LETTURE PER SERVIRE ALLA STORIA DELL'AUTORAZZISMO ITALIANO
"Gli Italiani sono senza carattere, è il grido di scrittori e politici tra Sette e Ottocento. Carattere, cioè qui, con significativa opzione semantica, tempra, fibra morale."
Così scrive Giulio Bollati nel testo "L'Italiano", apparso nel 1972 nel primo volume ("I caratteri originali") della "Storia d'Italia Einaudi".
Qual è il carattere degli Italiani, si chiede Bollati, e dove se ne possono trovare le origini? Nel suo testo la parola "autorazzismo" non compare mai, però emerge in filigrana abbastanza facilmente, ai nostri occhi, dai passi degli autori che si trovano citati man mano nel testo:
"Insensati che siamo!… Eppure tra questo popolo noi viviamo, questo popolo forma la parte più grande della nostra patria, da cui dipende, vogliamo o non vogliamo, la nostra sussistenza e la difesa nostra; e noi abbiamo core di dormir tranquilli affidando la nostra sussistenza e la difesa nostra a colui che noi stessi reputiamo pieno di ogni vizio ed incapace di ogni virtù?"
Così scrive Vincenzo Cuoco, nel 1802 in uno dei primi articoli del "Giornale Italiano", pubblicato a Milano all'epoca della Repubblica Italiana (ex Cisalpina), quando uno dei primi problemi che si pongono, di fronte alle armate di Napoleone, è quello della coscrizione, cioè della formazione di un esercito, o, nelle parole di Bollati, "come si possa armare il popolo per le necessità della difesa esterna e interna senza che quelle armi si rivolgano contro i committenti."
Ancora Bollati: "La verifica di quello che i liberali-romantici intendevano per 'nazione' e 'popolo' si ebbe in occasione dei moti del 1821 e dei processi che seguirono. Una quota notevole dell'energia dei cospiratori guidati dal Confalonieri fu spesa nell'evitare che il popolo partecipasse alla progettata liberazione di Milano e della Lombardia. Il terrore di una sollevazione popolare li indusse perfino a predisporre 'una legge repressiva sui delitti che si poteano commettere con la stampa'. Il rischio paventato era che gli austriaci e gli aristocratici (proprietari) fossero travolti da una sola ondata di rancore e violenza. Il Borsieri, ideatore del progetto di censura, aveva 'una poco favorevole opinione del carattere morale degli italiani'. Più precisamente pensava che gli italiani
per effetto delle varie forme di governo a cui soggiacquero in breve tempo erano assolutamente così difformi tra loro, così destituiti da ogni forza fisica e morale, che non solo sarebbero incapaci di procacciarsi l'indipendenza, ma abbandonati a se stessi non avrebbero fatto che cadere negli orrori della guerra civile. "
Sounds familiar?
(...d a mikez73 ricevo e volentieri pubblico. mikez73 non sono io, per la proprietà riflessiva, cioè perché lui non è me, e infatti ha un fi...
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"Nella sua
Descrizione de' costumi italiani (1727), Pietro Calepio" descrive "un'Italia universale e perenne abitata essenzialmente da nobili e dotti […], chi cerchi tra le sue pagine gli altri italiani, non nobili e non dotti, ne troverà scarse e futili notizie:
'Tutto questo [circa i veneziani] appartiene alle famiglie nobili: delle ignobili non dico se non che qui non s'usa, come altrove, occupar le donne nelle botteghe." […] Nel libro di Calepio, le persone plebee recitano se stesse in 'volgari commedie' che muovono le 'risa in eccellenza'. Ne
Gl'Italiani di Giuseppe Baretti (1768-69), le troviamo invece affollate in un teatro veneziano dove
'i nobili hanno l'usanza di sputare dai palchetti nella platea'. Il commento del Baretti, che vorrebbe essere di riprovazione, perfeziona ulteriormente l'insulto:
Quest'usanza odiosa e infame non può derivare se non dal disprezzo che ha l'alta nobiltà pel popolo; nondimeno esso tollera con molta pazienza tale insulto; e ciò che più reca sorpresa, si è che esso ama coloro che lo trattano in un modo sì villano: se qualcuno sente sulle mani e sul volto gli effetti di questi oltraggi, non monta sulle furie, ma se ne vendica facendo qualche breve ed arguta esclamazione.
Questo può accadere perché, come si ricava da altri luoghi del libro, gli italiani del popolo sono
'creduli', 'ignoranti', 'superstiziosi'; ma soprattutto perché
naturalmente docili al giogo che loro impone il governo, soffrirebbero le più dure esazioni senza pensar a far tumulto: credo che non vi sia nazione in Europa più sommessa, più pronta ad obbedire e più soggetta a' suoi padroni. Non mi ricordo di aver mai inteso parlare di sedizione popolare in Italia."
Sounds familiar?
E ancora:
“… nell’Antichità non vi è che un solo popolo; nel tempo moderno la società si compone invece di due popoli: l’uno è il Popolo Antico, nel quale il pensiero moderno è costume, abito, sentimento; l’altro è il vero Popolo Moderno, nel quale il moderno pensiero non è che pensiero, ed egli è perciò il Popolo Sovrano… Il secondo popolo pensa il sentimento del primo popolo; ed è perciò il suo sovrano legittimo e naturale.”
Ecco cosa ci dice il De Meis (
Il Sovrano,
saggio di filosofia politica con riferenza all’Italia, 1868), ovvero, di nuovo, che il popolo italiano “non sussiste, essendo nient’altro (quello Antico) che materiale spento e inerte finché non lo penetrano la luce e l’attività dell’elite pensante (il Popolo Moderno, Sovrano).”