Italia rimandata: occorrono riforme
December 29, 2010
E’ realistico parlare di rischio default per l’Italia? Oggi no, ma se non arrivano le riforme, il Bel Paese rischia di ritrovarsi in un domani in una situazione decisamente difficile. Stipendi, debito pubblico, crescita economica, politica fiscale i nodi da sciogliere.
La coperta è corta…
L’Italia è uscita da quello sconveniente e denigrante acronimo che ormai ha raggiunto la popolarità di un altro acronimo (BRIC) creato da O’Neill anni fa. Mi riferisco a
PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), per molti da integrare con la I dell’Italia (
PIIGS).
La parola però bisogna darla al mercato. E il mercato parla chiaro. La I dell’Italia non c’è. E non è un caso. Non dimentichiamo mai che il mercato ha sempre ragione. Ed oggi il mercato “premia” l’Italia, malgrado una situazione del
debito pubblico tutt’altro che allegra.
Quindi possiamo stare tranquilli? L’Italia è veramente in una situazione di tranquillità? Alcuni giorni fa,
Marco Fortis in un suo articolo ha spiegato perché possiamo considerare l’Italia in una situazione privilegiata a livello di sostenibilità del
Debito Pubblico. Ecco uno stralcio del suo articolo. I 10 motivi per cui il debito italiano è su un gradino di affidabilità superiore ai
PIGS:
1. Ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Questo è l’indicatore più importante per capire la sostenibilità finanziaria di un’economia nazionale, non il Pil. Le famiglie sono l’unico “polmone” finanziario delle economie. Infatti, le imprese e i governi hanno normalmente dei debiti finanziari mentre le banche sono dei semplici intermediari i cui bilanci dipendono dal modo, prudente o sconsiderato, con cui prestano denaro agli altri. Tutti, dalla Commissione europea (alle prese con il ridisegno del Patto di stabilità) alla Bce, dagli economisti agli opinionisti, dagli investitori agli speculatori, farebbero bene a capirlo.
L’Irlanda è “saltata” non perché il suo Pil non brillasse o il suo
debito pubblico fosse alto (era anzi tra i più bassi) ma perché la ricchezza delle famiglie e con essa il sistema bancario dell’Irlanda sono crollati sotto il peso dei debiti privati e dello scoppio della bolla degli asset immobiliari alimentata dalle banche stesse.
La Grecia è “saltata” non perché non riesce a pagare il proprio debito pubblico con il Pil (nessun governo, tra l’altro, ha mai pagato i propri debiti con il Pil) ma perché la ricchezza finanziaria netta delle famiglie greche è ormai talmente bassa da essere addirittura la metà del Pil.
Se anche volesse, la Grecia oggi non potrebbe nemmeno introdurre un’imposta patrimoniale per risanare i propri conti statali perché il patrimonio dei greci si è semplicemente dissolto e non c’è più nulla da tassare ma solo spesa pubblica da tagliare. L’Italia ha invece il più alto rapporto tra ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil in Europa, di gran lunga davanti a Francia e Germania. Ma molti (anche in Italia) lo ignorano.
2. Debito pubblico estero. Il vero tallone d’Achille dei paesi dell’Euroarea in questo momento non è tanto il
debito pubblico complessivo ma quello estero, che è in balia degli umori dei mercati e sotto il tiro della speculazione. Pochi forse sanno che a fine giugno 2010 il
debito pubblico estero italiano era di 837 miliardi di euro, inferiore a quello della Germania (978 miliardi) e della Francia (1.037 miliardi). La domanda vera allora è: nel caso limite (e sottolineiamo limite più volte) in cui gli investitori stranieri non sottoscrivessero più il
debito pubblico estero, i paesi dell’Euroarea possiedono le risorse finanziarie interne sufficienti per far fronte a una simile eventualità? L’unico cavaliere bianco che in ultima istanza può venire in soccorso ai governi è il sopracitato stock di ricchezza finanziaria netta delle famiglie, non il Pil che è solo un flusso già allocato pressoché integralmente in domanda interna ed estera nell’anno stesso in cui viene generato.
In base alla ricchezza, su sette paesi analizzati, solo Irlanda e Grecia non ce la farebbero a evitare il default. Persino Spagna e Portogallo, pur avendo qualche banca pericolante e una crisi economica interna gravissima, che per diversi anni determinerà un netto peggioramento delle condizioni di vita dei loro abitanti, dispongono di uno stock di ricchezza finanziaria netta delle famiglie più che sufficiente per rimpiazzare in tutto o in parte il
debito pubblico estero eventualmente non più sottoscritto dagli stranieri. L’Italia ha oggi il più basso rapporto tra
debito pubblico estero e ricchezza finanziaria netta delle famiglie, migliore di quello della stessa Germania. Il nostro paese, nell’interesse di tutti gli italiani, farebbe bene a dare ampia risonanza di ciò ai mercati perché forse tanti investitori (e speculatori) non ne sono consapevoli.
3. Debito pubblico totale/ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Anche considerando il
debito pubblico totale e prendendo come riferimento il suo prevedibile anno di picco, cioè
il 2012 secondo le ultime previsioni della Commissione Europea, risulta che solo Atene e Dublino sono nettamente fuori linea se si rapporta tale debito alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Questo rapporto (e non quello del debito pubblico/Pil) dovrebbe essere una delle fondamenta del nuovo Patto di stabilità: esso non dovrebbe superare il 60%, con facili margini di rientro per Italia, Francia e Portogallo, che oggi lo superano di poco, mentre alla Spagna sarebbe richiesto un impegno un po’ più forte. Valutata con parametri più sensati, la crisi dei debiti sovrani europei, in realtà, è una tempesta in un bicchier d’acqua. Una tempesta che nasce dagli errori concettuali di comunicazione al mercato dell’Europa stessa (basati sull’attribuzione di un significato fuorviante e quasi apocalittico al parametro del
debito pubblico/Pil) e che è aggravata anche dai continui messaggi contraddittori dei suoi leader, a cominciare dalla “maestrina” Angela Merkel come ha bene sottolineato Romano Prodi sul Messaggero alcuni giorni fa. Il
rischio default riguarda solo due piccoli paesi dell’Euroarea come Grecia e Irlanda. L’idea che la Spagna possa fallire, pur avendo compiuto in questi anni drammatici errori di politica economica (grandemente finanziati dalle banche tedesche), è pura follia. A meno che gli europei e la loro moneta unica non vogliano imitare in tutto e per tutto i lemmings.
4. Il debito aggregato. Consideriamo ora, oltre al
debito pubblico lordo, anche il debito delle imprese non finanziarie. Scopriamo che rispetto a questo debito aggregato, il “polmone” della ricchezza delle famiglie, alle cui attività finanziarie nette a questo punto vanno aggiunti anche gli asset immobiliari per avere una visione più completa dello stato patrimoniale privato, risulta assolutamente adeguato in Francia, Germania e Italia: tutti paesi che vantano dei “debt/equity” nazionali tranquilli, intorno al 32-38 per cento. Portogallo e Spagna sforano di poco la soglia classica del 60%,
mentre soltanto le solite Irlanda e Grecia appaiono in crisi conclamata.
5. Debiti delle famiglie. Le famiglie italiane sono poco indebitate, con appena 21.800 dollari in media per adulto (prevalentemente mutui ben investiti in case che, diversamente da quelle di americani, irlandesi e spagnoli, non hanno perso valore). Le famiglie più indebitate sono invece quelle irlandesi, con 77mila dollari per adulto.
Soltanto le famiglie greche sono meno indebitate di quelle italiane. Ma è una scarsa consolazione per i greci, perché in Grecia il rischio default non è nato dal debito privato bensì da quello pubblico e dalla progressiva erosione e dalla fuga all’estero dei patrimoni familiari.
6. Distribuzione della ricchezza. Un paese sopporta meglio una grande crisi economica non soltanto se possiede un elevato stock di ricchezza finanziaria netta e immobiliare delle famiglie, ma anche se tale ricchezza è ben distribuita e non concentrata solo in poche mani. È importante allora guardare a indici di equidistribuzione come la ricchezza mediana. Quella italiana è di gran lunga la più alta nella Ue a 27 (ed è seconda al mondo solo dopo quelle degli australiani e dei norvegesi). L’Irlanda, pur molto distaccata dopo l’Italia, è al secondo posto per ricchezza mediana tra i sette paesi qui esaminati. Ciò significa che gli irlandesi, se il loro stato eviterà il default, dovranno fare sacrifici durissimi per venir fuori dal tunnel ma che hanno i mezzi per farcela.
7. Bilancio primario. Secondo i dati consuntivi e previsionali della Commissione Europea (non del governo italiano), nel quadriennio 2008-2012 l’Italia si caratterizza per il miglior bilancio primario pubblico (una media dell’1,5% del Pil) davanti alla stessa Germania (0,4%).
Tutti gli altri paesi sono in disavanzo e i più sotto pressione sono Irlanda, Grecia e Spagna.
8.Tasso di disoccupazione. Germania e Italia hanno i più bassi tassi di disoccupazione. I più alti sono quelli di Spagna, Irlanda e Grecia.
9. Esposizione delle banche verso i paesi “periferici”. Secondo un recente studio di Deutsche Bank, le banche italiane sono di gran lunga le meno
esposte verso Grecia, Irlanda e Portogallo (per un totale di soli 26 miliardi di euro nei tre paesi). Quelle più esposte sono le banche tedesche (213 miliardi) e francesi (142 miliardi).
10. Competitività reale. La reale competitività di un’economia si misura con i fatti e non con indicatori astratti (di gran moda nei convegni e nei dibattiti sulla stampa, a cominciare da quello abusato della “produttività” fino agli “eterei” tassi di cambio reali). E la vera competitività si misura sui mercati più difficili, non sul mercato interno europeo che ormai è un grande mercato comune. I fatti ci dicono che, se escludiamo l’energia, l’Italia (con 38 miliardi di euro nel 2009) è seconda nella Ue a 27 solo alla Germania (107 miliardi) per surplus commerciale con i paesi extra Ue. Anche l’Irlanda ha un bel surplus (17 miliardi) ma se lo è costruito non con il lavoro e la genialità dei propri imprenditori (come l’Italia) bensì con vantaggi fiscali anacronistici (e inaccettabili in un mercato unico come quello europeo) che hanno attratto nell’isola multinazionali che avrebbero invece dovuto pagare le giuste tasse nei loro paesi d’origine.
In merito all’analisi sopra esposta, mi trova d’accordo tranne che nell’ultimo punto, dove il nostro paese (competitività) si trova ancora in grossa difficoltà.
Inoltre c’è il problema
di cui già ho parlato nel post sull’
austerity italiana. La coperta è corta, ed i soldi non si stampano nel sottoscala…
Il
‘Rapporto Italia 2010′, un’analisi sullo stato della politica, dell’economia e della società italiana,
redatto dall’Eurispes, come avviene ogni anno, mostra la situazione italiana degli stipendi lavorativi.
Nella classifica Ocse, si collocano tra
i primi dieci:
Corea del Sud (39.931 dollari), Regno Unito (38.147), Svizzera (36.063), Lussemburgo (36.035), Giappone (34.445), Norvegia (33.413), Australia (31.762), Irlanda (31.337), Paesi Bassi (30.796) e Usa (30.774).
Mentre l’Italia, con 21.374 dollari (
poco più di 14.700 €), occupa la ventitreesima posizione, collocandosi dopo quegli altri paesi europei con retribuzioni nette annue che si aggirano in media intorno ai 25mila dollari, tra i quali: Germania (29.570), Francia (26.010), Spagna (24.632).
L’Italia supera solo: Portogallo (19.150), Repubblica Ceca (14.540), Turchia (13.849), Polonia (13.010), Slovacchia (11.716), Ungheria (10.332) e Messico (9.716).
Volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei (NOTATE BENE) il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è
inferiore del 44% rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32% in meno di quello irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 19% in meno di un greco, il 18% in meno del cittadino francese e il 14% in meno di quello spagnolo.
I lavoratori italiani incassano dunque ogni anno retribuzioni medie tra le più basse dei paesi industrializzati, mediamente il 17% in meno della media Ocse, il cui valore è pari a 25.739 dollari.
Se invece come termine di paragone viene assunta l’Europa a 15 (27.793 dollari annui di media), lo stipendio italiano è inferiore del 23% o nell’Europa a 19 (mediamente 24.552 dollari annui), il compenso medio annuo del lavoratore italiano è minore del 13%.
Con queste condizioni, come possiamo tirarci fuori dalla melma? Come possiamo pretendere che ripartano i consumi? Come possiamo sperare che il rapporto Debito/PIL possa realmente migliorare (visto che il PIL resterà per forza ancora impalato, a meno che avvenga il miracolo e ripartano le esportazioni)?
Se poi parliamo di disoccupazione… beh, che dire? Il tasso di disoccupazione ad ottobre è cresciuto all’8,7% dall’8,4% di settembre. E il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), mostra ancora un’impennata a livello tendenziale e nel terzo trimestre raggiunge il 24,7%. Il tasso tocca un massimo del
36% per le donne nel Mezzogiorno. Se poi aggiungiamo che l’
occupazione a “tempo pieno” è sempre più in diminuzione e che continuano ad aumentare gli “inattivi”.
La sostenibilità del
debito pubblico.
Cosa può veramente mettere in crisi l’Italia nel breve termine? In primis non possiamo dimenticare fattori “straordinari” che ahimè possono anche accadere: una grave crisi politica, una serie di errate valutazioni di bilancio, e soprattutto una valanga speculativa che spesso definisco “
effetto domino”. Un’eventuale crisi di un altro paese con ristrutturazione o fallimento di banche estere può generare speculazioni varie da cui noi non saremo immuni. Ma chi ne sarà immune? Guardate la Germania e la tabella sopra esposta. Sarà proprio il colosso teutonico che, in caso di crisi dell’Euro e del sistema
PIGS, vedrà la peggior crisi bancaria, vista l’esposizione delle banche a questi paesi.
Morale: ad oggi l’Italia è di diritto al di fuori dei cosiddetti “paesi a rischio” ma non possiamo “dormire sugli allori”. Sono necessarie riforme per consentire un ritorno di REALE
crescita economica. Altrimenti anche l’Italia, che oggi può stare tranquilla, potrebbe in futuro non esserlo più…
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Molta carne sul fuoco e spero molti commenti sul forum! ![Che stia per naufragare? :titanic: :titanic:](/images/smilies/titanic.gif)