Toro senza freni a Wall Street
di Gaetano Evangelista - 14/11/2013
Adesso non li si sente più quelli che: “ma dove vuoi che vada questa borsa, con i volumi così bassi”; con il puntuale corollario: “attenzione, su questa discesa i volumi sono cresciuti: può essere l’inizio del crollo”. Considerazioni affidate all’etere, e raramente andate a segno. Sostituite ora da un nuovo mantra: “la borsa deve salire per forza, perché con questi tassi così bassi il denaro non ha altro luogo dove essere investito”. Come se nel 1982, quando iniziò l’ultimo grande bull market secolare, i tassi non fossero a doppia cifra; come se a metà 2012, quando quasi tutti (quasi…) suggerivano di smobilizzare azioni e, già che c’eravamo, di liberarsi di tutti gli euro, i tassi non fossero al minimo storico. Buoni ultimi, insomma…
La realtà è che il profilo discendente dei volumi è una caratteristica di questa epoca; non certo degli ultimi quattro anni e mezzo – quasi cinque – di Toro scatenato. Perlomeno sul NYSE, i volumi mostrano una chiara tendenza discendente: il grafico evidenzia come tutti gli scambi giornalieri siano ben racchiusi da un canale di regressione inclinato verso il basso; al contempo la media a 21 giorni del turnover giornaliero, risulta calante tranne momentanei picchi, che guarda caso si registrano soltanto quando il mercato scende. Oltretutto, i volumi si sono stabilizzati da poco più di un anno, in termini medi; per cui, è errato argomentare che siano calanti.
Sul perché i volumi risultino calanti ci sono due argomentazioni; la prima è strutturale: il bear market secolare in essere dal 2000 si riflette in una minora partecipazione degli investitori, per cui la contrazione degli scambi è fisiologica e non va strumentalizzata. La seconda argomentazione fa riferimento al crescente successo di circuiti di quotazione “privati”, in competizione con il listino ufficiale, al quale sottraggono quote di mercato.
A ben vedere gli scambi complessivi sul NYSE, che sommano la componente “pubblica” e “privata”, non mostrano una vistosa contrazione; ma i giornali e i media si soffermano superficialmente sulla prima, fornendo una rappresentazione viziata e parziale.
Un'altra scomposizione che giova sempre effettuare è però quella fra Up Volume e Down Volume. Mica per niente: fino a che il primo prevarrà sul secondo, il bull market sarà al sicuro. È una conclusione “alla Catalano”: se i compratori prevalgono sui venditori, il mercato sale, punto. Inutile agitare spauracchi, come invano è stato fatto per buona parte di questo fantastico anno borsistico: se vi è prevalenza di Up Volume, non ci sarà motivo di temere.
Eppure pochi analisti, e ancora meno investitori, si soffermano su questa distinzione fondamentale. Peccato, perché avrebbero colto a metà dello scorso anno - quando lo S&P quotava 1330 punti (una quota giudicata già allora eccessiva da molti sprovveduti: sprovveduti di strumenti, beninteso) – una oggettiva inversione di tendenza di cui tuttora godiamo gli effetti.
Il grafico mostra l’andamento dell’Up-Down Volume del NYSE, in termini di media a 200 giorni: il dato differenziale risulta positivo esattamente dal 28 giugno 2012. Da allora, non è mai tornato sotto la linea dello zero. Ci ha provato, esattamente un anno fa, quando saggiò la linea dell’equilibrio, prima di ripartire: fornendo così una limpida opportunità secondaria di ingresso che a suo tempo fu segnalata.
Allo stato attuale il margine della componente benigna degli scambi si è assottigliato rispetto ai livelli della scorsa primavera. Ma prima che prevalga la componente negativa degli scambi, passerà del tempo. Il Toro a Wall Street può ancora proseguire indisturbato.