FINCHE' CI SARA' L'AUTUNNO, NON AVRO' ABBASTANZA MANI, TELE E COLORI PER DIPINGERE LA BELLEZZA CHE VEDO

Riflessioni sulla "squola" italiana.


Il tema non è pubblico privato, o meglio pubblico statale e pubblico non statale.
Una visione in verità un po’ datata, anche se purtroppo non superata, il rapporto pubblico-privato in ambito scolastico.


La scuola è un luogo dove in modo organico viene raccolta la grande eredità di conoscenze e di cultura di secoli di storia della civiltà
e conferita ai giovani perché la assumano criticamente e la rielaborino per un ulteriore progresso.

Questo processo avviene attraverso il lavoro diretto di insegnanti in relazione con le famiglie e con la società tutta.

Occorre però ricordare, a proposito del ruolo dei genitori, che la nostra Costituzione (art. 30)
e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26)
riconoscono ai genitori il primario diritto/dovere dell’educazione dei figli.

Questo significa che i genitori hanno voce in capitolo nell’attività scolastica,
certo non per interferire sui teoremi o sulle versioni di latino
ma sul percorso educativo e sulla maturazione dei ragazzi.

Significa anche che i genitori hanno il diritto di scegliere la scuola migliore per i propri figli,
secondo la propria valutazione e responsabilità.


La situazione delle scuole statali, alle prese con difficoltà e disfunzioni di varia natura,
e che tale stato di cose dipenda da “budget di una manciata di migliaia di euro”........

In realtà per le scuole statali c’è una montagna alta 50MLD di € (bilancio MIUR)

cui vanno aggiunti gli stanziamenti per energia, gas, manutenzioni, edilizia scolastica,

mense, pulizie, trasporti, servizi che gravano sui bilanci degli enti locali.


Uno studente nelle scuole statali costa alla collettività oltre 8000€ anno.



Soldi dei contribuenti.

Non sto a dire se sia tanto o poco.

Dico che è prevalente il senso di amarezza, di sconforto o anche di rabbia al confronto fra risorse e risultati.

Risultati deludenti.

Ci sono anche, e sono più importanti, i risultati delle classifiche OCSE_PISA
sui livelli di apprendimento che vedono il nostro Paese piuttosto in basso.

Amarezza, sconforto e rabbia che condivido totalmente.

Non mi va assolutamente bene che questa sia la condizione della scuola statale.

Credo che non vada bene a nessuno.


Ma cambiare si può: basta osservare la realtà.

Le scuole paritarie funzionano grazie alle rette pagate dei genitori: circa 4/5mila euro anno (non 8000)

e le secondarie, per le quali i contributi statali sono praticamente un nulla.

Ci sono i contributi pubblici per un totale di circa 500ML (meno dell1% della spesa pubblica per la scuola)
e sono concentrati sulle scuole dell’infanzia e, in minima parte, sulle scuole primarie.

Proprio per questo le primarie possono funzionare accontentandosi di rette più basse, 3000€ o poco più.


Come si spiega dunque? Semplice: efficienza gestionale.


Ma come può, invece, essere efficiente una organizzazione
che deve gestire centralisticamente oltre un milione di dipendenti?

E come fa una tale organizzazione ad avere la flessibilità necessaria a seguire l’evolversi rapido della società
fornendo ai ragazzi una preparazione al passo con i tempi?

La flessibilità per adattarsi anche ai diversi contesti socioeconomici?


E come fa la suddetta organizzazione a tirare su degli uomini con la voglia di fare,

di mettersi in gioco con responsabilità, di intraprendere, di innovare,

se chi è deputato a questo (innanzitutto gli insegnanti)

sono impiegati statali a posto fisso, con retribuzioni appiattite, con avanzamenti avulsi dal merito?



Che fare?

Semplice: autonomia, parità, libertà di scelta.

Semplice non vuole dire facile.

Si tratta infatti di una rivoluzione del sistema scolastico.

Ma è anche ora di finirla col dire che siccome è difficile, allora niente.


Neppure il PNRR, che pure prevede importanti investimenti sulla scuola (cosa lodevolissima)
interviene nel miglioramento a livello della struttura del sistema.

Col risultato che i tanti soldi immessi nel sistema dal suddetto PNRR
avranno un rendimento da zerovirgola, se parliamo di un salto di qualità del sistema.


Tutto questo è per dire che contrapporre pubblico a privato non ha alcun senso.

L’unico tema è quello della scuola pubblica, la scuola di tutti.

E va cambiata.


Quanto alla libertà di insegnamento, siamo tutti d’accordo che sia un valore fondamentale e irrinunciabile.

Ma dove questo valore è minacciato?

Forse nelle scuole cattoliche?

Certamente no ed è comunque cosa facile da verificare.


In ogni caso lo Stato ha tutti i mezzi per evitare che ciò avvenga
semplicemente ponendo vincoli adeguati all’attività didattica, per esempio il rispetto della Costituzione.

E ciò nei confronti di qualunque tipo di scuola, comprese le eventuali islamiche o di altri orientamenti.


Al contrario dove la libertà di insegnamento può essere, ed è stata storicamente conculcata?

Nei regimi totalitari, nelle dittature vecchie e nuove.

Anche oggi infatti, per esempio Xi Jin Ping o Erdogan
hanno creato una scuola totalmente in mano allo Stato
e se ne servono per indottrinare i giovani e consolidare il potere.


Ora, noi siamo in democrazia e siamo ben lontani da queste situazioni.


Osservo però che qualora in uno Stato esistesse un sistema scolastico totalmente in mano allo stesso,
questo fatto configurerebbe una situazione oggettivamente inquietante
nel momento in cui andasse al potere uno che quello strumento volesse utilizzare.


Una specie di “cellula dormiente” che un domani, in un lontano futuro (tifiamo per il “mai”) qualcuno potrebbe risvegliare.

A mo’ di pura suggestione possiamo rimandare a “Soumission” il romanzo di Houellebecq.


Viva la libertà di insegnamento, viva la liberà di educazione, viva la libertà di scelta educativa.


Viva la libertà dai mezzi di informazione adepti del potere.
 
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Riflessioni di un Medico.


Indubbiamente l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da coronavirus
ha creato un disordine improvviso e traumatico in tutte le nostre attività.

Un disordine che a fatica stiamo cercando di aggiustare.


“Tutto tornerà come prima” è stato uno slogan proclamato come un mantra all’inizio della pandemia,


che ha creato una pericolosa illusione e che ha generato una attesa rinunciataria,

che in alcuni casi è sfociata in un dannoso immobilismo, nichilismo e sospensione del tempo.


Tutto non tornerà come prima: alcuni atteggiamenti, alcuni pensieri, alcuni sistemi sono e saranno inevitabilmente differenti.


Non voglio comunque soffermarmi su questo aspetto ma su un altro e precisamente sul fatto che spesso, per non dire quasi sempre,
adesso ci si sente rispondere che la colpa delle cose che non funzionano, dei disguidi, dei ritardi è del covid.


Mi chiedo è proprio e sempre così?


O piuttosto non è un semplice e comodo alibi (che chiamerei alibi del covid) per giustificare un malfunzionamento sociale intrinseco?


Il covid può avere avuto e continua ad avere, solo il ruolo di averlo evidenziato in modo chiaro e doloroso.


E tra le attività sociali in crisi e malfunzionanti penso al sistema sanitario, soltanto perché è quello che conosco meglio.
 
A proposito di squola ed educazione genitoriale.


Otto giovani agli arresti domiciliari altri quattro indagati in stato di libertà

accusati di rapina, lesioni personali aggravate e percosse:

sono i componenti di una baby gang che avrebbe intimorito altri coetanei con minacce, “spedizioni punitive” e pestaggi.


Si tratta di adolescenti, tra i 15 e i 16 anni, residenti tra la provincia di Monza e quella di Lecco:

gli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri di Seregno

nei paesi di Besana in Brianza, Renate, Veduggio con Colzano e Costa Masnaga.

L’ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita dai Carabinieri di Seregno.


Tra gli indagati c’è anche un maggiorenne.


A denunciarli sono stati le loro vittime, dodici giovani, tutti 15enni, c
he hanno superato la paura e hanno deciso di raccontare tutto ai carabinieri di Besana.


Tutto sarebbe iniziato con una rapina avvenuta il 16 dicembre dello scorso anno,
nella frazione di Valle Guidino dove, in cinque, con la minaccia di un acciarino, avrebbero rapinato 30 euro ad una delle vittime.


Non contenti, il giorno successivo gli stessi giovani sarebbero tornati all’interno del parco “Villa Filippini” di Besana dove,
“dopo spintoni, atti di intimidazione e schernimento, prima hanno richiesto insistentemente scarpe, indumenti e soldi alle loro vittime
e poi, a una di esse, hanno portato via una cassa acustica – spiegano i Carabinieri –

In quella circostanza uno degli indagati, un 15enne, ha affermato che lui ruba tutto quello che gli piace, tanto loro (le vittime) hanno i soldi”.


E ancora, il giorno 18 dicembre, nel pieno centro cittadino, in Piazza Umberto I,
il ‘branco’ avrebbe minacciato e colpito con schiaffi sulla testa uno dei minori
che, in quel momento, stava passeggiando in compagnia dell’anziano nonno.


Nell’occasione gli altri venti giovani del branco avrebbero osservato divertiti commentando con frasi del tipo:
“Rissa, ora scatta la rissa, si danno le botte!”.


Poi è arrivato il sospetto che qualcuno potesse essersi rivolto alle forze dell’ordine.

Quindi, il giorno 22 dicembre, sempre nel parco di Villa Filippini
il gruppo di violenti avrebbe ingaggiato le vittime e le avrebbe minacciate
accusandole di aver fatto i loro nomi ai Carabinieri e urlando loro la frase

“Perché avete fatto i nomi agli sbirri?”.





Infine, l’episodio principale avvenuto il giorno 23 dicembre, quando il branco,
tra questi anche una ragazza di 15 anni (non indagata),
si sarebbero recati ancora una volta in quel parco dove erano certi avrebbero trovato le loro vittime.

Le avrebbero quindi accerchiate e hanno impedito loro qualsiasi possibilità di fuga.


Poi, spiegano gli inquirenti, le avrebbero minacciate e aggredite verbalmente con frasi del tipo

“Oh, vedi di non fare il mio nome perché, se no, ti entro in casa e ti spacco tutto, non sto scherzando!”.

Poi sarebbe partito l’assalto con ripetuti schiaffi e pugni.


Nell’occasione, per le numerose contusioni – anche facciali – riportate,
tre dei giovani sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso
di Carate Brianza
riportando ognuno 7 giorni di prognosi.


In seguito all’ultimo evento i genitori di tutte le vittime hanno sporto denuncia contro ignoti.


Sono scattate quindi le indagini dei Carabinieri della Stazione di Besana in Brianza che,
dopo aver acquisito, visionato e analizzato ore e ore di immagini di svariati impianti di videosorveglianza,
raccolto numerose prove testimoniali avrebbero raccolto conformi indizi di colpevolezza nei confronti dei 12 giovani c
he hanno portato alle misure della scorsa notte.

Per gli 8 destinatari della misura cautelare anche l’obbligo di non allontanarsi, dalle loro abitazioni,
il divieto di utilizzare social network e di comunicazione mediante l’utilizzo di internet o apparecchi cellulari
con persone diverse dai propri familiari.
 
Riuscite a capire perchè "qualsiasi decesso" lo fanno passare per "decesso da covid" ?

E perchè presto cambieremo colore ........BUFFONI



Nella seduta del 4 agosto scorso, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato diversi provvedimenti,
tra i quali un incredibile aumento delle tariffe dei rimborsi agli ospedali pubblici per i pazienti Covid.


Grazie al cosiddetto decreto DRG e Funzione Covid,

adesso per ogni paziente Covid

gli ospedali pubblici riceveranno un massimo di 3.713 euro al giorno a paziente per ricovero ordinario

e 9.697 euro al giorno per ogni paziente che occupa il posto in terapia intensiva.



Il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e ha fatto subito sgranare gli occhi a molti osservatori.


Siccome a pensar male è peccato ma spesso ci si indovina,

qualcuno ha sommessamente evidenziato che se alle aziende conviene così tanto ricoverare per Covid,

sarà assai probabile un aumento dei ricoveri nelle prossime settimane,

anche perché il decreto è molto vantaggioso da questo punto di vista,

perché i rimborsi arriveranno “indipendentemente dal codice DRG della dimissione finale”.



Ma andiamo con ordine.


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Il decreto è costituito dai seguenti articoli:

articolo 1 – “Finalità, ambito di applicazione e durata”;

articolo 2 – “Determinazione dell’incremento tariffario massimo di riferimento per le prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti a pazienti affetti da COVID-19”;

articolo 3 – “Definizione delle funzioni assistenziali correlate all’emergenza Covid-19”;

articolo 4 – “Criteri generali per la determinazione della remunerazione massima della funzione relativa ai costi di attesa dei posti letto di ricovero ospedaliero per acuti per pazienti affetti da COVID-19”;

articolo 5 – “Criteri generali per la determinazione della remunerazione massima della funzione relativa ai costi di attesa dei reparti di pronto soccorso dedicati alla gestione dei casi accertati COVID-19 e dei casi sospetti COVID-19”;

articolo 6 – “Attività di controllo”;

articolo 7 – “Disposizioni transitorie e finali”.


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Il punto 2 dell’articolo 2 è quello che suscita più attenzioni,
perché è qui che troviamo scritto, come consultabile in Gazzetta Ufficiale:

“L’incremento tariffario massimo,
per ciascun episodio di ricovero con durata di degenza maggiore di un giorno,
è pari a 3.713 euro se il ricovero è avvenuto esclusivamente in area medica
e a 9.697 euro se il ricovero è’ transitato in terapia intensiva.
In caso di dimissione del paziente per trasferimento tra strutture di ricovero e cura,
l’incremento tariffario è ripartito tra le strutture in proporzione alla durata della degenza in ciascuna”.

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Il punto 1, invece, recita:

“Le prestazioni di ricovero per acuti a pazienti affetti da COVID-19,
indipendentemente dal codice DRG della dimissione finale,
sono remunerate maggiorando l’ordinaria remunerazione di cui al decreto ministeriale 18 ottobre 2012
con l’incremento tariffario di cui al comma 2 del presente articolo”.
 
Auspico che ci siano dei genitori sempre più responsabili del futuro dei loro bimbi.



Il governo italiano in questi giorni si sta accanendo sempre di più sui bambini.

Pur di vaccinare anche loro, si stanno inventando di tutto:

prima hanno detto che sono loro la causa della quarta ondata;

poi hanno sostenuto che i più piccoli (che inizialmente non si contagiavano)

ora contagiano i più grandi (vaccinati) che finiscono in terapia intensiva e muoiono;

nel mentre pensano di non far entrare a scuola gli alunni non vaccinati.


Insomma, un vero disastro, l’ennesimo, fondato sul nulla,
senza alcune base scientifica a confermare le loro tesi scellerate.


Fortunatamente, però, in altre parti del mondo gli studi li fanno e i dati li leggono.

E da un recentissimo studio curato da Jonas F. Ludvigsson,
e pubblicato dal National Center for Biotechnology Information degli Stati Uniti,
emerge che la verità è evidentemente un’altra.


L’autore dello studio, il dottor Jonas F. Ludvigsson
(Dipartimento di Epidemiologia Medica e Biostatistica, Karolinska Institutet, Stoccolma Svezia,
Dipartimento di pediatria, Ospedale universitario di Orebro, Orebro Svezia, Divisione di Epidemiologia e Salute Pubblica,
Scuola di Medicina, Università di Nottingham, Regno Unito, Dipartimento di Medicina,
Columbia University College of Physicians and Surgeons, New York), non uno Speranza qualsiasi,

ha sostenuto:

“La credenza che siano i bambini a contagiare gli adulti andrebbe ribaltata.

Uno dei più completi studi a riguardo ha evidenziato che nelle famiglie con almeno un bambino o un genitore positivi,

la combinazione genitore sieropositivo con bambino sieronegativo è stata 4,1 volte più frequente del contrario”.



Scrive il ricercatore:

“La pandemia di coronavirus 2019 (COVID-19) ha colpito centinaia di migliaia di persone.

I dati sui sintomi e sulla prognosi nei bambini sono rari.

È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura per identificare i documenti su COVID-19,

che è causato dalla sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2),

utilizzando i database MEDLINE ed Embase tra il 1 gennaio e il 18 marzo 2020.

La ricerca ha identificato 45 articoli scientifici e lettere rilevanti.

La revisione ha mostrato che i bambini hanno finora rappresentato l’1%-5% dei casi diagnosticati di COVID-19,

spesso hanno una malattia più lieve rispetto agli adulti e i decessi sono stati estremamente rari”.

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Continua Ludvigsson:

“I risultati diagnostici sono stati simili agli adulti, con febbre e sintomi respiratori prevalenti,

ma un minor numero di bambini sembra aver sviluppato una polmonite grave.

I marcatori infiammatori elevati erano meno comuni nei bambini e la linfocitopenia sembrava rara.

I neonati hanno sviluppato COVID-19 sintomatico, ma le prove di trasmissione intrauterina verticale erano scarse.

Il trattamento suggerito includeva la fornitura di ossigeno, inalazioni, supporto nutrizionale e mantenimento di liquidi ed equilibri elettrolitici”.


In conclusione Ludvigsson sostiene:

“La malattia da coronavirus 2019 si è verificata nei bambini,

ma sembravano avere un decorso più lieve e una prognosi migliore rispetto agli adulti.

I decessi erano estremamente rari”.


Che se le leggano le ricerche al ministero della Salute.

Riportiamo qui l’articolo integrale in inglese.
 
Va punito per molestia chi telefona di notte anche se non ha l’intenzione di disturbare? Quante telefonate servono per far scattare il reato?
Basta chiamate a orari inopportuni:
così può essere sintetizzato il principio espresso dalla Corte di Cassazione
in una sentenza depositata appena ieri [1].

Rivendicando un orientamento che era già stato fatto proprio dalla precedente giurisprudenza
ma che non aveva ancora trovato una consacrazione formale,
la Suprema Corte ha stabilito che è reato telefonare di notte anche se non si ha l’intenzione di disturbare.

Analizziamo brevemente il caso affrontato dai giudici.


Per legge (art. 660 Cod. pen.), il reato di molestie può configurarsi in due modi:

  • arrecando disturbo in luogo pubblico (cioè in un posto accessibile a tutti: piazze, libere vie, ecc.) o aperto al pubblico (bar, cinema, museo, ecc.);

  • importunando la vittima tramite telefono.
In entrambi i casi, la molestia deve avvenire per petulanza o per altro biasimevole motivo:

  • per petulanza si intende ogni condotta arrogante, presuntuosa o maleducata.
  • Secondo la Cassazione, la petulanza consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto,
  • tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri;

  • è biasimevole ogni altro motivo deplorabile, cioè ingiustificato e, perciò, illegittimo.

  • Si pensi a chi chiama continuamente in preda a un’ingiustificata gelosia oppure per chiedere la restituzione di dieci centesimi.

Secondo la recentissima sentenza della Corte di Cassazione sopra richiamata,
può essere punito per molestia chi telefona di notte anche se non ha l’intenzione di disturbare.


Secondo la Suprema Corte, non conta l’intento di chi fa le telefonate per far scattare la molestia,
se il modo di agire è oggettivamente petulante e interferisce sgradevolmente nella sfera privata della vittima.


Così testualmente la Cassazione:

«Per il perfezionamento del reato di molestie è richiesto che la volontà della condotta
e la direzione della volontà siano direzionate verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà.
In tal senso, ai fini della sussistenza del reato, gli intenti persecutori dell’agente sono del tutto irrilevanti,
una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento,
esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente,
indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone».

Insomma, va condannato al pagamento di un’ammenda per molestia chi maleducatamente telefona di notte arrecando disturbo alla vittima.


Secondo la Corte di Cassazione, il reato di molestia non è necessariamente abituale,
per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo,
purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza.


Ciò significa che potrebbe bastare anche una sola telefonata molesta per aversi reato [2].



D’ora in avanti, dunque, bisognerà stare bene attenti a telefonare in orari poco consoni,

in quanto potrebbe bastare davvero poco per integrare il reato di molestie.
 
È legale riprendere gli agenti delle forze dell’ordine mentre sono in servizio? È possibile pubblicare foto e video della polizia per motivi di cronaca?
Il diritto alla riservatezza è fortemente messo in discussione
a causa della facilità con cui oggi è possibile effettuare fotografie e videoriprese.

Attraverso i moderni smartphone ci vuole davvero poco per catturare un’immagine
e poi magari divulgarla in rete, rendendola visibile a tutti.

Questa condotta è lecita?

Cosa succede se l’oggetto della ripresa è un appartenente alle forze dell’ordine?

Si può filmare un poliziotto durante una manifestazione?


Più che mai il problema si pone oggi per i numerosi cortei di protesta
contro le misure governative adottate per fronteggiare la pandemia da Covid-19.

Il Green pass, cioè il certificato sanitario che attesta l’avvenuta vaccinazione,
la guarigione dalla malattia o la negatività al tampone, è fortemente contestato
da quanti ritengono che si tratti di misura discriminatoria.

Di qui le numerose manifestazioni di protesta da parte dei cittadini che non vogliono vaccinarsi né accettare la validità del suddetto certificato.


Con questo articolo non ci occuperemo dell’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus,
bensì di quando è consentito filmare le forze dell’ordine;

ancor più nello specifico, risponderemo alla seguente domanda:

si può filmare un poliziotto durante una manifestazione no vax o no pass?


Non c’è alcuna norma di legge che proibisca di riprendere la polizia quando è nell’esercizio delle proprie funzioni.



Sul punto, l’Autorità garante per la privacy è molto chiara:

«i funzionari pubblici e i pubblici ufficiali, compresi i rappresentanti delle forze di polizia
impegnati in operazioni di controllo o presenti in manifestazioni o avvenimenti pubblici,
possono essere fotografati e filmati, a meno che non vi sia un espresso divieto dell’Autorità pubblica» [1].


Non ci sono dubbi: è legale filmare gli agenti delle forze dell’ordine, purché non vi sia un divieto.

Ad esempio, potrebbe essere proibito riprendere i poliziotti mentre eseguono la cattura di un pericoloso latitante
oppure mentre stanno agendo sotto copertura per arrestare un criminale.

In tutti gli altri casi, deve ritenersi perfettamente legale filmare la polizia mentre svolge il proprio servizio.


Peraltro, come spiega il direttore di LLpT nel video “Si può filmare un poliziotto?“,
nulla vieta di riprendere gli agenti delle forze dell’ordine mentre effettuano un controllo (ad esempio, una perquisizione) in casa propria:
è infatti lecito fare una ripresa nel proprio domicilio privato.


Se, invece, si tratta di un luogo di privata dimora altrui, allora la ripresa non sarà legale senza il consenso del proprietario di casa.


Da quanto detto nel precedente paragrafo si evince che

è legale filmare la polizia durante una manifestazione no vax o no pass,

ad esempio mentre garantisce il rispetto dell’ordine pubblico.


Non lo sarebbe se vi fosse un’espressa proibizione dell’autorità pubblica:

si pensi ad esempio al divieto proveniente dalla prefettura al fine di evitare disordini.


Il fatto che sia legale riprendere la polizia mentre è in servizio non significa che sia lecito diffondere il video così ottenuto.


Secondo la legge italiana, costituisce una violazione della privacy

divulgare le immagini di una persona senza il consenso di quest’ultima.


In altre parole, è sempre illegale pubblicare o diffondere contenuti (foto, filmati, ecc.)

in cui è possibile identificare i soggetti ritratti, a meno che questi ultimi

non abbiano prestato il consenso

oppure non si proceda a rendere non identificabili le persone coinvolte.



Questo significa che, anche se è possibile filmare un poliziotto durante una manifestazione no vax o no pass,
non sarà possibile pubblicare le sequenze così ottenute.

Queste regole sono comuni a quelle dettate dalla legge per le riprese e le fotografie effettuate in luogo pubblico,
come ad esempio in piazza, per strada, durante una manifestazione aperta a tutti (un comizio politico, ecc.).



Pertanto, poco importa che le forze dell’ordine operino in un luogo pubblico:
non è possibile riprendere soggetti senza il loro consenso e poi divulgare le immagini.

Nemmeno sarà possibile diffondere dettagli che, in qualche modo,
rendano comunque identificabili i soggetti coinvolti
(si pensi a un numero di targa o a un particolare aspetto fisico, ad esempio).


Quanto detto nel precedente paragrafo

trova un limite nel diritto di cronaca dei giornalisti

e di chiunque voglia documentare un fatto rilevante per l’interesse pubblico.


La persona che, pur non essendo giornalista, effettua una ripresa dell’attività delle forze dell’ordine
per poi diffonderla per motivi di cronaca, non soggiace ai limiti elencati nel paragrafo precedente.


La divulgazione del video delle forze dell’ordine è protetta dal diritto di cronaca quando serve a diffondere una notizia
o un’informazione di interesse generale, senza ledere il decoro e la dignità degli interessati.

Si pensi a chi voglia denunciare un grave illecito compiuto dalle forze dell’ordine,
oppure al contrario un atto di eroismo degno di essere portato all’attenzione generale.


Dunque, non è possibile diffondere riprese nelle quali siano identificabili i soggetti,

a meno che i dati non siano necessari all’attività giornalistica,

ai fini di una corretta informazione e solo se le immagini sono di interesse generale.



Si deve sempre e comunque evitare di mostrare particolari che nulla aggiungono al senso della notizia.


Da tanto deriva che, ai fini del diritto di cronaca,

sarebbe possibile filmare un poliziotto durante una manifestazione no vax o no pass e poi pubblicarla,

purché la notizia sia di interesse rilevante per il pubblico
(ad esempio, testimoni un’aggressione o un atto di vandalismo).


È possibile riprendere la polizia senza doversi preoccupare di oscurare/sfocare i volti

in tutti quei casi in cui il video sia stato girato per tutelare i propri diritti.



In questo caso, non si tratta di diffondere la ripresa in pubblico,
bensì di utilizzare il materiale così ottenuto (foto, video, audio, ecc.) per proteggersi, magari in tribunale.


E così, sarà perfettamente legale girare il video di un poliziotto che abusa del proprio potere per poi produrlo in giudizio,

magari per difendere sé stesso da una falsa accusa oppure per incriminare l’autore del reato.
 
il Friuli Venezia Giulia passerà in Zona Gialla dalla prossima settimana,

mentre l’Alto Adige ha già imposto le restrizioni del giallo:

obbligo di mascherina all’aperto,

discoteche chiuse e capienze ridotte sono le misure imposte dal presidente Arno Kompatscher.


Le altre regioni ad aver superato uno dei criteri per il giallo sono Veneto, Lombardia, Lazio e Liguria.



La prima grande novità del vecchio Decreto Riaperture ha riguardato gli spostamenti in Zona Gialla.

Sono consentiti gli spostamenti tra Regioni e Province Autonome diverse purché queste siano in Zona Gialla o Bianca.


Per quanto riguarda gli spostamenti verso abitazioni private abitate, questi sono consentiti,
verso una sola abitazione e una sola volta al giorno, a quattro persone oltre a quelle già conviventi nell’abitazione di destinazione.

Le persone che si spostano verso queste abitazioni potranno portare con sé figli minorenni e persone con disabilità o non autosufficienti conviventi.


Gli spostamenti da una Regione gialla a una rossa o arancione
devono invece essere ancora giustificati da autocertificazione, o possono avvenire se si è in possesso del Green Pass.



Mentre il coprifuoco non è più in vigore in Zona Gialla dal 21 giugno,
resta in vigore l’obbligo di indossare le mascherine all’aperto.

(MIA NOTA: NON LO DICO IO. E' SCRITTO SUL DPCM. NON E' OBBLIGATORIO INDOSSARE
LA MASCHERINA ALL'APERTO SALVO CHE CI SIANO ASSEMBRAMENTI O CONTATTI CON TERZE PERSONE
Fermo restando quanto previsto dall’articolo I del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 marzo 2021,
che prevede, tra l’altro, l’obbligo sull’intero territorio nazionale di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie)



Per quanto riguarda la ristorazione, in Zona gialla è possibile consumare sia nella parte interna che esterna dei locali.

A differenza della Zona bianca, che non prevede alcun limite al numero di posti per ogni tavolo all’aperto e un limite di 6 posti al chiuso,
in Zona gialla il limite torna a essere di 4 posti, sia all’aperto che al chiuso.


Per le attività che offrono servizi di ristorazione sarà obbligatorio il Green Pass, ma solo per il servizio al tavolo al chiuso.
Non servirà quindi per consumare al bancone e all’aperto.


Per quanto riguarda i negozi, non sono previste limitazioni ulteriori al rispetto delle norme sul distanziamento e sui dispositivi di protezione individuali.


Sono garantiti, in zona gialla, anche gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto,
sale cinematografiche, live-club e in altri locali o spazi anche all’aperto.

I posti a sedere devono essere preassegnati e occorre garantire la distanza interpersonale di almeno 1 metro
sia per gli spettatori che non siano abitualmente conviventi, sia per il personale,
e l’accesso è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di Green Pass.


In zona gialla la capienza consentita non può essere superiore al 50 per cento di quella massima autorizzata
ed il numero massimo di spettatori non può comunque essere superiore a 2.500 per gli spettacoli all’aperto
e a 1.000 per gli spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala.

Il Decreto capienze aveva aumentato il numero di posti solo per la Zona bianca.


Mostre e musei potranno essere aperti al pubblico, seguendo i protocolli di sicurezza già adottati precedentemente.


Lo stesso discorso vale per:
fiere,
  • feste e ricevimenti successivi a cerimonie civili o religiose,
  • parchi tematici e di divertimento,
  • centri sociali,
  • sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò.

Per tutti questi casi sarà obbligatorio il Green Pass.


Le discoteche, aperte in Zona Bianca grazie al Decreto capienze, tornano a essere chiuse in zona Gialla.


In Zona gialla, nel rispetto delle linee guida vigenti,
è consentito lo svolgimento all’aperto di qualsiasi attività sportiva anche di squadra e di contatto.

Inoltre, sono consentite le attività delle piscine all’aperto e al chiuso e quelle delle palestre.

In zona gialla sono aperti anche centri termali, i centri natatori e i centri benessere.

Anche in tutti questi casi sarà obbligatorio il Green Pass.


Anche le competizioni sportive sono tornate ad avere il pubblico.

In particolare, le regole riguardano gli eventi e le competizioni di livello agonistico
e riconosciuti di preminente interesse nazionale con provvedimento del Comitato olimpico nazionale italiano e del Comitato italiano paraolimpico.

A questi eventi si applicano le regole già stabilite per gli spettacoli, quindi in zona gialla,
la capienza consentita non può essere superiore al 50 per cento di quella massima autorizzata all’aperto e al 35 per cento al chiuso.
 

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