Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario........
Il Movimento 5 stelle annuncia di rinunciare ai rimborsi elettorali (oltre 42 milioni di euro) e invita il Pd di Pier Luigi Bersani a fare altrettanto con una iniziativa eclatante.
Ma non gli spettano.
Inizia con una “bufala” la legislatura del movimento di Grillo.
All’art.5 della legge n.96/2012 che reca norme in materia di «riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e movimenti politici» afferma espressamente che i movimenti e i partiti per aver accesso ai rimborsi devono depositare il proprio statuto al Presidente del Senato e al Presidente della Camera.
Ma il Movimento 5 Stelle vanta sul proprio sito il “non statuto” e quindi non ha diritto, in base alla legge, accedere ai rimborsi elettorali.
La legge parla chiaro: i movimenti «sono tenuti a dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto, che sono trasmessi in copia al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati entro quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni».
In pratica, il “non-statuto” dei grillini, configurandoli come “non-associazione” (art.1), senza neppure un tesoriere responsabile della gestione dei fondi, li esclude automaticamente dalla possibilità di ricevere i rimborsi elettorali.
Una sceneggiata sulla falsariga di quanto accaduto in Sicilia.
I quindici eletti del M5S hanno consegnato simbolicamente ai cittadini un assegno da 1.426.000 euro di rimborsi elettorali.
Un doppio bluff: primo, con la nuova legge il rimborso sarebbe stato al massimo della metà.
In secondo luogo, come per gli eletti alla Camera e al Senato, non hanno diritto a nulla, non avendo né uno statuto né un tesoriere.
All’ultima assemblea degli eletti c’è chi ha ricordato che i grillini sono arrivati in Parlamento «dicendo che avremmo preso 2500 euro al mese e invece ora stiamo discutendo se tra rimborsi e tutto il resto prenderne undicimila».
Ma c’è chi ha sottolineato: «Non bisogna rimetterci di tasca nostra».
Una parlamentare siciliana ha raccontato che «in Sicilia hanno fatto un errore e hanno restituito più di quel che dovevano dare e ci hanno rimesso di tasca loro».
Da un altro neoeletto è arrivato il monito: «Non dobbiamo lucrare ma dobbiamo essere equamente retribuiti oppure diventiamo integralisti».
Si è passati in pochi giorni da «zero rimborsi» a «equamente retribuiti»: anche i grillini hanno un’anima (e un portafoglio).
per adesso non siamo ancora a questo livello:
Il processo ENIMONT [
modifica]
Nel
novembre 1993 la Lega Nord entra per la prima volta nelle indagini di
Mani Pulite, che da quasi due anni stavano scuotendo la politica italiana incassando anche il plauso leghista. Il
24 novembre nel
processo ENIMONT, il processo più celebre di Tangentopoli,
Carlo Sama, amministratore
Montedison e cognato di
Raul Gardini, afferma di «non escludere che la Lega abbia percepito soldi in campagna elettorale nel '92»
[180]. Il
4 dicembre L'espresso rivela che la Montedison avrebbe deciso di versare 200 milioni di lire ad
Alessandro Patelli, segretario organizzativo, e, fino al
12 agosto 1992, tesoriere della Lega Nord
[181]. Tre giorni dopo Patelli è posto agli arresti perché chiamato in causa dal responsabile delle relazioni istituzionali dei Ferruzzi,
Marcello Portesi, il quale conferma di aver dato 200 milioni al bar Doney di via Veneto a Roma a Patelli per conto di
Sergio Cusani «in prossimità delle elezioni politiche del 1992»
[182]. Bossi e la Lega difendono Patelli: «abbiamo sempre confidato nella magistratura che deve punire i colpevoli e assolvere gli innocenti. Non cambiamo idea e quindi esigiamo che la magistratura agisca in tempi brevi e che, di conseguenza, rilasci chi è innocente come Patelli»
[183]. Ma il giorno dopo Patelli ammette tutto e dunque posto agli arresti domiciliari
[184]. Il
20 dicembre Antonio Di Pietro interroga Umberto Bossi dopo che il giorno prima l'ex leghista
Piergianni Prosperini aveva sostenuto che «c'erano ben poche possibilità che il cassiere agisse senza l'input del segretario. Anche perché altrimenti nessuno gli avrebbe dato una lira»
[185]. Bossi raccoglie allora i 200 milioni al II Congresso della Lega Lombarda e consegna l'assegno alla procura, la quale rifiuta e interroga Bossi (che nega tutto, tranne gli incontri con Sama). Bossi è così ufficialmente indagato per concorso in violazione della legge sul finanziamento dei partiti in concorso con Patelli
[186].
Il
5 gennaio 1994 Bossi è interrogato in aula al processo Cusani in diretta TV per quasi un'ora
[187][188]. Per questa vicenda, la giustizia italiana riconoscerà Bossi e Patelli sempre colpevoli e li condannerà a 8 mesi di reclusione ciascuno, ma nessuno vedrà mai il carcere grazie alla sospensione automatica della pena in virtù della Legge 27 maggio 1998, n. 165 detta legge Simeone-Saraceni, approvata poco tempo prima della sentenza di
Cassazione[189][190].