Io mi sto convincendo sempre più che l'arte è linguaggio, e in quanto tale è evidentemente anche comunicazione da uomo ad uomo, però prima della comunicazione passa anche (viene condiviso) l'aspetto simbolico (l'alfabeto) del linguaggio.
Insomma, l'artista crea un linguaggio e con questo si esprime, poi lo condivide con altri e solo dopo passano i messaggi, la comunicazione.
E' sulla base anche di queste considerazioni che ritengo alcune forme artistiche involute ed altre rivolte verso ulteriori sviluppi, perché i linguaggi possono permettere di guardare il dito o la luna, possono rivolgersi alla rarefazione dell'arte (al piccolo, al nichilismo) oppure rivolgersi al superamento di confini aperti (al grande, alla costruzione intellettuale).
Magari non te ne sei accorto, ma hai anche pizzicato un problema che una volta era grosso come una cattedrale, ed ora lo è ancora, ma viene ignorato e sbeffeggiato in quanto non redditizio per i mercanti.
E' il problema dell'eternità (presunta/reale) dell'opera d'arte. Innegabile che per molti secoli questo sia stato un aspetto assai considerato, soprattutto quando all'idea del lavoro artigianale si sommò il desiderio dell'artista di esprimere una realtà ideale, spirituale. Il tutto, ovviamente, facilitato dal preponderante peso delle opere a soggetto religioso.
Certo, si potrebbe osservare che quello che per la ristretta visione degli uomini è o pare eterno, in realtà abbraccia una quantità di anni e secoli sicuramente minima rispetto alla presenza dell'uomo sulla terra, o all'esistenza stessa di quest'ultima. Però sentiamo bene, almeno di fronte ai capolavori dei massimi artisti, che relativizzare tutto sarebbe nient'altro che imboccare una facile via di fuga rispetto al problema.
Per quanto la lingua tenda a conservarsi, ad esempio, essa evolve. Per godere di Dante spesso abbiamo bisogno di un aiutino critico o linguistico. Abbiamo pure bisogno di conoscenze storiche ecc ecc. E tuttavia, una volta soddisfatte alcune esigenze relative alla comprensione, restiamo stupefatti di fronte a certe vette artistiche. Se, invece, uno dice che Dante non è più attuale e non ci dice più niente, l'uomo di cultura, quantomeno, si ribella. E' come se l'artista cogliesse una specie di eternità nell'istante transeunte. Credo che in modo simile la vedesse anche il Croce, ma forse attraverso ragionamenti diversi da questo.
Ecco allora che il problema dell'alfabeto artistico si collega con quello dell'evoluzione dell'umanità. Perché sarebbe proprio assurdo pensare che il cavernicolo, l'egiziano antico, il romano dei tempi imperiali, l'uomo del Medioevo, tutti pensassero nello stesso modo, e magari in modo simile a quello di oggi. Non è così, esistono profonde differenze, la nostra mente (ma anche il corpo, e dunque il rapporto tra i due, e quello con i sentimenti) si nutre dell'ambiente e del passato. Tutto cambia, cambiamo anche noi umani. Ed evolvono pure gli alfabeti artistici. Ciò che un tempo era custodito nei misteri, patrimonio di pochi eletti (regole geometriche, principi filosofici ...), ora fa parte delle semplici nozioni scolastiche di alunni assai giovani: come pensare che ciò non abbia influito profondamente nel loro patrimonio generalmente umano? La psicanalisi cent'anni fa era una provocazione per salotti, oggi è il prezzemolo di quasi ogni discorso sull'uomo e sui suoi sentimenti. Vuoi che questo assorbimento non abbia modificato nel profondo i percorsi mentali, emotivi ecc. delle persone?
Altro piccolo esempio: quando si vedono le prime creazioni del cinema muto, quelle di cent'anni fa solamente, si resta stupiti di fronte all'eccesso di teatralizzazione, di drammatizzazione delle scene, artifizio creato in modo che un pubblico inesperto o poco avvezzo al tipo di spettacolo potesse orientarsi con sufficiente facilità. Questo pubblico non avrebbe capito nulla di un film di Antonioni, creato solamente 50 anni dopo.
Eppure a certi filmati del muto diamo senza esitazioni la patente di capolavoro. Le eventuali goffaggini non hanno per noi, almeno dopo il primo impatto, maggior peso che i cavi telefonici o elettrici esterni agli edifici dei quali stiamo valutando la qualità architettonica.
Dunque il linguaggio (artistico, linguistico) evolve, il mondo evolve, ma l'artista cerca di puntare lo spillo su di momento particolare nel tentativo di ampliarne la valenza verso "tutti i tempi e tutti gli uomini". Verso, eh. Ma lo può fare solo nel presente, con lo strumento a lui contemporaneo. Questo comporta una lotta, ed è il dramma del creatore.
Credo che se si rinuncia a questa lotta non si faccia arte, ma solo comunicazione.