Fondi, una crisi senza fine
Non conosce tregua la fuga dai fondi comuni italiani, tanto che viene il sospetto che in parte sia alimentata dalle stesse banche, che a giudicare dalle trimestrali presentate in questi giorni sembrano aver deciso che tutta l’attività di asset management è troppo onerosa ed è quindi meglio limitarsi alle vecchie care cose fatte da sempre: prestare soldi
Ennesima debacle per il risparmio gestito tricolore: secondo quanto annunciato da Assogestioni (il dato potrebbe di poco cambiare in base ai numeri definitivi dei fondi esteri), il mese di aprile si è chiuso con deflussi pari a 8,4 miliardi ed un patrimonio che è oggi pari a 507,8 miliardi di euro, senza che alcuna tipologia di strumento sia riuscito ad evitare un risultato netto negativo.
Anche gli hedge fund, infatti, sono per il secondo mese in rosso, con deflussi pari a 511 milioni di euro. Il patrimonio investito nella categoria è in lieve calo ad oltre 35 miliardi di euro. In leggera frenata la fuga dai fondi Bilanciati, che restano in rosso per 558 milioni di euro e vedono il patrimonio attestarsi a 23,6 miliardi di euro. Molto peggio è andata ai prodotti Flessibili che hanno perso 924 milioni, con un patrimonio che si mantiene sopra i 61 miliardi di euro. Limitano i danni gli Azionari che, dai tre miliardi di perdita di marzo segnano una raccolta netta negativa di "solo" 1,3 miliardi di euro, con asset pari a poco meno di 103 miliardi di euro.
In un mese che non ha risparmiato nessuno, persino i fondi di Liquidità, che avevano inanellato una lunga serie di risultati di raccolta positivi, vedono i riscatti salire a quasi 1,5 miliardi di euro. Il patrimonio gestito da tale classe di fondi è tuttora superiore a 91,3 miliardi. Se gli Azionari si sforzano di sorridere per qualche modesto segnale di recupero piangono lacrime amare gli Obbligazionari, colpiti da riscatti netti per a 3,6 miliardi di euro mentre il patrimonio risulta ora pari a 194 miliardi di euro.
A cosa è dovuta la "grande fuga"?
Certamente alla crisi del mercato del credito riverberatasi sui principali mercati mondiali dallo scorso luglio ad oggi. Eppure nel complesso i segnali delle ultime settimane sono stati incoraggianti, tanto che alcuni esperti si sono lanciati ad affermare che il peggio è ormai alle spalle. Allora non vorremmo che la risposta stia anche in un diverso atteggiamento delle banche italiane, indiscusse padrone del settore.
Che tali soggetti non abbiano mai capito (o non fossero interessate a capire) come si sarebbe dovuto sviluppare e gestire il settore è evidente da sé, visto che salvo sparute eccezioni ogni accordo che in questi anni è stato siglato ha costantemente visto le nostre banche spogliarsi dell'attività di gestione (così "difficile" e "costosa" da svolgere) per riservarsi solo quella di mera commercializzazione (anche se poi le reti distributrici, siano esse basate su promotori o sportelli bancari, millantano competenze consulenziali che non possiedono).
Ora il rischio è che, resesi conto dei rischi che si corrono a collocare prodotti che non si gestiscono e che dunque non si conoscono e comprendono a fondo, decidano di "ritirarsi" nella comoda trincea della classica attività di banca commerciale. Dove oltretutto costi e prebende varie sono cronicamente più elevati che nel resto del mondo grazie alle eccessive "tutele" cui il settore è stato oggetto negli scorsi decenni.
Lo si è visto persino dai conti di uno tra gli istituti più "meritevoli" come Unicredit: nel primo trimestre l'utile si è dimezzato scendendo da oltre 2 a poco più di 1 miliardo di euro.
E la banca cosa ha fatto?
Dopo aver dovuto ammettere ulteriori svalutazioni per 642 milioni per svalutazioni del portafoglio ABS, ed un calo delle commissioni legate ai servizi di gestione e amministrazione del risparmio (1.170 milioni, -15,6% rispetto a dodici mesi prima), con volumi complessivi di attività gestite dalle società di asset management del gruppo in calo del 19,6% su base annua, nella nota ufficiale con cui i conti sono stati presentati ci si concentra sul margine di d'interesse, che mostra una crescita del +12,0% "attribuibile prevalentemente all'aumento dei volumi".
E' l'ammissione che non sapendo fare i gestori i nostri banchieri e i loro eserciti di bancari preferiscono tornare all'antico amore, quello di prestare, a caro prezzo, soldi alla propria clientela.
Molto più semplice che non cercare di gestirli no?
Il ragionamento se fosse tattico sarebbe persino accettabile essendo segno di una condotta prudente, speriamo solo non sia una decisione strategica altrimenti potremmo definitivamente mettere una pietra sopra l'ennesimo settore strategico ceduto ad operatori stranieri per la scarsa competenza ed interesse di coloro che erano preposti a gestirlo.
Certo potremo consolarci con Alitalia: insomma, se tutto va bene nei prossimi decenni saremo come ora legati mani e piedi all'estero per gli approvvigionamenti energetici e vedremo i nostri soldi gestiti da operatori altrettanto esteri, ma almeno potremmo continuare a imprecare in italiano quando il nostro volo farà ritardo.