Figurativo vs astratto. Come si crea, come si "legge"

INTERMEZZO DI OSSERVAZIONI

Sì. Però la stessa realtà può venir letta secondo molteplici codici.
La Madonna di Raffaello: si può contemplarne l'aspetto artistico, venerarla per l'aspetto religioso, valutarne lo stato di conservazione, il valore economico ...

Lo vedo come un passo parallelo, piuttosto che "avanti". La suddetta Madonna comunica religiosità prima ancora che bellezza in molti individui. Il codice "religione" è più semplice ed immediato che non quello "arte".Comunque è vero che altre forme di comunicazione nascono solo dopo che si sia rinunciato al riconoscimento, o comunque se ne sia valutata la possibilità e qualità. Ma questo, solo nella cultura della maggioranza dei popoli: non però in tutti. E lo stesso riconoscimento può seguire codici differenti, v. l'esempio degli artigiani somali che non sanno leggere un disegno, o quello della tribù africana che nel feticcio ricerca non il riconoscimento visivo ma quello animistico, che non è banalmente figurativo.


Praticamente distingui le forme comunicative prive di analogia formale-funzionale (come la simbologia del semaforo, o le "astratte" lettere dell'alfabeto - che tuttavia inizialmente, presso egizi o fenici, tale analogia possedevano, cioè la loro forma imitava quella dell'oggetto indicato, derivando da pittogrammi) da quelle che mostrano una analogia formale-funzionale, come la freccia disegnata o l'omino del cartello stradale. Ci sono poi anche situazioni intermedie, talora di difficile collocazione.


La seconda affermazione è logica, ma la prima è carente. Oggi l'artista crea in una certa misura anche il proprio codice (ed è qui il punto) : tutto sta vedere se questa creazione può essere arbitraria, o riferirsi ai codici dell'attualità (come sembrano fare gli artisti oggi) o ancora invece deve sottostare a certe limitazioni - per esempio, se l'artista inserisce una frase scritta nel paesaggio, e questa frase è in Swahili, solo una minoranza può "capire". Quando hai scritto Per ricevere il messaggio dell'artista occorre guardare non solo il materiale ottico. hai appunto centrato la questione del limite superabile o meno.
Qui non sarei d'accordo. Nella Visione Zero non vi è ancora alcun riconoscimento. Questo proviene sempre già da un processo attivo. La differenza si trova nel tipo di processo attivato dall'osservatore. Posso leggere un poema di Dante scritto in bella calligrafia come un'opera poetica o, limitandomi al supporto, come un bel lavoro grafico.
Come vedi, siamo sempre a ridosso dell'arte concettuale, che pare voler "spacciare" come bistecche delle belle mazze di tamburo alla piastra. In fin dei conti, ripetendo il Magritte di Ceci n'est pas une pipe. Ma incrociare i linguaggi crea qualche problema ...

Mi pare che qui hai toccato un punto fondamentale: in molte opere sono possibile diverse letture e questo è dovuto alla natura dei linguaggi artistici.
Il linguaggio matematico è l'esempio tipico di forma di passaggio informativo libero (o quasi) da ambiguità. Ciò che esprime chi scrive il messaggio in linguaggio matematico è (quasi) ciò che riceve chi legge il messaggio. Le diverse interpretazione (comunque possibile) sono ridotte ai minimi termini.
Nei linguaggi artistici è vero l'opposto, sono molto soggetti ad ambiguità e a diverse interpretazioni, dove anche l'interpretazione autentica (quella dell'autore) può nel tempo variare. Linguaggio matematico e linguaggio artistico sono i due estremi di forme comunicative.

E' altresì importante la questione posta sull'arbitrarietà o meno dei codici artistici, l'arte concettuale di interroga sull'ontologia dell'arte. A priori non vedo perché questa interrogazione si debba negare, non debba insomma essere lecita. Occorre rispondere a quale è il limite insuperabile e perché.
Per esempio è possibile che gli artigiani somali siano in grado di imparare a riconoscere il disegno, acquisendo nuovi codici intellettivi e comunicativi.
 
@HollyFabius
Non entro ora nel merito
ma se il secondo esempio che hai postato fosse davvero un Klee :tristezza:, allora avrei due appendici scrotali da donare agli istituti di ricerca. :benedizione:

(Lo dico meglio :-D: non avrei mai pensato a Klee vedendo quest'opera, e tuttora continua a disturbarmi, checché ne possa dire Berggruen. Mah)
 
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Per ricevere il messaggio dell'artista occorre guardare non solo il materiale ottico.

Il "materiale solo ottico" esiste esclusivamente per la Visione Zero.
Non appena io comincio ad operare con la mia attenzione, inserisco tutta la storia dei miei condizionamenti. Mi oriento su quanto ho di fronte a partire, però, da come mi viene proposto. Su questo punto gioca Duchamp.
Infatti, se l'oggetto mi è proposto come cosa artistica, cioè da indagarsi con l'atteggiamento e le operazioni proprie di tale ambito, io quell'attitudine attivo. E può pure succedere che scopra nell'orinatoio rovescio alcune eleganze ora più evidenti. Ho attivato il modo di visione estetico, se la risposta lo soddisfa chiamerò l'oggetto artistico.

Ma se applico a questo modo di operare condizionamenti provenienti da tutt'altro ambito, qui si pone appunto la questione del limite.


Se invece di Mao o Marilyn Monroe, a me noti da ambiti diversi - politica e cinema - Warhol avesse ritratto uno sconosciuto (come la cioccolataia di Liotard), io avrei probabilmente operato in modo diverso nel guardare l'opera. E il lavoro avrebbe avuto un successo minore.
Io posso allora obiettare che l'importanza storica del soggetto ha valenza nulla rispetto alla qualità artistica, come millenni di storia dell'arte insegnano (poi mi si criticherà dicendo che guardo all'eternità e pertanto sono anacronistico: no, guardo all'aspetto spirituale). (Magari i modelli dei due bronzi di Riace erano due ignoranti ubriaconi ...)

Altro caso: ormai l'uso di indicare qualcosa o qualcuno con una freccia, evidenziandolo all'attenzione, è generalizzato. Potrò dunque usare, magari ironicamente, un disegno di freccia nell'opera per portare l'attenzione su un piccolo particolare che altrimenti sarebbe potuto sfuggire?

Altro caso, già citato: sappiamo tutti che cos'è una corona, magari cristallizzandola nella classica immagine dorata e puntuta. Essa è oramai divenuta un simbolo e, ove riconosciuta, agisce direttamente nella nostra comprensione dell'immagine, sia sul piano razionale che emotivo.

Caso immaginario: l'abitante di un'isola senza alberi e dove non esistono nuvole, il quale non abbia mai visto altro luogo. Per lui un paesaggio di Monet avrà delle strane macchie bianche nel cielo (sicuramente si sarà spanto del colore :-o ) ed incomprensibili formazioni verdi verticali, probabilmente invasori extraterrestri :eeh: .

Per fortuna l'astrattismo ci ha insegnato a distinguere i vari piani.
E dunque abbiamo, ad una prima grossolana osservazione:
l'astratto, solo giochi di forme e colori (e anche materia, pur se chiamata "concreta", ma ora vista nelle sue qualità percettive) (può esservi qualche lontano riferimento figurativo, e allora siamo su una via di mezzo con una o più delle seguenti)
il figurativo "elementare", ove riconosco forme che praticamente ogni uomo sulla terra riconosce "naturalmente"
il figurativo arricchito, con molti elementi legati alla cultura, alla civiltà, alla storia (chi ne fosse estraneo è escluso dalla piena comprensione).
Il figurativo con simboli anche semplici (la finestra, il letto, la casina, la corona sono comunque anche dei simboli e agiscono nel profondo)
il figurativo con le scritte (moderno), dove la scritta è insieme elemento decorativo ed informativo - e qui si opera con altre facoltà, chi non le ha viene escluso, e comunque siamo ben lontani dal puro materiale ottico
il figurativo con simboli e segni recenti, o legati all'attualità come le strisce pedonali, la paletta del vigile, il volto di Obama o Aung San Suu Kyi (vero Cris?): o addirittura con fumettistica variazione, tipo Napoleone che scatta una fotografia, dove il soggetto narrato sovrasta la pura lettura dell'immagine.

Si potrà andare avanti ...
 
Per ricevere il messaggio dell'artista occorre guardare non solo il materiale ottico.
Il "materiale solo ottico" esiste esclusivamente per la Visione Zero.
Non appena io comincio ad operare con la mia attenzione, inserisco tutta la storia dei miei condizionamenti. Mi oriento su quanto ho di fronte a partire, però, da come mi viene proposto. Su questo punto gioca Duchamp.
Infatti, se l'oggetto mi è proposto come cosa artistica, cioè da indagarsi con l'atteggiamento e le operazioni proprie di tale ambito, io quell'attitudine attivo. E può pure succedere che scopra nell'orinatoio rovescio alcune eleganze ora più evidenti. Ho attivato il modo di visione estetico, se la risposta lo soddisfa chiamerò l'oggetto artistico.

Quello che ho cercato di dire è che, superata la Visione Zero passiva (peraltro ammesso che esista una visione realmente passiva), ovvero quando comincio ad operare con la mia attenzione, questa operazione viene fatta, non necessariamente, con la parte razionale ma può venire realizzata empaticamente. In questo operare cercherò proprio di liberarmi dei condizionamenti, peraltro -ammetto- senza nessuna garanzia di riuscirvi. Anche volendo però non potrai mai usare solo i condizionamenti culturali, dovuti alla formazione ma necessariamente agiranno anche quelli emozionali.
Guardando un'opera (sia figurativa che astratta) la sua predominanza di tonalità calde ti ricorderà la realtà solare, la predominanza di tonalità verdi o azzurro/blu ti rimanderanno ad ancestrali rapporti con le montagne o il mare. Non potrai far agire solo l'aspetto razionale, anzi l'aspetto immediato sarà guidato da altro.
Se vuoi questo è il livello della Visione Uno, attiva ma empatica, poi verrà la visione Due, attiva e condizionata dalla tua cultura. Quello che rimane poi è fortemente influenzato dalla visione Due, ma i contenuti della visione Uno lavorano sempre nel tuo intimo.

Ma se applico a questo modo di operare condizionamenti provenienti da tutt'altro ambito, qui si pone appunto la questione del limite.
La questione del limite è fondamentale ma prima viene la questione del perché serva veramente un limite.
Poiché l'arte è anche superamento di tabù, spesso viene indicata come espressione di libertà. In questo sembrerebbe esprimere il superare ogni sorta di tabù.
Occorre fare una doverosa separazione tra l'arte in una visione occidentale e l'arte in una visione 'altra'. In occidente abbiamo creato una divisione tra arte e artigianato, dove nella distinzione tra la prima e la seconda operano alcuni fattori: la ripetitività, la libertà espressiva, l'originalità. L'arte in occidente è pervasa e invasa del senso del divenire tipico della nostra concezione del mondo. La ricerca di originalità, la ricerca di sempre nuove libertà, la ricerca di superamento dei limiti espressivi si pone in una cultura che ha fatto della trasformazione e del controllo un forma di potenza alternativa alla mitologia. Si superano i limiti perché si ricerca nuova conoscenza sul mondo, si ricerca nuova conoscenza perché si vuole imparare a controllare il divenire oscuro. Se non partecipi a questo gioco e ne fai un altro legato alla tradizione ti poni in un'ottica orientale, da noi ti poni in un'ottica artigianale, al più accademica. L'arte è darsi un limite per superarlo.
Questo potrebbe sembrare caratteristica delle scienze e non dell'arte, in realtà questo è caratteristica della visione occidentale dell'esistenza e quindi permea tutte le categorie del fare sociale: scienza, filosofia, arte, politica, ecc. ecc.

(...)Per fortuna l'astrattismo ci ha insegnato a distinguere i vari piani.
E dunque abbiamo, ad una prima grossolana osservazione:
l'astratto, solo giochi di forme e colori (e anche materia, pur se chiamata "concreta", ma ora vista nelle sue qualità percettive) (può esservi qualche lontano riferimento figurativo, e allora siamo su una via di mezzo con una o più delle seguenti)
il figurativo "elementare", ove riconosco forme che praticamente ogni uomo sulla terra riconosce "naturalmente"
il figurativo arricchito, con molti elementi legati alla cultura, alla civiltà, alla storia (chi ne fosse estraneo è escluso dalla piena comprensione).
Il figurativo con simboli anche semplici (la finestra, il letto, la casina, la corona sono comunque anche dei simboli e agiscono nel profondo)
il figurativo con le scritte (moderno), dove la scritta è insieme elemento decorativo ed informativo - e qui si opera con altre facoltà, chi non le ha viene escluso, e comunque siamo ben lontani dal puro materiale ottico
il figurativo con simboli e segni recenti, o legati all'attualità come le strisce pedonali, la paletta del vigile, il volto di Obama o Aung San Suu Kyi (vero Cris?): o addirittura con fumettistica variazione, tipo Napoleone che scatta una fotografia, dove il soggetto narrato sovrasta la pura lettura dell'immagine.

Si potrà andare avanti ...

Questa classificazione riguarda un solo modo di porsi che però non è l'unico possibile.
Si potrebbe obiettare che si potrebbe alternativamente operare una classificazione dove nel figurativo dove ci sono solo giochi di figure rappresentanti la realtà per poi separare le varie forme di astrattismo.
Se con astrattismo intendi solo la ricerca della forma pura per tramite di colori e forme geometriche, devi aggiungere esistono numerose altre ricerche non figurative che vengono definite con nomi propri. (Informale, Spazialismo, Azimuth, Arte cinetica, Arte programmata, ecc.).
 
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Quello che ho cercato di dire è che, superata la Visione Zero passiva (peraltro ammesso che esista una visione realmente passiva), ovvero quando comincio ad operare con la mia attenzione, questa operazione viene fatta, non necessariamente, con la parte razionale ma può venire realizzata empaticamente. In questo operare cercherò proprio di liberarmi dei condizionamenti, peraltro -ammetto- senza nessuna garanzia di riuscirvi. Anche volendo però non potrai mai usare solo i condizionamenti culturali, dovuti alla formazione ma necessariamente agiranno anche quelli emozionali.
Guardando un'opera (sia figurativa che astratta) la sua predominanza di tonalità calde ti ricorderà la realtà solare, la predominanza di tonalità verdi o azzurro/blu ti rimanderanno ad ancestrali rapporti con le montagne o il mare. Non potrai far agire solo l'aspetto razionale, anzi l'aspetto immediato sarà guidato da altro.
Se vuoi questo è il livello della Visione Uno, attiva ma empatica, poi verrà la visione Due, attiva e condizionata dalla tua cultura. Quello che rimane poi è fortemente influenzato dalla visione Due, ma i contenuti della visione Uno lavorano sempre nel tuo intimo.
Sì, dopo la Visione Zero, la stessa del neonato, si comincia a distinguere. Distinguere vuol dire tenere qualcosa e scartare dell'altro, e lo si fa con lo strumento dell'attenzione. In questo ognuno ha la sua storia, ma è evidente, come noti tu, che la parte emotiva (supportata da una specie di ricordo biologico animale, quasi un istinto) vi ha un ruolo importante, inizialmente direi esclusivo.
Questa storia personale struttura la nostra organizzazione attenzionale e le sue scelte. Visione Uno è ottimo, lo riferirei comunque ad un primo stadio di formazione, e potrebbe essere solo emotivo. Con il tempo Visione Uno tende a fondersi con Visione Zero, facendo da base per la Visione Due. Questo storicamente, ontogeneticamente. Quando leggo un'opera d'arte oggi, tutti questi stadi si fondono in un atteggiamento, che fa da base all'uso dell'attenzione in cui sono confluite tutte le esperienze, comprese quelle culturali.

In sintesi: possiamo analizzare gli stadi della visione sia nel loro sviluppo che nell'uso presente. E come sempre in questi casi, compresa l'evoluzione terrestre, ciò che si formò faticosamente nel tempo possiamo ritrovarlo in azione "al di sotto" dell'operare immediato. Gli stadi dell'apprendimento rivivono assai velocemente ogni volta che eseguiamo quell'operazione.
Perciò dobbiamo metterci d'accordo se parliamo dello sviluppo, dove i primi stadi sono i più lunghi, o dell'operazione presente, in cui essi si ri-svolgono rapidissimi, ma ciò che prende tempo e attenzione sono gli ultimi stadi, tipo la comprensione artistica.
Lascerei comunque ai neurologi e agli psicologi dello sviluppo l'approfondire le operazioni della prima età. Per noi, basta sapere che sono riassunte in quell'attimo iniziale che possiamo allora chiamare Visione Uno, o Due, come proponevi.

(continuerà, continuerà ...)
 
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La questione del limite è fondamentale ma prima viene la questione del perché serva veramente un limite.
Poiché l'arte è anche superamento di tabù, spesso viene indicata come espressione di libertà. In questo sembrerebbe esprimere il superare ogni sorta di tabù.
Occorre fare una doverosa separazione tra l'arte in una visione occidentale e l'arte in una visione 'altra'. In occidente abbiamo creato una divisione tra arte e artigianato, dove nella distinzione tra la prima e la seconda operano alcuni fattori: la ripetitività, la libertà espressiva, l'originalità. L'arte in occidente è pervasa e invasa del senso del divenire tipico della nostra concezione del mondo. La ricerca di originalità, la ricerca di sempre nuove libertà, la ricerca di superamento dei limiti espressivi si pone in una cultura che ha fatto della trasformazione e del controllo un forma di potenza alternativa alla mitologia. Si superano i limiti perché si ricerca nuova conoscenza sul mondo, si ricerca nuova conoscenza perché si vuole imparare a controllare il divenire oscuro. Se non partecipi a questo gioco e ne fai un altro legato alla tradizione ti poni in un'ottica orientale, da noi ti poni in un'ottica artigianale, al più accademica. L'arte è darsi un limite per superarlo.
Questo potrebbe sembrare caratteristica delle scienze e non dell'arte, in realtà questo è caratteristica della visione occidentale dell'esistenza e quindi permea tutte le categorie del fare sociale: scienza, filosofia, arte, politica, ecc. ecc.
Sì, l'Occidente valuta un divenire che in Oriente non viene considerato. Aggiungici che questo divenire viene sempre accompagnato dalla cultura dell'io (altri dicono della personalità, ma non è la stessa cosa). Anzi, siamo al dilemma uovo-gallina: viene prima la cultura che favorisce sempre più lo sviluppo dell'individualità o quella dell'evoluzione continua? Perché, se - faccio un esempio schematico - se uno deve sempre muoversi entro i confini della famiglia, o del popolo, e uscirne non è previsto, hai voglia a sviluppare l'io e l'originalità che accompagna ogni io emancipato. Viene da pensare che siano due facce della stessa medaglia, ma è un argomento che per ora lascio sospeso, anche nella speranza che, appigliandocisi, qualche coraggioso terzo venga a disturbare il nostro biloquio (termine che chissà se esiste, ma, se c'è soliloquio, perché no?):jack: A questo aspetto è legata anche la distinzione tra arte (opera dell'io, in evoluzione) e artigianato (che riposa nell'io collettivo, che pure evolve, ma solo se spinto dagli individui, e può anche avere una funzione di freno).

In questo momento è invece fondamentale la questione del limite. Se agli esami mi chiedono la radice quadrata di 16, non posso raccontargli le sofferenze del Leopardi :specchio:
La libertà qui c'entra poco, sarebbe come voler violare le regole degli scacchi in nome della libertà.
Non che le regole non possano evolvere, per carità, son cambiate pure quelle del calcio, che ormai è entrato in pieno modernozoico. Ma lì i ritmi di cambiamento sono lentissimi per non rompere il giocattolo.
Infatti, guardiamo un altro mondo: i maghi e giocolieri.
A loro chiedo di "ingannarmi" o di stupirmi (non con miracoli, ma con l'abilità). Poi qualcuno riesce anche ad essere comico, è una specie di bonus, però se non sa fare il mago e fa ridere comunque, non è la stessa cosa, è "solo" un comico. Al concorso di magia non ce lo vogliono. Viceversa, anche se non fa ridere, va bene, può stare tra i maghi ed essere visto e goduto come tale..

Dunque, ogni atteggiamento dell'attenzione (corrispondente alle categorie artistiche) riposa su strutture poco modificabili, evolute sia nel tempo che nel corso della vita individuale, tanto che si fa prima a crearne una nuova. Il Teatro-Danza di Pina Bausch ne è un buon esempio: ora so che se vado a vedere un tale tipo di spettacolo non mi aspetto le ballerine col tutù, tutte grazia e leggerezza. Però, essendo cosa diversa, non entrerà in commistione, o in concorrenza, con il balletto + o - classico. Arerà proprio un altro campo (sinora improduttivo). All'interno di quello si valuterà la validità dei presupposti: per Pina Bausch ha funzionato, per il fotoromanzo (che non è mai diventato una forma d'arte) no.

Quindi parliamo di cose diverse: tu, Fabius, del limite frontale e del suo superamento, io dei paletti laterali. Questi paletti servono ad orientare la mia domanda verso l'opera d'arte (visto dal mio lato di spettatore) e costituiscono delle regole (elastiche, certo) per chi sta dall'altra parte.
Qui sorge però un problema: a partire dalla fine dell'Ottocento non esistono più regole esterne (corrispondenti ad atteggiamenti dello spettatore), ma ogni artista tende a creare un proprio mondo di regole (in linea con il sopraccitato sviluppo dell'individualità). Ne consegue che per ogni artista occorrerebbe assumere un atteggiamento diverso, chiedergli di essere valido nell'ambito in cui lui stesso ha deciso di rinchiudersi. Allora, visto che probabilmente, se mi scelgo la materia d'esame vuol dire che là sono bravo, il giudizio di soddisfazione dello spettatore non verte più sull'esecuzione, che funziona sempre, ma addirittura sulla costruzione di quel mondo stesso, sulla scelta delle regole del gioco. Ecco perché si contesta Duchamp e non come poi lui abbia lavorato: chi contesta Duchamp e la sua provocazione sta correttamente operando una critica artistica, solo che il giudizio ora verte sulle regole. Hartung è bravo a tracciare i suoi segni nell'ambito che si è scelto, ma io posso dire che è proprio quel mondo che non mi va, non mi attira.
Gli artisti mediocri sono poi stati bravissimi a limitare furbescamente il proprio operare in ambiti ridicolmente ristretti, tipo monocromo o minimalismo: ai loro critici possono opporre la libertà dell'artista, la soggettività del gusto, possono accusarli di essere retrogradi, tanto tutto è opinabile, no? Ecco perché poi tutto "diventa arte", comprese le uova nella vagina o il colore lanciato dall'elicottero: basta essere bravi in quello (poco :-D) che si è scelto di fare. E nessuno può criticare i presupposti in quanto liberi, ma questo è un inganno: sono proprio i presupposti che devono venir criticati, giudicati, valutati.
Ma allora non si dovrebbe pretendere di sedere nel consesso già millenario dell'arte. Troppo comodo. Perché queste opere non si guardano con gli stessi occhi con cui si guardava l'arte sino ad anni recenti. Le regole si sono troppo ampliate (troppo per coabitare con l'altra arte), come detto, fino a produrre per partenogenesi migliaia e migliaia di regolette nuove, che con la casa madre quasi mai hanno qualcosa da spartire.

Breve: dal panettiere voglio un pane buono. Dirigo la mia attenzione sul gusto del pane e lo giudico su questo. L'ambito dei valori è chiaro.
Guardo un cabarettista e mi aspetto che mi faccia ridere, questo il mio atteggiamento iniziale. Uno può anche cambiare, e provare a commuovermi senza farmi ridere: chiaro che per comprenderlo dovrò muovere la mia attenzione in modo differente. Poi, però, non deve chiedermi di dire che è un bravo comico. Dirò che è un bravo attore drammatico.

Termino con una domanda: come vanno guardate le installazioni? Secondo le regole dell'autore, immagino. Ecco che quindi probabilmente lui sarà stato bravissimo ad applicarle, non ci piove. Allora il giudizio, come detto, si sposta sulle scelte iniziali, sennò todos caballeros, pure gli incapaci. Siamo d'accordo?
 
Questa classificazione riguarda un solo modo di porsi che però non è l'unico possibile.
Si potrebbe obiettare che si potrebbe alternativamente operare una classificazione dove nel figurativo dove ci sono solo giochi di figure rappresentanti la realtà per poi separare le varie forme di astrattismo.
Se con astrattismo intendi solo la ricerca della forma pura per tramite di colori e forme geometriche, devi aggiungere esistono numerose altre ricerche non figurative che vengono definite con nomi propri. (Informale, Spazialismo, Azimuth, Arte cinetica, Arte programmata, ecc.).
Non voleva essere una classificazione esaustiva (siamo matti?), solo mostrare alcune discriminanti. Il discorso specifico sulle varie correnti può tranquillamente venir posposto ad un secondo tempo :)
 
Dunque, proseguo il nostro dialogo anch'io sperando che qualcun'altro abbia la voglia di inserirsi e dire la sua.

Osservazioni sul problema del limite
Come giustamente hai fatto notare ogni attività umana viene 'configurata', razionalizzata all'interno di un ambito di esistenza.
Il punto è che questa razionalizzazione, questo stabilire le regole del gioco è spesso un processo reversibile, non definitivo: è soggetto a cambiamenti e
questi cambiamenti sono dovuti sempre ad un mutare di convenzioni.
Riprendo l'esempio del gioco degli scacchi che mi pare interessante.
Senza risalire a giochi molto simili agli scacchi del passato che oggi vengono ricordati con nomi diversi, ci sono regole che sono state sistematizzate recentemente.
Ovvero le regole attuali del gioco non sono valide dalla notte dei tempi. Per esempio nel medioevo, in Italia, come prima mossa si potevano muovere contemporaneamente due pedoni di una casa e la mossa dell'arrocco venive effettuata diversamente: queste regole oggi sono andate perse.
Anche oggi si comincia a sentire l'esigenza di variare alcune regole.
Un noto campione del mondo del recente passato (Bobby Fischer) propose una versione oggi piuttosto popolare che prevede il sorteggio della posizione iniziale.
Bisogna riflettere sul fatto che oggi, anche solo i motori su cellulare, sono in condizione di battere i migliori giocatori del mondo, la miniaturizzazione crea dei pericoli al corretto svolgimento dei tornei.
Nell'ambiente ci si interroga se non sia il caso di cambiare qualche regola per 'azzerare' i vantaggi di un uso illegale della tecnologia, per esempio adottando la versione di Fischer.
Ma chi è deputato a decidere di un eventuale cambio delle regole? Negli scacchi è la federazione internazionale, riconosciuta dalle federazioni nazionali.
Il punto è che versioni diverse del gioco vengono giocate sempre più spesso sui vari siti e si cominciano ad organizzare tornei con versioni diverse del gioco.
Cosa succederà tra venti-trenta o cinquanta anni, quando magari il gioco non avrà più misteri per i motori e quando un semplice apparecchietto invisibile in un orecchio unito a qualche mezzo trasmissivo minuscolo renderanno forte, come e più del campione del mondo, anche un ebete che conosca appena le regole di movimento dei pezzi?

Le regole non sono scritte nella pietra, sono proposte da una persona, da un gruppo e poi imposte per ragioni, le più varie, alla collettività.
L'accettazione delle nuove regole non necessariamente viene subita passivamente ma è anche possibile che vi sia una compartecipazione alla definizione di nuove regole e nuovi limiti.

Ma in Arte esistono delle regole del gioco certificate da qualche ente riconosciuto da tutti deputato a stabilirle?
Ammettiamo che gli artisti e i collezionisti oltrepassino i limiti, la questione potrebbe essere:
se i musei si aprono a forme d'arte di una certa natura, se le accademie insegnano forme d'arte diverse dal passato chi è deputato a sostenere "state superando i limiti del gioco!"?

Può farlo la riflessione critica, singoli uomini che ricordino e riportino in veste di un atteggiamento morale da giustificare.
Però è la stessa riflessione critica che ha messo in dubbio gli atteggiamenti del passato, il senso di fare arte del passato, il senso ontologico stessa di Arte.

Qui sorge però un problema: a partire dalla fine dell'Ottocento non esistono più regole esterne (corrispondenti ad atteggiamenti dello spettatore), ma ogni artista tende a creare un proprio mondo di regole (in linea con il sopraccitato sviluppo dell'individualità). Ne consegue che per ogni artista occorrerebbe assumere un atteggiamento diverso, chiedergli di essere valido nell'ambito in cui lui stesso ha deciso di rinchiudersi. Allora, visto che probabilmente, se mi scelgo la materia d'esame vuol dire che là sono bravo, il giudizio di soddisfazione dello spettatore non verte più sull'esecuzione, che funziona sempre, ma addirittura sulla costruzione di quel mondo stesso, sulla scelta delle regole del gioco. Ecco perché si contesta Duchamp e non come poi lui abbia lavorato: chi contesta Duchamp e la sua provocazione sta correttamente operando una critica artistica, solo che il giudizio ora verte sulle regole. Hartung è bravo a tracciare i suoi segni nell'ambito che si è scelto, ma io posso dire che è proprio quel mondo che non mi va, non mi attira.
Gli artisti mediocri sono poi stati bravissimi a limitare furbescamente il proprio operare in ambiti ridicolmente ristretti, tipo monocromo o minimalismo: ai loro critici possono opporre la libertà dell'artista, la soggettività del gusto, possono accusarli di essere retrogradi, tanto tutto è opinabile, no? Ecco perché poi tutto "diventa arte", comprese le uova nella vagina o il colore lanciato dall'elicottero: basta essere bravi in quello (poco :-D) che si è scelto di fare. E nessuno può criticare i presupposti in quanto liberi, ma questo è un inganno: sono proprio i presupposti che devono venir criticati, giudicati, valutati.

Quanto tu scrivi è vero, ogni artista nella nostra odierna società individualista tende a creare una propria proposta di regole. Queste regole vorrebbero fondare un nuovo linguaggio espressivo, vorrebbero poi affermarlo nella collettività e renderlo, con questo, universale.
Questo è la base per la costruzione di nuovi messaggi, per il passaggio di nuovi contenuti per la formazione di nuove comunicazioni spirituali.
Nella nostra era del consumo 'veloce' questo viene 'sporcato' da atteggiamenti superficiali sia dei fruitori che degli operatori del settore miscelando cultura a costume, avvicinando ricerche degne di compararsi alla tradizione con ricerche indegne.
Ma occorre avere consapevolezza che sarà solo il setaccio della storia a giudicare e dividere, ogni uomo non riesce ad abbracciare nella prospettiva storica il proprio tempo perché banalmente per 'vedere' la prospettiva storica occorre essere esterni al proprio tempo.

(continua...)
 
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Riporto questa che ritengo importante considerazione:
Gli artisti mediocri sono poi stati bravissimi a limitare furbescamente il proprio operare in ambiti ridicolmente ristretti, tipo monocromo o minimalismo: ai loro critici possono opporre la libertà dell'artista, la soggettività del gusto, possono accusarli di essere retrogradi, tanto tutto è opinabile, no? Ecco perché poi tutto "diventa arte", comprese le uova nella vagina o il colore lanciato dall'elicottero: basta essere bravi in quello (poco :-D) che si è scelto di fare. E nessuno può criticare i presupposti in quanto liberi, ma questo è un inganno: sono proprio i presupposti che devono venir criticati, giudicati, valutati.

facendo anche qui una osservazione.

E' comprensibile che una volta affermato un nuovo modo di intendere il fare arte vi siano poi molteplici tentativi di sfruttare la nuova via, quasi che la fanciulla non più vergine sia migliore garanzia di facile successo. Occorre maturare per capire che magari qualità e quantità non coincidano e questo sia in arte che nel gioco più antico del mondo.
Anche su questo sarà la storia a porre dei paletti, vi sarà comprensione di chi ha aperto la via, di chi ha tagliato e strappato la tela al termine di un processo interiore e che magari si è scontrato con resistenze culturali e di chi ha ripetuto un atteggiamento per meri fini commerciali.
Insomma penso che la storia riuscirà a separare fenomeni di costume da fenomeni di altra natura, se non dovesse riuscirci questo significherebbe che il percorso storico complessivo dell'arte era ben poca cosa.
Nondimeno continuo a credere che l'Arte (con la A maiuscola) sia sfondamento di tabù espressivi ma che questo sfondamento debba venire associato ad un messaggio emotivo che si fa (che tende e vuole diventare) intellettivo. Come nel nostro percorso tra le visioni, dalla zero immediata alle successive mediate dall'intelligenza e dalla cultura un messaggio deve essere originale ed autentico per essere significativamente percepito. Ma il messaggio deve sempre (e dico sempre) mostrare un aspetto vincolato alla capacità umana di trasformazione e rappresentazione della realtà. L'uomo, nell'oggetto della creazione artistica, si deve sempre percepire. Dove l'uomo si confonde con la sola casualità della natura l'arte sfuma e si perde. Questo è l'unico limite e confine che io riesco ad immaginare nell'azione del fare arte.
 
Beh, Fabius, miracolosamente :prr: le nostre posizioni si sono molto avvicinate.
Come minimo intervallo semi-extra mi sia permesso di riferirmi a recenti avvenimenti.
Avendo un po' sbeffeggiato alcuni artisti (?) quali Cattelan e Bonalumi sono stato accusato di mancanza di rispetto. L'invito sostanziale era: se non ti interessano, non parlarne e punto. Con l'apparentemente logica aggiunta che se non si è d'accordo sulle premesse è inutile criticare.
A parte che l'accusa era di critica insistente (falsa, per non disturbare l'ho sempre limitata), mi pare che ora siamo giunti alla conclusione (almeno io) che tali tipi di autori si possono criticare solo sulle premesse, non certo sull'esecuzione, dove Bonalumi = Simeti = mille altri. Per assurdo (o per interesse venale) si vorrebbe invece limitare proprio l'unica critica possibile. Appiattendosi sui volantini dei critici prezzolati.
Tu dici che la storia separerà il grano dal loglio. Beh, io sono convinto che la critica abbia il compito (oggi tradito) di anticipare in questo la storia, magari sbagliando, però mai tirandosi indietro. C'è dunque una censura strisciante in atto ed un appiattimento conformistico pazzesco. Si dà dell'ignorante a chi rifiuta o critica certe premesse. Che è invece l'unica critica possibile, per paradosso anche in positivo.
Per cui, viva anche lo Sgarbi che per la passerella di Christo parla di "passerella verso il nulla". Lui dice così perché forse non ha coscienza di criticare le premesse e non l'esecuzione. Ma il pubblico accorso a tutto quel luna park sospetto che non abbia le idee molto chiare, nel raro caso in cui gli sia rimasto un cervello funzionante.
Della passerella in sé non parlo: non l'ho vista e, soprattutto, non m interessa, così come non critico il circo, che non vado a vedere.
Però mi torna alle orecchie l'obiezione del libraio Angelo Pezzana, segretario del Fronte Omosessuali: se non hai mai provato, come puoi dire che non ti va?
Al che, vale sempre la grandiosa risposta dell'editore Scheiwiller: Non l'ho letto e non mi piace!
 

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