Idee e grafici. - Cap. 2

Perché l'andamento laterale va a favore dei Tori
di Bernie Schaeffer* - 11/11/2013

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È sotto gli occhi di tutti: lo S&P sta incocciando contro le resistenze, come tipicamente avviene dopo il superamento dei "50" punti (1750, 1650, 1550, eccetera). L'ipotesi era che un ripiegamento fino a quota 1750 fosse altamente probabile, nell'ambito di un contesto di sentiment che risultava sfavorevole ai Tori, e in assenza apparente di accumulazione da parte dei fondi hedge. Lo scenario ha trovato realizzazione: dopo dieci chiusure consecutive sopra i 1750 punti, con un'escursione fino a 1783 (dopo il rialzo annuale raggiunge il 25%), l'indice finalmente si è appoggiato giovedì sui 1750 punti. Questo andamento e il sell-off finale, hanno rimosso l'ipercomprato che abbiamo denunciato un paio di settimane fa, con l'RSI a 9 giorni sceso a 49 punti. Quest'anno i minimi primari sono stati registrati proprio con l'RSI fra 30 e 40 punti.
Sicché lo S&P non è più in ipercomprato; ma non è ancora in ipervenduto. Inoltre, gli indicatori di sentiment mostrano ancora un certo ottimismo, specie se si osserva il sondaggio settimanale di Investors Intelligence. Con gli indici ancora alle prese con le resistenze, c'è la possibilità che l'indice sperimenti un ulteriore calo fino a 1710-1725. Questo, specie se dovessero risorgere le solite preoccupazioni per l'Europa, dove la Francia ha appena subito un downgrade del debito ad opera di Standard & Poor.
Quota 1710-1725 è una potenziale area di supporto, prima perché a 1725 punti si colloca un massimo di breve periodo di settembre; poi perché da lì passa la media a 40 giorni; ed infine perché a 1710 punto lo S&P vanterebbe un guadagno annuale del 20%, e quest'anno queste cifre tonde hanno assunto una notevole rilevanza.

Per i Tori un andamento di mercato come quello di marzo-aprile, quando lo S&P oscillò attorno ai 1550 punti, potrebbe essere considerato un successo, tenuto conto dell'attuale sentiment di mercato. Questa eventualità, condita magari da un'ulteriore limatura dei prezzi, ridurrebbe gli eccessi di ottimismo, in tempo per il consueto e prevedibile rally di fine anno.
Una ripartenza dai supporti accompagnata da un incremento dell'attività di hedging - per esempio, mediante acquisto di opzioni put sugli ETF azionari, o un incremento di acquisti di opzioni call sul VIX - sarebbero friendly per i Tori, dal momento che ciò segnalerebbe che i fondi hedge, correntemente sottoperformanti, stanno incominciando ad accumulare azioni. Allo stato attuale, sulla base dei dati a disposizione, essi appaiono riluttanti, con le ricoperture partite a metà ottobre che sembrano essersi ormai esaurite. Il breve periodo può rivelarsi ancora impegnativo in assenza di accumulazione da parte degli hedge fund. Bisognerà monitorare il sentiment in caso di ripiegamento da parte del mercato.
 
La magra figura dei Guru
di Gaetano Evangelista - 31/10/2013

Nel suo quinto anno di anzianità il bull market delle borse mondiali è ancora ben impostato. E dal 2009 ha dispensato copiose plusvalenze a chi ha avuto l’umiltà di sentire il cosiddetto “battito della giungla”; mentre ha dispensato carbone (sotto forma di ripetute minusvalenze) a chi ha avuto la presunzione di saperne più del mercato, anteponendo il proprio giudizio soggettivo alla fondamentale legge della domanda e dell’offerta.
Fortunatamente coloro che sono rimasti a guardare o hanno “shortato” rappresentano un’esigua minoranza: difficilmente un boom così prolungato, così lineare e indiscusso, può essere scambiato per qualcosa di differente.

Eppure, sbaglierebbe chi ritiene che fra gli astenuti del long figurino solo investitori non dotati di apposita strumentazione analitica (per inciso: l’analisi tecnica, pacificamente, è stata l’unica disciplina ad aver “predetto” questo bull market). La domanda è perciò la seguente: come spiegare la magra figura rimediata dai guru di Wall Street? Il terminale Bloomberg raccoglie ogni settimana l’allocazione media in azioni raccomandata dagli strategist delle case di brokeraggio di Wall Street. Ci si aspetterebbe che questi “mega illustri analisti”, dagli stipendi a 5-6 zeri, siano in grado di vedere giusto. E invece no: forse, chissà, non fanno utilizzo di analisi tecnica...
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Ancora oggi, l’allocazione media in azioni da parte dei guru di Wall Street si attesta al 50.9% del portafoglio modello. Non sfugge il fatto che il dato risulti crescente da più di un anno e si attesti ai livelli più elevati dal giugno 2012. Ma, per dire, a marzo 2009 gli strategist interpellati erano anche più ottimisti. E da lì partì un rialzo di cui ancora stiamo godendo i frutti. Quando a metà 1997 gli strategist vantavano un simile livello di cautela (solitamente l’asset allocation è “60-40”: 60% in azioni, 40% in bond), lo S&P si preparava a raddoppiare di valore; e il Nasdaq avrebbe fatto anche molto meglio.

Una esposizione così misurata, nonostante i nuovi massimi storici e quasi cinque anni di rialzi pressoché ininterrotti (mai infatti dal marzo 2009 si è registrato un formale bear market, se per esso si intende una contrazione superiore al 20% da massimo a minimo), lascia davvero a bocca aperta, se si considera che storicamente il dato medio si attesta al 62%, con estremi statistici (una deviazione standard sopra e sotto la media) situati al 70 e 53%. Livelli superiori denotano entusiasmo che di solito è seguito da lacrime: nel 2001 questo ottimismo anticipò un drammatico bear market. E livelli statisticamente bassi come visto suggeriscono l’imminenza di un bull market.

Non c’è che dire: i guru hanno rimediato una magra figura. Ma fanno sempre in tempo a riscattarsi. Quando decideranno di cambiare casacca, indossando un rosso sgargiante con sopra raffigurato un bel toro baldanzoso, sono pregati di farcelo sapere...
 

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