A seguito del mio precedente: comunque stiamo tutti in "campana", l'emergenza sui periferici è al punto di svolta ma la crisi non è ancora finita. Non vorrei che il mio orizzonte "positivo" possa contagiare (nel dubbio) altri ....
Così oggi un acuto commento sulla "Stampa":
""....Molto dipende dalla Grecia, a cui domani la Commissione Ue detterà la strategia per uscire dalla crisi. Però il solo aver permesso che il vecchio governo di centrodestra riducesse allo stremo la finanza pubblica ellenica non è un buon biglietto da visita per l’Eurozona. Lo stesso vale per il Portogallo, dove il rapporto fra il deficit e Pil è passato dal 2,7% del 2008 al 9,3 dell’anno che si è appena chiuso, livello mai toccato prima. Lisbona vuol tornare sotto il 3%, obiettivo virtuoso, entro il 2013. Ce la farà? Nel dubbio la speculazione vende euro e compra dollari. Scommettono temporaneamente sulla possibilità che i portoghesi abbiano mentito come i greci, discorso allargabile a irlandesi e spagnoli, i primi in forte rosso sebbene in ripresa, i secondi aggravati dal 20% della popolazione senza lavoro.
Guai anche fuori dall’euro, a cui sono ancorate le claudicanti economie baltiche. Le valute delle tre repubbliche subiscono da tempo la speculazione. Il cambio fisso stimola i trader i cerca di un profitto, è già successo nel 1992 quando il finanziere ungherese George Soros si scatenò contro l’Europa. L’Estonia ha i conti in ordine e un rapporto deficit-Pil stimato sotto il 3% a fine 2010, risultato al prezzo di una recessione a due cifre e la disoccupazione al 13,3%; vorrebbe entrare nell’euro. La Lituania sta peggio, Pil giù di 15 punti e disoccupati in linea coi cugini di Tallinn. Poi c’è la Lettonia. Nel 2009 è stata salvata per un pelo, ma l’economia ha perso il 19,5% nel terzo trimestre e un lavoratore su cinque è a casa. Servono cure da cavallo per ripartire. Nell’insieme la foto dell’Europa fa rizzare i capelli, sono sette Stati su ventisette schierati in zona pericolo. Normale che i mercati privilegino il «buy american» valutario, anche se a Bruxelles c’è a chi piace ricordare che la stabilità europea è più proverbiale di quella Usa. «Meglio loro di quanto noi stiamo peggio», assicurano alla Commissione. Probabile che, mentre parlano, dietro la schiena tengano le dita incrociate....""