Gli Usa dalla parte del dittatore uzbeco ...

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Un'altro bell'esempio della politica estera degli USA, in nome della democrazia e dei diritti umani di cui gli Stati Uniti sono l'empio da imitare.
Ed anche la Russia fa la sua bella figura.

Tratto da :http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?iddos=5381&idc=2&ida=&idt=&idart=2875




Uzbekistan - 15.6.2005
Impunità duratura
Gli Usa dalla parte del dittatore uzbeco: nessuna inchiesta sul massacro di Andijan



Rumsfled con KarimovNon ci sarà nessuna indagine internazionale e indipendente sul massacro di Andijan, dove lo scorso 13 maggio centinaia di manifestanti furono massacrati dall’esercito uzbeco in quella che è stata la peggior ‘strage di piazza’ da Tienanmen ad oggi.
Da settimane le organizzazioni internazionali per i diritti umani, l’Unione europea, la Nato e il Dipartimento di Stato Usa stavano pressando il dittatore uzbeco Islam Karimov affinché consentisse l’avvio di un’inchiesta trasparente su quei tragici fatti.
Ma nulla accadrà dopo la clamorosa retromarcia della Nato e degli Stati Uniti avvenuta giovedì scorso al vertice Nato-Russia di Bruxelles.
Secondo quanto riportato dal Washington Post, il capo del Pentagono Donald Rumsfeld ha bocciato il testo della dichiarazione finale del vertice che era stato proposto dai suoi colleghi europei e che conteneva una perentoria richiesta di indagini indipendenti al regime uzbeco.
Rumsfeld ha posto il veto a nome del governo Usa, sconfessando platealmente le precedenti dichiarazioni del segretario di Stato Condoleezza Rice, che aveva definito “essenziale” un’inchiesta internazionale sui fatti di Andijan. Un’uscita che aveva suscitato le ire di Karimov il quale, per ritorsione, aveva immediatamente revocato i permessi di volo ai velivoli Usa diretti alla grande base aerea americana di Karshi-Khanabad, nel sud-est dell’Uzbekistan.

Base Usa di Karshi-Khanabad La roccaforte della libertà. La base uzbeca di Karshi-Khanabad, che al Pentagono chiamano semplicemente ‘2K’, è il più grande e strategico avamposto degli Stati Uniti in Asia Centrale. Le migliaia di soldati e le centinaia di mezzi aerei ospitati al Campo ‘Roccaforte della Libertà’ di Karshi-Khanabad costituiscono la retrovia dell’operazione “Enduring Freedom” in Afghanistan e, in prospettiva, rappresentano una postazione importantissima per il controllo militare del continente asiatico.
Una base che il Pentagono non vuole rischiare di perdere, per nessuna ragione al mondo.
Nel febbraio 2004 Rumsfeld andò in visita a Tashkent e fece un accordo con Karimov, così riassunto da GlobalSecurity.org, think-tank militare dei neoconservatori americani diretto da John Pike: “gli Stati Uniti avrebbero ignorato le gravi violazioni dei diritti umani compiute dal regime uzbeco in cambio del suo permesso di utilizzare la base di Karshi-Khanabad come base permanente”.
L’uscita critica della Rice ha rischiato di far saltare il patto. E quindi a Bruxelles Rumsfeld non ha fatto altro che rimettere a posto le cose in nome di una realpolitik che vede l’interesse nazionale Usa persino davanti alla difesa della democrazia e dei diritti umani.

13 maggio: la manifestazione in Piazza BaborCronaca di un massacro. Diritti che quel 13 maggio ad Andijan sono stati calpestati in maniera feroce. Non c’è ancora, e non ci sarà mai, un bilancio ufficiale dei morti, anche se il numero di 500 appare come la stima minima.
Ma sulla dinamica dei fatti qualche chiarimento è stato fatto, soprattutto grazie alle decine di testimonianze dei sopravvissuti interrogati da Human Rights Watch.
Quel pomeriggio Piazza Bobur, stracolma di uomini, donne e bambini che protestavano contro il regime, venne circondata dall’esercito. Tutte le vie di fuga furono bloccate con blindati, camion militari e cordoni di soldati. Anche la Cholpon Prospect, principale via della città, venne chiusa con tre autobus parcheggiati a formare una barriera. Quando i militari, senza il minimo preavviso, hanno iniziato a sparare sulla folla in piazza, una marea umana terrorizzata si è riversata nella Cholpon Prospect, riuscendo a spostare un autobus e ad aprire un varco. Al di là trovarono i cecchini che dai tetti e dagli alberi cominciarono a sparare sul mucchio e più avanti, all’altezza della scuola 15 e del Cinema Cholpon, un blocco di blindati di fronte ai quali decine di soldati erano stesi a terra trincerati dietro a sacchi di sabbia. Furono in trappola: una valanga di fuoco partì dalle mitragliere dei blindati e dai fucili dei soldati, falciando centinaia di persone in pochi minuti d’inferno.

Le vittime di AndijanSeppellire la verità. Alla fine della giornata, Piazza Bobur e le vie attorno erano rosse di sangue e cosparse da centinaia di cadaveri. Durante la notte i corpi vennero caricati sui camion dell’esercito e portati via e sepolti chissà dove. Nei giorni successivi il regime di Karimov iniziò a seppellire anche la verità, incarcerando tutti gli attivisti dei diritti umani e gli esponenti dei partiti d’opposizione che avevano denunciato il massacro di Andijan. “Le autorità uzbeche stanno provando in tutti i modi a cancellare le tracce del massacro”, ha detto Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch. “La persecuzione avviata contro i difensori dei diritti umani è un evidente tentativo di nascondere quello che è successo ad Andijan”, ha aggiunto Holly Carter, a capo della sezione Asia Centrale di HRW.
“Le nostre indagini sono state un primo passo per far luce su quei tragici eventi, ma solo un’inchiesta internazionale potrà far emergere la verità”, ha dichiarato Roth.
Ma non sarà così, perché a Washington hanno deciso che non vale la pena di rovinare i rapporti con un alleato strategico solo perché ha trucidato qualche centinaio di uomini, donne e bambini. Anche questa è guerra, e gli Stati Uniti ci sono abituati. L’importante è che a Karshi-Khanabad la bandiera a stelle e strisce continui a sventolare sulla ‘Roccaforte della Libertà’. La libertà di chi?

Enrico Piovesana

Tratto da : http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?iddos=5381&idc=2&ida=&idt=&idart=4102

Uzbekistan - 16.11.2005
La giustizia di Karimov
Concluso il processo sulla rivolta di Andijan: una farsa secondo Human Rights Watch, Usa e Ue



I 15 imputati al processoLunedì si è concluso in Uzbekistan il primo processo contro alcuni presunti organizzatori della rivolta di Andijan dello scorso 13 maggio, terminata con il massacro di centinaia, forse migliaia di civili inermi da parte dell’esercito, che aprì il fuoco sui manifestanti.
I quindici imputati sono stati tutti condannati a pesanti pene detentive (dai 14 ai 20 anni di prigione).
Ma dalle associazioni per i diritti umani e dalla comunità internazionale sono venute dure critiche sulla regolarità del procedimento legale.
Lo stesso giorno della sentenza, l’Unione Europea ha approvato l’embargo alla vendita di armi all’Uzbekistan e ha vietato l’ingresso in Europa ai maggiori esponenti del regime di Tashkent, ritenuti responsabili diretti del massacro di Andijan.
Ma Karimov ormai ha scelto da che parte stare, stringendo un patto d'acciaio con Putin.

Le vittime della strage del 13 maggioUn processo farsa. Secondo l’associazione Human Rights Watch il processo conclusosi lunedì è stata “una messa in scena” condotta in completa violazione dei diritti degli imputati.
“L’esito era scontato – ha dichiarato Holly Carter, responsabile di Hrw per l’Asia Centrale. “Gli accusati non hanno avuto modo di difendersi e la corte era tutto meno che indipendente. Il primo giorno del processo, il 20 settembre, gli imputati, visibilmente intimoriti, hanno immediatamente dichiarato la loro colpevolezza leggendo delle dichiarazioni scritte che recitavano testualmente i capi d’imputazione a loro ascritti: attività terroristica finanziata dall’estero volta al sovvertimento delle istituzioni. Alcuni di loro hanno addirittura chiesto di essere puniti con la morte! Sospettiamo che essi siano stati costretti a confessare sotto tortura e con l’uso di psicofarmaci, pratica comune nelle prigioni uzbeche”.

Rastrellamenti ad AndijanAvvocati accusatori. “Gli avvocati d’ufficio assegnati ai quindici imputati – continua Carter – non solo non hanno mai dichiarato l’innocenza dei loro assistiti durante il dibattimento, ma hanno chiesto scusa per essere stati costretti a difendere queste ‘persone colpevoli’. In due mesi di udienza non sono mai state ammesse prove o perizie tecniche di alcun genere, né balistiche, né mediche, per chiarire la dinamica dei fatti di Andijan. L’accusa ha chiamato a testimoniare centinaia di persone che hanno recitato la versione governativa: l’unica che ha parlato fuori dal coro, Mahbuba Zokirova, una casalinga di 33 anni che ha avuto il coraggio di raccontare dei soldati che sparavano alla cieca sui civili, è stata accusata dal giudice Bakhtyor Jamolov di essere una sostenitrice dei terroristi e allontanata dall’aula”.
Ricordiamo che nonostante molti cittadini di Andijan abbiano raccontato di centinaia, forse addirittura migliaia di civili uccisi dai soldati uzbechi, il regime uzbeco non ha mai ammesso più di 187 morti, di cui 60 civili.

Soldati ad AndijanL’embargo europeo. Lo stesso giorno della sentenza di Tashkent, a Bruxelles il Consiglio d’Europa ha approvato una dura misura punitiva nei confronti dell’Uzbekistan: l’embargo alla vendita di armamenti accompagnato dal divieto d’ingresso in Europa per i ministri degli Interni e della Difesa e per i vertici delle forze armate e di polizia uzbechi, ritenuti responsabili del bagno di sangue del 13 maggio.
“Queste misure – si legge nel documento approvato lunedì – sono state prese alla luce dell’uso eccessivo, improprio e indiscriminato della forza da parte degli apparati di sicurezza uzbechi ad Andijan e in seguito al rifiuto delle autorità uzbeche di consentire un’inchiesta internazionale indipendente su quei fatti”. La misura resterà in vigore finché il governo uzbeco “non dimostrerà di voler rispettare i diritti umani e le regole dello Stato di diritto, accettando questa inchiesta e ponendo fine alle persecuzioni contro chi mette in discussione la versione ufficiale dei fatti”.

MappaLa timida condanna Usa. Anche dal governo degli Stati Uniti sono arrivate parole critiche verso il processo di Tashkent. “Questa sentenza è basata su prove non credibili: non è stato un processo regolare”, ha commentato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Adam Ereli.
L’amministrazione Bush però non vuole calcare troppo la mano per non rovinare del tutto i rapporti con un regime che considera ancora un alleato strategico nella lotta al terrorismo. Dopo aver condannato il massacro di Andijan - senza però insistere per un’inchiesta indipendente - gli Usa sono stati costretti da Karimov a chiudere la loro grande base militare in Uzbekistan. Per evitare di rompere del tutto le relazioni con Tashkent, Washington mantiene un atteggiamento ambiguo. Come dimostra il fatto che la settimana scorsa gli Usa hanno escluso l’Uzbekistan dalla lista degli Stati che non rispettano la libertà di religione: “Includerlo sarebbe stata una mossa troppo politica, interpretabile come una rappresaglia per la chiusura della nostra base”, ha ammesso alla stampa un dipendente del Dipartimento di Stato.

Karimov e Putin al CremlinoLa protezione russa. Nonostante le cautele americane, però, l’alleanza tra Washington e Tashkent sembra ormai definitivamente rotta. E il dittatore uzbeco non sembra affatto preoccupato delle reazioni dell’Occidente, e nemmeno del rischio di venire inserito nella pericolosa lista degli Stati nemici degli Usa. Non a caso proprio lunedì, mentre i giudici leggevano la condanna dei quindici imputati di Andijan, Islam Karimov si trovava a Mosca per siglare con il presidente russo Putin un patto di alleanza militare che lega i due Paesi in un patto d’acciaio: la Russia interverrà militarmente a difesa dell’Uzbekistan se questo venisse attaccato dall’esterno e interverrà anche per ristabilire l'ordine interno in caso di rivolte analoghe a quella di Andijan. In cambio l’Uzbekistan concederà a Mosca l’utilizzo delle proprie basi militari.
Putin, sempre più infastidito dall’espansione della sfera d’influenza militare e politica americana nelle ex repubbliche sovietiche, ha colto la palla al balzo: ha approfittato al volo della crisi che il massacro di Andijan ha aperto nei rapporti tra Uzbekistan e Occidente per venire in soccorso al regime di Karimov, riportandolo sotto l’ala protettrice di Mosca.

Enrico Piovesana
 

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