Idee e grafici. - Cap. 2

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27/06/2013 11:25
BP Milano ripiega dopo avvio sprint. Gli analisti restano cauti
Davide Pantaleo


Furia francese e ritirata spagnola quest'oggi per Banca Popolare di Milano che, dopo aver chiuso la sessione di ieri con un rialzo di oltre due punti e mezzo percentuali, quest'oggi ha avviato gli scambi nuovamente in progresso. Il titolo è arrivato a segnare un massimo intraday a 0,338 euro, con un rally di oltre il 4%, salvo poi muoversi a passo di gambero. Banca Popolare di Milano ha così annullato interamente il vantaggio iniziale, scivolando in territorio negativo e presentandosi ora a 0,3209 euro, con un calo dello 1,05% e circa 19 milioni di azioni passate di mano fino ad ora, rispetto alla media giornaliera degli ultimi tre mesi pari a circa 52 milioni di pezzi. Banca Popolare di Milano ormai da diverse sedute è finito sotto i riflettori del mercato dopo il venir meno del progetto di trasformazione della banca in Spa che ha portato il titolo a perdere circa il 20% del suo valore a partire dalla metà di giugno. Secondo quanto riportato da alcune fonti di stampa, l'aumento di capitale da 500 milioni di euro finalizzato a finanziare il pagamento dei Tremonti Bond partirà a settembre prossimo e intanto potrebbero giungere delle sorprese dalla relazione ispettiva della Banca d'Italia, attesa per metà luglio. Ieri intanto Banca Popolare di Milano ha ottenuto l'autorizzazione da Palazzo Koch per il rimborso dei 500 milioni di euro di Tremonti Bond. Gli analisti di Equita SIM parlano di una notizia positiva, ancorchè scontata, perchè orami il tempo per evitare gli step up stava per scadere. Ricordiamo che il termine ultimo per il rimborso era l'1 luglio, poi sarebbe scattato lo step up sul capitale di 50 milioni di euro e di 0,5% sulla cedola. Gli esperti della SIM milanese intanto non cambiano idea sul titolo e confermano la raccomandazione "hold" su Banca Popolare di Milano, con un prezzo obiettivo a 0,5 euro. Non si sbilanciano neanche i colleghi di Exane che quest'oggi hanno ribadito il rating "neutral" sulle azioni della banca milanese, tagliando il target price di quasi il 30% a 0,38 euro. La revisione della valutazione è stata decisa in seguito alla rivisitazione delle stime di utile rettificato riferite al periodo 2013-2015, tagliate in media del 10% per via dei margini di interesse attesi più bassi. Le stime sull'utile per azione hanno subito una sforbiciata ancora più pesante, nell'ordine del 40% in media, in vista del prossimo aumento di capitale del gruppo. Gli analisti della banca francese, in merito ai possibili cambiamenti della governance di Banca Popolare di Milano, ritengono che qualche modifica potrebbe essere attuata entro la fine dell'anno con l'obiettivo di spostare l'equilibrio di potere all'interno del Cda lontano dai rappresentanti dei lavoratori. Per Exane il titolo non è costoso, considerando che dopo la ricapitalizzazione, la banca sarà in eccesso di capitale, tanto che gli analisti stimano un Core Tier 1 Basilea 3 2013 del 10,2%. Tenendo conto però del probabile overhang nel periodo dell'aumento di capitale, settembre e ottobre prossimi, gli esperti di Exane non vedono alcun motivo per detenere Banca Popolare di Milano in portafoglio in questo momento. Fonte: News Trend Online
Fonte: News Trend-online
 
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27/06/2013 12:59
Le (assurde) misure del governo su Lavoro, Irpef, Ires e Iva
Rossana Prezioso
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Rilancio dell'occupazione giovanile: il pacchetto del governo si occuperà dei giovani senza diploma con meno di 29 anni e almeno una persona a carico. Peccato che l'Italia sia per antonomasia, il Paese dei laureati ultratrentenni costretti a essere single a causa della mancanza di lavoro. Ah, dimenticavo: la nostra popolazione è tra le più anziane del mondo, quindi gli under 29 sono anche una minoranza. Ad ogni modo, nel caso siate over 50 potrete far ricorso a un fondo. Ma andiamo con ordine. Lo sgravio per chi assume persone dai 18 ai 29 anni, è di un terzo dell'imponibile calcolato sullo stipendio lordo che dovrà durare 18 mesi (12 se il contratto diventerà indeterminato) e che comunque non dovrà superare i 650 euro per ogni singola unità di lavoro. Questo per evitare di arrivare a violare le direttive Ue circa il finanziamento da parte dello stato di aziende private. Nel contempo, però, rappresenta anche, oltre a un incentivo all'assunzione, anche l'abbattimento del costo di lavoro sulla risorsa stessa. Risorsa che deve rappresentare un aumento della forza già presente in azienda e non quindi la sostituzione. Quello che invece fa pensare è la categoria iperspecifica cui va incontro il provvedimento e ancora di più il fatto che lo stimolo sia indirizzato maggiormente al Sud con una prima tranche di finanziamenti-bonus di 794 milioni di cui 500 milioni destinati al Mezzogiorno (chi scrive è meridionale e conosce perfettamente la triste storia dei finanziamenti pubblici che si perdono in migliaia di rivoli non sempre legali e che fanno perdere l'efficacia inizialmente riposta nel provvedimento. Dai fondi per la Salerno Reggio Calabria agli stanziamenti per il terremoto del1980 passando per i fondi per la riqualificazione del mezzogiorno, tutti capitali che non hanno di certo migliorato la situazione economica del Meridione...). Cifra alla quale va aggiunta quella di 167 milioni per il programma rivolto a famiglie e giovani in stato di indigenza. Questa cifra, però, rientra negli altri stanziamenti, quei 700 milioni che saranno diretti a progetti di sviluppo e semplificazione. Intanto arrivano le conferme per le coperture trovate contro l'aumento dell'Iva e che si traducono in un raddoppio dell'Irpef (nel senso che non si pagherà più l'acconto ma l'intera cifra). Paradossale ma vero un aumento di tassa (o per meglio dire l'anticipo) per evitare l'aumento di un'altra tassa che in realtà è solo rimandata (e pensare che Monti l'acconto lo aveva addirittura diminuito!). Senza contare, appunto che poi l'acconto dell'Ires si trasforma non solo nel pagamento totale della tassa ma in un anticipo rispetto all'acconto successivo (quindi il versamento del 100% + un extra rappresentato dall'anticipo). Fonte: News Trend Online
 
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27/06/2013 13:00
Alla fine tutto si riduce a questo: chi dovrà pagare?
Rischiocalcolato
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Nel dibattito che riguarda una possibile via d'uscita dell'Italia dalla sua mole ingestibile di debiti pubblici, sia espressi che nascosti tutto si riduce ad una singola domanda: Chi dovrà pagare? Mi spiego, supponiamo che 1:- l'Italia decida o sia costretta a "ristrutturare" il proprio debito in questo caso pagherebbero: a) Principalmente i detentori del debito pubblico, banche, fondi pensione e cittadini detentori del debito. b) Gli azionisti, gli obbligazionisti e forse i correntisti delle banche italiane meno capitalizzate e più esposte al debito pubblico italiano, alcune di esse diverrebbero insolventi e in accordo con le decisioni di ieri dell'ecofin "non saranno più gli Stati a pagare i dissesti bancari... indovinate a chi tocca?" 2:- L'Italia decida di ristrutturare in maniera draconiana la propria Spesa Pubblica, venda il proprio patrimonio e utilizzi le risorse per un massiccio calo delle tasse allo scopo di stimolare la crescita, in questo caso pagherebbero: a) Tutti coloro che a vario titolo percepiscono denaro dallo Stato, sia sotto forma di stipendio che di pensione o rendita. b) Tutti coloro che utilizzano il patrimonio dello stato a costi nulli o irrisori. c) In una prima fase le società e i professionisti che operano solo sul mercato interno, inizialmente la riduzione di pensioni, rendite e stipendi pubblici deprimerebbe ancora il mercato interno. 3:. L'Italia esca dall'Euro a) Tutti i cittadini italiani, banche e società in dipendenza del patrimonio, del reddito e del tipo di asset che possiedono. Tutti i debiti i crediti e le obbligazioni domestiche verrebbero ridenominate in NeoLire le quali si svaluterebbero immediatamente sull'Euro. b) Tutti gli investitori stranieri che vantano crediti non garantiti da asset al di fuori del territorio italiano o da clausole molto forti a tutela del credito. C) Gli azionisti, gli obbligazionisti delle banche italiane meno capitalizzate, lo choc finanziario richiederebbe certamente una nazionalizzazione con un probabile severo taglio del valore di azioni e obbligazioni emessi dall'istituto nazionalizzato. Quindi oltre ad una perdita in conto valuta si assommerebbe una forte perdita o un azzeramento del valore dell'asset anche denominato in neolire. d) Con tutta probabilità i correntisti delle banche italiane a meno che lo Stato decida di non Confiscare gli euro nei conti correnti per sostituirli con Neo Lire. La storia e il buon senso suggerisce questa confisca avverrebbe anche perchè l'Italia per superare la fase acuta della crisi post-uscita dalla moneta unica avrebbe bisogno di valuta forte nei suoi forzieri. (Questo è il vero motivo per cui l'Argentina convertì i depositi in dollari dei suoi cittadini in Pesos) 4: L'Italia non faccia nulla e si avvii ad un declino Greco Pagherebbero tutti con l'eccezione di una piccola parte di classe dirigente che, esattamente come in Grecia continuerebbe a sopravvivere mantenendo intatti i propri privilegi, ovviamente fino a quando sarà possibile. Cioè fino quando ci sraà un Italiano (o Greco) da spolpare o fino a quando a parlare saranno le armi da fuoco (il che in Italia è improbabile per questioni squisitamente demografiche). Voi quale mix preferireste? Autore: Rischiocalcolato Fonte: News Trend Online
 
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27/06/2013 13:00
Partita di (presa in) giro
Mario Seminerio
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Il commento definitivo alla "copertura" individuata dal governo per ottenere l'agognato rinvio di un ridicolo trimestre dell'aumento dell'aliquota ordinaria Iva è di Salvatore Padula, sul Sole. Ed è desolante, prima che condivisibile. Dopo aver commentato, ironicamente, che con questa copertura siamo passati dalla tassazione sulle cose a quella sulle persone, invertendo il precetto che ci ronza in testa da lunghi anni, Orioli commenta: «Si dirà anche che si tratta "solo" di un'anticipazione, perché i maggiori versamenti ai quali saranno chiamati a novembre tutti i contribuenti che pagano l'acconto - dipendenti e pensionati con altri redditi, professionisti, autonomi, imprese grandi e piccole - verranno recuperati al momento di determinare il saldo con la dichiarazione dei redditi, nel giugno del 2014. Quindi, non una "nuova" tassa ma di certo una sorta di "prestito forzoso" - non proprio simpatico - al quale tutti i contribuenti saranno chiamati per consentire il rinvio di tre mesi dell'aumento dell'Iva. Un aspetto che, se vogliamo, rende la scelta del Governo ancor più difficile da capire. Non può, infatti, non balzare agli occhi come in un Paese in cui le imprese e spesso i professionisti sono in attesa di decine e decine di miliardi di pagamenti non onorati dalle pubbliche amministrazioni (e anzi, è stata avviata un operazione importante per restituire alle imprese queste somme), ora siano proprio gli stessi creditori a dover anticipare allo Stato gli importi necessari per consentire di tamponare gli effetti del rinvio dell'aumento dell'Iva. Una soluzione, probabilmente, verrà trovata nella legge di stabilità. Ma nel frattempo? Chi spiegherà ai contribuenti che risparmieranno qualche decina di euro sui consumi ma rischiano di doverne spendere altrettanti (e forse più) a novembre per il rincaro degli acconti? Per di più, quando, in molti casi, imprese e professionisti sono costretti a ricorrere all'indebitamento per pagare le imposte» Che aggiungere? Solo un paio di cose. In primo luogo, che forse era meglio lasciar partire l'aumento, se questa doveva essere la "soluzione", rigorosamente transitoria. Gli stessi commercianti, che tanto hanno strepitato, in ogni sede, col governo per evitare di prendersi sul groppone l'aumento (che si sarebbe risolto soprattutto in compressione dei margini dei venditori, più che in aumento dei prezzi) ora pagheranno il conto, sotto forma di aumento dell'acconto Irpef, con conseguente calo di liquidità sul fine anno, che porterà i commercianti medesimi a nuovi strepiti sotto Natale. Poi, se queste sono le premesse, c'è da sperare che non ci siano ulteriori rinvii dell'aumento Iva che ora è slittato ad ottobre, perché di questo passo rischiamo di beccarci un'addizionale Irpef. Da ultimo si conferma che in Italia un governo di larga coalizione, a differenza che altrove, è solo l'ultimo chiodo alla bara di un paese, e non il modo per prendere decisioni difficili. Sarà che da noi, oggi, esiste comunque una robusta (per quanto eufemisticamente ridicola) opposizione parlamentare a giocare di rimessa e soffiare sul fuoco del malcontento, sarà che i partiti di maggioranza si sentono più di lotta che di governo ma quello a cui stiamo assistendo, in queste settimane, è uno spettacolo che giustifica le peggiori sensazioni sulla prognosi per questo paese. Autore: Mario Seminerio Fonte: News Trend Online
 
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27/06/2013 13:00
Un approccio ?smart? al rischio sarà un fattore necessario
Allianz Global Investors
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Alla luce dei trend socio-demografici secolari e dello scenario di financial repression di lungo periodo, Allianz Global Investors ha presentato a Londra la sua visione per consentire agli investitori di cogliere opportunità di rendimento, rispettando il proprio approccio al rischio. Il commento di James Dilworth, CEO AllianzGI Europe: "Gli investitori sono alla ricerca di rendimenti, e gli investimenti tradizionali non sono in grado di garantirne. I tassi di interesse molto bassi degli investimenti obbligazionari più tradizionali potranno a malapena offrire rendimenti reali positivi ed il relativo rischio connesso alla crescita dei tassi di interesse sembra ampiamente sottostimato". "Un approccio 'smart' al rischio diventerà un fattore necessario, non un'opzione. Questo non rileva soltanto per gli operatori dei mercati finanziari internazionali, ma è connesso alle fondamenta dell'equità intra-generazionale nelle economia mature. E' sufficiente pensare all'altissimo numero di persone che nei prossimi anni si affacceranno alla pensione, un periodo che per loro durerà più del doppio rispetto a quarant'anni fa". Qual è il modo migliore di gestire il rischio? "In un mondo di repressione finanziaria - spiega Wolfgang Mader, Head of Asset Allocation Strategies di AllianzGI Global Solutions - per ottenere i profili desiderati di rischio-rendimento è necessario assumere maggiore rischio. Ma gli investitori dovrebbero essere molto attenti alle diverse tipologie di rischio: mantenere un portafoglio di titoli governativi in realtà può rivelarsi un'opzione assai rischiosa, che probabilmente porterà a mancare gli obiettivi. Per colmare questo gap è necessario inserire in portafoglio asset più rischiosi e aggiungere strategie alpha non correlate come fonte di rendimento. Per riportare il rischio ai livelli target, gli investitori dovrebbero attuare un'ampia diversificazione a livello globale tra i diversi fattori di rischio, applicando tecniche di gestione dinamica del rischio per rimanere davanti alla curva in condizioni di mercato assai volatili". Il tema dei mercati emergenti Secondo David Tan, Chief Investment Officer, Fixed Income Asia Pacific, le obbligazioni asiatiche offrono agli investitori un'opportunità unica di diversificare il portafoglio rispetto ai problemi strutturali che presentano i titoli sovrani delle economie sviluppate, essendo i paesi asiatici non totalmente correlati con i mercati sviluppati. Aggiunge Tan: "Grazie ai solidi fondamentali macroeconomici, nei periodi di crisi i paesi asiatici hanno comunque la capacità di incentivare lo sviluppo economico, senza contare i livelli mediamente bassi del rapporto debito/Pil rispetto alle economie sviluppate. L'insieme di questi fattori fornisce alle economie asiatiche una sorta di protezione per fronteggiare gli shock esogeni. In media, le obbligazioni asiatiche offrono inoltre un carry interessante agli investitori. In un certo senso è paradossale che il rendimento dei titoli governativi asiatici sia mediamente più elevato nonostante la solidità sottostante di tali economie, nella maggior parte dei casi giudicate 'investment grade' dalle agenzie di rating. Nel lungo periodo, l'apprezzamento delle valute può rappresentare un ulteriore elemento di potenziale rendimento per gli investitori, in particolare considerando che secondo diversi parametri le valute asiatiche risultano sottovalutate rispetto a quelle dei mercati sviluppati. L'Asia attualmente detiene più del 60% delle riserve valutarie mondiali e riteniamo che questo forte avanzo delle partite correnti offra supporto alle valute locali. Perché investire in titoli azionari cinesi? Christina Chung, Senior Portfolio Manager Chinese Equities, illustra le ragioni di un investimento in azioni cinesi: "Nonostante il recente rallentamento, il potenziale di crescita della Cina non è in discussione. Il paese prevede di avviare una serie di riforme economiche per innescare la trasformazione strutturale verso una crescita più bilanciata, trainata da una maggiore enfasi sulla domanda interna. La ponderazione delle azioni cinesi nei benchmark globali è probabilmente destinata ad aumentare nel tempo. Il Pil pro capite cinese è a livelli analoghi a quelli della Corea negli anni 80 e del Giappone negli anni 60. Se riuscirà a raddoppiare il Pil entro il 2020, un obiettivo che riteniamo possibile, la Cina raggiungerà un livello paragonabile a quello della Corea alla fine degli anni 90 e del Giappone negli anni 80. Questo dà un'idea dell'enorme portata della domanda interna potenziale in Cina, dove la classe media si sta affermando grazie al progressivo aumento del reddito pro capite". Secondo Christina Chung, questo è il momento giusto per investire in azioni cinesi: "Riteniamo di avere raggiunto un minimo ciclico: gli utili industriali sono in fase di ripresa, le valutazioni appaiono interessanti, gli scambi sono nel range inferiore delle medie storiche e l'esito delle riforme offre potenzialità di rialzo". E l'Europa? "L'esposizione verso i mercati emergenti è un tema ben delineato nei portafogli azionari dei nostri fondi growth europei", afferma Matthias Born, Senior Portfolio Manager European equities. "Nel 1997, in media, il 20% dei ricavi europei presentava un'esposizione verso i mercati emergenti. Nel 2012 siamo arrivati al 33%. Vi sono numerosi esempi di produttori di beni di consumo con brand molto solidi, un forte pricing power e un'elevata generazione di cassa, che in Asia hanno conseguito una rapida crescita, perlopiù organica. Oltre ad avere un'esposizione lievemente superiore ai ricavi globali, a causa della nostra posizione pari a zero nei settori molto orientati al mercato interno, siamo fermamente convinti che sia essenziale selezionare la migliore esposizione globale tra i settori ed i titoli avvantaggiati dai più importanti trend secolari di crescita a livello internazionale, con elevate barriere all'ingresso e un forte potere di determinazione dei prezzi, in quanto mercati emergenti significa anche maggiore competitività su scala globale. Ma l'espansione geografica non è l'unica leva di crescita. Nella nostra filosofia di investimento diamo priorità alla crescita sostenibile degli utili, alle aziende di qualità e alle valutazioni. Se non siamo convinti di un catalizzatore che potrebbe innescare un'accelerazione nella crescita di una società, chiediamo alla nostra rete di ricercatori Grassroots di verificare nella realtà le ipotesi previsionali formulate dalle aziende e di validare il nostro caso di investimento. In quanto stock-picker, potremmo definirci agnostici rispetto al benchmark; la performance dei nostri portafogli è indubbiamente legata alla crescita sottostante delle società in cui investiamo". Business locale? Small cap globali Secondo Andrew Neville, Global Small Cap Portfolio Manager, una gestione attiva focalizzata sulla ricerca fondamentale, alla quale siano dedicate risorse globali, è la chiave anche per esplorare le opportunità di investimento offerte dal segmento small cap: "I titoli a bassa capitalizzazione globali hanno le potenzialità per mettere a segno una netta sovraperformance nelle fasi di rialzo dell'economia e, in un'era di repressione finanziaria, spesso offrono un vantaggio rispetto alle large cap in quanto sono in grado di finanziare la propria crescita e quindi meno penalizzati dalla riduzione del credito erogato dalle banche. Le small cap consentono di ottenere una diversificazione vantaggiosa: sebbene siano più rischiose e volatili, la quota di rischio aggiuntiva risulta in genere ampiamente compensata dal rendimento". Autore: Allianz Global Investors Fonte: News Trend Online
 
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27/06/2013 13:00
Si chiama bancarotta
Paolo Cardenà
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E' un anno che si parla di aumento dell'Iva dal prossimo primo luglio, e il governo, a tre giorni dall'aumento, con toni esultanti, ci informa che l'aumento è stato sospeso fino al primo di ottobre. Il differimento vale appena un pidocchiosissimo miliardo di euro, su una spesa statale di oltre 800 miliardi di euro. Una percentuale infinitesimale sul totale della spesa. E che fanno? decidono di sospendere una tassa, aumentandone un'altra. Magari con effetti anche più recessivi e invasivi rispetto all'aumento dell'Iva. In pratica, la copertura per far fronte al mancato gettito ipotizzato dall'aumento dell'Iva, verrà compensata con l'aumento degli acconti Irpef, Irap e Ires, già dal 2013. Nel caso dell'Ires, addirittura, le società dovranno versare il 101% dell'imposta a debito per l'anno 2012. E' un po' come dire che le società, nell'anno 2013, dovranno versare l'acconto per l'anno in corso e in parte anche per il prossimo. Siamo alla follia pura con evidenti tratti di nazismo tributario. Le imprese sono al collasso e già pagano, in alcuni casi, una tassazione vicina all'85%-90% degli utili realizzati, o forse più. Le aziende devono ancora riscuotere un centinaio di miliardi dallo Stato, ed è del tutto verosimile attendersi che un numero ben considerevole di queste smetteranno di pagare le tasse già nelle prossime settimane, visto l'avvicinarsi delle scadenze fiscali. Non hanno soldi! Né se li possono prestare per pagare una pretesa tributaria assurda e per molti aspetti illegittima. E' evidente che se tale sensazione dovesse essere confermata dai numeri, già dai prossimi mesi, mancheranno all'appello un bel po' di miliardi di euro. Pure uno stolto si accorgerebbe di tanto disastro. Ma non il governo che continua a giocare con numeri che non rappresentano affatto le reali condizioni del Paese. Per quanto sono ottimistici, sembrano tratti dal libro dei sogni. Nel frattempo, la Corte dei Conti ci ha informati del fallimento completo dell'esperienza Equitalia nelle vesti di braccio armato del fisco per la riscossione dei tributi. Pare che l'ente di riscossione abbia un totale crediti tributari da riscuotere di oltre 550 miliardi di euro. E sembrerebbe che esistano addirittura delle liste di contribuenti eccellenti che non possono essere toccati. Secondo quanto riportato dalla giudici della Corte, Equitalia, nell'ultimo decennio, avrebbe recuperato poco più dell'11% del volume complessivo: appena 66 miliardi di euro. Appare logico ritenere che buona parte di questi soldi verranno persi. Nella maggior parte dei casi, questi crediti (crediti (?)per lo stato, debiti per i cittadini) derivano da una pretesa assurda e talvolta illegittima, che lo stato fonda per mantenere un apparato burocratico degno della migliore unione sovietica, poiché enorme bacino di consensi elettorali e perfetto luogo di riciclaggio di politici silurati. Ma allo stesso tempo, questi ultimi, compagni di secondo, terzo, quarto, quinto letto di qualcuno a credito di qualche favore. Uno schifo, insomma. Ritornando ai crediti di Equitalia, questi, oltre ad essere, per buona parte dello stock, di difficile recupero, tengono in ostaggio milioni di persone e centinaia di migliaia di aziende costrette ad operare al buio, sfuggendo totalmente al controllo del fisco, poiché braccate dalle azioni di recupero dell'ente della riscossione. Queste persone, queste aziende, pur producendo ricchezza, occulta agli occhi del fisco, qualora non dovessero essere rimesse in bonis, non contribuiranno mai alla formazione del gettito tributario da versare allo Stato. Sia ben chiaro: non sono tutti evasori. Sono anche, nella maggior parte dei casi, soggetti economici che hanno scelto di sopravvivere anziché pagare una pretesa tributaria insostenibile, fondata su un colabrodo di impianto normativo fiscale degno di uno Stato da terzo mondo. Non occorre essere dei geni per comprendere che è indispensabile ripensare tutta la macchina impositiva statale, facendo una riforma che tenti di recuperare il rapporto tra fisco e contribuente, per troppo tempo stuprato in nome della salvezza nazionale. La normativa fiscale, da decenni in perpetuo mutamento, non è affatto qualcosa al servizio della società, degli individui, e dello sviluppo della nazione, con lo stato abile intermediatore di ricchezza al fine di promuovere lo sviluppo culturale, socioeconomico e promuovere lo slancio della nazione. Nulla di tutto questo. E' una macchina in perenne servizio delle esigenze di cassa dello Stato, pronta ad essere manovrata con nuove imposizione al fine di generare dosi crescenti di gettito, dal quale lo Stato ingordo si deve nutrire. Tutto ciò genera infedeltà fiscale e porta alla distruzione del tessuto economico, sociale, culturale e produttivo di una nazione. Negli ultimi 2 anni l'Italia ha versato oltre 45 miliardi di euro per i vari salvataggi (banche comprese) in giro per l'Europa. E ti vengono a dire che non è possibile trovare un paio di miliardi di euro (4 il prossimo anno) per scongiurare l'aumento dell'Iva. Come ci informa l'Istat, mentre in Italia ci sono quasi 9 milioni di persone che vivono in stato di indigenza, abbiamo migliaia di perone che percepiscono assegni pensionistici faraonici, non avendo versato neanche i contributi previdenziali a copertura delle somme oggi elargite. 10, 20, 40 fino a 90 mila euro di pensione al mese, senza mai aver versato nessuna contribuzione a copertura di queste cifre. Ma ti vengono a dire che questi sono diritti acquisti che non si possono toccare. I diritti acquisti, in realtà, sono quelli che si possono mantenere. Se tu non te li puoi mantenere, allora, di acquisto non c'è un bel niente. Abbiamo una pubblica amministrazione degna di uno stato bolscevico dove sono imboscati i peggiori parassiti sociali. Persone che si presentano al mattino, marcano il tesserino, e poi se ne escono perché in non hanno un bel niente da fare. Nella migliore delle ipotesi, rimangano seduti sulla poltrona ad intralciare chi genera e produce ricchezza. Eppure ti dicono che tu devi pagare anche per questi. Spendiamo miliardi di euro per comprare aerei da guerra e non si capisce da chi ci dovremmo difendere, se non da chi queste decisioni le ha prese. Proprio ieri, il Financial Times ha diffuso la notizia secondo la quale l'Italia rischierebbe di perdere 8 miliardi di euro su contratti derivati stipulati alla fine degli anni 90. Contratti che hanno consentito di migliorare i conti ed entrare nell'euro. In perfetto stile greco insomma. Nell'ultimo rapporto dell'Abi, siamo stati informati che le sofferenze bancarie, nel mese di aprile, sono arrivate all'astronomica cifra di 133 miliardi di euro e sono in progressiva ascesa. Questo, solo quelle note. Poi però, ci sono anche quelle non ancora emerse e che prima o poi emergeranno. Si pensi, ad esempio, a tutti quei soggetti che si sono avvalsi della moratoria sui finanziamenti. Se da una lato la moratoria ha consentito al debitore di sospendere il pagamento della quota capitale di un prestito, dall'altro ha consentito alle banche di non far emergere ulteriori sofferenze per quei crediti di dubbia esigibilità che presto potrebbero trasformarsi in sofferenze. Ma non c'è solo questo. Accade anche che, un numero non del tutto indifferente di imprese (solo per usare un eufemismo), già da diverso tempo, con l'ausilio di direttori di banca conniventi, per finanziarsi, abbiano posto in essere delle pratiche fondate sul nulla al fine di ottenere linee di credito. Sto parlando dello sconto di fatture per operazioni inesistenti. In pratica funziona così: le imprese emettono delle fatture per forniture o prestazioni inesistenti. Le portano in banca, e nei limiti delle linee di credito a disposizione, le anticipano in tutto o in parte per ottenere liquidità. É evidente che le banche non anticipano queste fatture in modo perpetuo e, alla scadenza della fattura (in genere tra i 60 e i 90 giorni), la banca che ha concesso l'anticipazione dovrà rientrare del proprio credito. A questo punto può accadere 2 cose. La prima: l'impresa che ha emesso la fattura falsa, nel frattempo, ha effettuato davvero la fornitura o il servizio a quel determinato cliente. In questo caso, eventualmente, l'impresa può chiedere una proroga dell'anticipazione e estinguere l'obbligazione alla sua naturale scadenza. La seconda: alla fine gioco si conclude in maniera tragica. Per la banca ovviamente, che non potrà sostenere all'infinito una simile pratica e quindi, presto o tardi, in mancanza di un rientro dalla posizione creditoria, rimarrà con il cerino in mano. Pochi giorni fa, la controllata di Mediobanca a Londra, la Mediobanca Securities, ha diffuso un rapporto secondo il quale non sarebbe affatto remota la possibilità che l'Italia, entro sei mesi, debba chiedere il chiedere il salvataggio alla UE, attraverso il fondo salva stati ESM a cui l'Italia ha aderito. Sarebbe un caso unico nella storia. Uno Stato sovrano dalle potenzialità inaudite che dovrebbe essere aiutato con gli stessi soldi che lo stesso Stato ha tirato fuori per farsi salvare, in cambio della cessione di pezzi di sovranità. Cose inimmaginabili, dall'altro mondo. Sempre qualche giorno fa, la Banca dei Regolamenti Internazionali ha diffuso un rapporto secondo il quale, alla fine del 2013, il rapporto debito/Pil si attesterà al 144%, contro il 127% di appena 6 mesi fa. Un record che, guarda caso, va nella stessa direzione della Grecia. Intanto lo spread ha ripreso a salire e stanno aumentando significativamente tutti i rendimenti dei titoli di stato, anche quelli dei paesi considerati più solidi. E il miliardo di euro derivante (almeno in parte) dall'aumento degli acconti delle imposte del 2013 che ha consentito il differimento dell'aumento IVA, rischia di andare in fumo nel giro di qualche giorno. Che la situazione rischi di sfuggire di mano lo conferma la solerzia con la quale si sta giungendo ad un compromesso nella soluzione delle crisi bancarie nel contesto europeo che, manco a dirlo, saranno accollate ai risparmiatori, sia direttamente che attraverso il fondo salva stati/banche. In Autore: Paolo Cardenà Fonte: News Trend Online
 
Non so se qualcuno perde tempo (si fa per dire ) nel leggere cosa o postato ,ma secondo me dimostra sollo quanto e tragica la situazione attuale in generale ,E cosa peggiore la incapacità dei nostri politici attuali di affrontare questa situazione ,roba da suicidio o guerra civile ,Ma in Italia vediamo che e più facile il suicidio ,Io invece non vorrei dipartire in solitaria in n casso simile :no::no::no: voglio buona e autorevole compagnia nel viaggio al altro mondo :wall::wall::wall::wall:
 

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