tommy271
Forumer storico
Estratto da un'intervista a Arnab Das, braccio destro di Roubini, al quotidiano "Il Giornale"
Partiamo dalla Grecia alla prese con la crisi di bilancio. La Bce ha scelto la linea dura. A torto o a ragione?
«Direi a ragione. Oggi la Grecia non è l'unico Paese europeo ad avere questi problemi. Se venisse salvato dalla Bce o ricevesse finanziamenti privilegiati dalla Ue, gli altri direbbero: perchè Atene si e noi no? L'Irlanda ad esempio ha già tagliato del 20% le spese pubbliche. I greci non hanno scelta: devono trovare da soli, con grandi sacrifici, il modo per ridurre un deficit schizzato al 12,5% e che fino a pochi mesi fa era fermo al 3,5%».
E cosa prevede per le prossime settimane?
«La crisi in Grecia si inasprirà nel breve e lo spread con il Bund aumenterà. Il mercato continuerà a mettere alla prova l'impegno greco, quando ci sarà pieno serio di Atene, lo spread diminuirà. Sullo sfondo c'è un altro problema: quello della competitività. Negli ultimi anni l'economia locale non è cresciuta molto e non sono state fatte riforme strutturali per garantire flessibilità all'economia, necessarie da quando i tassi di cambio sono fissi. Anche l'Irlanda è in crisi, ma perlomeno per un decennio era cresciuta più del mondo.
Inoltre bisogna considerare la Germania, che dopo riunificazione ha affrontato deflazione dolorosa ma necessaria. Oggi non può dire alla Grecia: vi accordiamo uno sconto».
L'uscita della Grecia dall'euro è concepibile?
«L'unione monetaria non contempla un'exit strategy. Se la Grecia dovesse andarsene, dovrebbe ridenominare il debito nella nuova dracma, i tassi schizzerebbero alle stelle. Ci sarebbe il caos. E dunque un effetto domino: altri Paesi finirebbero sotto pressione. Rischieremmo una crisi simile a quella della Lehman. Ma quella di Atene per l'euro è solo una battaglia, la guerra non è ancora vinta».
Che cosa intende?
«La storia dimostra che nessuna unione monetaria è durata senza unità politica e fiscale. Può darsi che l'euro rappresenti l'eccezione, ma solo se i Paesi continueranno a rispettare Maastricht. Anche la California è in bancarotta, e la California pesa molto più della Grecia, ma non è uno Stato sovrano e il governo federale può soccorrerla trasferendo fondi. L'Eurozona invece non ha questa flessibilità. Dunque la crisi in Grecia sta mettendo in luce i limiti dell'euro».
***
Un appunto all'economista: il debito sul PIL non è schizzato improvvisamente dal 3,5% al 12,5% ma il dato era frutto del taroccamento dei bilanci.
Quindi l'appesantimento dei conti era già in corso da anni.
Dato che i bilanci (gli unici in area moneta unica) non erano certificati da nessun organismo comunitario, alla BCE non sapevano nulla?
Partiamo dalla Grecia alla prese con la crisi di bilancio. La Bce ha scelto la linea dura. A torto o a ragione?
«Direi a ragione. Oggi la Grecia non è l'unico Paese europeo ad avere questi problemi. Se venisse salvato dalla Bce o ricevesse finanziamenti privilegiati dalla Ue, gli altri direbbero: perchè Atene si e noi no? L'Irlanda ad esempio ha già tagliato del 20% le spese pubbliche. I greci non hanno scelta: devono trovare da soli, con grandi sacrifici, il modo per ridurre un deficit schizzato al 12,5% e che fino a pochi mesi fa era fermo al 3,5%».
E cosa prevede per le prossime settimane?
«La crisi in Grecia si inasprirà nel breve e lo spread con il Bund aumenterà. Il mercato continuerà a mettere alla prova l'impegno greco, quando ci sarà pieno serio di Atene, lo spread diminuirà. Sullo sfondo c'è un altro problema: quello della competitività. Negli ultimi anni l'economia locale non è cresciuta molto e non sono state fatte riforme strutturali per garantire flessibilità all'economia, necessarie da quando i tassi di cambio sono fissi. Anche l'Irlanda è in crisi, ma perlomeno per un decennio era cresciuta più del mondo.
Inoltre bisogna considerare la Germania, che dopo riunificazione ha affrontato deflazione dolorosa ma necessaria. Oggi non può dire alla Grecia: vi accordiamo uno sconto».
L'uscita della Grecia dall'euro è concepibile?
«L'unione monetaria non contempla un'exit strategy. Se la Grecia dovesse andarsene, dovrebbe ridenominare il debito nella nuova dracma, i tassi schizzerebbero alle stelle. Ci sarebbe il caos. E dunque un effetto domino: altri Paesi finirebbero sotto pressione. Rischieremmo una crisi simile a quella della Lehman. Ma quella di Atene per l'euro è solo una battaglia, la guerra non è ancora vinta».
Che cosa intende?
«La storia dimostra che nessuna unione monetaria è durata senza unità politica e fiscale. Può darsi che l'euro rappresenti l'eccezione, ma solo se i Paesi continueranno a rispettare Maastricht. Anche la California è in bancarotta, e la California pesa molto più della Grecia, ma non è uno Stato sovrano e il governo federale può soccorrerla trasferendo fondi. L'Eurozona invece non ha questa flessibilità. Dunque la crisi in Grecia sta mettendo in luce i limiti dell'euro».
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Un appunto all'economista: il debito sul PIL non è schizzato improvvisamente dal 3,5% al 12,5% ma il dato era frutto del taroccamento dei bilanci.
Quindi l'appesantimento dei conti era già in corso da anni.
Dato che i bilanci (gli unici in area moneta unica) non erano certificati da nessun organismo comunitario, alla BCE non sapevano nulla?
