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10 novembre 2007 Fisco, multati 3 mila siti Internet
Edoardo Meoli
Sarà ricordata come la stangata di Internet. E i tremila titolari di partita Iva della provincia di Genova che in questi giorni hanno ricevuto dall’Agenzia delle Entrate la sanzione da 516 euro (ma basta pagare “solo” 172 euro entro sessanta giorni per mettersi in regola) rischiano di trovarsi di fronte a una valanga di multe.
Perché in Italia sono pochissimi a rispettare l’articolo 2 del decreto 414 pubblicato il 5 ottobre del 2001, secondo il quale il codice di partita Iva deve essere indicato «nella home-page dell’eventuale sito web». Basta fare una veloce navigazione in rete per rendersi conto che la maggior parte dei siti Internet non applicano la normativa, spesso sconosciuta anche agli addetti ai lavori, che riguarda proprio la presenza su web di quel numeretto di undici cifre che appare in ogni fattura emessa. Dai controlli incrociati dell’agenzia delle entrate rischia di non salvarsi nessuno: dagli enti pubblici (il Comune di Genova ad esempio) alle grandi aziende di Stato (vedere il sito di Trenitalia) passando per quasi tutte le aziende o società private, trovare qualche home page con la partita Iva è un’impresa quasi impossibile.
Niente da fare neppure tra i vari siti Internet dei maggiori giornali, case automobilistiche, produttori di hardware e software, e-shop. E non vale la contestazione che il codice è, comunque, presente nel sito, magari aprendo un link. «La normativa non lascia dubbi e l’Agenzia è giuridicamente dalla parte della ragione – spiega Salvatore D’Arrigo, consulente tributario – semmai c’è da chiedersi perché proprio adesso siano partiti i controlli su una questione che è sempre stata trascurata e inapplicata. Comunque, l’unico consiglio che si può dare ai contribuenti è mettersi in regola. In fondo aggiungere la partita Iva all’home page del sito Internet è facile».
Basta un clic sul computer o, se proprio si è poco avvezzi all’uso di Internet, chiamare un tecnico. Solo nelle prossime settimane si potrà capire se i tremila sfortunati che hanno ricevuto le cartelle esattoriali in questi giorni sono davvero la punta dell’iceberg. A far sospettare che qualche controllo fosse nell’aria avrebbe dovuto essere l’intervento della stessa Agenzia delle Entrate che nel maggio scorso aveva ritenuto opportuno intervenire in merito, ribadendo e precisando quanto già previsto dal decreto: «Quando un soggetto Iva dispone di un sito web è tenuto ad indicare il numero di partita Iva nella home page».
Un campanello d’allarme, di cui si sono accorti in pochi. Per quanto riguarda la mancata regolarizzazione è perseguibile con la sanzione amministrativa variabile da 516 a 2.065 euro, trattandosi di violazione agli obblighi di comunicazione prescritti da legge tributaria. Nel caso specifico, le prime sanzioni fioccate in questi giorni sono di 516 euro, ma come prevede la norma la sanzione si riduce a un terzo (appunto 172 euro) se il pagamento viene effettuato entro sessanta giorni dalla notifica. L’obbligo è valido a prescindere dalle concrete modalità di esercizio dell’attività, e si applica anche nei casi in cui il sito sia usato a fini puramente di propaganda e pubblicità.
Fino a qualche tempo fa sul tema della sanzione era aperto un contenzioso interpretativo: secondo alcuni giuristi la norma prevederebbe multe salate per gli inadempienti, trattandosi di una violazione agli obblighi di comunicazione prescritti dalla legge tributaria; secondo altri, invece, difficilmente si sarebbe potuti arrivare all’erogazione di una sanzione amministrativa, visto che la legge prevede l’impunibilità delle violazioni che non incidono sulla determinazione dell’imposta e sul versamento del tributo. L’Agenzia delle Entrate, come confermano le multe di questi giorni, ha superato l’equivoco ed ha iniziato a stangare.
Per quanto riguarda il caso specifico della Liguria, la direzione regionale delle Entrate ha concluso in questi giorni una prima ricognizione su siti di imprese e professionisti che sono risultati privi dell’indicazione della partita Iva. «Non è stato semplice per i funzionari del fisco risalire agli effettivi titolari dei siti per procedere alla contestazione dell’irregolarità: è facile per un’azienda cercare di rimanere nell’anonimato, scegliendo per i propri siti web nomi di fantasia o prendendo pagine “in affitto” su un dominio altrui – spiega Doriano Saracino, responsabile per la comunicazione - Fra i siti controllati sono numerosi quelli appartenenti ad imprese di costruzioni e di impiantistica, agenzie immobiliari, istituti di bellezza, agriturismi, bed & breakfast, avvocati, artigiani e architetti».
http://www.ilsecoloxix.it/genova/vi...10/&CODE=360faa2a-8f7d-11dc-9a63-0003badbebe4
Edoardo Meoli
Sarà ricordata come la stangata di Internet. E i tremila titolari di partita Iva della provincia di Genova che in questi giorni hanno ricevuto dall’Agenzia delle Entrate la sanzione da 516 euro (ma basta pagare “solo” 172 euro entro sessanta giorni per mettersi in regola) rischiano di trovarsi di fronte a una valanga di multe.
Perché in Italia sono pochissimi a rispettare l’articolo 2 del decreto 414 pubblicato il 5 ottobre del 2001, secondo il quale il codice di partita Iva deve essere indicato «nella home-page dell’eventuale sito web». Basta fare una veloce navigazione in rete per rendersi conto che la maggior parte dei siti Internet non applicano la normativa, spesso sconosciuta anche agli addetti ai lavori, che riguarda proprio la presenza su web di quel numeretto di undici cifre che appare in ogni fattura emessa. Dai controlli incrociati dell’agenzia delle entrate rischia di non salvarsi nessuno: dagli enti pubblici (il Comune di Genova ad esempio) alle grandi aziende di Stato (vedere il sito di Trenitalia) passando per quasi tutte le aziende o società private, trovare qualche home page con la partita Iva è un’impresa quasi impossibile.
Niente da fare neppure tra i vari siti Internet dei maggiori giornali, case automobilistiche, produttori di hardware e software, e-shop. E non vale la contestazione che il codice è, comunque, presente nel sito, magari aprendo un link. «La normativa non lascia dubbi e l’Agenzia è giuridicamente dalla parte della ragione – spiega Salvatore D’Arrigo, consulente tributario – semmai c’è da chiedersi perché proprio adesso siano partiti i controlli su una questione che è sempre stata trascurata e inapplicata. Comunque, l’unico consiglio che si può dare ai contribuenti è mettersi in regola. In fondo aggiungere la partita Iva all’home page del sito Internet è facile».
Basta un clic sul computer o, se proprio si è poco avvezzi all’uso di Internet, chiamare un tecnico. Solo nelle prossime settimane si potrà capire se i tremila sfortunati che hanno ricevuto le cartelle esattoriali in questi giorni sono davvero la punta dell’iceberg. A far sospettare che qualche controllo fosse nell’aria avrebbe dovuto essere l’intervento della stessa Agenzia delle Entrate che nel maggio scorso aveva ritenuto opportuno intervenire in merito, ribadendo e precisando quanto già previsto dal decreto: «Quando un soggetto Iva dispone di un sito web è tenuto ad indicare il numero di partita Iva nella home page».
Un campanello d’allarme, di cui si sono accorti in pochi. Per quanto riguarda la mancata regolarizzazione è perseguibile con la sanzione amministrativa variabile da 516 a 2.065 euro, trattandosi di violazione agli obblighi di comunicazione prescritti da legge tributaria. Nel caso specifico, le prime sanzioni fioccate in questi giorni sono di 516 euro, ma come prevede la norma la sanzione si riduce a un terzo (appunto 172 euro) se il pagamento viene effettuato entro sessanta giorni dalla notifica. L’obbligo è valido a prescindere dalle concrete modalità di esercizio dell’attività, e si applica anche nei casi in cui il sito sia usato a fini puramente di propaganda e pubblicità.
Fino a qualche tempo fa sul tema della sanzione era aperto un contenzioso interpretativo: secondo alcuni giuristi la norma prevederebbe multe salate per gli inadempienti, trattandosi di una violazione agli obblighi di comunicazione prescritti dalla legge tributaria; secondo altri, invece, difficilmente si sarebbe potuti arrivare all’erogazione di una sanzione amministrativa, visto che la legge prevede l’impunibilità delle violazioni che non incidono sulla determinazione dell’imposta e sul versamento del tributo. L’Agenzia delle Entrate, come confermano le multe di questi giorni, ha superato l’equivoco ed ha iniziato a stangare.
Per quanto riguarda il caso specifico della Liguria, la direzione regionale delle Entrate ha concluso in questi giorni una prima ricognizione su siti di imprese e professionisti che sono risultati privi dell’indicazione della partita Iva. «Non è stato semplice per i funzionari del fisco risalire agli effettivi titolari dei siti per procedere alla contestazione dell’irregolarità: è facile per un’azienda cercare di rimanere nell’anonimato, scegliendo per i propri siti web nomi di fantasia o prendendo pagine “in affitto” su un dominio altrui – spiega Doriano Saracino, responsabile per la comunicazione - Fra i siti controllati sono numerosi quelli appartenenti ad imprese di costruzioni e di impiantistica, agenzie immobiliari, istituti di bellezza, agriturismi, bed & breakfast, avvocati, artigiani e architetti».
http://www.ilsecoloxix.it/genova/vi...10/&CODE=360faa2a-8f7d-11dc-9a63-0003badbebe4