HO PASSATO UNA VITA A NON SENTIRMI ALL'ALTEZZA, ADESSO MI SDRAIO E VAFFA...

Pubblichiamo l’intervento di Francesco Paolo Sisto (Forza Italia, avvocato penalista) in occasione del voto di fiducia alla Camera sul decreto intercettazioni.

Noi interveniamo sul voto di fiducia e questo è un punto di partenza difficile, perché ci si chiede la fiducia ?

Si chiede la fiducia al Parlamento sulle costanti violazioni della norma costituzionale.

Chi oggi vota la fiducia vota la violazione alle norme costituzionali : ancora una volta, ancora una volta!

Dopo il 111, l’articolo 15, insieme al 24, al 25 e al 27: numeri!

Ma chi siede ai banchi del Governo - almeno una parte di chi è seduto ai banchi del Governo - sa che non sono numeri,
sa che la Costituzione non è un’opinione, sa che la Costituzione è storia, è sangue, è scritta con la vita;
è stata scritta con la vita la Costituzione, e noi ci permettiamo di baloccarci con le norme costituzionali semplicemente
per una logica di sopravvivenza vergognosa per la storia di questo Parlamento.

Questo è un provvedimento che capita in un brutto momento, è vero.
Le contingenze ci inducono a valutarlo in modo diverso, ma questo non attenua la gravità del gesto,
e chi cerca - come chi mi ha preceduto - di giustificare quello che sta accadendo nell’Aula approfittando di un momento difficile del Paese,
è meno meritevole di chi, in qualche modo, tante volte ha speculato sulle contingenze.

Infatti, parliamoci chiaro: esiste la malattia, esiste l’epidemia, esiste il dramma non meno grave di persone che, soggette alla voragine del processo penale,
ne escono indenni dopo tanti anni ed essere state distrutte: è un modo di distruggere le vite non diverso!

Noi di questo siamo perfettamente consapevoli e non ci basta l’attestato di coerenza:
quella ce la prendiamo da soli, la coerenza, non c’è bisogno che ce la riconoscete voi. La nostra coerenza la difendiamo da soli e da anni, dal 1994.

Il 1994 mi richiama “1984”, uno straordinario romanzo di George Orwell che afferma un solo principio, parliamoci chiaro: il controllo.

Oggi voi introducete nel nostro pianeta giudiziario un sistema che ha due effetti:

il primo, consegnare l’Italia ai pubblici ministeri; questo voi state facendo.
Non è un’espressione ad effetto, illustre viceministro, perché il 1° maggio, una data che voi avete scelto per il vigore di questa legge,
da oggi non sarà più soltanto la festa del lavoro: sarà la festa delle procure.

Mi aspetto il 1° maggio di vedere i cortei delle procure che osannano a questo scellerato Governo che ci regala questo scellerato provvedimento,
perché il primo effetto è quello dello sbilanciamento verso le procure.

Il secondo effetto è quello che le intercettazioni, in tutte le forme possibili e immaginabili, diventeranno, come nel mondo delle automobili,
da un optional assolutamente straordinario e riservato a delle deroghe, di serie nei processi.

I processi avranno di serie le intercettazioni, perché sarà evidente: se posso andare a strascico - uso un termine di cui questa volta non si abusa -
perché non dovrei attivare, nell’ambito di un processo, delle intercettazioni che mi consentono di prendere un po’ qui e un po’ là?

Un cherry picking sconsiderato nella parificazione tutta pentastellata
- e voi del Partito Democratico dovreste avere vergogna di questo appoggio - della pubblica amministrazione con i delitti di mafia.

Ma, scusate, mi spiegate la logica della parificazione dei delitti della pubblica amministrazione alla mafia?

Me lo dovete spiegare, con un doppio binario che ha avuto invece una storia chiarissima e netta.

In questo Parlamento, pur di tenersi ancorati saldamente a quelle poltrone, voi votate questa scelleratezza ulteriore!

Credo, presidente, che il provvedimento violi il diritto alla riservatezza e al segreto, perché ciascuno di noi ha diritto a dei segreti:
non è vero che un segreto è una bugia, come dice Tom Hanks in un famoso film, “The Circle”.

Un segreto non è una bugia, è un diritto sancito dalla Costituzione.

Le indagini a strascico: una barbarie.

Ma, da ultimo e non ultimo, la demolizione, pezzo per pezzo, cosciente, deliberata, senza pietà, della presunzione di non colpevolezza.

Voi state favorendo un processo mediatico che già oggi è clamorosamente inarrestabile.

Con questa riforma, con questo intervento, voi condannerete ciascun cittadino, ineluttabilmente, molto prima che intervenga il giudice.

Voi del giudice ne fate a meno, voi volete semplicemente un’inquisizione che porta il cittadino sulla stampa ad essere giustiziato prima di una sentenza, priva di un contraddittorio.

Basterà una notizia quasi criminis, ben pompata, ben spinta, per raggiungere l’obiettivo di distruggere le vite.

È cosa che già accade, ma con questo provvedimento incontra un alleato inaspettato: è questo che noi vogliamo in questo Paese?

Ciascuno di noi questo vuole, che basti una notizia dal sen fuggita, ben spinta?
E mi riferisco a chi le ha difese queste cose in passato e oggi ne diventa correo, se non istigatore e addirittura promotore,
perché chi più sa, chi più sa, più è responsabile. Non me la prendo con chi non sa, me la prendo con chi sa
e queste cose le insegna anche all’università, diventando, in qualche modo, responsabile - gravissimamente responsabile - di quello che sta accadendo.

Presidente, che dire, le negatività nascono tutte insieme.

Noi, in Prima Commissione, abbiamo subito l’insulto che il provvedimento non passasse dal necessario vaglio degli Affari costituzionali
senza neanche una telefonata del presidente Brescia che ci dicesse “scusate, non passa il provvedimento”.

Ma dove siamo arrivati?

L’articolo 75 del Regolamento
! Ma questo è un segnale di disinteresse: avanti come i rulli compressori contro tutti e tutto, le regole, la sostanza, la Costituzione, il Regolamento!

È un Governo che si avvia a suicidarsi senza bisogno di aiuti
.

È una sorta di suicidio auto-assistito, perché ravviso in tutte queste patologie chiari segnali di sclerosi, di difficoltà,
di un disfacimento non soltanto giuridico, non soltanto costituzionale, ma anche etico, perché travolgere consapevolmente le regole va proprio contro l’etica del Parlamento.

Allora, Presidente, quando si va addirittura oltre le Sezioni Unite, cercando di andare in peius rispetto ad un autorevolissimo insegnamento che viene dalla sentenza Cavallo,
credo che il troian meriti almeno un commento, o trojan, come lo chiamano coloro che vogliono dare a questo termine un suono esotico, ma c’è molto poco di esotico, veramente molto poco.

Siamo, infatti, di fronte ad uno strumento invasivo senza pietà
.

Questo strumento ha una caratteristica inaccettabile: non individua il luogo dove si deve intercettare.

Il luogo rimane del tutto indefinito, è al di là delle forme e delle pseudo motivazioni.
Se innesco un meccanismo che mi consente di intercettare in ogni dove, violo o non violo l’articolo 15?

Ma rispondere a questa domanda! In ogni dove!

Hai voglia a dire motiva di più, motiva di meno, dammi un’indicazione: io sono soggetto ad un controllo!
Ma voi questo volete, che l’italiano, il cittadino, sia soggetto al controllo delle procure?

Io non lo voglio e mi batterò con tutto me stesso, insieme ai miei compagni di strada, che sono quelli del gruppo di Forza Italia:
ci batteremo fortissimamente e chi vuol stare con noi è il benvenuto ma non stare con noi per occasione, per convenienza,
i cosiddetti garantisti d’occasione che votano ora sì, ora no, ora contro, ora per il Governo.

Abbiate il coraggio, signori di Italia Viva, di votare la sfiducia a questo Governo. Votatela, se avete il coraggio!

Ma no, perché voi dovete, come si dice dalle mie parti, la mongia e la pongia, prendere qui e prendere là, ora sì e ora no. Questo non va bene.

Sui principi garantisti, sui principi fondamentali, abbiate il coraggio di andare fino in fondo, combattete con noi queste grandi battaglie istituzionali!
Presidente, a proposito di esotismi, credo che il mio sforzo si debba avviare rapidamente a conclusione.

Certo non voglio citare “Di Mio”, Di Maio e il virus che diventa “vairus”, perché questo è un esotismo che certamente non mi posso permettere,
non ho la capacità, però voglio citare, per chiudere, una frase di Solženicyn, Arcipelago Gulag:

“Oracevskij aveva fatto cinque anni soltanto, era stato condannato per delitto facciale (esattamente secondo Orwell), per un sorriso”.

Ecco, io voglio chiudere il mio intervento con un sorriso, ma sia ben chiaro, è un sorriso che prelude ad un pianto profondo.
 
Voto alla Camera per la fiducia sulla conversione del decreto legge sulle intercettazioni.

Il testo, già approvato in Senato, è stato approvato in via definitiva attraverso un voto “prendere o lasciare”, dall’esito quindi del tutto scontato.

Il decreto modifica la riforma Orlando (dal nome dell’allora ministro della Giustizia) sulle intercettazioni, introducendo la possibilità di intercettazione ambientale tramite trojan
per i delitti degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione (oltre che, come ora, per i pubblici ufficiali)
ed escludendo i delitti contro la pubblica amministrazione da quelli per i quali occorre indicare luoghi e tempi in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.

Affida inoltre al pm la selezione delle intercettazioni di interesse per le indagini, eliminando l’iniziale valutazione della polizia giudiziaria;
consente l’uso dei risultati delle intercettazioni mediante trojan per provare reati diversi da quelli per i quali è stata autorizzata la captazione,
purché si tratti di reati di mafia e terrorismo e delitti contro la pubblica amministrazione.

L’uso dei trojan per captare le comunicazioni è la più invadente e subdola modalità di intercettazione,
non a caso inizialmente prevista in limitate, gravissime ipotesi di reato, e poi estesa per volere del ministro Alfonso Bonafede
anche a intercettazioni per reati come l’abuso di ufficio, nella foga di fare qualcosa (o quantomeno dirlo) per stanare i corrotti
.

Rincresce, dunque, che per un metodo così penetrante di indagini non solo si sia dovuti ricorrere al decreto legge, ma pure al voto di fiducia.

Il fatto che ormai la decretazione d’urgenza e la questione di fiducia rappresentino il modo ordinario di fare e approvare le leggi non ne rende più tollerabile il loro distorto uso.

Che vi si ricorra, anzi, dieci volte anziché una rende ancor più grave l’incapacità delle maggioranze di governo di attuare il loro programma,
senza dover ricorrere alla via breve del decreto legge e al ricatto della questione di fiducia.

Entrambi i procedimenti sono nati per affrontare situazioni specifiche e eccezionali, non per nascondere la debolezza dell’agire politico.

Che tale debolezza diventi forza solo grazie all’arma del ricatto politico non è solo segno della crisi della politica,
ma, quel che è assai peggio, della protervia dello Stato, specie quando in ballo ci sono, come nel caso dei trojan, i nostri diritti
.
 
"Siamo partiti da Roma Fiumicino domenica sera" ha raccontato "non c'era nessuna restrizione.
La mattina successiva siamo arrivati a Mauritius e lì abbiamo scoperto che qualcosa non andava
e che le autorità stavano decidendo cosa fare dei passeggeri italiani, in particolare quelli di Lombardia e Veneto.
La notizia dei contagi e di interi paesi isolati per via del coronavirus, le autorità locali l'hanno appresa dai nostri giornali.
Erano in evidente in imbarazzo perchè ci hanno detto chiaramente che gli italiani sono ottimi clienti
ma di fronte a regioni che rifiutavano turisti della stessa nazione, si chiedevano come si sarebbero dovuti comportare loro".

Una impasse che è stata affrontata da Gattinoni e dal comandante dell'aereo stando sulla passerella dei velivolo
e parlando con le autorità locali che erano a terra, quindi senza poter mettere nemmeno piede sul suolo.

"E' stata una situazione assurda. Loro erano imbarazzati ma al tempo stesso spaventati per quanto leggevano sui giornali italiani,
gli sembrava impossibile dover creare un cordone sanitario contro di noi ma del resto le notizie allarmanti gliele forniva l'Italia stessa.
A questo punto la scelta era tra sbarcare e fare una quarantena in un posto non ancora definito, quindi non si sa se in un ospedale
o in qualche altra struttura che avrebbero dovuto individuare, oppure rientrare.
Io ero con mia moglie e mia figlia e chiaramente al comandante ho detto che senza garanzie di dove ci avrebbero alloggiato
non saremmo scesi dall'aereo e così hanno fatto anche gli altri passeggeri lombardi e veneti.
L'assurdo è che alcuni di loro abitavano a Milano ma risiedevano a Bologna, quindi in realtà erano fuori regione ma è stata tutta una confusione pazzesca.
Il colmo è stato quando, per via di queste notizie sfuggite al controllo che hanno generato panico,
persone che dovevano rientrare si rifiutavano di salire sul nostro aereo ritenendoci infetti. Una follia".

Nativo di Lecco, solo da qualche anno residente a Milano ma sempre sul Lario per lavoro e per i legami che lo tengono ancorato alla sua città,
Gattinoni si è scagliato contro la classe politica che non ha gestito la situazione contribuendo solo a creare panico e paure ingiustificate,
come non è avvenuto nel resto dell'Europa e del mondo che hanno affrontato in modo completamente diverso la situazione.


"Sono deluso e amareggiato dai comportamenti della nostra classe politica, di cui non vedo una cabina di regia ma solo interventi in grado di creare allarmismo e panico.
Credo che in ambito nazionale si stia nettamente sottovalutando l'entità dell'impatto economico che si sta arrecando al nostro Paese e la gravità delle perdite.
All'estero sono stati più pragmatici e risoluti nell'affrontare la situazione, senza sottovalutarla ma senza nemmeno terrorizzare l'opinione pubblica.
Si è innescata una follia collettiva che dobbiamo arginare ed i media e i social network in tutto questo hanno avuto
e stanno avendo un ruolo di primo piano nell'amplificare in maniera esponenziale lo stato di allerta e paura che si è generato.

E' assolutamente necessario ridimensionare l'allarmismo creato in questa settimana, per cercare di recuperare i gravi danni economici già procurati."
 
....quelli di fronte a casa mia sono ...scomparsi......
...azz......devo cominciare a preoccuparmi ??

Serrata dei negozi cinesi nel centro di Lecco.
Il primo a chiudere i battenti è stato "Viviphone", l'esercizio per la riparazione di cellulari e computer affacciato su via Cavour
che, per il momento, ha sospeso la propria attività fino a martedì 3 marzo, seguito dal Caffè Diaz nell'omonima piazza.

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Saracinesche abbassate "solo per oggi" al salone di bellezza L&C in zona stazione e alla rivenditoria di "Bubble tea" in via Nazario Sauro,
a pochi passi dal lungolago, dove invece riaprirà soltanto dopo il 2 marzo la Nail Spa "Beautiful you",
in quest'ultimo caso - come si legge in un cartello - "a causa della situazione sanitaria circostante".

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Esplicitamente collegate al Coronavirus anche le chiusure di “Dodo Hairstyle” e “Dodo Nails”,
parrucchiere e centro estetico afferenti alla stessa catena situati rispettivamente in piazza Diaz e in via Roma,
alle cui porte – sbarrate da oggi, 26 febbraio, fino a data da destinarsi – sono stati affissi due cartelli
per avvisare la clientela della decisione presa a scopo preventivo,
“per dare un contributo alla comunità a ridurre al minimo la possibile diffusione di malattie virali”.

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Poi ti chiedi come mai il virus dilaga..........
A me sembra di avere a che fare con persone altamente superficiali ( e mi contengo)

Incongruenze o comunque decisioni difficili da capire quelle con cui in questi giorni si confronta la famiglia
di un ragazzo di 17 anni, residente a Lecco, e allievo dell’istituto di agraria di Codogno.

Il giovane è compagno di classe del coetaneo della Valdidentro positivo al test del Coronavirus.

«Mio figlio - racconta il papà - giovedì scorso è rientrato a casa in treno da Codogno.
Quando è uscita la notizia del focolaio del Lodigiano ho chiamato i responsabili sanitari di Lecco per capire come comportarmi.
Ho chiesto se era possibile sottoporre mio figlio al tampone, così da avere un quadro certo.
Mi è stato risposto che il tampone si fa solo in presenza di febbre. E anche le altre indicazioni sono state piuttosto vaghe.
Se devo essere sincero ho avuto l’impressione che non considerassero il problema secondo la gravità che poi si è manifestata.
Ho richiamato domenica sera. Questa volta mi hanno detto che sarebbe auspicabile che il ragazzo disponga di una camera e di un bagno dedicato.
Ho chiesto se ci fossero indicazioni per gli altri componenti della famiglia e mi è stato risposto che non ci sono prescrizioni da seguire.
Ho insistito: posso andare a lavorare? Non c’è problema, è stata la risposta. Come non ci sono limitazioni per gli altri famigliari che possono muoversi senza restrizioni».

Il papà del ragazzo fa notare che le indicazioni ricevute sembrano lasciare dei buchi nella rete dell’isolamento, che potrebbero indebolire o rendere inutili le misure adottate.

«È vero che il tampone non si può fare a tutti - osserva - però mio figlio è entrato in contatto con il ragazzo risultato positivo al virus.
Non andrebbe controllato come un possibile portatore della malattia e non come un cittadino qualunque?
E noi familiari che siamo in contatto per 24 ore al giorno con il ragazzo non dovremmo osservare delle limitazioni?
Devo dire che io ho preso ferie, forse per un eccesso di zelo e senso civico.
Insieme agli altri componenti della famiglia, ci siamo auto imposti di non uscire di casa per non far correre rischi ad altre persone.
Forse siamo troppo prudenti, non sono un medico, mi affido al buon senso. Non posso escludere che la mia cautela sia eccessiva.
Resta comunque l’impressione che la nostra attenzione verso gli altri non sia non dico apprezzata, ma nemmeno considerata.
Domani potrei andare tranquillamente al lavoro e, in modo inconsapevole, contribuire a diffondere il virus, non solo tra i colleghi
ma anche tra tutte le persone con cui dovessi entrare in contatto.
Mi pare che il caso di mio figlio, come degli altri allievi dell’istituto di Codogno, vada considerato con un’attenzione diversa
da quella di chi in quest’ultimo periodo non è stato a Codogno e non ha avuto contatti con persone positive al test.
A Lecco, oltre a mio figlio ci sono altri quattro ragazzi del Tosi, tre in Valsassina e due sul lago.
Per tutti loro valgono le scarne indicazioni che abbiamo ricevuto noi».
 
Gli stati di benessere ricercati attraverso l’ideazione e la sperimentazione di pratiche erotiche individuali, di coppia o di gruppo appartengono alla notte dei tempi.
Esempi mitologici o storici, come pure le testimonianze archeologiche sono molteplici, basti pensare
alle feste afrodisiache e orgiastiche dei baccanali (del dio Bacco) o dei saturnali (del dio Saturno) dell’antica Roma.

Un po’ come nell’antichità, anche oggi troviamo molte persone, che si spingono verso una spasmodica ricerca delle forti sensazioni del corpo,
dove quest’ultimo viene sottoposto a pratiche manipolative erotiche (a volte anche violente), perché si è convinti che solo in questo modo si possa incrementare il piacere!

In genere consideriamo comportamenti sessuali normali, tuti quelli che vanno dall’autoerotismo di conoscenza del corpo fino al coito in coppia,
purché – conditio sine qua non – questo sia corredato da affettuosità, rispetto e totale, reciproca consapevolezza.

Cavalcando la storia dei comportamenti sessuali, tuttavia, si apre anche il capitolo sulle “parafilie”,
ovvero dell’intenso e persistente interesse sessuale diverso da quello normale, fisicamente maturo e consenziente.
Le parafilie classificate sul DSM V, manuale statistico e diagnostico dei disturbi psicologici e psichiatrici, sono identificate in otto condizioni:
il disturbo esibizionistico,
il disturbo feticistico,
il disturbo frotteuristico,
il disturbo pedofilico,
il disturbo da masochismo sessuale,
il disturbo da sadismo sessuale,
il disturbo da travestitismo,
e il disturbo voyeuristico.

L’era del sesso virtuale
Nel web si assiste a uno spostamento del desiderio sessuale.
Il partner di vita reale diventa altro, spesso un oggetto, una immagine o una parte del corpo ritenuta – in modo distorto – fonte di eccitazione che rasenta la perversione.

Segnalati dal sito di Staff di Medicina online, emergono comportamenti definiti di “cyber sex”,
che vanno ben oltre la mera esibizione dei propri attributi genitali, e coinvolgono indistintamente ragazze e ragazzi,
fino ad arrivare a fenomeni ripetuti e compulsivi di chat sex addiction e di cyber porn addiction.

I giovani adolescenti (ma non solo loro come insegna il recente caso del candidato sindaco di Parigi),
impratichiti all’uso di webcam e di messaggistiche audio-video, trovano un’inziale divertimento proiettivo narcisistico e istrionico
nell’esibire i proprio genitali o addirittura a esibire vere e proprie attività di autoerotismo in diretta online rivolte a un’utente o a più,
in genere scelti come spettatori ignari, per il gusto di stupire e con la speranza di eccitarlo, convertendolo alle proprie pratiche perverse.

Se qualcuno “ci casca” e risponde, ne scaturisce un immenso piacere ormonale fisiologico e ne consegue un compiacimento emozionale.
L’atteggiamento più grave, a questo punto, diventa la smodata ricerca della ripetizione di questi gesti perversi
fino a raggiungere la compulsività tipica dell’erotomane, fino a diventare una vera e nuova dipendenza psicopatologica!

Gli effetti del cyber sex
La chat sex addiction, o dipendenza da chat erotiche, avviene su un piano surreale relazionale,
in quanto le fantasie erotiche vengono scambiate e, a volte, condivise in maniera simultanea con altre persone.

Studiando il fenomeno sex esibizionista online sì è capito che manca completamente il contatto fisico-emotivo reale tra i soggetti che interagiscono sempre e solo virtualmente.
Qui l’attivazione delle aree del cervello riguarda in esclusiva il contatto audio-visivo e le funzioni dei neuroni a specchio che innescano il piacere orgasmico.

La cyber porn addiction invece è una pratica alternativa che subentra quando l’individuo si ritrova da solo con evidenti difficoltà relazionali.
Nell’appartato mondo virtuale di internet e della chat, il soggetto disturbato si nutre di contenuti pornografici.
La pulsionale sessuale ormonale si appaga sfogandosi attraverso il piacere visivo di filmati o spezzoni di video pornografici.

La cyber sex addiction, infine, è il settore dei più perversi tra i disturbi parafilico sessuali, perché interseca,
oltre che l’esibizione genitale e le attività di autoerotismo, anche l’uso di sempre più contorti meccanismi.

L’elenco di oggetti o animali usati in queste pratiche è sterminato come la fantasia deviata di chi li usa, fino a sfociare – a volte – in pratiche violente e autolesionistiche.

I soliti consigli sempre validi per la famiglia
Questi giovani spesso ansiosi, emotivamente insicuri nelle relazioni affettive (sia familiari che sociali)
hanno spesso chiari ed evidenti disturbi del tono dell’umore che oscilla dai livelli di depressione
a quelli della ipereccitabilità euforica, modulala però, purtroppo, da una ricerca orgasmica.

Spesso il dialogo con questi giovani “vittime” dell’erotismo distorto è vuoto ed è privo di affettuosità,
con scarsa capacità di funzionamento relazionale emotivo o affettivo.
Questi giovani si sentono non ascoltati e poco considerati in famiglia, in genere isolati e poco considerati dai coetanei.

I genitori, a loro volta, sono sempre impegnati a gestire il quotidiano e non si curano di sondare i pensieri poco sani dei loro figlioli.
Invece di occuparsi di smanettare con lo smartphone o la tv, ogni genitore dovrebbe un po’ di tempo al dialogo
confrontandosi nel raccontare e ascoltare le vicende quotidiane dei propri figli.

Dialogare è un dovere-piacere, parlando anche e soprattutto sull’ uso dello smartphone, delle chat!
Bisogna saper verificare e anche imporre una disciplina. Per esempio, di notte si dorme fino al mattino, a costo di “sequestrare” il cellulare.

È bene incoraggiare la partecipazione a sport di gruppo e la frequentazione di “antichi” luoghi d’incontro relazionali (se ancora esistono) come gli oratori.

Dialogare di sessualità con ragazzi e ragazze non è facile per un genitore, è quindi doveroso consultare uno psicologo,
magari partendo dal pediatra o dal medico di famiglia! In questo modo si ridurrebbe drasticamente il pericolo di far insorgere o radicare le parafilie da cybersex online!
 
La Gran Bretagna potrebbe trasformarsi in un paradiso fiscale.

Regole diverse per gli stranieri residenti, valutazione a punti per chi ha intenzione di trasferirsi,
viaggiatori in stand by in attesa di una possibile visa. Tutto cambia in UK grazie alla Brexit.

Tutto tranne il commercio a cui il Primo Ministro non vuole imporre alcuna restrizione perché la parola chiave è “ricchezza”.

L’ Unione Europea già si prepara a fermare l’idea di Boris Johnson poiché il danno economico che ne deriverebbe sarebbe grave.

Una vera e propria fuga di denaro.

Ma il Primo Ministro non bada alle minacce europee e, supportato da finanziatori provenienti da India e Hong Kong oltre che da Donald Trump,
parla di poche tasse per le multinazionali estere, flessibilità sulle questioni finanziarie e un discreto segreto bancario
ad oggi rimosso agli ex paradisi fiscali quali Svizzera e Monte Carlo.

In particolare, il presidente americano minaccia sanzioni a chiunque si opponga a questa idea offrendo protezione a qualsiasi paradiso fiscale europeo
che permetterà ad aziende americane come Google o Facebook di fare “ottimi affari fiscali”.

Uno dei pochi strumenti disponibili per contrastare una tale catastrofe per l’Unione Europea potrebbero essere
le mancate garanzie così da impedire gli accordi per l’accesso della Gran Bretagna al mercato europeo.

Con Brexit l’Inghilterra tornerà a essere libera dai vincoli imposti dall’ Unione e l’avvio alla creazione di un vero e proprio paradiso fiscale
non è un’ipotesi così remota, avendo ella stessa avviato un processo di “de -regulation” del mercato interno.

Per gli inglesi, la cui società si è sempre retta sul commercio e sulla esclusività societaria, questa è un’occasione d’ oro e Brexit è stato solo un lascia passare verso un futuro prospero.

Per ora si attende la fine di questo periodo di transizione (31 dicembre 2020), ma gli accordi commerciali si stanno già pericolosamente delineando per l’Europa.
 
......e se l'avessero montato apposta ? ........Perchè solo noi in Europa ?

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte approfitta dell’emergenza imposta dal Coronavirus
per lanciare un appello all’unità nazionale che di fatto dovrebbe costituire un atto di fiducia piena
e senza distinguo di sorta alle decisioni ed alle scelte del proprio governo.

L’appello raccoglie l’immediata adesione delle forze della coalizione governativa.

I partiti che fino all’altro ieri sembravano ad un passo dalla rottura si affrettano a rinviare il cosiddetto chiarimento a data da destinarsi
per non assumersi la responsabilità di provocare una crisi in un momento di così grande difficoltà.
E le stesse forze dell’opposizione riducono le proprie polemiche nei confronti dell’Esecutivo
ammettendo implicitamente che in nome dell’unità nazionale non si debbono creare problemi al governo.

Il Paese formale, dunque, aderisce rapidamente e facilmente all’appello di Conte mettendo da parte, almeno per il momento, i dissidi,
i contrasti, le accuse e le ripicche che avevano alimentato nelle settimane scorse i pericoli di una crisi dagli sbocchi non prevedibili.

Ma il Paese reale è disponibile ad adeguarsi all’indicazione proveniente da quello formale?

Tra i suoi tanti effetti il coronavirus ha riprodotto in maniera netta ed inequivocabile la distinzione tra i due Paesi,
quello delle istituzioni che opera nel Palazzo, e quello della società civile che vive nella penisola.

Il Palazzo si stringe attorno a Conte firmando una sorta di cambiale in bianco al governo.

La società civile continua a non fidarsi affatto di un governo e di un Parlamento che non più tardi di una settimana fa
sembravano spinti verso l’abisso dal peso del discredito di cui erano caricati.

Conte, in sostanza, può convincere i partiti a concedergli una tregua in nome dell’emergenza nazionale.

Ma non è in grado di raccogliere la fiducia della maggioranza degli italiani a cui non viene affatto spiegato perché mai il nostro Paese
sia passato da quello più affetto d’Europa da pregiudizio razzista a quello più affetto di coronavirus del Vecchio Continente.

Conte, naturalmente, se ne può tranquillamente infischiare del Paese reale.

Finché quello formale lo sostiene rimane senza scosse a Palazzo Chigi.

Ma l’emergenza è come l’epidemia. Presto o tardi finisce.

Ed allora i conti si pagheranno con il sovrapprezzo della rabbia popolare repressa!
 
Con il termine di circonlocuzione s’intende un lungo giro di parole, onde evitare una espressione più diretta del proprio pensiero,
che spesso nasconde intenzioni ben poco lodevoli, se non una vera e propria mistificazione o impostura.

Sarà casuale, ma quando mi imbatto in una dichiarazione pubblica del premier Giuseppe Conte, mi viene in mente il succitato vocabolo.

Così come è accaduto nel corso dell’ennesima conferenza stampa sul tema del coronavirus,
il quale ha ampiamente superato i limiti dell’ossessione collettiva, tenuta dal capo del Governo nella sede della Protezione civile martedì scorso.

Molti paroloni e frasi altisonanti, ma a stringere ben poca concretezza su cui applicare le nostre valutazioni di semplici osservatori; questo in sintesi il succo del discorso.

Un discorso che, almeno in alcuni passaggi, è sembrato in evidente antitesi rispetto a quelle cosiddette declamazioni tranquillizzanti
che avevano caratterizzato il messaggio contiano prima che lo stesso coronavirus facesse il suo minaccioso ingresso in Italia.

Dichiara infatti Conte, esprimendo una evidente critica nei riguardi dell’approccio iniziale con cui è stata affrontata l’emergenza:

“La prova tampone va fatta solo in alcuni circostanziati casi, la prova tampone non va fatta diffusamente,
non è che qualcuno oggi avverte un’influenza, una febbre anche alta e fa la prova tampone.
Assolutamente non sono queste le raccomandazioni della comunità scientifica, dei nostri scienziati, dei nostri virologi.
Il fatto probabilmente in questi giorni di avere esagerato con la prova tampone è un fatto che non risponde - ha aggiunto -
alle prescrizioni della comunità scientifica: altrimenti finiremo col drammatizzare quella che è una emergenza sanitaria
ma va affrontata con criteri di razionalità, seguendo dei protocolli molto lineari, di qui l’ordinanza di quest’oggi
che riguarderà la restante parte del territorio, o, diversamente avremo l’effetto di diffondere false sicurezze che sono illusorie, generano soprattutto confusione”.

Peccato però che le stesse false sicurezze erano state sparse a piene mani da Conte medesimo quando sbandierava ai quattro venti
le “eccezionali misure” per impedire al virus di sbarcare in Italia, compreso l’insensato blocco dei voli diretti dalla Cina
che la medesima comunità scientifica, alla quale oggi si appella il premier, aveva fortemente sconsigliato.

Misure le quali ci segnalavano, bontà sua, come uno dei più virtuosi Paesi del mondo.

Oggi invece il “contrordine, compagni”: attenzione a non spargere false sicurezze, visto che il coronavirus è vivo e vegeto e lotta insieme a noi!

Ma è sul piano economico, ossia sulla nota più dolente che sta accompagnando la disgraziata sinfonia del virus proveniente dalla Cina
che il Presidente del Consiglio si candida al titolo di campione delle circonlocuzioni del nulla.

A precisa domanda sui provvedimenti che il suo Esecutivo sta pensando di adottare, Conte chiede di compiere agli italiani l’ennesimo atto di fede, e annuncia:

“Ci predisporremo anche per reagire all’emergenza economica. Facendo sistema offriremo una risposta anche sul piano economico credibile.
Non dobbiamo drammatizzare – ha aggiunto – le misure sono adeguate”.


Parola di giovane marmotta, mi verrebbe da chiosare.

Fatto sta che se fino a qualche settimana fa potevamo rivenderci la ben nota frase di Ennio Flaiano,
secondo cui la situazione politica è grave ma non è seria; oggi, sotto la minaccia incombente di un cigno nero di natura virale,
con simili personaggi alla guida del sistema tutto sembra aver assunto i toni di una farsa terribilmente tragica.

Nell’interesse di tutti, spero vivamente di dovermi smentire.
 
Gli ultimi tre mesi sono stati particolarmente interessanti per i sociologi.

Si, non soltanto per i virologi.

L’epidemia di coronavirus, esplosa in Cina nel dicembre del 2019, ha colpito con alcune centinaia di contagiati
e pochissimi decessi (tra anziani già malati) in tutta Europa. In Italia sembrano essersi scoperti tutti igienisti.

Mascherine, alcool, candeggina
. Sembra che gli italiani prima del virus vivessero in una specie di trogolo, in cui passassero il tempo a sguazzare.

I sociologi impegnati nell’analisi della psicologia di massa si sono ingolositi.

La psicosi dilagante è chiaramente sproporzionata, per ora, all’entità del male.

Chiaramente il virus è particolarmente contagioso. Sebbene virulento, non si dimostra più pericoloso di una forte influenza stagionale.
Non è sminuendo un problema che lo si risolve; tuttavia cercare di inquadrarlo, passo dopo passo, nel giusto contesto,
aiuta a definire e rimodulare costantemente l’entità del male. È saggio non abbassare la guardia.

Forse, da questo periodo, ci sveglieremo più attenti e, in definitiva, più scrupolosi per quanto concerne l’igiene pubblica.

Non quella privata, in cui ancora gli italiani sono particolarmente solerti.

Il Web come mass media per eccellenza ha bombardato da subito con milioni di informazioni. Molte delle quali di dubbia autenticità.

Il “coronavirus affaire” ha dimostrato quanto l’ignoranza sia diffusa nel nostro Paese e quanto incida negli equilibri sociali.

L’abitudine a non vivere informati, a non acculturarsi, informandosi molto (e male) soltanto quando c’è un’emergenza, sta procurando una psicosi diffusa.

Quando si seppe che in Italia vi erano ben 2 contagiati è quasi scoppiato il panico.
Con un morto, le persone hanno fatto incetta di mascherine e disinfettanti.
Ci “siamo” fatti prendere dal panico per un decesso e pochi contagiati da questo virus,
quando, probabilmente, quasi tutti ignorano che in Italia, ogni anno, vengono riconosciuti dai 6 ai 9 malati di lebbra.
Si, lebbra, una parola atroce, che fa paura quanto “peste”.

Un morbo batterico particolarmente feroce, molto antico e che i più credono scomparso, o confinato in qualche cimicioso Paese terzomondista.

In Italia i quattro centri di ricerca sulla lebbra (Genova, Gioia del Colle, Messina e Cagliari) hanno il compito di riconoscere la malattia e guarirla,
quando possibile, grazie alla terapia Pct, una polichemioterapia attiva dal 1981 e che si basa sull’assunzione di ben tre farmaci.
Il problema della lebbra consiste nel fatto che il suo studio è difficile, in quanto il batterio non si sviluppa sotto vetro in laboratorio,
ma preferisce farlo direttamente nel corpo umano. Questo rende ancor più difficoltoso il suo studio.

Se noi sapessimo che dall’India o dall’Africa un turista ha importato la malattia nel nostro Paese, come ci comporteremmo?
Bene, tutti gli anni ce ne sono alcuni, ma pare non interessare.

Questa riflessione serve a chiarire quanto sia importante mediare tra l’indifferenza e l’allarmismo.

Non facciamoci quindi trovare impreparati. Ma non soltanto dal coronavirus. La società in cui viviamo, con meno confini, è sempre più globale.
Questo porterà a dover fare i conti non soltanto con il viaggio dei turisti e dei migranti ma anche con quello dei parassiti e delle malattie.
Ci porterà a dover fare i conti anche con il nostro provincialismo, a cui dobbiamo sostituire un nuovo atteggiamento: quello del cittadino e della cittadina post-globali.
 

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