future.
Il presidente della Conoco a Mogadiscio è Raymond Marchand, un francese che ha operato in Chad fino al giorno in cui la guerra civile ha obbligato la Conoco a sospendere laggiù le sue attività.
Naturalmente, Marchand è diventato un esperto della difficile situazione somala, con ottimi contatti e amicizie tra i signori della guerra.
Costoro sono, notoriamente, assetati di denaro e mazzette.
Si sa che Marchand ha firmato con Ali Mahdi Mohammed, uno dei signori della guerra che sono parte del «governo provvisorio» scacciato dalle Corti Islamiche, un accordo «di sospensione» (standstill agreement) in cui è detto che le compagnie petrolifere non possono esercitare i loro diritti e le loro concessioni «per forza maggiore», il che significa che ritengono ancora validi i vecchi contratti stilati con Siad Barre, e che ne reclameranno l’adempimento appena la situazione diverrà meno rovente.
Ovviamente, è appunto questo accordo che rende il governo provvisorio (detestato dai somali) «sicuro per l’Occidente», e degno della protezione armata dell’Etiopia.
La rivista aziendale della Conoco ha pubblicato cinque anni fa una lettera del generale di brigata Frank Libutti (dei Marines) che loda Marchand per «il coraggioso contributo e l’altruistico servizio reso» ad una operazione umanitaria condotta, per ordine di Bush, in Somalia nel dicembre 2001: si trattava di salvare dalla fame, si disse allora, due milioni di somali.
Gli aiuti sbarcarono a Mogadiscio - insieme a diverse migliaia di Marines per la sicurezza dell’operazione.
Il generale Frank Libutti operò come assistente militare dell’inviato speciale americano in Somalia, Robert B. Oakley, il quale soggiornò appunto nel recinto fortificato della multinazionale, e Marchand si mise in luce come «facilitator» nei contatti tra il diplomatico USA e i signori della guerra poi divenuti membri del «governo» nemico di «Al Qaeda».
Studi della Banca Mondiale sostengono che i tesori petroliferi della Somalia sono più che promettenti, anche se allo stato attuale non quantificabili.
Ma la quantità non è quello che importa agli americani.
Lo disse nel 1986 George Bush padre, petroliere lui stesso ed allora vicepresidente USA sotto Ronald Reagan (dopo essere stato capo della CIA sotto Carter), quando si recò ad inaugurare la raffineria impiantata dalla Hunt Oil Company (texana) nello Yemen, nella cittadina di Marib.La raffineria produceva 200 mila barili al giorno, non certo degni di una visita presidenziale.
Ma, disse allora Bush nel discorso ufficiale: «E’ ovvia la crescente importanza strategica di sviluppare fonti petrolifere ad ovest dello Stretto di Ormuz».
L’allusione è al collo di bottiglia del Golfo Persico, da cui passa tutta la produzione petrolifera saudita, irachena e iraniana.
Uno stretto nel centro di una zona altamente instabile, e che rischia in ogni momento di essere reso inagibile, per esempio in caso di un attacco all’Iran.
La Somalia, come lo Yemen, si trova ben lontana dallo stretto di Ormuz, e dunque esente dai possibili blocchi del collo di bottiglia: una fonte petrolifera sicura, in caso di crisi estrema nel Golfo Persico.
I geologi della Hunt Oil Company del resto hanno scoperto che il «loro» giacimento yemenita è parte di un vasto campo subacqueo che, attraverso il golfo di Aden, raggiunge il nord della Somalia.
Evidentemente, l’avvento delle Corti Islamiche ha disturbato i progetti a lunga scadenza espressi da Bush-padre: siano o no infiltrate dalla fantomatica Al Qaeda, esse non hanno assicurato il rispetto dei vecchi contratti di Siad Barre.
Di qui la necessità dell’intervento militare etiopico, il cui dittatore è notoriamente filo-americano.
L’Etiopia appoggia ormai da anni il secessionismo di due regioni somale molto importanti dal punto di vista minerario, il Somaliland e il Puntland, entrambe ex-colonie britanniche.
Nel 2005, un sedicente «governo indipendentista» del Puntland ha firmato un importante contratto con la Consort Private Limited, una ditta-fantasma con sede ufficiale alle Maldive, ma che in realtà opera da Londra, presso lo studio legale Anthony Black.
La Consort ha ottenuto tutti i diritti minerari e petroliferi del Puntland; ed ha ceduto il 50,01% di tali diritti ad una ditta australiana, la Range Resources Ltd.
Presieduta dal lord britannico Sam Jonah: lo stesso che presiede la Ashanti Anglo-Gold, la massima estrattrice di oro in Africa, e figura nel consiglio d’amministrazione della Anglo-American Corporation, altro colosso minerario.
Il guaio è che le Corti Islamiche stavano prendendo il sopravvento, con l’appoggio popolare, anche nel Puntland.
Ora, messe in fuga le Corti dall’intervento etiopico, il potere formale è tornato al «governo di transizione» riconosciuto dalla comunità internazionale, ma non dalla popolazione somala.
Un governo sostenuto dalle armi straniere.
Al Qaeda, se esiste, avrà facile gioco ad accendere il mondo islamico contro l’occupazione di una terra musulmana da parte di un occupante cristiano (l’Etiopia), e a innescare una guerriglia di liberazione che attrarrà militanti fondamentalisti da tutto l’Islam.
Per la Somalia comincia una nuova feroce stagione di guerriglia?
La Conoco deve pensare di no, visto che non ha chiuso il suo ufficio fortificato a Mogadiscio.
Maurizio Blondet
Maurizio Blondet 10/01/2007
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1691¶metro=
D’accordo, è possibile che dietro le corti islamiche somale ci sia Al Qaeda.
E che per questo gli USA abbiano spinto il dittatore etiopico Museweni ad attaccare la Somalia, per mettere al potere un regime più amico dell’Occidente.
Ma dietro, c’è un altro motivo, non detto: il petrolio.
Che sotto le sabbie della Somalia ci sia petrolio (e parecchio) è un’ipotesi che viene definita «assurda» dal dipartimento di Stato e dagli esperti del settore.
Ma allora non si spiega perché la Conoco [di proprietà della fam.BUSH], grande petrolifera statunitense, abbia mantenuto aperta la sua enorme sede a Mogadiscio in tutti questi anni, in un Paese senza strade né governo, con le poche infrastrutture (italiane) distrutte da tempo, abbandonato all’anarchia, alla violenza e ai signori della guerra, da cui tutte le altre imprese estere sono scappate.
Questa sede - un vasto compound recintato da alte mura, sorvegliato da guardie armate locali e straniere - è anzi servita di fatto come ambasciata non-ufficiale degli Stati Uniti.
Poiché tutte le sedi diplomatiche a Mogadiscio sono crivellate dall’artiglieria, svuotate da anni di vandalismo, ogni diplomatico americano che si avventura per qualche missione nel Paese viene ospitato nel compound della Conoco; e così i capi e gli addetti delle organizzazioni non-governative USA e britanniche, collegate ai ministeri degli Esteri e ai servizi d’intelligence dei rispettivi Paesi, e intensamente occupate in Somalia in missioni definite «umanitarie».
«E’ solo nostro dovere di ospitalità come cittadini americani», dice John Geybaure, portavoce della Conoco ad Houston, Texas, aggiungendo che la diplomazia USA paga un regolare affitto per gli edifici che occupa nell’interno del compound fortificato.
D’accordo.
Ma è anche vero che ai tempi del dittatore Siad Barre (figlio di un pastore, diplomato in un corso per ufficiali dei carabinieri in Italia) i quattro colossi americani del petrolio, Conoco, Amoco, Chevron e Phillips avevano ottenuto dall’uomo forte i diritti di esplorazione su ben due terzi del territorio somalo, e negoziato grosse concessioni per l’estrazione.
La caduta di Siad Barre nel 1991 ha bloccato ulteriori sviluppi.
Ma ciò che hanno trovato i geologi della Conoco dev’ essere molto promettente, se la compagnia ha ritenuto necessaria la spesa per mantenere aperta la sua sede a Mogadiscio per quasi due decenni di caos e instabilità, dove ogni attività è di fatto stata impossibile.
Evidentemente, la continua presenza serve a proteggere gli investimenti già fatti e le prospettive future.
Il presidente della Conoco a Mogadiscio è Raymond Marchand, un francese che ha operato in Chad fino al giorno in cui la guerra civile ha obbligato la Conoco a sospendere laggiù le sue attività.
Naturalmente, Marchand è diventato un esperto della difficile situazione somala, con ottimi contatti e amicizie tra i signori della guerra.
Costoro sono, notoriamente, assetati di denaro e mazzette.
Si sa che Marchand ha firmato con Ali Mahdi Mohammed, uno dei signori della guerra che sono parte del «governo provvisorio» scacciato dalle Corti Islamiche, un accordo «di sospensione» (standstill agreement) in cui è detto che le compagnie petrolifere non possono esercitare i loro diritti e le loro concessioni «per forza maggiore», il che significa che ritengono ancora validi i vecchi contratti stilati con Siad Barre, e che ne reclameranno l’adempimento appena la situazione diverrà meno rovente.
Ovviamente, è appunto questo accordo che rende il governo provvisorio (detestato dai somali) «sicuro per l’Occidente», e degno della protezione armata dell’Etiopia.
La rivista aziendale della Conoco ha pubblicato cinque anni fa una lettera del generale di brigata Frank Libutti (dei Marines) che loda Marchand per «il coraggioso contributo e l’altruistico servizio reso» ad una operazione umanitaria condotta, per ordine di Bush, in Somalia nel dicembre 2001: si trattava di salvare dalla fame, si disse allora, due milioni di somali.
Gli aiuti sbarcarono a Mogadiscio - insieme a diverse migliaia di Marines per la sicurezza dell’operazione.
Il generale Frank Libutti operò come assistente militare dell’inviato speciale americano in Somalia, Robert B. Oakley, il quale soggiornò appunto nel recinto fortificato della multinazionale, e Marchand si mise in luce come «facilitator» nei contatti tra il diplomatico USA e i signori della guerra poi divenuti membri del «governo» nemico di «Al Qaeda».
Studi della Banca Mondiale sostengono che i tesori petroliferi della Somalia sono più che promettenti, anche se allo stato attuale non quantificabili.
Ma la quantità non è quello che importa agli americani.
Lo disse nel 1986 George Bush padre, petroliere lui stesso ed allora vicepresidente USA sotto Ronald Reagan (dopo essere stato capo della CIA sotto Carter), quando si recò ad inaugurare la raffineria impiantata dalla Hunt Oil Company (texana) nello Yemen, nella cittadina di Marib.La raffineria produceva 200 mila barili al giorno, non certo degni di una visita presidenziale.
Ma, disse allora Bush nel discorso ufficiale: «E’ ovvia la crescente importanza strategica di sviluppare fonti petrolifere ad ovest dello Stretto di Ormuz».
L’allusione è al collo di bottiglia del Golfo Persico, da cui passa tutta la produzione petrolifera saudita, irachena e iraniana.
Uno stretto nel centro di una zona altamente instabile, e che rischia in ogni momento di essere reso inagibile, per esempio in caso di un attacco all’Iran.
La Somalia, come lo Yemen, si trova ben lontana dallo stretto di Ormuz, e dunque esente dai possibili blocchi del collo di bottiglia: una fonte petrolifera sicura, in caso di crisi estrema nel Golfo Persico.
I geologi della Hunt Oil Company del resto hanno scoperto che il «loro» giacimento yemenita è parte di un vasto campo subacqueo che, attraverso il golfo di Aden, raggiunge il nord della Somalia.
Evidentemente, l’avvento delle Corti Islamiche ha disturbato i progetti a lunga scadenza espressi da Bush-padre: siano o no infiltrate dalla fantomatica Al Qaeda, esse non hanno assicurato il rispetto dei vecchi contratti di Siad Barre.
Di qui la necessità dell’intervento militare etiopico, il cui dittatore è notoriamente filo-americano.
L’Etiopia appoggia ormai da anni il secessionismo di due regioni somale molto importanti dal punto di vista minerario, il Somaliland e il Puntland, entrambe ex-colonie britanniche.
Nel 2005, un sedicente «governo indipendentista» del Puntland ha firmato un importante contratto con la Consort Private Limited, una ditta-fantasma con sede ufficiale alle Maldive, ma che in realtà opera da Londra, presso lo studio legale Anthony Black.
La Consort ha ottenuto tutti i diritti minerari e petroliferi del Puntland; ed ha ceduto il 50,01% di tali diritti ad una ditta australiana, la Range Resources Ltd.
Presieduta dal lord britannico Sam Jonah: lo stesso che presiede la Ashanti Anglo-Gold, la massima estrattrice di oro in Africa, e figura nel consiglio d’amministrazione della Anglo-American Corporation, altro colosso minerario.
Il guaio è che le Corti Islamiche stavano prendendo il sopravvento, con l’appoggio popolare, anche nel Puntland.
Ora, messe in fuga le Corti dall’intervento etiopico, il potere formale è tornato al «governo di transizione» riconosciuto dalla comunità internazionale, ma non dalla popolazione somala.
Un governo sostenuto dalle armi straniere.
Al Qaeda, se esiste, avrà facile gioco ad accendere il mondo islamico contro l’occupazione di una terra musulmana da parte di un occupante cristiano (l’Etiopia), e a innescare una guerriglia di liberazione che attrarrà militanti fondamentalisti da tutto l’Islam.
Per la Somalia comincia una nuova feroce stagione di guerriglia?
La Conoco deve pensare di no, visto che non ha chiuso il suo ufficio fortificato a Mogadiscio.
Maurizio Blondet