Grecia, il subprime dell'Europa
Nuovo appuntamento con "La Cassandra" di Alfonso Tuor. Ogni martedì su Ticinonews
La richiesta del Governo greco di poter accedere al piano di aiuti di 45 miliardi di euro dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale non ha prodotto alcuna reazione positiva da parte dei mercati finanziari. Anche ieri i rendimenti delle obbligazioni statali greche sono aumentati, superando il 10%.
I mercati credono che la Grecia è insolvente e che la crisi potrà essere risolta solo con una ristrutturazione del suo debito. In pratica, la crisi greca è paragonabile a quella dei mutui subprime americani che, come noto, ha acceso una miccia che ha portato al fallimento della Lehman Brothers e al tracollo dell'intero sistema finanziario internazionale. La Grecia pare destinata a far scoppiare la crisi latente dei debiti pubblici. Ciò avverrà dapprima in Europa attraverso la crescita dei timori sulla sostenibilità dei debiti di Portogallo, Spagna, Irlanda ed Italia con una conseguente grave crisi dell'euro che spingerà la Germania ad abbandonare l'Unione Monetaria Europea; e poi a livello internazionale contagiando anche Gran Bretagna e Stati Uniti, che sono i Paesi con un debito pubblico vieppiù insostenibile. L'intervento di emergenza dell'UE e dell'FMI sembra infatti non riuscire nemmeno nell'intento di guadagnare tempo e di evitare che i dubbi sulla solvibilità della Grecia non spingano pericolosamente al rialzo anche i tassi di interesse di Portogallo, Spagna ed Irlanda. Ma ripercorriamo la sequenza degli avvenimenti.
Atene si è arresa venerdì scorso dopo l'annuncio della terza revisione del deficit pubblico greco del 2009. Eurostat, il servizio statistico dell'Unione europea, giovedì scorso lo ha rivisto al rialzo dal 12,9% del PIL al 13,6% ed ha aggiunto di non poter escludere la necessità di ulteriori correzioni. Eurostat prevede anche che il debito pubblico greco, finora valutato al 115% del PIL, debba essere alzato da 5 a 7 punti percentuali. La notizia è stata immediatamente seguita dal declassamento del rating dei titoli statali greci da parte di Moody's e da un'impennata dei rendimenti: i tassi sulle obbligazioni decennali hanno sfiorato il 9% e la differenza con i titoli tedeschi si è ampliata a 600 punti base. Pure i costi per assicurare i titoli del debito pubblico greco dal rischio di insolvenza sono esplosi, superando persino quelli dell'Ucraina. In queste condizioni per Atene sarebbe stato impossibile rifinanziare circa 9 miliardi di euro di obbligazioni che giungono a scadenza il prossimo 19 maggio e raccogliere i capitali per onorare i bisogni di cassa quotidiani.
Già ieri i mercati finanziari hano implicitamente sostenuto che gli aiuti europei e dell'FMI non risolvono il dramma della Grecia. Quest'anno l'economia del Paese mediterranneo si contrarrà, a seconda delle previsioni, tra il 3 e il 5%. L'inflazione scenderà a livelli vicini allo zero quest'anno e anche l'anno prossimo, con la conseguenza che non si contrarrà solo il PIL reale (quello calcolato al netto dell'inflazione), ma anche quello nominale. Il risultato è che le misure di austerità, che secondo il Governo di Atene dovebbero ridurre quest'anno il deficit pubblico greco al 7%, non basteranno, poiché queste previsioni si fondano su stime di crescita troppo ottimistiche: il rapporto tra debito pubblico e PIL continuerà così a salire fino a raggiungere il 150% del PIL. Inoltre nei prossimi cinque anni la Grecia deve raccogliere 250 miliardi di euro (circa il 100% del suo PIL) per rifinanziare i titoli pubblici che giungono a scadenza e per pagare gli interessi. Dunque i 45 miliardi di aiuti non sono sufficienti. Simon Johnson, ex capoeconomista dell'FMI, ritiene che la Grecia ha in realtà bisogno di 200 miliardi di euro per evitare l'insolvenza.
E infatti i mercati stanno indicando che la Grecia è già insolvente e che è inevitabile una ristrutturazione del suo debito pubblico (una forma elegante di insolvenza) attraverso l'allungamento delle scadenze dei titoli in circolazione o attraverso una decurtazione del loro valore facciale. Questa evenienza, che diventa sempre più probabile, avrebbe effetti traumatici sul costo del finanziamento dei debiti pubblici degli altri Paesi europei. Immediatamente si diffonderebbe l'aspettativa di una ristrutturazione del debito anche di Portogallo, Spagna, Irlanda ed Italia, ossia di Paesi le cui finanze pubbliche non sono in condizioni migliori di quelle greche. La concretizzazione di questo scenario avrebbe conseguenze letali per la moneta unica europea. Per una Germania, che già oggi appare riluttante a contribuire al salvataggio della Grecia, diventerebbe attraente l'uscita pura e semplice dall'euro.
Ma questa è musica del futuro prossimo. Oggi si può sostenere che il dramma della Grecia è lungi dall'essere finito e che sono destinati ad aumentare i timori sulla sostenibilità della situazione finanziaria di Portogallo, Spagna, Irlanda ed Italia. Tutto ciò fa planare una grande ombra sul futuro della moneta unica europea: sicuramente l'euro non potrà più contare sulla disponibilità a partecipare a nuovi salvataggi da parte della Germania. E questo sarà un pesantissimo fattore di incertezza per l'intera costruzione europea.
Alfonso Tuor
(Ticino News.ch)